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Autore: fri rapace    23/12/2010    8 recensioni
Dopo la morte di Silente, Tonks cerca di aiutare Remus a superare quello che ha passato tra i suoi simili, e lo fa, come sempre, a modo suo.
Il mio punto di vista su un Missing Moment molto sfruttato: cosa è successo tra Remus e Tonks dopo il litigio nell’infermeria di Hogwarts.
Storia partecipante al contest: "Re o regina di Yule" indetto da Circe e Cedric Diggory Tassorosso, vincitrice del premio "Miglior personaggio" (Ninfadora Tonks) e Miglior introspezione.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Nella bottiglia Tonks non l’aveva rincorso, quando si era staccato dal capezzale di Bill per imboccare svelto l’uscita. Forse era stato proprio il suo cambiamento d’atteggiamento a scombussolare tanto Remus da fermare la sua fuga da lei.
Impossibile scappare da qualcuno che non ti insegue.
“Aspettavi me?” gli chiese torva mezz’ora dopo, trovandolo fermo nel corridoio fuori dalla stanza.
“Nella mia vita ho aspettato nell’infermeria di Hogwarts poche persone… i miei migliori amici. Silente. Sono tutti morti, tranne il traditore,” la sua voce si fece bassa, profonda. “Un traditore, come Piton.”
Tonks cercò il suo sguardo tra i capelli calati sulla fronte. “Vorresti ucciderlo?”
“Sì,” le rispose aspramente, scoprendo gli occhi fissi nel vuoto.
Il suo sguardo era feroce.
“Sono un lupo mannaro.”
Tonks controllò le sue labbra, non le aveva mosse. Il pensiero si era formato spontaneamente nella sua testa: era la prima volta da che lo conosceva che pensava a lui in quei termini, ma la cosa non la turbò minimamente. Lei non fingeva di non avere pregiudizi, era sincera fin nel fondo dell’anima.
Il suo pensiero era arrivato chiarissimo a Remus che, trionfante, sembrava pensare di essere appena riuscito a dimostrarle quanto fosse spregevole come persona. Quanto poco fosse, una persona.
Ma Tonks comprendeva perfettamente il suo desiderio di vendetta, anche lei aveva un conto in sospeso con la sua cara zietta Bellatrix, che intendeva saldare alla prima occasione.
“È vero, tu uccidi,” lo sfidò. “E ci riesci anche molto bene. Guarda me.”
Remus trattenne il respiro con tanta forza da far rumore. “Io… io…” arrancò, dopo aver indugiato come sotto Imperius sul suo viso emaciato e smorto, sui suoi capelli incolori, per poi chiudere gli occhi. Nell’infermeria si era rifiutato di guardarla.
Tonks aveva faticato a riconoscersi allo specchio, le poche volte in quell’ultimo anno che si era presa la briga di buttare un’occhiata alla sua immagine riflessa. Remus aveva assunto la stessa espressione spaesata che le aveva rimandato lo specchio in quelle rare occasioni, con lo stesso interrogativo muto fermo tra le labbra: era davvero lei?
“Io… ti ho guardata. Ti guardo con gli stessi occhi che hanno esaminato Bill prima che il proprietario iniziasse a sbranarlo!”
Tonks non combatté contro l’impulso di colpirlo. Con una sberla lo centrò dritto sulla sua zucca vuota, per poi d’istinto abbracciarlo e mollarlo in un unico gesto.
“Ho discusso con Silente, quando ho saputo che ti avrebbe mandato tra i mannari,” gli sibilò contro. “Ero molto, molto arrabbiata e l’ho avvertito che io, almeno io, non ti avrei permesso di perderti. Silente è morto, ma il giuramento è ancora valido.”
Perché lei lo amava così tanto da vedere quello che, come tutti i membri dell’Ordine, aveva sempre volutamente ignorato: Silente lo stava usando.
Era incredibile come un amore più grande da difendere, fosse in grado di schiarire la mente rivelando verità sconcertanti sugli altri affetti di una persona, fino ad allora ignorate.
Tonks, malgrado il dispiacere per la morte del preside, non poteva dimenticare l’astio che aveva provato nei suoi confronti per aver buttato Remus tra le braccia di chi gli aveva divorato l’infanzia, dritto dentro ai suoi incubi.
Perché mentire a se stessa? Non provava la necessità di mettere in piedi inutili stratagemmi per sentirsi una persona migliore.
Remus, le braccia incollate al corpo, non disse nulla.
