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Autore: Abraxas    23/12/2010    6 recensioni
Tre secoli e mezzo dopo il confronto con i Cullen, il potere dei Volturi è solo una pallida ombra di ciò che era un tempo. Se solo le cose fossero andate diversamente, medita Aro…
E se esistesse un modo per cambiare gli eventi?
E se qualcuno fosse incaricato di impedire queste modifiche?
Qualcuno che non sospetta minimamente dell’esistenza di vampiri e licantropi…
Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”
Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.
“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute, Seth Clearwater, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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- #8: Aria -

 
Ultima chiamata per il volo AA5368 diretto a Firenze. Ultima chiamata…

Ci presentiamo ansanti ed affannati al cancello di imbarco, ricevendo le occhiate omicide degli assistenti di volo. Effettivamente siamo in ritardo epocale, e solo non meglio precisati problemi tecnici hanno impedito il decollo.

“Le devo una pizza, capotecnico”, bisbiglio nel cellulare mentre sfodero il passaporto ed un sorriso galattico al poliziotto di turno.

“La Bismark è la mia preferita, Comandante”, mi risponde ridacchiando la voce. “E ringrazi l’accidentaleperdita di olio sulla pista quattro. Avvisatemi appena siete a bordo, e farò partire immediatamente l’annuncio che il problema è stato risolto. Buon viaggio, signore… ah, mi porti anche un po’ di pasta. Il surrogato che vendono qua in America è un attentato alla cucina.”

“Farò il possibile, Dawson”, sospiro stancamente spegnendo l’apparecchio prima di passare per il metal detector, sperando che non suoni. In teoria le armi sono state schermate per restare nascoste ai raggi X, ma la legge di Murphy è sempre in agguato dietro l’angolo, pronta a saltar fuori dal suo nascondiglio urlando buh! per mandare tutto all’aria.
In questo momento mi chiedo se ci sia una cosa qualsiasi che potrebbe andare per il verso giusto, francamente. Il mondo mi è crollato addosso per la seconda volta, ed vogliono farmi credere che nonostante tutto io possa andare avanti…

Stranamente tutto fila liscio, e cinque minuti più tardi siamo seduti ai nostri posti. Prima classe, non ci credo ancora.

“Ce l’abbiamo fatta”, sospira Eva, cercando di riprendersi dalla mezz’ora di corsa ininterrotta.

“Solo te potevi tirare fuori centottanta chilometri orari da una Honda Civic del 1980 ma farci arrivare comunque in ritardo…”, rispondo controvoglia.

Lei scrolla le spalle, piccata. Va particolarmente fiera delle sue doti di autista, e non accetta le mie insinuazioni.

“Non è colpa mia se quel catorcio si è fuso all’altezza della 162ma! Embry sarà tanto bravo a parlare di motori, ma alla prova dei fatti mi ha deluso. Mi aspettavo un po’ più di resistenza dalla sua auto.”

“Come minimo direi che dovremmo rimborsarlo”, aggiunge dopo qualche secondo.

“Direi che glielo dobbiamo, sì.”

L’aereo comincia a rollare sulla pista, alzandosi lentamente in volo poco dopo. Troppo lentamente.

“Ma cosa cavolo hanno da fare di così importante quelle due a Volterra?”, borbotto infastidito, cercandole con lo sguardo nei posti dietro di noi. Le intravedo una decina di file più in là: Isabella non riesce a stare ferma un attimo, mentre la sua amica sembra fare l’impossibile per calmarla.

“Non lo so e non mi interessa”, risponde Eva tirando fuori i dossier stampati in tutta fretta, per quanto glieli abbia già letti in macchina. “Piuttosto, mi piacerebbe sapere perché non c’è nulla su di loro qua in mezzo. A noi servono informazioni, e qui non ci sono.”

In risposta le indico la trentina di righe coperte da strisce nere a fondo pagina.

“Ah, giusto. Non è nel vostro livello di autorizzazione, figlioli”, sibila scimmiottando la voce del Generale e strappandomi un sorriso. “Stupidi documenti secretati…Ehi, fermo un attimo, era un sorriso quello?”

“Può darsi”, rispondo voltandomi dall’altra parte, cercando nello zaino il libro che mi sono portato da leggere. Missione o no, non riesco a togliermi dalla testa il modo in cui mi ha respinto, così come non riesco ancora a classificare quello che sento per lei. Non la sopporto per avermi rifiutato, ma non riesco ad odiarla. Non ci riuscirei mai… per adesso credo che mi accontenterò di comportarmi in maniera estremamente indisponente nei suoi confronti, anche se so benissimo che non servirà a nulla se non a sentirmi ancora peggio e a farmi fare la figura dell’idiota patentato.

“Era un sorriso, quindi!”, continua lei, ignara dei miei vaneggiamenti mentali.

“Piantala, Eva, lasciami in pace!”, sbotto sempre più irritato. Non ho voglia di parlare con lei, adesso. O sì?

Non lo so, non ci capisco più niente.

“Nervosetto, eh?”, ride, ma obbedisce e decide di ignorarmi.

Apprezzo il fatto che mi voglia ancora, anche se solo come amico. Una parte di me ne è felice e non chiede altro, ma l’altra vuole qualcosa in più… molto di più, a dirla tutta. O tutto o niente, insiste.

