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Autore: Puglio    24/12/2010    5 recensioni
Sono passati quasi dieci anni dalla battaglia contro il Kishin. Maka e i suoi amici sono cresciuti e molti di loro sono cambiati. C'è chi ha intrapreso una carriera all'interno della Shibusen, chi si è sposato, chi si è allontanato... ma sarà proprio il ritorno di uno di loro a cambiare la vita di Maka, quando già sembrava segnata in modo irreversibile.
Nota: in alcuni i casi i personaggi potranno apparire ooc. Se è così, è perchè li ho voluti far crescere. Dieci anni passano per tutti, anche per loro...
Non credo di inserire siparietti comici in stile con l'anime. Per farlo, credo, bisogna esser bravi e io non credo di esserlo. Il rischio è di fare qualcosa di ridicolo, più che di divertente.
Per finire... ora che la storia è terminata, posso dire di essermi divertito molto nel realizzarla. Perciò, spero sinceramente che possa piacervi, e che nel leggerla possiate trovare lo stesso divertimento che ho provato io nello scriverla.
Buona lettura! E grazie per essere passati di qua.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Black Star, Death the Kid, Maka Albarn, Soul Eater Evans, Tsubaki
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Quando Kid arrivò davanti alla porta di Maka, la trovò aperta. La casa era completamente sottosopra. Crona, pallido, in un angolo, osservava la ragazza mentre gettava tutto all'aria, senza parole.

«Dove diavolo era... eppure sono sicura di averlo visto...»

«Maka!»

Lei sollevò la testa dalla pila di dischi che aveva accatastato per terra. Guardò distrattamente in direzione della porta, quindi ritornò alle sue occupazioni come nulla fosse.

«Ciao» disse. «Scusa ma sono occupata, come vedi».

Kid si avvicinò, scansando i fogli e gli scatoloni che si trovavano sparsi un po' ovunque sul pavimento. Lanciò a Crona un'occhiata innervosita, digrignando i denti proprio mentre cercava di non inciampare su alcuni raccoglitori, gettati a terra accanto al divano.

«Si può sapere che ti è preso?» fece. Lei non lo guardò neppure, continuando a inumidirsi le dita per sfogliare le sottili pagine di un vecchio diario. «Quando sono tornato a casa e non ti ho trovato, ho avuto paura. Credevo che ti fosse successo qualcosa...»

«No, non mi è successo nulla» fece lei. Solo dopo un attimo sollevò la testa, sorridendogli in modo vago.

«Non direi».

Kid si guardò attorno. La casa era un disastro. Sembrava che tutti i ricordi della giovinezza di Maka fossero spuntati direttamente dal pavimento, come una colonia di funghi.

«Ho parlato con Spirit» fece Kid, serrando le labbra. «Mi ha raccontato tutto. Non riuscivo a crederci».

«Non riesco a trovarlo...»

«Maka, mi ascolti?»

Lei lo guardò. Restò per un attimo senza parole, quindi posò il raccoglitore che aveva tra le mani, e si alzò in piedi.

«Tu sai dove abitava?»

Kid trasalì. «Chi?»

«Soul. Sto cercando casa sua. Non mi ci ha mai portato e non me ne ha mai parlato... speravo che da qualche parte avesse un biglietto, o una lettera, un ricordo... qualcosa dei suoi, insomma. Così da poter ritrovare l'indirizzo».

«Sei pazza?»

Lei lo scansò, in malo modo. Si chinò a frugare nei fogli che lui stava pestando.

«Non ti lascerò fare una cosa simile, scordatelo!» reagì lui.

«Non so se te ne sei accorto, ma la sto già facendo».

«Smettila subito, allora!»

«Non se ne parla».

Maka si drizzò in piedi, fissandolo infastidita. Dopo qualche istante, sbuffò, rassegnata.

«Senti, non ho davvero tempo per litigare» fece, con una smorfia. «Se vuoi aiutarmi, te ne sarò davvero grata. Se non vuoi, allora togliti dai piedi».