“Tu non volevi andare tra i mannari. Non volevi, non volevi,” lo accarezzò con la voce.
Molly le aveva confidato che non era riuscito a nascondere l’amarezza per il compito che gli era stato affidato neppure ad Harry, per amore di cui in passato era riuscito a controllarsi persino con un amico che gli moriva davanti.
Remus scrollò la testa, pronto ancora una volta a demolire ogni suo tentativo di difenderlo dagli altri e da se stesso. “Usa il Legilimens su di me, vedrai come mi sono ambientato bene tra i miei pari. Forse così capirai perché non mi permetto di stare con te…” trasalì impercettibilmente. “Voglio dire… non ti permetto.”
Si passò una mano tremante sul viso, sembrava stanchissimo.
“Hai rubato per mangiare?” chiese lei, ricordando quello che le aveva raccontato sulla vita dei lupi mannari.
“Come tutti.”
“Ma tu non volevi.”
Lui non ribatté, forse non ne aveva la forza.
“Hai accettato il compito che Silente ti ha assegnato solo perché è da una vita che ti senti in debito con lui.”
Remus la sorprese prendendole una mano nella sua, quasi volesse essere accompagnato da qualche parte, per poi lasciarla repentinamente, come se essa l’avesse morso.
“Io non volevo,” ammise, gli occhi fissi nel punto dove le loro mani si erano unite. “E ho paura. Urlo, la notte, ma smetto subito…” raschiò la voce, liberando un ringhio dal fondo della gola. “Una volta sarei stato in grado di impormi il silenzio per non disturbare, ora… ora smetto perché le mie stesse urla mi spaventano,” sputò con voce dura, rabbiosa.
Remus rispondeva al dolore sempre alla stessa maniera: con collera.
Tonks si fece carico dei suoi problemi, ma non ne avvertì il peso, pensò solo di essere la donna più fortunata del mondo: per una volta, aveva parlato con il cuore in mano. E aveva scelto lei per confidarsi.
“Lascia fare a me, Remus. Io sono qui per te.”

***
Tonks sapeva che Remus aveva accettato di seguirla a casa sua solo per debolezza. La morte di Silente, dopo i mesi trascorsi tra i lupi mannari, lo avevano sfiancato.
Seduto alla tavola della cucina, teneva il capo nel palmo della mano.
“Ecco il rimedio ai tuoi incubi!” annunciò lei, sbucciando dalla paglia la pancia di un bottiglione di Vino Elfico.
Remus lo guardò appena. “Devo proprio andare, ora…” borbottò, senza però muoversi.
“Quella che sta per arrivare sarà la notte di San John,” lo trattenne lei. “Passala qui con me, non te ne pentirai.”
“Mi stai proponendo di ubriacarci per festeggiare il mio onomastico e poi…” lo sguardo gli scappò sui suoi seni e lo scollò da essi con una certa fatica.
Tonks finse di non farci caso. Lo amava, ma la propria dignità era sacra e non intendeva certo convincerlo a restare con una botta e via!
“Levatelo dalla zucca!”
“Bene,” disse lui, secco. “Perché non voglio che tu pensi che noi due potremmo…”
Tonks lo zittì sventolando una mano e riportò la sua attenzione sulla bottiglia.
“Ecco, guarda qui. Non sarà difficile, visto che ti piace tanto fissare le cose rotonde.”
L’allusione ai suoi seni era palese e Remus ubbidì senza mostrare alcun imbarazzo, solo l’aria vagamente colpevole di chi si è fatto pescare sul fatto come un sciocco.
“Sai quello che dobbiamo fare, ora?” lo incalzò.
“Di bere il Vino Elfico non se ne parla, immagino.”
“Fattene una ragione!”
“Oook,” prese tempo lui. “Quindi… cosa dovrei farci con questa bottiglia?”
A Tonks spuntò un sorrisetto divertito. “È una magia molto antica, professore, mi stupisce che tu la ignori così di brutto.”
Remus si accigliò, un po’ piccato. “Una magia che ha a che fare con le bottiglie e la notte di San John?” riassunse, cercando di concentrarsi.
“Proprio così.”
Ci pensò su, ma alla fine gli toccò arrendersi. “Non ne so nulla,” ammise, rivolgendo i palmi delle mani verso di lei.
“Oh,” lo consolò Tonks. “Non ti devi mica sentire una schifezza, comprendo la tua ignoranza.”
“Grazie, gentile da parte tua,” la guardò storta Remus.
