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Autore: Abraxas    24/12/2010    5 recensioni
Tre secoli e mezzo dopo il confronto con i Cullen, il potere dei Volturi è solo una pallida ombra di ciò che era un tempo. Se solo le cose fossero andate diversamente, medita Aro…
E se esistesse un modo per cambiare gli eventi?
E se qualcuno fosse incaricato di impedire queste modifiche?
Qualcuno che non sospetta minimamente dell’esistenza di vampiri e licantropi…
Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”
Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.
“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute, Seth Clearwater, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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- INTERMEZZO TRE: Cry havoc, and let slip the dogs of war! -

 
“Lilith, Lilith… cosa dobbiamo fare con te?”, domandò retorico Aro, passeggiando in piccoli cerchi intorno alla vampira immobilizzata dalla presa ferrea di Felix. “Lo sai, ci sono alcune regole che vanno rispettate… sarebbe il caos, altrimenti. Il disordine, l’anarchia assoluta.”

“Le tue regole non mi riguardano, Aro!”, sputò lei, interrompendosi con urlo quando la massiccia guardia al suo fianco le staccò un dito.

“Per favore, mio buon Felix! Sono convinto che la qui presente signorina abbia bisogno di un ripasso delle buone maniere, ma non credo che la violenza sia il modo migliore per spiegarglielo”, lo rimproverò con calma il capo dei Volturi. Felix grugnì un assenso, chinando il capo in segno d’obbedienza.

“Uccidimi, Aro, e falla finita con i tuoi giochetti”, borbottò lei.

“Oh! No, no, no… mia cara, non è certo nostra intenzione ucciderti!”, esclamò inorridito. Le serviva, ed eliminarla avrebbe mandato all'aria i suoi piani. Era una delle burattinaie più talentuose che avesse mai incontrato, perfetta per ciò che aveva in mente. Scoprire che gli umani riuscivano ad interferire con il potere di Kain era stata una sorpresa sgradita, ma fortunatamente aveva trovato una soluzione, concludendo un patto equo, tutto sommato. I suoi… soci erano gente strana, ma tremendamente affascinante.
Gente? Oh, gli umani non li avrebbero classificati così. Beh, tanto peggio per loro.

“Allora ti spiacerebbe spiegarmi perché questo bestione non mi vuole mollare?”

“Mia cara Lilith, hai cercato di infrangere la nostra regola più importante… cacciando in Europa! Hai così tanta fretta di farti scoprire dagli umani?”

“Avevo sete”, rispose seccamente. “Non mi importa se mi scoprono… non riuscirebbero a prendermi.”

Perfetto. Esattamente la persona che cercava.

“E’ stata proprio una fortuna che Felix e Demetri stessero passando casualmente da quelle parti quando la tua testolina ha partorito un’idea così stramba, non trovi?”

“Grazie a questa fortunata casualità ho saltato la cena, ed i tuoi preziosi umani sono ancora vivi. Potrei sapere quindi per quale motivo mi trovo qui?”

“Con le tue azioni hai sfidato la nostra casata, Lilith”, la informò gravemente.

“La vostra casata? La tua casata appartiene al passato, Aro. Tu ed i tuoi fratelli vi ostinate a rimanere aggrappati al ricordo di ciò che siete stati un tempo… forse dovreste aprire gli occhi. Sono gli umani a mantenere l’ordine, adesso. Buffo come ci riescano senza sapere nulla di noi, eh? Non serve una famiglia di giustizieri della notte; niente Volturi, niente Tepes, nessuno. Ce la caviamo da soli.”

“Un’idea affascinante… meriterebbe senza dubbio di essere dibattuta adeguatamente, ma sfortunatamente temo che al momento non sia possibile. La pena per la tua tentata infrazione è la morte, lo sai. Tuttavia sarò clemente, e ti offrirò una possibilità di ottenere la grazia.”

“Quale generosità!”, rise lei senza alcuna traccia di allegria. “Sentiamo, per cosa ti servo? Contro chi devo sollevare un esercito, stavolta?”

Era una burattinaia, e come tale possedeva un talento naturale nel controllo dei vampiri neonati. Peccato fosse così riottosa ad entrare in pianta stabile nella Guardia, pensò Aro. Non era la prima volta che quella scenetta si ripeteva. Aveva uno spirito decisamente ribelle… doveva assolutamente trovare il modo di costringerla.

