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Autore: Exelle    27/12/2010    2 recensioni
La vita di Severus Piton è monotona e solitaria.
Quella di Luna Lovegood, incomprensibilmente folle.
E se venissero raccontate nella stessa storia?
_Finalmente il capitolo sedici_
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Luna Lovegood, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Più contesti
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Capitolo Nove
Orgoglio gorgoglio


Severus Piton salutò l’alba di Hogwarts con la schiena dolorante e la faccia arrossata. Lo sforzo di sollevare casse di libri e provette con la sola forza delle sue esili braccia bianchicce, rischiava seriamente di menomare la sua fragile corporatura. Si tirò su riabbassandosi le maniche fino ai polsi. Quando si raddrizzò del tutto, la colonna vertebrale schioccò con un suono secco che risuonò fino al soffitto. Idiota.
Sfilò con grazia la bacchetta dal mantello, picchiettò le casse, una per una, e quelle si sollevarono, cominciando a defilarsi fuori dalla porta in una fila ordinata, dirette ai sotterranei.
Severus Piton sorrise brevemente, le mani chiuse a pugno sui fianchi.
Che roba, essere un mago. Era nel realizzare le cose più semplici, nel fare quelle sciocchezze dietro a cui i Babbani si dannavano, a renderlo orgoglioso di appartenere alla razza magica.
Razza…
La faccia serpentina di Voldemort fece capolino tra i suoi pensieri, le labbra atteggiate a sussurrare quella stessa parola. Severus Piton chiuse gli occhi e sospirò. Non se ne sarebbe liberato mai. Superiorità, orgoglio, emarginazione. La filosofia del Mangiamorte era ancora fin troppo radicata nei suo tenebrosi neuroni.
Uscì di gran carriera dalla porta, lanciandosi giù per le strette scale a chiocciola. Raggiunse le casse nel corridoio di sotto, proprio mentre quelle stavano cercando di dileguarsi in un’altra ala. Il cupo insegnante estrasse rapido la bacchetta, e in un lampo di luce bianca le scatole s’immobilizzarono a terra.
La bacchetta sparì di nuovo nelle tasche del mantello e Piton si diresse verso le casse imballate. Lanciò uno sguardo all’interno, scorgendo tappi di barattoli, coste di libri, penne d’oca, mantelli neri di ricambio. Tutto ordinato meticolosamente, tutto catalogato. Con un profondo sospiro, Severus Piton sollevò la prima delle tre casse. Con le giunture che dolevano, cominciò a trascinarla verso la scala a chiocciola.
Anche per quel giorno, avrebbe rinunciato a ritraslocare negli alloggi sotterranei.
A costo di arrivare in ritardo in classe, Severus Piton avrebbe dimostrato a sé stesso di essere ancora un robusto mezzo Babbano.

“Spero che alla Umbridge non venga in mente di presentarsi qui, oggi.”
“… Coda di Lombrico? Temo non sia giusto..”
“Dieci galeoni, lo so. Costa, ma fidati ne vale la pena…”
“Quella svampita della Cooman! Sostiene che la mia carta astrale..”
“Settimana prossima a Hogsmeade, credo..”
Quel giorno, i frammenti di conversazione nell’aula di Pozioni rimbalzavano con più leggerezza di fronte alla bolla di indifferenza dell’allieva Lovegood. Stranamente pacificata dal fatto che, fino a quel momento, i suoi compagni non l’avessero messa al centro di un qualche scherzo di cui lei non coglieva l’umorismo, Luna contemplava i ramoscelli nerastri ricolmi di fiori secchi che le pendevano sopra il capo. Li fissava con concentrazione quasi maniacale, come un erborista pazzo.
Chi l’avesse studiata da fuori, l’avrebbe presa per una naturalista dedita a cercare insetti nelle paludi, ma non Ginny Weasley, che scivolò con calma nella seggiola al fianco di Luna. Era l’unica a non avere un compagno di laboratorio, aveva constatato Ginny, per nulla sorpresa. Raramente qualcuno desiderava sedersi a fianco degli svagati e inquisitori occhi di Lunatica, a meno di non esserci costretto.
“Ginny” sospirò Luna, continuando a fissare le piante sul soffitto.
Ginny sorrise brevemente, incerta su come iniziare una conversazione che non fosse destinata a morire dopo due frasi. “Verrai all’ E.S. questa sera?” le bisbigliò.
Luna chiuse gli occhi. Li riaprì solo quando la sua faccia si riposizionò a venti centimetri da quella della rossa. In tono cospiratore bisbigliò: “Sì, per mille Nargilli.”