“Infatti. Beh, comunque è un incantesimo che mi ha insegnato nonna Tonks.”
“Ossia la madre di tuo padre.”
“Ossia.”
“Ma non è una Babbana?”
Tonks spalancò la bocca, fingendosi costernata per prenderlo in giro un po’. “E con questo? Sei diventato razzista?”
“No, no, certo,” le assicurò subito lui, pur rimanendo perplesso.
Tonks si divertiva un mondo a metterlo in difficoltà, da quel che aveva potuto osservare, era una cosa che riusciva facilmente solo a lei e ne andava fiera. Sapeva che la sua linguaccia era una delle cose che l’avevano subito attratto di lei. Ricordava come solo un anno prima si divertissero un mondo quando partivano con una delle loro discussioni, lo stimolavano le donne al suo livello… perché in quanto a linguaccia anche lui non scherzava, anche se sapeva nasconderlo bene.
“Ora ti spiego, è una magia molto semplice,” picchiettò un’unghia sul vetro della bottiglia. “Devi rovesciare i tuoi incubi qui dentro.”
“È una maniera macchinosa per affogarli nell’alcol. Facciamo prima a fare il contrario, mi offri un sorso e…”
Tonks lo fulminò con lo sguardo. “Mi sei diventato anche un ubriacone, adesso? Oltre che razzista.”
“Non sono razzista!”
“Convinto tu… non prendi sul serio la mia magia perché è Babbana, ma mi rifili la balla che non hai pregiudizi, bah… Il vino lo travaso e non dentro il tuo stomaco, lupo assetato di facile sollievo dalle proprie pene,” Remus arrossì, cosa che le confermò che aveva visto giusto. Per lei era come una pergamena srotolata. “E ora, zitto e vienimi dietro, che ci bado io, a te.”

***
Stavano seguendo lo scroscio di un ruscello a ritroso verso l’ennesima sorgente.
La settima, per essere precisi: sua nonna era stata chiara, doveva mettere nella bottiglia l’acqua di sette fonti diverse, perché…
“Perché proprio sette?” le chiese Remus, con tutta l’aria di sapere già la risposta.
Decise di lasciarsi interrogare, era un gioco divertente anche per lei. “È un numero magico: sette come le vite dei gatti, le note musicali, i metalli simbolici dell’alchimia. Gli anni di sfiga se rompi uno specchio, sette i fratelli Weasley e gli anni di scuola a Hogwarts… e poi scusa, che domande mi fai? Sette sono anche i re di Roma, quindi tu dovresti saperne almeno quanto ne so io della faccenda degli specchi sfracassati!”
Lo stomaco di Tonks salutò il sorriso che stava spuntando sul viso sparuto di Remus con una capriola di gioia. Era troppo la migliore!
“È mio fratello che è salito al trono… se ben ricordi, Remus è un filo deceduto.”
“Dettagli!” lo liquidò lei, strappandogli un altro sorriso. “Eccoci qui, ultima tappa!” esclamò, accucciandosi sulla riva di uno specchio d’acqua di un blu intenso, una macchia di cielo stesa tra i tronchi come una coperta da pic-nic. “Contento?”
“Oh, sono al settimo cielo.”
Tonks non poté non scoccargli un bacio sonoro sulle labbra, quello era il suo Remus!
Non gli diede il tempo di respingerla, era troppo sveglia per permettergli di ributtarla nella depressione.
Immerse la bottiglia nel laghetto, conteneva già tre dita d’acqua e con cautela ne fece scorrere un’ultimo sorso all’interno.
La mano di Remus accompagnò la sua nell’immersione, facendo sfilare collane di bollicine tra le dita.
“Attenta!” l’avvertì. “Guarda laggiù, sotto l’ombra di quell’albero, vedi? C’è qualcosa che nuota.”
Tonks aguzzò la vista. “La vedo. Un T-shirt che si sgranchisce le maniche con qualche bracciata. Originale.”
Remus le sorrise. “È un Kelpie.”
Comprese subito l’inganno del demone acquatico Mutaforma. “Ha visto cosa indosso e mi ha copiato il look per convincermi a raggiungerlo. Evidentemente un’occhiata gli è bastata per capire che io sulla schiena di un equino col cavolo che ci salgo. Fa già abbastanza male cadere quando sono già per terra!”