“Nulla di troppo complesso”, la informò. “Un favore, diciamo, per un mio… nuovo amico. Devi solo dare il via ad un piccolo diversivo. Un escamotage, se preferisci.

Non trovi anche tu che la parola suoni molto meglio? Escamotage. Scivola via sulla lingua, come…”

E in cosa consiste questo piccolo diversivo?”, lo interruppe, con suo enorme disappunto.

“Una caccia ad alti livelli. Sei mai stata nella capitale, mia cara?”, domandò con tranquillità.
 

* * *

 
Irina Novikova odiava volare, sin quando da bambina aveva assistito all’incidente che per poco non era costato la vita a suo padre, appassionato di ultraleggeri. A dirla tutta odiava spostarsi su qualsiasi mezzo che non fosse saldamente ancorato a terra da almeno due ruote o cingoli, punto e basta. Perciò fu ben lieta quando una mezza dozzina di gorilla travestiti da Marines fece scorrere il portellone che la costringeva nell’angusta baia di carico della cannoniera, e fu ancora più lieta quando uno di loro l’aiutò a scendere urlando un “Benvenuta a Ginevra, signora!” nel tentativo di sovrastare il frastuono infernale degli aviogetti che mantenevano il velivolo a mezzo metro da terra.

Normalmente il malcapitato Marine si sarebbe subito un bel terzo grado su come signora fosse discriminatorio rispetto al più informale signore, ma le condizioni dello stomaco del Generale le impedirono di fare questa piccola correzione. Si ritrovò invece ad aggrapparsi al robusto braccio del soldato nel tentativo di non ruzzolare malamente a terra. Che figura.

“E’ la sua prima volta qui, eh, signora?”, insisté quello, mentre lei si ritrovava nella spiacevole situazione di dover star zitta ed ingoiare l’offesa per non vomitare anima e colazione sulla divisa mimetica dell’uomo. Sarebbe stato estremamente poco cortese, anche per un cafone del suo calibro. Cafone che comunque le stava impedendo di accasciarsi a terra in preda al malore, immagine sicuramente ancor meno edificante per la sua reputazione come donna di ferro. Decise quindi, dall’alto di questo suo momentaneo istante di immensa magnanimità, di lasciargliela passare liscia.

“Venga al coperto”, continuò lui, sostenendola con inaspettata delicatezza mentre si avviava verso l’ingresso del Palais des Nations, qualche centinaio di metri più avanti. Lei fece ricorso a tutto il suo autocontrollo per barcollare il meno possibile verso l’ingresso che sembrava distante chilometri. Stramaledettissimo mal d’aria.

“Mi dia pure il cappotto, Generale”, la accolse cortesemente un inserviente non appena entrò al coperto. Fece come le era stato detto, ringraziandolo con un cenno del capo. Non se la sentiva ancora di parlare, non senza il rischio concreto di rovinare il parquet d’epoca, ma perlomeno ora riusciva a muoversi sulle sue gambe. Il Marine la salutò e fece dietrofront, tornando alla sua postazione vicino all’eliporto.

Si sentì molto meglio qualche minuto dopo, seduta su una delle poltroncine della sala d’attesa con una pastiglia di atropina in bocca e la rilassante melodia dell’Autunno di Vivaldi nelle orecchie.
Sperò vivamente che il vago colorito verdastro del suo volto fosse, per l’appunto, soltanto vago. Di sicuro non aveva un'aria molto marziale al momento. Perlomeno con i capelli corti aveva agilmente scansato il rischio di ritrovarsi un’indomabile criniera dopo il trasferimento dall’aeroporto di Cointrin.

“Generale… prego, è il suo turno”, la avvisò la segretaria dietro la scrivania in mogano, indicando la porta che si era silenziosamente aperta.

“Grazie”, si azzardò a rispondere, varcandola ed entrando nell’ampio ufficio. Visto che il bliny* ora sembrava un poco più intenzionato a restare in fondo allo stomaco, decise di poter parlare senza pericolo. “Signor Presidente…”, salutò formalmente.

“Ah, Generale Novikova, si accomodi, si accomodi! Aspettavo con ansia di fare la sua conoscenza faccia a faccia!”, la accolse la voce profonda e raschiante di Garth Joshua MacKenzie, Presidente dell’Alleanza Terrestre.