Ginny tossì, dissimulando una risatina derisoria. Faceva ancora un po’ di fatica ad abituarsi al modo di fare di Luna che, tuttavia, la sorprese non poco, quando se ne uscì con uno schietto:
“Ci sarà anche Cho. Ormai non credo possa fare a meno delle lezioni di Harry.” Luna scosse la testa, apparentemente indispettita da qualche pensiero.
“Non pensavo avesse bisogno di altri amici....” borbottò ancora qualcosa di incomprensibile, concludendo con un: “La trovo un po’ strana..”
Ginny rimase zitta. Sotto i capelli rossi, le orecchie erano diventate del medesimo colore di quelle.
Sorrise vaga, quando Luna sbottò con: “…E anche un po’ arrogante.”
Ginny fece finta di tossire per dissimulare l’imbarazzo ma prima che potesse frenarsi, bisbigliò:
“Non sono le lezioni che le interessano..”
Luna fece vorticare i suoi occhi bulbosi verso Ginny, carichi di aspettativa. “Credi che sia entrata nell’E.S. per scoprire i piani di Quidditch di Grifondoro?”
L’espressione basita della Weasley non toccò minimamente Luna. La Corvonero continuò a fissarla con un sorriso gentile e pieno d’entusiasmo. In un modo quasi inquietante.
“Non per quello! Per Har..” Ginny non riuscì a finire la frase, perché uno scossone la fece trasalire.
L’aula piombò nel silenzio, mentre Severus Piton faceva il suo ingresso in aula.  Ginny osservò i suoi compagni rimpicciolirsi e far sparire dolci di Mielandia, riviste e bacchette nelle borse. Terry Steeval imboscò qualcosa di simile ad una barretta di Torrone Sanguinolento nell’astuccio. Piton si diresse alla lavagna, senza degnare nessuno di uno sguardo e senza afferrare il registro degli appelli. Aveva appena concluso di picchiettare le istruzioni della pozione Turmentante, quando la porta del sotterraneo si aprì di nuovo con uno scricchiolio. Dolores Umbridge, fastidiosa tosse compresa, fece dono di uno dei suoi viscidi sorrisi alla classe muta. Ginny trattenne un verso di stizza.
Luna, al suo fianco, continuò a far dondolare il capo al suono di una melodia nota solo a lei. Ginny avrebbe volentieri dato parte del suo cervello per riuscire ad apparire disinteressata e per nulla coinvolta nella lezione. Sapeva che nessuno avrebbe osato dire alcunché a Luna, né porle domande e  tantomeno interrogarla. Non perché andasse male a scuola o incapace di comprendere, ma proprio per quella sua aria imbecille, che di certo non invogliava chi le stava intorno ad averci a che fare.
Ginny si sentiva quasi cattiva  a pensare quelle cose, ma gli occhi lunari della sua vicina di banco le ispiravano un curioso misto di disapprovazione e pena. Due sensazioni che non le piacevano per nulla.
Quasi a confermare le impressioni di Ginny sulla sua presunta stupidità, Luna estrasse i suoi occhiali da pseudo demente con spirali colorate al posto delle lenti e se li posiziono sul capo, come una corona. Il perché tirasse fuori quegli aggeggi mentre chiunque in classe si affrettava a far sparire la minima cosa che potesse attirare l’attenzione -Da un incarto di torta troppo voluminoso, a una piuma di un bel blu pervinca-, rimase per Ginny un inspiegabile mistero. Non pensò tuttavia che questo potesse comportare qualche problema.
Era solo Luna Lovegood.


L’inizio di un novembre passato, un  ricordo.

“Hai mai paura?”
“No. A volte. Dipende.”
Lily sorrise cortesemente. Cominciò a far vagare lo sguardo sui ciottoli della riva, cercandone uno abbastanza piatto da far saltare sulla superficie dell‘acqua.
“Che risposta è?”
“In realtà è abbastanza semplice” mormorò James passandole davanti, scostandola con gentilezza e chinandosi sulle ginocchia. La sua mano dalle dita lunghe e magre afferrò con sicurezza un ciottolo bianchiccio, simile a un biscotto troppo infarinato.
“Perché semplice?” riprese Lily, incoraggiandolo a parlare.
“Perché la tua..” rialzandosi da terra s’interruppe, piegò mollemente il braccio, il piccolo sasso piatto stretto tra le dita. Lo lanciò con precisione tra le increspature dell’acqua, assottigliando gli occhi.
Il sasso rimbalzò una, due, tre, quattro.. Più volte. Lily lo osservò sparire tra la nebbiolina che aleggiava sul lago, perdendo ben presto il conto dei rimbalzi. Il suono secco che produceva, si fece via via più fioco, fino a tacere.
James osservò i cerchi dipanarsi sull’acqua scura, ingrandendosi fino a sparire con un mesto sorriso di trionfo. Magia senza bacchetta.