Nel tentativo di non pensarci troppo prendo in mano Notre Dame de Paris. Forse avrei potuto fare una scelta migliore…

L'amore è come un albero: spunta da sé, getta profondamente le radici in tutto il nostro essere, e continua a verdeggiare anche sopra un cuore in rovina, leggo in quarta di copertina.
Avrei potuto fare una scelta decisamente migliore… pazienza. Sospiro nuovamente, immergendomi nella lettura e cercando di confondere le mie preoccupazioni con quelle di Frollo.

Trecentoquarantott'anni, sei mesi e diciannove giorni or sono i parigini si svegliarono allo squillo di tutte le campane, che suonavano a distesa nella triplice cerchia della Città Vecchia, dell'Università e della Città. Eppure, il 6 gennaio 1482 non è affatto un giorno di cui la storia abbia serbato il minimo ricordo. Nulla di notevole nell'avvenimento che metteva così in moto, fin dall'alba, campane ed abitanti…
 

- - -

 
“Che accidenti succede?”

Afferro al volo il libro che mi è sfuggito di mano quando l’aereo ha cominciato a sussultare, aggiungendo la mia domanda al brusio confuso degli altri passeggeri.

“Cosa è stato?”

“C’è qualche problema?”

“Was ist los?”

“Hostess! Cosa…”

“Signore e signori, è il capitano che vi parla. Vi preghiamo di rimanere seduti ai vostri posti e di allacciare le cinture di sicurezza. Si è verificato un guasto meccanico di lieve entità che…”

“Controlla”, ordino secco ad Eva, uscendo dalla mia bolla di indifferenza nei confronti del mondo. Lei lancia rapide occhiate intorno a sé e, dopo che si è accertata di non essere osservata, estrae un datapad su cui comincia a digitare furiosamente.

“…non pregiudica in alcun modo la sicurezza del volo. Per ragioni tecniche, tuttavia, il velivolo effettuerà una sosta straordinaria all’aeroporto JFK di New York. Ci scusiamo per il disagio arrecato, e speriamo che…”

Merda.

Non sono l’unico a pensarla così, tuttavia, viste le urla furibonde che cominciano a farsi sentire. Voltandomi a controllare la nostra coppietta, noto la Swan sbiancare più di quanto già non fosse prima di cominciare a piangere, sussurrando convulsamente... E… Edgard? No, decisamente non è una g, è più… Ah, ecco, Edward. Una volta ero più bravo a leggere il labiale.

“Da Rocky Point mi assicurano che questo volo non ha subito alcun tipo di interferenza sul piano di volo, e che è atterrato sano e salvo a Firenze alle dieci e cinquantaquattro”, mi informa Eva richiamando la mia attenzione. “Almeno in teoria.”

“Bene, imprevisti… chiedi una scansione.”

“Cinque minuti e ce l’abbiamo, stanno spostando il satellite.”

Cinque lunghi, interminabili minuti.

“Ecco, è arrivata… secondo quello che dice qui sull’aereo è tutto a posto, nessun guasto o danno. Stiamo deviando dal nostro piano di volo senza una ragione valida… Dawson ha avvisato le autorità, un F-22 della Guardia Nazionale dovrebbe accodarsi a noi a breve.”

“Ci appiccicano un caccia alle costole?”

“Il governo statunitense non vuole correre rischi… ci hanno assicurato pieno supporto, purché evitiamo di far schiantare l’aereo da qualche parte. Trenta minuti, e poi danno l’allarme agli air marshals.

Tanti saluti alla mia idea di fregarmene del mondo e prendermi una giornata di riflessione. Si torna in modalità soldato dei reparti scelti.

“Quindi non ci sparano se lo facciamo girare dalla parte giusta?”, chiedo togliendo il dito che segnava la pagina dove sono arrivato e rassegnandomi a chiudere il libro.

“Precisamente. Entriamo in cabina, liberiamo i piloti, e poi consegniamo i terroristi alle autorità italiane. Muy facil.”

“Una passeggiata, davvero. A quante persone dovremo modificare la memoria?”

“Solo ai due piloti, che domande. Vediamo di muoverci, adesso… ci serve un piano.”

“Potremmo… allora… stiamo andando in bagno, sì…”

La sua espressione scettica dimostra che non è esattamente convinta della mia idea.

“…e tu sei incinta”, continuo imperterrito.

Mi fissa allibita.

“Io sono cosa?”

“Incinta”, ripeto, convinto. “Le hostess si sentiranno più… come dire… disponibili se fingi di essere una giovane donna in gravidanza che soffre qualche malore… e così giustifichiamo anche la nostra prolungata assenza dai posti con il fatto che siamo chiusi in bagno mentre te sei in preda a non so che crisi pre-parto. Muy facil, no?”

“In pratica rischio di ritrovarmi metà equipaggio addosso che mi sommerge di attenzioni. Seriamente, a volte mi chiedo da dove le vai a pescare certe trovate.”

“In quel caso tu li tieni occupati ed io avrò campo libero. Poi piazziamo una trasmittente e chiediamo a Dawson di trasmettere un po’ di suoni schifidi, tanto per tenerli distratti mentre sgusciamo in cabina. A proposito, hai preso gli occultatori, vero?”

“Certo che sì. Solo che preferirei evitare di giocare alla Donna Invisibile. Non mi va di vibrare per chissà quanto tempo.”

“Muoviamoci, và, prima che mi convinca di quanto sia idiota tutto questo.”
 

. . .

 
“Facciamo irruzione urlando ‘agenti federali’, come negli olofilm?”, chiede Eva di fronte alla porta blindata della cabina di pilotaggio.