Non lo si poteva certo definire un bell’uomo, ma aveva un certo non so che, un qualcosa che non attirava inevitabilmente l’attenzione. Il suo viso sembrava essere stato rozzamente intagliato in un blocco di legno da un artista troppo frettoloso, lasciando un naso troppo grosso, due occhi troppo infossati e due labbra troppo piene, quasi si fosse scordato di rifinirli. Tuttavia dietro quei vispi occhi grigi pulsava una vitalità che contrastava parecchio con il corpo sgraziato e con l’apparente debolezza fisica, rivelando l’inesauribile forza di volontà che gli aveva permesso di arrivare poltrona presidenziale partendo dal seggio irlandese nel Senato dell’Unione Europea.

“Gradisce un goccetto?”, le chiese, estraendo con aria circospetta una bottiglia di brandy da un cassetto della lussuosa scrivania dietro cui sedeva. “Si fidi, è roba di qualità… azienda di famiglia.”, aggiunse sogghignando.

Visto lo stress del viaggio sulla cannoniera, Novikova concluse che a conti fatti uno strappo alla regola poteva anche permetterselo, e al diavolo la buona prima impressione che si era promessa e ripromessa di fare.

“Grazie, signore, accetto volentieri.”

“Oh, bene, finalmente qualcuno che fa onore alla mia cantina! Solitamente devo sorbirmi tutte quelle balle sul genere di grazie ma non bevo in servizio…”

“Ho avuto un piccolo problema con il viaggio, signore.”, si giustificò buttando giù un’abbondante sorsata del liquido ambrato dopo il cin-cin d’obbligo, crogiolandosi nella sensazione di calore che le regalava la bevanda. Altro che atropina.

“Non le piace volare, eh?”

“Se avessi voluto viaggiare su uno di quei trabiccoli sarei entrata in aviazione, non certo nell’esercito. Sono più a mio agio con i piedi per terra.”

“Allora, Generale, mi dica… cosa la porta nell’ufficio di un povero vecchio alle dieci della mattina?”, chiese sorridendo, dando il via alla parte ufficiale della visita.

Uno dei sogni proibiti di Irina Novikova era sempre stato quello di riuscire a dire, un giorno, la fatidica frase Signor Presidente, abbiamo un problema, possibilmente mentre entrava imperiosa nel bunker corazzato sotto al Pentagono, con una dozzina di facce sconvolte che si giravano a guardarla. Era infantile, naturalmente, ma compariva seconda nella lista delle frasi da dire almeno una volta nella vita solo dietro all’inarrivabile autista, insegua quella macchina. Adesso, però, si rese conto che dirlo non aveva proprio nulla di entusiasmante.

“Signor Presidente, abbiamo un problema.”

“Uno solo? Dev’essere la nostra giornata fortunata…”

Aprì la valigetta che si era portata appresso, e ne estrasse alcuni documenti dall’aria parecchio importante. Il Presidente inforcò rapido un paio di occhiali –strano che un uomo con la sua posizione non si fosse concesso un intervento chirurgico per risolvere il difetto alla vista- e cominciò a scorrere rapidamente le pagine di fronte a lui.

“Pare che il nostro intervento di blocco del continuum spazio-temporale non sia riuscito completamente, signore. Secondo le informazioni raccolte passivamente dagli agenti della CHRONOS operanti nella nostra epoca vi sono indizi di mutamenti temporali di lieve entità in atto. E dato che Altair ha i nostri stessi problemi ad affrontare un viaggio nel tempo in questo momento… ciò conferma che vi sono nuovi elementi in gioco.”

“Un altra fazione è scesa in campo? Deneb? Spica?”

“Lo escludo. Non abbiamo alcun indizio che suggerisca il loro successo nello sviluppo di una tecnologia temporale stabile. L’ultimo fallimento di Spica, in particolare, è stato… pirotecnico a dir poco.”

“Una stazione spaziale in meno”, commentò lui con noncuranza, probabilmente ripensando a quella che era stata la notizia del giorno, tre settimane prima. “Quindi devo supporre che esistano altri modi per viaggiare nel tempo oltre a quelli di nostra conoscenza, e che Altair ci stia giocando?”

“Non ne ho la più pallida idea, signore.”, ammise. “I tecnici sono al lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro per cercare di venire a capo del problema, ma non riescono a cavare un ragno dal buco.”