Lily rimase dietro di lui, in silenzio. I capelli fiammanti, sfuggenti dal laccio in cui li aveva imprigionati malamente, le ricadevano disordinati attorno al viso arrossato dall’aria gelida. Piccole gocce d’acqua le punteggiavano la divisa e strisce di fanghiglia le si erano incollate alle scarpe senza stringhe.
La ragazza non portava né cappello, né guanti. Con le mani  bianchissime e rese insensibili dal freddo, stringeva saldamente la borsa di cuoio, rimanendo in attesa della risposta di James.
Si chiese perché, invece che rimanere in Sala Grande a pranzare con gli altri, quell’idiota l’avesse trascinata fuori al freddo, senza nemmeno il mantello o sciarpe a ripararli, a lanciar sassi e a scarpinare sulla riva fangosa. Lily sentiva il vento accarezzarla duramente attraverso gli abiti, creando quel fastidioso effetto pelle d’oca. Ci mancava poco, presto avrebbe cominciato a battere i denti. Eppure, il coraggio di intimare a James di rientrare prima di beccarsi una polmonite, sembrava non sfiorarla mai. Non sapeva se per codardia o curiosità. O semplice educazione.
Lily sentì gli occhi lacrimarle, mentre una folata più fredda delle altre le sventolava in faccia il colletto della divisa. Si sentì fare un verso strano, cosa che attirò l’attenzione di James, ma non fino al punto di fargli notare quanto lei soffrisse il freddo.
“Andiamo ancora un po’ avanti” disse, passandosi una mano tra i capelli corvini. L’umidità li aveva resi flosci e cascanti sulla fronte, cosa che lo obbligava ogni tre minuti a lisciarseli e ad appiattirli sul capo.
Senza successo.
Lily lo seguì a malincuore. Offesa con sé stessa per la sua arrendevolezza e per il fatto che lui non le rispondesse, nonostante tutti i suoi tentativi di fare conversazione, riprese a camminare nella sua scia, lo sguardo puntato sulla nuca di James.
Il rumore dei passi sulla riva sassosa, produceva un rumore indistinto e confuso. Più volte Lily si domandò se fossero solo loro due a camminare nella nebbia o se qualcos’altro, si fosse avvicinato alle rive del lago a loro insaputa.
La sagoma  di James si confondeva nell’aria rarefatta e ben presto Lily si accorse che rischiava di perderlo di vista. Si arrischiò a corrergli dietro, commettendo l’errore di avvicinarsi troppo al lago, reso quasi invisibile dal banco di nebbia che li stava imprigionando. Si ritrovò con l’acqua al ginocchio; gridò terrorizzata, più per la morsa gelida del lago che per lo spavento. Si ritrasse rapidamente, trascinandosi sulla riva e cadendo all’indietro tra i sassolini. La borsa le sfuggì di mano, aprendosi e liberando le pergamene e i libri che conteneva, sulla terra umida.
Lily trattenne un qualcosa che alle sue orecchie sarebbe, in altri frangenti, apparsa come la più volgare delle imprecazioni. Doveva fare sempre la figura della..
“Sbadata, oggi?”
La mano di James comparve sopra la spalla di Lily, che la osservò dapprima con riluttanza, prima di accettarla. Rimase immobile a massaggiarsi i gomiti e le braccia, mentre James raccattava il contenuto sparso della borsa, riordinandolo all’interno di essa. Gliela porse, ma Lily distolse il capo, offesa.
James sollevò il sopracciglio, infastidito. “Non è colpa mia se sei finita nell’acqua.”
Lily tacque, ma al ragazzo non sfuggì la ruga sottile che le si era disegnata sulla fronte e le due agli angoli della bocca. Allora, scoppiò a ridere.
Lily lo guardò con odio, punta sul vivo. Gli strappò la borsa di mano, cominciando ad arrancare verso il castello -ovunque fosse in mezzo a quella nebbia-, zoppicando per via della gamba irrigidita dal gelo dell’acqua novembrina.
I passi misurati, ma rapidi, di James, la costrinsero ad accelerare il ritmo, tentando di sfuggirgli, almeno finché lui non l’afferrò per la spalla, costringendola a voltarsi.
“Evans.”
Lily cercò di storcere il naso, troppo rosso e troppo ghiacciato. “Potter.”
James cercò di trattenersi dal ridere di nuovo, storcendo la bocca. “Mi dici che c’è?”
“Fa’ freddo, ecco che c’è!” sbottò Lily, facendogli il verso. “Come ti può venire in mente di trascinarmi fuori, a novembre…” la voce di Lily si affievolì, perdendo grinta, man mano che James scuoteva la testa divertito. “Bastava chiedere”, rispose il ragazzo.