Kid rimase di stucco. Si lasciò spostare, osservandola mentre gli sfilava davanti, immersa nuovamente nella sua ricerca. Alla fine, scosse il capo.

«Razza di testona...»

«Non ti sento!»

Lui rise, suo malgrado. Si chinò a raccogliere alcuni quaderni. Erano tutti quaderni di scuola. Ce n'erano molti di Maka, che si potevano riconoscere per i colori sgargianti e per il fatto che non avevano nemmeno una piega. Kid ne aprì uno, osservando con ammirazione il modo in cui Maka li aveva riempiti con la sua scrittura ordinata e pulita.

«Già allora eri una precisa» fece lui. «Ah, devo dire che mi è sempre piaciuto questo tuo amore per la perfezione...»

«Era solo per non aver problemi a casa, quando dovevo studiare gli appunti» fece lei, fissandolo corrucciata. «In realtà, ho sempre preferito cose molto meno simmetriche».

Kid la guardò, ammiccando. «Non sempre» fece. Quando si rese conto a cosa alludeva, lei arrossì all'improvviso, facendosi confusa.

«Sì, non sempre» ammise. «Trovato qualcosa?»

Lui si schiarì la voce, evitando lo sguardo imbarazzato di Crona.

«No, niente...»

Un piccolo diario, chiuso da un laccetto, attrasse improvvisamente la sua attenzione. Kid lo intravide sul fondo di uno scatolone, coperto da una serie di cianfrusaglie inutili.

«Come accidenti ci è finito, qui, questo?» mormorò. «Dannazione, un diario insieme a questa roba... ma l'ordine dove sta?»

Si chinò a prenderlo, sollevandolo con due dita, quasi schifato. Lo rimirò, rigirandoselo davanti agli occhi. Quindi lasciò da parte i quaderni che aveva tra le mani, sistemandoli con cura, e si dedicò al taccuino.

«Guarda qui...»

Maka gli dedicò un'occhiata veloce. Quando si accorse di cosa aveva in mano, si avvicinò.

«Che roba è?»

«Sembra un diario. Ma è vuoto. Ci sono solo biglietti, tra le pagine, e foto... guarda».

Maka prese una foto che Kid gli stava porgendo. Era una vecchia foto sbiadita, dai contorni mangiucchiati e dai colori slavati. Raffigurava due ragazzi, di cui uno più grande dell'altro. Maka riconobbe subito Soul, il più piccolo tra i due, anche se in quella foto aveva un sorriso che non gli aveva mai visto.

«Chi è l'altro?» chiese Kid, curioso, riprendendo la foto. Maka restò a fissarla dall'alto.

«Suo fratello... penso».

Aggrondò. Doveva essere per forza il fratello, quel ragazzo così alto e dall'espressione così indecifrabile. Sorrideva anche lui, ma il suo sorriso aveva un che di profondamente diverso da quello di Soul... tanto quanto il suo mostrava una felicità sincera, evidente per la sua età, quello del fratello maggiore sembrava nascondere qualcosa di sbagliato. Era come se dietro a quel sorriso così inconsistente si nascondesse un volto destinato a sbiadire sempre più, fino al più totale annullamento.

«Accidenti, è davvero un bel ragazzo» osservò Kid. «Quando l'hai conosciuto?»

«Non l'ho mai fatto» osservò Maka, riscuotendosi come da un sogno. Era vero, pensò, lanciando alla foto un'ultima occhiata. Quel ragazzo era di una bellezza straordinaria.

«E come fai a sapere che si tratta di lui?»

«Non potrebbe essere diversamente» osservò Maka, con una scrollata di spalle. «Soul ha un fratello, che io sappia; e l'altro nella foto è lui. Quindi, ho semplicemente dedotto che...»

«Guarda, qui c'è un francobollo» disse Kid, mostrando a Maka il retro della foto. Era vero. Qualcuno l'aveva spedita, come una cartolina.

«Conosci questo posto?» chiese Maka, chinandosi sulla spalla di Kid. Lui annuì.