“Hai detto bene, di solito i Kelpie si trasformano in cavalli. Ma con te accanto…” Remus la studiò, sembrava felice di aver ascoltato la sua spiegazione. Felice e a suo agio, cosa che non avveniva da prima del suo ingresso nel branco dei mannari. “Con te, è tutto un altro mondo.” Si soffermò sui suoi capelli tirando un lungo respiro e Tonks si allungò una ciocca davanti agli occhi.
Non fu stupita di scoprirla di quel colore rosa acceso che solo Remus poteva restituirle.
“Però hai dimenticato di dire che le intenzioni del Kelpie erano quelle di afferrarti e trascinarti sott’acqua per divorarti.”
“Carino, Remus, ma avevo tralasciato la parte truculenta di proposito,” lo apostrofò lei, dandogli una spallata.
“E quello,” proseguì lui impassibile, indicando una specie di lecca lecca gigante che si trascinava tra le felci, senza mai perdere d’occhio la sua chioma riportata agli antichi splendori. “È uno Streeler.”
Tonks annuì in direzione dell’enorme guscio a spirale della lumaca color pannocchia. “Gli allevatori le hanno liberate in giro per abbattere i costi di allevamento, al Ministero questa loro magnifica trovata aveva creato una mezza baraonda.
“È un animale africano, in effetti, e sul nostro territorio destabilizza la fauna autoctona,” concordò Remus. Era orgoglioso di scoprirla così ferrata sull’argomento, e grato per averlo assecondato nei suoi discorsi. “La particolarità di questa Creatura Magica è quella di cambiare colore ad ogni ora e il lasciare dietro di sé una scia di distruzione.”
Tonks osservò corrucciata la vegetazione bagnata dalla bava dello Streeler avvizzire fino a svanire, a una velocità tale da sembrare essere stata falciata da un uragano. “Ogni riferimento alla sottoscritta ovviamente non è affatto voluto,” lo provocò ridacchiando.
Remus sembrò mortificato. “Sto bene solo con te,” mormorò. “Sono un egoista, ti cerco ovunque.”
Con la mano che teneva ancora a mollo nel laghetto schiaffeggiò l’acqua, colpendo l’immagine riflessa del proprio viso.
Non voleva dirlo, gli era sfuggito.
“La cosa è reciproca, sai?” lo rassicurò Tonks, strattonandosi una manciata di capelli con un senso di appagante calore che le si allargava nel petto.
Non che avesse mai avuto dubbi in merito, sapeva che lui l’amava, ma ogni nuova conferma era una gioia grandissima, per lei.
“Ok, l’acqua c’è, ora mi manca solo l’uovo.”

***
Remus aveva scovato delle coloratissime uova di Fwooper, scegliendone uno particolarmente vivace. Lo stesso che ora, nella cucina di casa sua, Tonks aveva rotto, dividendo l’albume dal tuorlo psichedelico.
“Ora ho capito,” decise Remus, la cui curiosità aveva preso il sopravvento su tutto il resto. “È chiaro, vuoi fare una frittata con i miei incubi.”
Tonks, che sapeva di tenerlo in pugno, sbuffò. “Quanto sei impaziente di capire! La cosa bella della magia è ammirarla senza riuscire a spiegarsela,” lo fissò dritto negli occhi. “Aspetta qui con me, stanotte. Domattina vedrai. La nonna mi ha parlato anche del finale a sorpresa.”
“Finale a…” si bloccò, guardando di lato. Temeva di stare mostrando troppo coinvolgimento e tornò a nascondersi. “Tonks, io non posso permetterti…”
“Ma sei fissato di brutto, eh! Non ci sto provando, Remus, dormiamo e basta,” si morse le labbra. “Tu devi crederci però, se no col cavolo che funzionerà.”
“Lo so, la magia Babbana è solo superstizione.”
Lei non commentò. Remus ancora non sapeva che bastava credere, per fare avverare cose che si ritenevano impossibili. Lei credeva a loro due e lui… non ancora.
Ma Tonks era una donna paziente, e non sapeva neanche cosa significasse perdere la speranza.
Versò l’albume nella bottiglia, e lo controllò galleggiare sulla poca acqua che già conteneva, facendo segno a Remus di prendere la bacchetta.

***
“C’è un veliero, nella bottiglia!” esclamò sorpreso Remus la mattina successiva.
Era l’alba e la bottiglia, esposta per tutta la notte sotto la luce della luna, salutava dal davanzale della camera di Tonks i primi raggi del sole nascente.
“Bello, vero? Si porterà via i tuoi incubi con sé.”