“Cerchiamo di fare i seri, Cortéz”, replico facendo passare rapidamente un bioscanner davanti alla porta. “Quattro tracciati biologici. Umani…”

“Niente Vanir! Meglio così, un problema in meno.”

“…di cui due sono fuori fase.”

Tradotto, ci sono due cadaveri.

E’ questione di attimi prima di trovarci entrambi con una pistola in mano. Talvolta i nostri riflessi ci fanno muovere prima ancora che possiamo rendercene conto.

“Granata stordente, tre secondi”, mi avvisa prendendo dalla borsetta una sfera di metallo grande all’incirca come una pallina da tennis.

“Sì, può andare. Ora, vediamo un po’ cosa abbiamo qui…”, mormoro chinandomi a studiare la serratura, per poi trafficare qualche secondo con un passepartout magnetico.

“Trenta secondi per aprirla. Allucinante. Ricordami di cambiargli le batterie”, borbotto schifato infilandolo al suo posto nella cintura multiuso.

“Ne prendo nota, signore”, commenta lei, socchiudendo lentamente la porta. Lascia scivolare la granata sul pavimento e richiude frettolosamente. Poco dopo una forte scarica elettrica seguita da due tonfi sordi ci informa che possiamo entrare.

“Libero”, sussurro sgusciando nella cabina.

“Merda”, aggiungo quando vedo i due piloti a terra con la gola tagliata. I due dirottatori sono sul pavimento pure loro, ed Eva si precipita subito ad ammanettarli. La prudenza non è mai troppa.

“Secondo te le hostess sanno pilotare quest’aggeggio in casi d’emergenza?”, mi domanda, sinceramente preoccupata, mentre mi chino a controllare inutilmente il battito dei piloti.

“Non lo so, ma se diciamo quello che è successo ad una hostess… beh, prima di tutto finiamo nei casini, e poi ci faranno atterrare comunque al Kennedy. A noi serve arrivare a Firenze.”

“Ma capiranno comunque che qualcosa non va se dalla cabina ci sarà silenzio per il resto del volo! Non avrai intenzione di…”

“Ho esattamente intenzione di, Tenente. Frizione, freno e acceleratore, no?”, chiedo indicando i due pedali. I due pedali. “Niente frizione. Si vede che è a cambio automatico.”

La sua occhiata glaciale mi trapana la schiena mentre mi siedo al posto del comandante.

“Piantala, Eva, stavo scherzando”, sbuffo infilandomi le cuffie. “Non ho mai fatto pratica su questo tipo di velivolo, ovviamente, ma abbiamo in memoria tutte le manovre necessarie. E poi andiamo, quale sarà mai la differenza fra un 747 ed un 9900? Sempre Boeing sono.”

“Fantastico. Davvero fantastico. Cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo?”

Mi hai respinto, quindi non ti azzardare a lamentarti, mia cara.

“Richiama Rocky Point, spiega la nostra situazione e guarda se ci possono aiutare in qualche modo… Ah, e fammi anche un controllo su chi sono quei due”, aggiungo indicando con un cenno del capo i due assassini mentre accendo l’interofono.

“Signore e signori, è il vicecomandante che vi parla…”, comincio nel tono più professionale che riesco a tirar fuori, “…sono lieto di informarvi che il problema tecnico di poco fa è stato risolto. Abbiamo appena ripreso la rotta per Firenze, ed il nostro arrivo è previsto per le undici meno dieci, ora locale. Mi scuso a nome dell’equipaggio per il contrattempo e per i disagi che può avervi arrecato, e vi auguro un buon proseguimento di volo. Grazie dell’attenzione.”

Un problema in meno, spero.

“Abbiamo il capotecnico in linea…”

L’oloproiettore da polso non è mai stato un granché in quanto a risoluzione, ma in questo caso va benissimo. Beh, accidenti, in questo momento mi andrebbe bene anche se dovessi ascoltare istruzioni dettate in morse.

“E così ci risentiamo di già, eh, Comandante?”, gracchia la tremolante sagoma azzurrina, allegra come sempre.

“Con tutto il rispetto, Dawson, ne avrei fatto volentieri a meno…”, brontolo cercando di orientarmi nell’oceano di comandi che ho di fronte. Dimenticavo che quattro secoli fa il volo atmosferico era un po’ più complicato di quello di adesso. “Non è che per caso ha a portata di mano il manuale del piccolo dirottatore?”

“Cosa-sta-succedendo-lassù?”, chiede dopo una lunga ed eloquente pausa di silenzio.

“Abbiamo fatto quello che ci ha chiesto, solo che i piloti hanno la gola tagliata e non ci possono aiutare. Perciò gradiremmo una mano per portare a terra questo bestione.”

Altra pausa di silenzio.

“Mi sta dicendo che voi due siete nella cabina di pilotaggio di un aereo con a bordo quasi seicento persone, e non siete capaci di farlo atterrare?”

“Non facciamo i tragici, adesso… se mi supporta nelle manovre sono certo che tutto si concluderà nel migliore dei modi.”

“Bene”, geme, “Benissimo. La Novikova mi ha detto che avrei dovuto girarvi i satelliti, non aiutarvi a portare a spasso aerei di linea!”

“Dawson, si calmi e cominci a spiegare all’aviazione che possono anche far atterrare il caccia che ci hanno appiccicato addosso. Poi… suggerimenti sulla prima mossa da fare per non far cadere questo coso?”

“Non c’è un autopilota sui voli di linea?”