«Non è lontano da Death City. Lo si raggiunge in un'ora col treno».

«Adesso sono quasi le sette» fece Maka, osservando l'orologio appeso al muro. «Se mi sbrigo, faccio ancora in tempo a prendere il primo treno».

Kid strabuzzò gli occhi, rendendosi conto troppo tardi che lei era già sparita oltre la porta. In un lampo, si alzò, correndole appresso.

«Maka, aspetta!» gridò. «Dove vai?»

Ma era troppo tardi. Lei era già scomparsa.

 

 

*

 

 

«In carrozza!»

Maka si scrollò di dosso la pioggia insistente che aveva cominciato a cadere fitta, quella mattina. Il sole non era ancora sorto, e la luce gialla dei lampioni lungo la facciata della stazione si rifletteva tremolante sulle pozzanghere, la cui superficie era lievemente increspata dalle gocce sottili che cadevano dal cielo come tanti piccoli spilli di ghiaccio. Non appena Maka fu salita sul vagone, il caldo soffocante, misto al puzzo di sporco e di chiuso, la costrinse a sbottonarsi l'impermeabile.

Maka percorse in silenzio il corridoio, alla ricerca di una qualche cuccetta libera. Qualcuno sostava in piedi, accanto al finestrino. Vedendola arrivare, le persone lungo il corridoio le lanciavano lunghe occhiate, squadrandola da capo a piedi, come se dovessero prenderle le misure. Maka fissava quelle persone senza troppo imbarazzo, continuando a incedere con il suo passo disinvolto. Gli uomini la osservavano senza voler dare troppo nell'occhio, attratti dalla sua presenza, nonostante forse la reputassero una bellezza non proprio esagerata. Ma si sa, pensò lei, gli uomini sono così. In certe situazioni, non possono fare a meno di dare il peggio di sé.

Il treno era mezzo vuoto, ma in compenso le cuccette erano un vero schifo. Maka faticò a trovarne una in cui le luci funzionassero e che non puzzasse come una stalla. Con disgusto, si mise a guardare il pavimento lercio e attaccaticcio, chiedendosi da dove diavolo arrivasse quel treno. Sembrava quasi che prima di caricare i passeggeri a Death City avesse fatto tappa in un porcile.

«È libero?»

Maka sollevò gli occhi, voltandosi a guardare. Una anziana signora sostava sulla porta, scrutando speranzosa l'interno. Con un sorriso, Maka la aiutò con i bagagli.

«Certo, prego. Si accomodi».

La donna la ringraziò per la gentilezza. Maka le sistemò i bagagli e prese posto di fronte a lei, ripiegandosi l'impermeabile tra le mani. La donna la guardò e si scambiarono qualche timido sorriso. Maka distolse lo sguardo, senza sapere cosa dire; e in quel momento la donna si sporse leggermente verso di lei.

«Posso chiederle dove va?»

Maka le disse il nome della sua fermata. Il volto della donna si illuminò.

«Ah, anche io scendo lì».

«Davvero?»

Che coincidenza.

«Sa, lavoro come governante. Ho trovato lavoro presso una casa, qui a Death City, dei signori molto a modo. Ma ora che la città è stata sfollata, dovevo scegliere se restare o tornare a casa... e ho preferito tornare».

«Certo» commentò Maka, non molto interessata. «Capisco bene».

«E lei, invece? Perché vi è diretta?»

Di fronte all'espressione diffidente di Maka, la donna arrotondò le labbra.

«Oh, mi perdoni, non volevo sembrare invadente...»

Maka arrossì. «No, è che... beh, vado a trovare la famiglia di un mio amico».

«Sì?» fece la donna, sempre più curiosa. «E chi? Sa, glielo chiedo perché io conosco tutti, laggiù! Posso dire di aver visto nascere tanti di quei bambini... non mi crederà, ma ho tenuto quasi tutti i bambini del mio paese, anzi: lei quanti anni ha? Ventuno, ventidue...»

«Venticinque» la corresse Maka, con un sorriso.