E sarà meglio che Ruddock salti fuori con un’idea molto alla svelta, o la sua sarà la prima testa a cadere. E’ colpa sua se siamo in questa merda. Sua, e mia che ho dato ascolto alle sue stronzate.

“Mi definisca il suo concetto di ‘lieve entità’ quando parla di mutamenti temporali, Generale.”

“Piccoli incidenti senza effetti concreti sulla timeline. Per ora.”

MacKenzie annuì in silenzio mentre continuava a sfogliare i documenti di fronte a sé, soffermandosi ogni tanto su qualche diagramma particolarmente complesso.

“Quanto è grave questa faccenda?”, chiese infine, togliendosi gli occhiali.

“Al momento crediamo che i nostri uomini distaccati nel ventunesimo secolo riusciranno a mantenere la situazione sotto controllo, anche se non siamo in grado di comunicare con loro. Tuttavia, l’idea che qualcuno sia riuscito a sviluppare un portale temporale che non faccia uso di tachioni è preoccupante. Ancor più se si considera che l’ha fatto a nostra insaputa.”

“In pratica, quella bomba che doveva risolvere tutto in uno schiocco di dita ha combinato solo danni, e ci ritroviamo con tante domande e poche risposte.”

“Mi dispiace ammetterlo, signore, ma è così. I tecnici sono convinti che il flusso tachionico sia l’unico motore possibile per il viaggio nel tempo, ma arrivati a questo punto…”

“Lei crede che sia ancora colpa di Altair?”

“Non possiamo confermare né smentire quest’ipotesi”, osservò con cautela.

“Bah. Voi e la vostra mania per le certezze assolute. A proposito di Altair, cosa mi sa dire di questi supersoldati? I… Vanir, come li chiamate qui. E’ da Aprile che Dessau mi fa una testa così con le informazioni raccolte dall’AID sulla risposta altariana al programma Aesir, e non gli ho mai dato troppo ascolto. Dover riconoscere che avevo torto sarebbe oltremodo seccante.”

“Non molto, a dire il vero, se non che finalmente sono stati visti in azione. Due agenti impegnati in attività di routine nel passato ne hanno incontrato uno mentre attentava alla vita di un’indigena, e hanno provveduto ad ingaggiarlo immediatamente. Dallo scontro è emerso che si tratta di entità umanoidi con rapidità ed agilità migliorate, epidermide corazzata ed impianti ottici dalle potenzialità sconosciute. Fatto sta che l’unità 027 ne ha confermato l’eliminazione ad opera di ignoti. Per il momento non sembrano essere una minaccia così pressante.”

Riferirsi agli uomini sotto il suo comando come unità le faceva accapponare la pelle, ma non era il momento per perdersi in discussioni etiche.

“Ignoti? C'é qualcun'altro laggiù, oltre a noi ed Altair?”

“E’ il motivo per cui ho preferito tenere in piedi l’operazione a Seattle, invece di sostituire gli Aesir con agenti normali. Prudenza.”

“Ha fatto bene, Generale. Ma via, siamo seri… epidermide corazzata?”, domandò con una punta di divertimento nella voce. “Hanno incrociato un uomo ed una tartaruga, per caso?”

“Pare che l’unità 014 abbia riportato la frattura del radio sinistro durante la breve colluttazione, mentre cercava di colpirlo al collo. Hanno la pellaccia dura, senza dubbio.”

“Soldati corazzati… credo che sarebbe una tecnologia interessante da replicar…”

Venne interrotto dall’irruzione improvvisa di un intero plotone di agenti dei Servizi Segreti ad armi spianate.

“Modulo uno, situazione C! Proteggete il Presidente!”

“Sbarrate le uscite!”

“A terra, signore, a terra!”

Irina Novikova ebbe tre secondi scarsi di tempo per realizzare cosa stesse succedendo, prima di ritrovarsi stesa sul pavimento dietro la massiccia scrivania di mogano, tenuta giù da un colosso di due metri buoni.

“Stia giù, signora!”

“Ma per piacere!”, sbuffò sgusciando via dalla presa del suo scudo umano ed estraendo la fidata Smith&Wesson SD300 dalla fondina, facendo capolino dal riparo provvisorio. Fu in quel momento che le cose cominciarono a succedere una dietro all’altra.

Prima la porta divelta dai cardini volava dall’altra parte della stanza, schiacciando due uomini della sicurezza e lasciando entrare cinque sconosciuti ringhianti.