“Dovrebbe… un attimo che lo cerco.”

Scorro rapidamente tasti, leve e schermi prima di trovarlo.

“Eccolo. Non ha alcuna destinazione selezionata, al momento.”

“Bene, la imposti su Firenze mentre io faccio quattro chiacchiere con i controllori del JFK.”

“Fatto… adesso?”

“Adesso cominci a pensare ad una balla da raccontare all’equipaggio, perché ne avete uno stramaledetto bisogno.”

“Tutto qui?”

“Le sembra una cosa da poco?”

“Intendo dire per quanto riguarda le manovre di volo.”

“Non si chiama pilota automatico per niente. In teoria dovrebbe anche essere in grado di farvi atterrare.”

“In teoria? Quindi…”

“Quindi in pratica si disinserisce automaticamente a cento piedi dal suolo. Vi conviene imparare alla svelta, signori, se volete tornare tutti interi a casa.”
 

. . .

 
“Dawson, se riesco a far atterrare questo ammasso di ferraglia giuro che la sua pizza gliela faccio ingoiare con cartone e tutto!”

“Preferirei di no, Comandante, il cartone è terribilmente indigesto.”

“Dawson, porca miseria…”

“Ho capito, ho capito, basta così. Torniamo a noi… abbiamo un nome per i vostri due nuovi amici. Si tratta di Luis Janicki e Ray Rodriguez, rispettivamente trentotto e quarantuno anni, entrambi con precedenti per crimini minori… piccoli furti ed una rapina a mano armata, nulla che possa far pensare al perché abbiano deciso di far saltare il vostro volo. Residenti a…”

“Qualcuno li sta usando”, commento con semplicità.

“Complimenti, Comandante, un’intuizione degna del grande Poirot! Mi chiedo come faremmo senza di lei!”

“Dawson…”, ringhio.

“Sì sì, certo, la pizza ed il cartone. Dicevo… li avete stesi, quindi saranno a nanna per altre dodici ore, immagino. Non credo di poter richiedere al governo italiano un posto discreto in cui fare un interrogatorio con le nostre… chiamiamole procedure invasive. Non abbiamo agganci a livelli così alti nell’amministrazione Berlusconi, quindi la scelta più logica è procedere con una richiesta di estradizione e poi farli spostare qua a Rocky Point.”

“Ma ci vorranno secoli!”, obietta Eva.

“Gli Stati Uniti hanno garantito la completa collaborazione. Provvederanno loro a… ah… velocizzare le cose.”

“Bah. Per me è un’idiozia.”, insiste lei.

“Siamo in una società civile, Tenente! Beh, per quanto possa esserlo il ventunesimo secolo… fatto sta che non si trascinano due persone in un motel per fare domande, non senza attirare sospetti.”

“Potremmo sempre provarci.”

“Non diciamo idiozie!”

“Capotecnico, le assicuro che…”

“Bambiiiini! Fate i bravi!”, li richiamo, scocciato. “Piuttosto, cercate di trovare un modo per farci scendere dall’aereo… possibilmente senza trovarci i Marines con i mitra spianati all’aeroporto.”

“In Italia hanno i marines?”, chiede interessata Eva.

“Ma ti sembra una domanda da fare in questo momento?”

“Chiedevo soltanto!”

“Bambiiiini!”, ridacchia l’ologramma, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia. “Sìsì, faccio il serio. Dunque, vediamo… per giustificarvi a Firenze potreste spacciarvi per agenti speciali che…”

“Agenti speciali? Dawson, accidenti, dimostriamo vent’anni al massimo!”

“Sono un tecnico, non un falsario. Se avete idee migliori sarò lieto di sentirle”, sbuffa infastidito.

“Oltretutto servono idee che non ritardino le operazioni di sbarco… Cullen e Swan a quanto pare hanno i minuti contati”, interviene Eva.

“Vorrei tanto sapere cos’hanno da fare a Volterra.”

“Ci pensiamo dopo, ok? La domanda resta… come scendiamo?”

Il silenzio riempire l’abitacolo.

“Oh, accidenti! Ci sarà pure un modo!”

“Ci porti su, Scotty…”, sussurra Eva.

“Eh?”

“Nulla. Fantascienza del ventesimo secolo.”

“Apprezzo la citazione, signorina Cortéz, ma disgraziatamente il teletrasporto è magia, non scienza. Vediamo… che ne direste di provare con gli occultatori?”

“Li abbiamo lasciati nello zaino. Una porta, trenta metri e quattro posti più avanti”, spiega Eva.

“Bene, Tenente, li vada a prendere.”

“E come giustifico il fatto che sono scomparsa per… diciamo… tre ore?”

“Oh, siete rimasti in bagno, no? Tutte quelle storielle su ciò che succede nei bagni ad alta quota…”

Dawson!”, urliamo insieme.

“Cercavo di dare suggerimenti…”

“Lei è un pervertito”, sbuffo irritato, concentrandomi su un indicatore a caso del quadro comandi. So di essere più rosso della bandiera di Altair in questo momento, e sto facendo il possibile per far finta di niente.

“Può darsi, ma sono un pervertito che vi deve fare atterrare sani e salvi… Perciò, signori, datevi da fare. Prendete gli occultatori, vi occultate, sgattaiolate fuori da aereo ed aeroporto, mantenete un basso profilo. Tutti felici e contenti, e poi tornate a casa con il prossimo volo. Un lavoretto pulito.”

“A parte i due cadaveri che abbiamo qui.”