«Oh, sembra molto più giovane... comunque conoscevo tanti ragazzi che adesso avranno più o meno la sua età. Allora lavoravo presso una famiglia importante, molto conosciuta... non so se ne ha sentito parlare... gli Evans».

Maka la fissò sconcertata.

«Lei lavorava per gli Evans?» fece. «Sul serio?»

«Ah, li conosce!» esultò la donna, che si sistemò sul sedile come se dovesse prepararsi a scattare da un momento all'altro. «Sì, ho lavorato anche per loro. Delle persone squisite, veramente, anche se molto sfortunate...»

«Perché?»

La donna la guardò, stringendo gli occhi. «Non lo sa?»

Maka scosse il capo.

«Ah, è una storia triste. Ancora adesso, se ci penso, mi vengono le lacrime agli occhi... io ho lavorato da loro per quasi vent'anni, sa... vent'anni... dopo così tanto tempo, alla fine, alla gente ti ci affezioni...»

Maka annuì, incitandola a proseguire.

«Ricordo ancora come eravamo felici quando nacque il signorino. Il figlio minore, Soul. Era un bambino meraviglioso, pieno di vita. Di una gentilezza unica. Non ho mai dimenticato il suo faccino, anche se ora credo proprio che lui non si ricorderà più di me».

Non era possibile, pensò Maka. Se quella donna era stata di una qualche importanza, per lui, Soul non l'avrebbe mai dimenticata. Lui era fatto così.

«E cosa successe, poi? Perché ha detto che sono stati sfortunati?»

La donna assunse un'espressione dispiaciuta.

«Beh... non so se dovrei parlarne...»

«La verità è che io sono amica di Soul Evans» fece Maka. «Non lo vedo da tanto, e ho pensato di andarlo a trovare a casa sua, per fargli una sorpresa...».

«Oh, ma non ci vive più nessuno da anni, là...»

Maka impallidì.

«Cosa?»

«È davvero molto che non lo vede, altrimenti saprebbe tutto» disse la donna, la cui espressione tradiva tutta la voglia di raccontare quanto sapeva. «Vede, se ne sono andati via tutti dopo la morte del signorino Andrew. Una vera disgrazia, sa, da cui la famiglia non si è più ripresa...»

Maka tacque. La donna tirò su col naso, aprendo la pochette ed estraendo un fazzoletto di batista. Il vagone ebbe un leggero scossone, e nel silenzio, cullato dal rumore delle carrozze che sfrecciavano sui binari, la pioggia continuava a sferzare i vetri, incollandosi ad essa e allo sporco che vi colava via.

«Quello fu un giorno terribile. Andrew aveva da poco compiuto vent'anni, e il signorino Soul ne aveva solo undici. Ricordo ancora quando la polizia venne a portare la notizia a casa... fui io ad aprire... non riuscii nemmeno a capire quanto stavano dicendo...»

La vecchia si soffiò il naso. Maka distolse gli occhi, fissando il riflesso del suo volto al finestrino. Era come sdoppiato, quasi fosse un riverbero di se stessa.

«Il padrone si dimostrò molto forte, mentre la madre ne uscì sconvolta. Volevano un bene tale a quel giovane... era un autentico prodigio, sa, un genio della musica. Avrebbe dovuto vivere una vita meravigliosa, invece...»

«Come accadde?» chiese Maka.

«Un incidente stradale. La polizia trovò l'auto giù per un dirupo. Una cosa tremenda».

«Oh...»

«Ricordo che da allora il signorino Soul si è come chiuso in se stesso. Era sempre stato particolarmente legato a suo fratello... erano degli studenti modello, tutti e due, e anche il signorino Soul suonava il piano divinamente».

«Sì, lo so» fece Maka. Infatti lo sapeva bene.