Poi la mitragliatrice sopra la scrivania – un attimo, quella da dove sbucava? – sbriciolava il primo degli intrusi.

Dopodiché il caos.

Armi sparavano tutte insieme.

Urla.

Sangue.

Un moncone di braccio colpiva la parete poco sopra la sua testa e le cadeva addosso.

Il suo angelo custode veniva sollevato di peso e squartato sotto ai suoi occhi.

E quei pazzoidi miravano a MacKenzie. Il suo cervello si decise infine ad ingranare la marcia emergenza.


Ah no, non mentre sono in servizio io.

In una frazione di secondo Irina Novikova cercò un bersaglio, prese la mira e gli scaricò l’intero caricatore addosso.

Perché non crepa?

Il suo bersaglio si voltò a guardarla con un paio di lucenti occhi rossi, senza dare alcun segno di aver sentito i proiettili che gli erano finiti addosso.

Cazzo, un Vanir.

La manata che la scaraventò contro il muro invece lei la sentì benissimo, così come il rumore secco che indicava la lussazione della spalla sinistra.

Govno.

Il colpo di grazia tuttavia non arrivò. Uno degli Aesir della scorta le era davanti, e stava tenendo occupato il coso con un coltello. Cercò rapidamente intorno a sé qualunque cosa che potesse essere usata come arma per potergli dare una mano.

Poi avvertì un leggero formicolio alle orecchie. Cercò di ignorarlo, impegnata a sollevare con fatica un pezzo di sedia da usare come lancia, ma quello aumentò sempre più rapidamente, trasformandosi in breve in un dolore lancinante.

Esisteva solo quello, solo il dolore. Non riusciva più a pensare, oppressa da quel cupo rimbombo esattamente in mezzo alla sua testa.

Il suo cervello registrò la vetrata andare in pezzi da qualche parte alla sua sinistra, ma non fece in tempo a vedere le schegge del materiale antitutto toccare terra che aveva già perso conoscenza.
 

- - -

 
“Dove sono?”, mugolò cercando di alzarsi non appena fu in grado di riaprire gli occhi, ignorando la spalla ed il mal di testa.

“Generale, la prego! Non può alzarsi, il dottore…”, la fermò con decisione un’infermiera, spingendola nuovamente nel lettino.

Infermiera… ospedale, elaborò rapidamente mentre la sua mente tornava poco a poco in attività.

“Il dottore un paio di palle! Dov’è il Presidente?”, scattò, ora totalmente lucida, spostando la mano della donna e posando i piedi a terra.

“Non lo so, Generale! Lei si trova a…”

“Da quanto sono qui?”

“Cinque ore… signora, deve riposare! Non è assolutamente nelle condizioni…”

“Me ne fotto delle mie condizioni! Voglio un olofono, ora!”, sbraitò, alzandosi in piedi. Figuriamoci se un po’ di dolore l’avrebbe fermata! C’era un’emergenza, e lei cosa faceva? Sveniva. Sveniva, Cristo! Come una novellina alle prime armi!

“Generale, non mi costringa a chiamare la sicurezza!”

“Signorina, non mi costringa a chiedere il suo licenziamento”, ringhiò lei, barcollando fino all’oloterminale di fianco all’ingresso della stanzetta.

“Novikova”, disse dopo aver inserito la tua tessera personale nella macchina, “Chiamare numero 025.”

“Chiamata in corso… attendere, prego.”

“Fuori di qui”, tornò a rivolgersi alla malcapitata infermiera, “Non è roba che fa per lei.”

La donna restò un momento interdetta, poi uscì di corsa, probabilmente a cercare qualcuno che la aiutasse a stendere quella paziente così recalcitrante.

“Felice di rivederla tutta in un pezzo solo, Generale”, disse la voce proveniente dal piccolo ologramma.

“Abner, metta in sicurezza questa linea e veda di farmi un rapido riassunto delle ultime cinque ore. Dov'é il Presidente?”

“Al sicuro. Lo Star Force One è decollato quasi quattro ore fa.”

Si concesse di tirare un colossale sospiro di sollievo prima di continuare.

“Gli intrusi?”

“Eliminati. Sa, è stata una bella idea investire nella ricerca sulle armi soniche. A quanto pare i Vanir – ah, ecco, è confermato che fossero Vanir – sono particolarmente vulnerabili agli ultrasuoni…”

Ultrasuoni? Ecco il motivo del suo svenimento.