“Beh, mettete i dirottatori sui sedili… così potrebbe sembrare che abbiano portato loro a terra l’aereo. No?”

“Sì, e magari è grazie a Babbo Natale se quei due non l’hanno fatto cadere su Firenze. Insomma, siamo seri!”

“Non è stagione per Babbo Natale. E’ in ferie in Austr…”

“Dawson, io la picchio. Giuro che prima o poi la picchio.”
 

. . .

 
La pesante porta blindata si apre e si richiude rapidamente.

“Presi?”, chiedo quando la testa di Eva riappare dal nulla in mezzo alla cabina, seguita dal resto del corpo.

“Lasciamo perdere”, si lamenta strofinandosi le mani sulle braccia, come a scacciare un fastidioso prurito. “Una hostess era seriamente intenzionata a farmi due domande, ed ho dovuto occultarmi dietro la tenda fra la prima e la seconda classe. Ah, l’equipaggio comincia a sospettare che ci sia qualcosa che non va. Pronostico altre due ore di calma, al massimo, prima che qualcuno venga a bussare”, sbuffa mentre mi lancia il mio zaino. “Dawson?”, domanda notando l’oloproiettore spento.

“In videochiamata con le autorità statunitensi competenti, per la faccenda dell’estradizione.”

“Ah.”

Si siede sospirando sulla poltrona del copilota, abbandonandosi sullo schienale, mentre io resto zitto e concentrato sui comandi.

“Avanti, sputa il rospo”, intima poco dopo.

“…prego?”

“Ho detto sputa il rospo. Non è da te stare zitto per tutto questo tempo. Hai intenzione di tenermi il muso ancora per molto?”

Resto interdetto un momento.

“Ma ti sembra il momento per tirare fuori un discorso del genere?”

“Adesso, dopo, che differenza fa? Prima chiariamo e meglio è”, afferma decisa.

“Chiariamo? Non mi pare ci sia molto da chiarire”, replico secco. Non che questo la fermi.

“Oh, sì che ce n’è. Non ho nessuna intenzione di lavorare con un depresso cronico, sappilo!”

“Ti dispiace se prima facciamo atterrare ‘sto coso, e parliamo dopo dei nostri problemi di coppia?”

“Sì, e molto anche. Se vuoi che me ne vada, non hai che da chiederlo.”

Eh?

“Ma cosa stai dicendo?”

“E’ da… da quando ti ho detto no che sembri essere tornato indietro di sei mesi! Hai intenzione di blindarti così ad ogni delusione che ricevi?”

“Scusa tanto se ci sono rimasto male!”

“Un conto è rimanerci male, un altro è autodistruggersi!”

“Non mi sto… Beh, ok, forse un poco, ma…”

“Niente ma! Dimmelo chiaro e tondo se preferiresti continuare senza di me!”

Ma perché?

“Io non ho mai detto nulla di simile!”

“E’ proprio questo il punto! Tu non dici… non posso essere sempre io quella che deve interpretare i tuoi silenzi!”

“Nessuno ti ha mai chiesto di farlo”, ribatto acido.

“Già, comincio a chiedermi persino io cosa me lo faccia fare. Forse avrei fatto meglio a lasciarti piangere addosso ancora un po’, se questa è tutta la maturità che sai dimostrare…”

Fa male.

Fa male perché ha ragione, ma non è certo mia intenzione dargliela vinta.

“Forse avresti fatto meglio a startene zitta, in questo momento…”, sibilo ignorando il malessere che sento dentro.

“A tua differenza, io non passo sopra ai problemi come se nulla fosse. Tira fuori le palle ogni tanto, cazzo, e dì le cose come stanno!”, urla lei.

“Non c’è che dire, hai centrato il punto. Forse avrei dovuto pensarci prima… ma è evidente che in questo momento tu sia troppo occupata a fantasticare di quel tredicenne per riuscire a formulare un pensiero logico coerente… Lo sai che si chiama pedofilia, vero?”

Come se fosse colpa di Seth se lei mi ha detto no. Non mi importa, è più facile pensarla così.
Non so nemmeno io da dove tiro fuori tutta questa cattiveria, né tantomeno perché la riversi tutta su di lei. Lei che non mi sarei mai immaginato di poter anche solo pensare di ferire. Lei che mi sta fissando allibita, tremante di rabbia.

 “Come…”, deglutisce rumorosamente, “come osi anche solo…”

Cerca di tirarmi uno schiaffo, ma le blocco la mano a distanza di sicurezza dalla mia faccia.

“La verità fa male, eh?”, rimarco, sadico.

“Mollami”, ringhia lei.

Eseguo.

“Non ti azzardare… non ci… oh, non provare nemmeno a parlare, schifoso…”

“Lo schifoso vedrà di starsene zitto, allora”, la anticipo.

“Bene”, borbotta lei, affondando il più possibile nel sedile, voltando la testa dall’altra parte.

“Bene”, ripeto io, concentrandomi sui comandi, ignorando la sensazione di vuoto che torna a farsi sentire dentro di me.

. . .

 
“Torre di controllo ad American 5368, avete l’autorizzazione per l’atterraggio.”

Bene, si comincia. Punto uno, ridurre la velocità… i motori vanno su ‘idle’…
Traffico con i comandi, e sento l’aereo rallentare con qualche scossone. Molto bene.

“Siamo a trecentocinquanta nodi”, mi informa seccamente Eva, evitando accuratamente di guardarmi.