«Da allora, però, in lui cambiò qualcosa. Smise completamente di toccare lo strumento. Più i genitori lo pregavano di studiare, più lui reagiva in malo modo, chiudendosi a riccio. Presero a obbligarlo, ma lui non si metteva di impegno e così presto il prestigioso conservatorio a cui l'avevano iscritto lo espulse. Il padre non la prese affatto bene. Il signorino era solo un ragazzino, ma da allora fu come se il rapporto con i genitori si fosse del tutto incrinato. Il padre non sosteneva più la sua presenza, e la madre continuava a chiudersi sempre più in se stessa, fino a che il dolore per la perdita del figlio la rese pazza. Quando accadde, il padre, per allontanarlo da casa, decise di iscrivere il signorino in questa scuola speciale, in cui avevano studiato tutti quelli della sua famiglia. Anche il signorino Andrew avrebbe dovuto studiare lì, per seguire le orme del padre. Ma poi... ah...»

Maka aggrondò. Era una storia molto diversa da quanto credeva di sapere.

«Io pensavo che fosse stato Soul a decidere di andare alla Shibusen, per dimostrare che valeva qualcosa...»

La donna la fissò come se avesse detto un'eresia. «Mai e poi mai!» fece. «Il signorino odiava l'idea di andare a quella scuola. Ma lo fece perché vi venne costretto. Il padre non tollerava più di averlo accanto, e in più doveva occuparsi della moglie malata. Così il signorino, un brutto giorno, partì. Io lasciai la casa, e da allora, non li rividi mai più».

«Non sa cosa è successo poi?» fece Maka. «Intendo ai genitori di Soul».

«So che la signora è morta qualche anno dopo» fece la donna. «Il padre è ancora vivo, credo. Immagino viva da qualche parte, lontano da qui... non saprei».

Maka si zittì. Era tutto sbagliato. Non aveva idea che le cose fossero davvero andate così.

Soul...

Perché quello stupido non le aveva mai detto nulla? Avrebbe potuto aiutarlo, o almeno confortarlo.

Invece, era stata del tutto inutile.

Il treno prese a rallentare la sua corsa. La donna si avvicinò al vetro, stringendo gli occhi.

«Ah, direi che siamo arrivati!» fece, tutta pimpante. «A parlare con qualcuno il tempo passa così in fretta... lei allora è amica del signorino Soul?»

Maka annuì, alzandosi per aiutare la donna con il bagaglio.

«E mi dica, come sta?»

«Non lo so, veramente» fece Maka. Era vero. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa gli passava in quel momento per la testa. «Ma spero di saperlo presto».

«Lei è una ragazza tanto carina, e poi è molto graziosa» fece la donna, uscendo dallo scompartimento, seguita da Maka. «Sono contenta di sapere che è amica di quel povero ragazzo... ma forse sono davvero troppo sfacciata...»

«No, non si preoccupi» fece Maka, allegra. «Non è un problema. Un tempo io e lui siamo stati molto legati».

«Oh, davvero? Allora, speriamo che possiate rincontrarvi presto, sì?»

Maka non rispose. Si limitò a sorridere debolmente, abbassando gli occhi.

«Ah, eccoci. Finalmente».

La donna scese, aiutata da Maka. Una volta raggiunta la pensilina, si voltò verso di lei, gonfiando il petto e sistemandosi il cappello sulla massa gonfia di capelli ingrigiti.

«È stato davvero un piacere, signorina...»

«Maka» fece lei. «Maka Albarn».

«Maka, che nome grazioso» disse la donna. «Se dovesse rivedere Soul, allora, gli porti i saluti della signora Simmons e gli dica che lo ricorda con tanto affetto».

«Non mancherò» rispose Maka, salutandola con la mano.

La signora Simmons si incamminò lungo la pensilina, schivando le pozzanghere che tempestavano il fondo di cemento sgretolato. Maka restò a guardarla per un po', quindi spostò gli occhi sul paesaggio, sconfortata.

Era tutto tremendamente cupo, e desolato. Ma era lì che si trovava l'anima di Soul. O almeno, quello che ne restava.

Così, con la borsetta sotto il braccio, si avviò; anche se ancora non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto in seguito.

 

 



  
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