Remus aveva insistito per dormire sul divano e lei, al primo brivido che l’aveva scosso nel sonno, l’aveva raggiunto accoccolandosi vicino a lui. Non l’aveva svegliato, si era limitata ad accarezzargli i capelli, le dita bloccate ad ogni viaggio da qualche nodo che era riuscita, senza chiedersi come, a sciogliere nella penombra della stanza.
Amava la sua trascuratezza, le permetteva di dimostrargli il suo affetto con gesti piccoli che ogni volta davano risultati straordinari.
Remus si era calmato subito ma lei non l’aveva lasciato: per lui c’era sempre, alle tre di notte come di fronte a una T-shirt sanguinaria.
Il veliero d’albume, trafitto dai raggi del sole, mandò morbidi bagliori perlacei prima che i suoi contorni prendessero ad arrotolarsi su se stessi come volute di fumo, che corsero fuori dal collo della bottiglia verso il giorno.
Tonks gliele indicò. “Fai ciao ciao ai tuoi incubi!”
Lui scosse la testa, osservandola attentamente. “Non ai miei incubi, Tonks, ma quello che provo per te.”
Tonks sentì il cuore precipitarle nelle pantofole a forma di calderone, non poteva credere che avesse versato quello, nella bottiglia! Ma non perse il coraggio. “Dillo, almeno dillo chiaramente, quello di cui ti stai liberando!”
Remus non ci provò neppure. “Non riesco. Ma lo so che tu lo sai.”
Era vero e malgrado tutto, scelse ugualmente di tendergli una mano, invece di forzarlo.
La sua non era mancanza di carattere, ma una bontà spontanea, un voler bene senza neppure supporre di avere diritto a un tornaconto. “Il veliero si è portato via il tuo amore per me?” gli chiese senza fiato, le labbra che tremavano.
“No.”
“E cos’altro…”
“Si è rifiutato,” la interruppe, parlando al pavimento e grattandosi la nuca, in evidente difficoltà. “Quello che provo per te… era un carico così grande, che rischiava di colare a picco ben prima di raggiungere il cielo.”
“L’amore che provi per me?”
“Sì. Che provo per te. Io… scusami. Sto bene solo con te.”
Una rapida occhiata ai suoi capelli. Rosa.
Remus aveva finalmente capito che anche lei stava bene solo assieme a lui, ma Tonks sapeva che non l’avrebbe mai ammesso, ci teneva troppo a passare per l’egoista che era convinto di essere.
“Così sei… Tu sei bellissima…” si impappinò Remus. “Argento vivo.”
“Ma l’argento non è letale per i lupi mannari?” riuscì a dire lei, perché neanche l’enorme commozione che stava sentendo era in grado di zittirla.
“Proviamo,” la invitò, allargando le braccia.
Tonks non se lo fece ripetere, gli saltò subito addosso, raggiante e sicura che l’avrebbe presa al volo. Poi l’esplosione di gioia la lasciò respirare, e sollevata tra le sue braccia, vide il veliero ridotto a un drappeggio sparire nel sole, uguale a un velo da sposa.
La nonna glielo aveva spiegato: era il futuro, quello che rivelava il finale della magia della notte di San John.





Prima di tutto, approfitto di questa ff per augurare a tutti un Buon Natale :-)
Questa è l'ultima ff che avevo ferma per un contest, quindi per un po' vi lascerò in pace (ispirazione permettendo ^^)
Ringrazio Circe e Cedric Diggory Tassorosso per aver indetto questo Contest, per la prima volta Ninfadora si porta a casa qualche premio, nientemeno che la "regina di Yule", ne è stata molto felice, di solito la snobbano tutti, per non dire peggio.

Note: quello che Tonks dice riguardo Bellatrix riprende una frase da lei pronunciata all’inizio del settimo libro. Il suo malumore nei confronti di Silente si capisce all’inizio del sesto libro, quando se ne va non appena lo vede. È forse l’unico membro dell’Ordine della Fenice ad aver litigato apertamente con il preside, e l’ha fatto per Remus.
“Per favore, non andartene a causa mia,” disse Silente (…)
“No, no, devo proprio andare,” replicò Tonks senza incrociare il suo sguardo.
(HP6)
La magia usata da Tonks è vera e mi è stata raccontata dalle mie nonne, da mia madre, da mia suocera: il veliero d’albume si modella sul serio nella notte di San Giovanni (San John).
Io ci ho ricamato sopra parecchio, ma… provare per credere ^^











   
 
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