Sposto la cloche verso il basso con una lentezza angosciante, mentre attendo che la strumentazione mi confermi che ora abbiamo un’inclinazione negativa di tre gradi. Inserisco nuovamente l’autopilota, per assicurarmi che l’aereo continui a scendere a 2000 piedi al minuto.

“Sotto i diecimila piedi la velocità deve essere inferiore ai duecentocinquanta nodi”, ci informa petulante l’ologramma di Dawson. Sì, di questo passo dovremmo farcela.

Ha annusato l’aria al vetriolo che si respira nella carlinga, ed è tornato in quattro e quattr’otto alla modalità serio professionista ligio al dovere senza chiedere nulla. Altro che una pizza, dovrei regalargli un forno intero.

Cinquemila piedi, centottanta nodi. Tutto è come dovrebbe essere.

Centosessanta nodi. Eva abbassa il carrello, mentre io spengo il pilota automatico per completare la sequenza di avvicinamento.

“Flap inclinati di venti gradi. Com’è l’assetto?”, ordina il capotecnico. Mi sembra di essere tornato al mio primo giorno di volo all’Accademia.

“Negativo tre gradi, flap giù di venti”, ripeto, obbediente. Adesso viene il peggio.

Cento piedi. Riduco il motore al minimo, attendendo il contatto con il suolo.

Bump. Il primo di una lunga serie.

Non è esattamente la mia idea di atterraggio delicato e morbido, ma può andare. In ogni caso, un bump con scossoni indesiderati è sempre meglio di un crash con esplosioni allegate.

“Inversori di spinta e motori a tre quarti… velocità ad ottanta nodi… via gli inversori, giù con il freno delle ruote, Comandante. Adesso potete anche respirare, siete a terra.”

“Dawson… le devo la vita, credo.”

“Figuriamoci, per così poco… veda di non dimenticarsi della pasta, allora, mi raccomando!”

Seguo le indicazioni della torre di controllo e parcheggio in qualche modo il velivolo dove deve essere parcheggiato. In perfetto orario, noto soddisfatto mentre i passeggeri cominciano a scendere.

“Direi che è arrivato il momento di tagliare la corda, signori… buona fortuna”, mormora l’ologramma.

“Ne avremo bisogno, capotecnico. A fra poco.”

Spero, aggiungo mentalmente spegnendo l’oloproiettore ed indossando il necessario per l’occultamento.

“Pronta?”, chiedo atono ad Eva, impegnata a sistemare i falliti dirottatori sui sedili. Non so chi potrebbe mai credere che quei due hanno riportato a terra l’aereo che volevano dirottare, ma è sempre meglio che dover stare a giustificare la nostra presenza.

“Sì”, risponde.

“Hai cancellato le impronte e…”

“Non sono una novellina, se te ne sei dimenticato. So come funzionano queste cose.”

Annuisco. Tre ore di silenzio mi hanno ucciso, e mi hanno fatto capire che forse ho reagito un po’ troppo duramente. Non ero io il primo a dire che mi sto comportando da idiota? Però anche lei, caspita, poteva andarci giù un po’ più leggera! Non voglio dover continuare a litigare, ma se le chiedessi scusa adesso lei la prenderebbe come una sua vittoria. Vorrei che anche lei capisse che ha sbagliato. Poi beh, vorrei anche che mi baciasse, ma immagino sia domandare troppo.

Però… ad andare avanti così non ci riesco. E' come se mi mancasse l'aria. Quindi alla fine borbotto un qualcosa che suppergiù suona come skufrgnp.

“Hai detto qualcosa?”

Il suo tono non è più odioso come prima. E’ tornato quello della Eva di sempre.

“Skufrgnp”, ripeto, impegnando tutta la mia attenzione sui controlli del sistema di occultamento.

“Dispiace anche a me”, risponde con un filo di voce, dopo un po’. “Non volevo dirti quelle cose. Cioè, sì, credo che tu debba prendere le cose un po’ più alla leggera, ma non intendevo essere così cattiva.”

Oh.
Credo che adesso tocchi a me ammettere di aver sbagliato.

“Io… ritiro quello che ho detto su Seth. Vorrei non averlo mai pensato”, confesso.

“Sarà infantile ma… pace?”

“Sì, pace.”

Convinco le mie labbra a stiracchiarsi in una passabile imitazione di un sorriso, mentre i miei sentimenti si mettono a ballare la samba. Hai fatto pace, hai fatto pace, continuano a ripetermi come dei bimbetti felici.

Come ho fatto a litigare con lei? Come ho potuto ferirla?
Non ci credo. Mi sto arrabbiando con me stesso per essermi arrabbiato con lei.
Forse dovrei cominciare a preoccuparmi.

- - -

 
“Beh, su, ce l’abbiamo fatta!”, gongola entusiasta Eva al mio fianco, forse con troppo entusiasmo per apparire completamente sincera, fermandosi ad osservare interessata i manichini nel negozio di Prada. Sì, siamo sgusciati fuori dall’aereoporto prima che venisse dato l’allarme, e cosa abbiamo ottenuto? Un’intera giornata di shopping in attesa del prossimo volo. Forse sarebbe stato meno stancante cercare di rispondere alle domande della polizia.

“Ti prego, piantala”, replico secco, riprendendo a camminare. Quando mi accorgo che lei non ha intenzione di schiodarsi da lì senza aver analizzato fino all’ultimo angolo dei capi in esposizione torno indietro sbuffando.