“…ed ora quel che resta dei loro corpi sta venendo trasferito ad Atlanta. I cervelloni sono impazienti di tagliarli a pezzettini, smontarli e vedere per bene come sono fatti dentro.”

“Bene. Altro?”

“Ecco...”, borbottò a disagio, ed allora capì che il peggio doveva ancora venire. “C’è stata una… una piccola escalation, dopo l’attentato a Ginevra.”

“Quanto piccola?”, domandò con il gelo nel cuore. Aveva un pessimo presentimento.

“La Sesta Flotta ha ricevuto ordine di cominciare le operazioni militari ad Epsilon Eridiani due ore fa. Eridiani II è sotto bombardamento, così come le postazioni repubblicane in tutto il sistema."

Ahia.

"Tuttavia, Altair ha contrattaccato a Procyon con più forza di quanto ci aspettassimo e l’Ottava Flotta riferisce che ci sono… alcune difficoltà nel contenimento. Sembra quasi che si aspettassero un nostro assalto. La cosa buona è che per ora nessuno ha tirato fuori testate a neutroni”, spiegò tutto d’un fiato. “Ah, e il Presidente ha richiesto un rapporto sullo stato del progetto Corona.”

“E’ andato fuori di melone?”, esplose lei, sentendo il mal di testa ed il dolore alla spalla sfuggire al suo tentativo di ignorarli. “Come può anche solo pensare di… lasciamo perdere. Mi faccia trovare un trasporto qui fuori, sto tornando al Pentagono. E niente storie sulle mie condizioni di salute o altre stronzate del genere, Abner”, tagliò corto, anticipando le sue prevedibili obiezioni.

Aveva perso cinque ore, saltando un incontro programmato con Ruddock e la sua equipe. Chissà se avevano trovato qualcosa di nuovo sulle anomalie di Regina.

Regina? Ti preoccupi ancora per Regina? Cazzo, siamo appena entrati in guerra.

Effettivamente Regina era l’ultimo dei suoi problemi, adesso… superare l’infermiera di turno era una questione molto più pressante.
 

* * *

 
“Ho fallito, Maestro. Edward Cullen è stato salvato.”

“Su, su, Kain… non ti crucciare. Ti sei ampiamente meritato una seconda possibilità. E le possibilità non mancheranno di certo, in futuro”, sussurrò clemente Aro, riaprendo gli occhi che aveva chiuso per poter leggere i pensieri del vampiro, appena rientrato a Volterra. “Per ora riposati. I tuoi servigi saranno richiesti nuovamente quanto prima.”

“Come desidera, Maestro.”

“Hai fatto bene a far uccidere quei due umani… ma non era meglio contattare un vampiro, Kain?”, chiese interessato. Il potere dell’ultima novità nella sua collezione personale di talenti lo affascinava parecchio.

“Credevo avrebbero completato con successo la missione”, gli rispose. “Non riesco ancora a capire cosa possa essere andato storto, in tutta sincerità. Qualcosa ha interferito… in genere gli umani si lasciano manipolare così facilmente.”

“Oh, giusto, giusto…”, mormorò meditabondo, voltandosi verso l’olovisione accesa sulla parete dell’antico salone.

“…l’unica certezza, in questi momenti confusi, è che de facto si è creato uno stato di guerra fra l’Alleanza Terrestre e la Repubblica Popolare di Altair. Il vicepresidente Callaghan terrà un discorso alla nazione fra pochi minuti, che trasmetteremo a…”

“Manipolare, sì”, ripeté con un sorriso. “Proprio la parola giusta.”

La sua parte l’aveva fatta, come da accordi. Ora toccava a loro.
 
***

* Il bliny è un tipico dolce russo, simile alla crepe, che viene servito spesso per colazione insieme a ricotta o marmellata.

N.d.A.: Come promesso, aggiornamento in meno di ventiquattro ore! Non vi preoccupate, Natale capita una volta sola all'anno. Colgo l'occasione per farvi gli auguri, allegandoci anche quelli di buon 2011 (non si sa mai). Se tutto va bene li dovrò rifare, ma tanto male non fa. Nessuno è mai morto per eccesso di auguri.

Non avete capito a chi si riferisse Aro nel suo soliloquio da buon cattivo? Perfetto, l'idea è quella. Confondervi le idee, così, tanto per. Buon Natale! (risata sadica)
   
 
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