“Ok pace e tutto, ma questo non significa che adesso faccio tutto quello che mi dici!” insisto mentre resta indecisa di fronte al prezzo di un cappellino. “Ed è inutile che continui a guardarlo, con la pioggia che c’è a Forks non lo useresti mai.”

“Sì, ma è bello.”

“Hai intenzione di partecipare ai party notturni di La Push? Immagino che con quel coso addosso faresti schiattare di invidia tutte le altre ragazze della riserva…”

“Non ho bisogno di quel cappello per essere bellissima”, mi risponde con aria civettuola, chiudendo gli occhi ed alzando il naso in aria mentre scuote la testa. No, hai ragione, non ne hai bisogno, litigata o meno… Sei perfetta così, con quegli occhi in cui mi perdo tutte le volte che ti guardo, quelle labbra che volentieri…

“Ehi, sto parlando con te!”, mi riprende ridendo, agitando la mano davanti alla mia faccia.

“Non stavo seguendo”, biascico imbarazzato. Beccato, di nuovo.

“Dicevo che dovresti approfittarne, visto che siamo in Italia.”

“E’… un avvenimento così eclatante?”, chiedo confuso.

“Ma mi prendi in giro? E’ la boutique della moda mondiale! Beh, sì, c’è anche Parigi, ma…”

Ho le idee sempre più ingarbugliate.

“Dalle mie conoscenze socioculturali, la passerella della moda era Milano.”

“Oh, dettagli! Tutto il mondo è paese, dovresti saperlo…”, sbuffa impaziente, spostandosi due negozi più in là. Gucci, stavolta.

“Eva, dobbiamo passare tutta la via così?”

Soffoco un gemito al pensiero che non siamo nemmeno a metà. Ci sono ancora molti, molti negozi. Troppi.
Lei borbotta qualcosa terribilmente simile a maschi!, senza staccare gli occhi dalla vetrina.

“Potresti comprare qualcosa anche tu…”, aggiunge.

“Ah no, non ci provare.”

Si volta a guardarmi, sorridendo.

“Se curassi un po’ di più il tuo modo di vestire staresti molto meglio, secondo me.”

In un nanosecondo tutte le mie obiezioni vanno a farsi benedire.

Fregato.
 

- - -

 
Casa, dolce casa. La Push ci ha nuovamente accolto fra le sue fredde braccia, riservandoci un nubifragio extra per farci capire quanto sia felice di riaverci nel conteggio abitanti. Ne avrei fatto volentieri a meno, francamente, anche se vicino ad un caminetto scoppiettante porsi problemi per via del tempo sembra un’assurdità.

E’ più rilevante cercare di capire come accidenti ha fatto Eva a farmi tornare carico di borse e pacchetti. In genere non cedo a queste cose… mi sto rammollendo troppo, ed è inutile che cerchi di giustificarmi con un l’ho fatto per non litigare ancora. Ho accatastato tutti quei vestiti che non indosserò mai nell’armadio in camera. Beh, potrei sempre riciclarli come regali. Per chi, non ne ho idea.

“Un Range Rover?”, le chiedo dalla poltrona in cui sono accoccolato, con la rivista di automobili aperta davanti a me. Dobbiamo ancora decidere se dire o no ad Embry che gli abbiamo prima rubato e poi fuso l’auto, prima di presentarci a casa sua con un fuoristrada nuovo di zecca.

“Non è un po’ troppo eccessivo?”, mi urla lei di rimando dal bagno, dove si sta lavando. “Va bene chiedere scusa per bene, ma non esagerare. Che ne dici di una Touareg?”

E che diavolo è?, mi chiedo mentre scartabello rapido le pagine. A me Tuareg fa venire in mente solo dromedari, veli blu e tè alla menta.

“Una Volkswagen!”, mi aiuta mentre la sento chiudere l’acqua ed uscire dalla doccia.

Ah, eccola. Costa meno della metà di un Range Rover… sicuramente un punto a favore, perlomeno per quanto riguarda la nota spese. Per il resto… boh, a me sembrano tutte uguali.

“Fidati, andrà bene”, dice entrando in salotto, frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano. Perlomeno non è in accappatoio, il che mi evita di dover scacciare certi pensieri non esattamente casti che…

No, merda, ci sto pensando di nuovo!

Prendo un profondo respiro, liberando la mente mentre lei continua a cianciare di motori e servosterzo e trazione integrale e non so che altro. E’ normale che dopo averci litigato mi fermi a guardarla anche più di prima?

“Va bene, va bene, mi hai convinto. Touareg sia”, mi arrendo, più per interrompere il suo monologo tecnico che per altro. Oh, sì, starei ad ascoltarla per ore, ma magari mentre parla di argomenti un po’ più comprensibili.

O piacevoli.

Oppure…

“Comincio a chiedermi se riuscirò mai a sostenere una discussione con te senza uscirne vincitrice”, commenta soddisfatta, per poi guardarmi preoccupata quando si rende conto che ha appena violato la tacita regola non parliamone più. Fingo di non aver colto l’involontaria allusione.

“Non era una discussione!”, protesto con forse troppa foga, “Piuttosto uno… scambio di opinioni, ecco. E considerando come io sia digiuno dell’argomento, il risultato è piuttosto scontato.”
Ottima scusa, davvero.

“Sì, d’accordo…”, ridacchia, in parte per la mia risposta ed in parte per l’imbarazzo della gaffe. “Allora, quali erano i tuoi piani per il pomeriggio?”

“Non vorrai uscire di casa!”

Si sta così bene al chiuso… io, te… potremmo parlare… potresti ripensare alla tua decisione… potremmo fare pace in maniera più seria… potremmo essere felici…
Sì, certo, poi magari potrei anche vincere alla lotteria e ritirarmi in pensione anticipata a Los Angeles. Avanti, sforziamoci di essere realisti.

“Allora?”

“Allora cosa?”

Come al solito mi sono perso un pezzo di discorso.

“Ti ho chiesto cosa preferiresti guardare”, spiega pazientemente agitandomi davanti al naso il porta DVD.

Faccio spallucce.

“Per me…”

“Azzardati a dirmi per me è lo stesso, scegli te e stasera dormi fuori, sappilo”, ringhia esasperata dal mio comportamento accomodante.

Ahia.

“…per me è meglio Dies Irae”, mi correggo all’ultimo, salvandomi in corner.

“Già meglio. Ci diamo ai film apocalittici?”

Ci diamo all’unico film senza sottotrame amorose rilevanti, è diverso.

“Due risate non hanno mai ucciso nessuno, ed io non l’ho ancora visto. Non mi andava molto ridere, quando è uscito due mesi fa.”

Mentre adesso ne ho un disperato bisogno, temo.

“Capisco”, risponde con finta noncuranza, infilando il DVD nel lettore. Gentile da parte della sezione tecnica averci convertito in 2D un paio di olofilm appena usciti.

“Adesso invece ti va? Di ridere, intendo.”

“Sicuramente meglio che piangere.”

Piangere non è servito granché, a parte farmi sentire un perfetto deficiente con capacità mentali paragonabili a quelle di un paracarro e a farmi litigare con lei.

- Il monastero del Sacro Ordine delle Sorelle della Divina Provvidenza sorgeva in una posizione relativamente isolata lungo il corso del Bull Run, ad una ventina di chilometri dalla periferia di Portland, e di questo Suor Cecilia era maledettamente contenta, comincia la voce del narratore esterno dopo i titoli di testa e l’inquietante colonna sonora. Sullo schermo una sgangherata auto si sta arrampicando lungo una serie infinita di tornanti, puntando verso un piccolo convento visibile in lontananza. Spero che sette suore decise a fronteggiare la fine del mondo riescano a distrarmi per un paio d’ore…
 

. . .

 
“E’ pronto!”, urla Eva dalla cucina. Poco dopo sento l’inconfondibile rumore della pasta che viene scolata. Grazie al cielo la premiata ditta Cullen&Swan ha scelto l’Italia e non l’Inghilterra come meta per la loro scappatella. La nostra dispensa si rallegra per la loro decisione, e noi con lei.

“Ho sentito il nostro caro amico Dawson mentre ti lavavi”, mi informa mettendo in tavola due porzioni enormi di pasta al pesto, “sai cos’hanno fatto di bello le nostre due amiche?”

“Cosa?”, domando distrattamente, fissando con desiderio il piatto di spaghetti mentre mi siedo e comincio un delicato dibattito interiore sulla necessità o meno di aggiungere il parmigiano.

“Hanno rubato una Porsche, di un discreto giallo acceso, tra parentesi, e sono schizzate a Volterra neanche avessero visto gli Illuminati.”

“Sei gelosa perché la piccoletta è andata più forte di te in strada?”, domando innocentemente.

“Eh? Certo che no! E poi non vale, io non ho una macchina da corsa!”

“Sì, certo, certo…”, mormoro soddisfatto. Un punto per me.

“Oh, ti odio”, sbuffa.

“Lo sai che non è vero”, sorrido smagliante, per quanto avverta che ci stiamo nuovamente dirigendo su un terreno minato.

I colpi alla porta mi aiutano a cavarmi d’impiccio. Quando vado ad aprire mi ritrovo davanti metà dei ragazzi della riserva, seminudi sotto il diluvio, con fare piuttosto minaccioso.

“Sì?”, chiedo, sorpreso e vagamente scocciato per la visita inaspettata.

“Dobbiamo parlare. Adesso”, annuncia laconico Sam.


***
N.d.A.: Ok, sono in megaipersuperstraritardo apocalittico. Perdono, ma ho avuto un fantastico parziale venerdì 17, che a momenti saltavo causa neve (quando si dice la sfiga...), e 'sto dannatissimo capitolo non ne voleva sapere di scriversi. Anche stavolta è venuto fuori completamente diverso da come l'avevo pensato all'inizio (mi sono convinto che per le sparatorie a diecimila piedi esistono i film tipo Air Force One), ma vabè. Sono felicerrimo di sbatterlo via e poter finalmente pensare ad altro. Per farmi perdonare, comunque, pubblicherò a brevissimo anche l'intermezzo tre, che tanto è praticamente già scritto. Tanto per fare il bbbastardo, per intenderci... ma d'altronde, chissà cosa avrà mai da dire Sam ai nostri intrepidi eroi? -.-"

Poi, tanto per chiarire, non ho la più pallida idea di come far atterrare un 747. Ringrazio i fanatici di Microsoft Flight Simulator per aver condiviso in rete una lista dettagliatissima sui comandi da usare.
E sognatevi di poter passare così tranquillamente il metal detector, specialmente se siete di fretta. Lo dico per esperienza personale.

Bene. Arrivato a questo punto, non mi resta che dirvi a presto, mie affezionate lettrici!
(se c'è anche qualche lettore, che faccia un colpo)
   
 
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