Frugò rapido nella borsa, da dove estrasse un vasetto di vetro in cui brillava una fiamma cerulea e guizzante. Lo depose tra le mani di Lily come un fiore delicato e la invitò ad avvicinarselo al viso per riscaldarsi le guance arrossate.
Dopodiché, con un gesto che sorprese prima lui che Lily, le posò una mano sulla schiena, di modo che potessero camminare vicini, fianco a fianco, senza perdersi di vista.
James si sentì vagamente un piccolo adulto a camminare in quel modo, vicino a Evans. Stava attento a toccarla il minimo, pur circondandole la schiena con un braccio, quasi cercando di stabilire un compromesso, ra la millimetrica distanza  dela barriera del disinteresse e quella che ti descriveva come un polipo approfittatore.
Era come cercare di stare vicino ad una donna. O cercare di proteggere un fiore.
“Giglio” disse a bassa voce. Lily lo udì distintamente, arrossendo, questa volta, per un altro ignoto motivo. Aveva timore a voltare il viso, per paura di ritrovarsi a pochi centimetri da quello di Potter. Non perché l’idea di trovarselo così vicino, le desse una sensazione fastidiosa, ma più inopportuna. Dopotutto, erano solo due compagni di scuola… Severus non si era mai permesso di toccarla con tanta confidenza.
James sembrò riscuotersi dal torpore sognante in cui era fuggito; continuando a seguire l’invisibile percorso che aveva delineato davanti a sé, riprese a parlare.
“Allora, cosa volevi sapere su di me, Evans?”
Lily socchiuse gli occhi, mentre microscopiche gocce di pioggia cominciavano ad offuscarle la vista. I rumore dei ciottoli smossi dai loro passi, rischiò di coprire la sua flebile, sciocca domanda.
“Quando voli.. Hai mai paura?”
“Dell’altezza?”
Lily inclinò il capo, riflettendo. “In generale.”
James sollevò il capo e sorrise sfrontato. “Mai”, rispose “Io sono Potter. Il magico Potter!”



Il presente, Hogwarts, una cantina familiare.


“Le piace insegnare?”
La voce di Dolores Umbridge giunse distorta all’orecchio di Severus Piton.
Era come se quella donna parlasse da sotto un cumulo di lamiere e tubi ferrosi, cosicché i versi che spacciava per parole, le uscivano dalla bocca insolitamente striduli e acuti. Come una vecchia cornacchia, benché nell’aspetto ricordasse uno dei rospi che Thomas Bower - a seguito di una punizione per.. Severus non se lo ricordava, stava distribuendo ai suoi taciturni e guardinghi compagni.
Piton non aveva mancato di notare che le schiene dei suoi allievi fossero più rigide del solito e non di certo per la sfumatura più nera del nero mantello che aveva indossato quel giorno. No. Il vero motivo della loro compostezza era lì, alla sua destra. Armato di taccuino, piuma e spille leziose con gattini dai vistosi occhioni azzurri.
Che donna mostruosa!
Chissà perché quei balordi del Wizengamot le avevano offerto una sedia. Banda di imbecilli. Piton si chiese se non l’avessero buttata nel consiglio tanto per sostituire il suo altrettanto rimbambito - ma se non altro accattivante, ogni tanto, tra una sciocchezza e una dichiarazione d’amore per Potter all’anno-, datore di lavoro.
Era colpa loro, se ora era lì a fingere di essere un mago normale, evitando di finire esonerato da un lavoro che aveva perso il suo significato il giorno stesso in cui aveva iniziato a svolgerlo, e a combattere per un posto in classifica che fosse il più possibile lontano da Hagrid l’allevatore di mostri e la regina delle previsioni azzeccate a metà e dello sherry andato a male.
Severus pensava spesso che avrebbe dovuto ritirarsi a vita privata e aprire un posteggio per camper in Cornovaglia, invece che..
Professor Piton? Professor Piton? Mi ascolta?”
Severus si rese conto che per qualche ignota ragione, stava strabuzzando gli occhi, spingendoli fuori dalle orbite, fissando un punto vuoto davanti a sé. Maledizione. Si era di nuovo estraniato da sé stesso! Come poteva permettere al suo spirito di andarsene in giro a passeggiare, progettando camper-parking e abbandonare il suo corpo alla mercé di teste di legno e di un rospo? ..
“Mi A-S-C-O-L-T-A?!”
Oddio, pensò Severus Piton, l’ho fatto di nuovo.
Si accorse di dover rimediare in fretta a quella spinosa situazione. Il suo sguardo scivolò sugli studenti non più molto rigidi ma bensì sorpresi dalla strano confronto che stava avendo luogo davanti a loro. Lavoravano ancora alla pozione, sgozzando i loro rospi e pesando il bergamotto, ma all’insegnante non sfuggirono le occhiate furtive che quegli inetti gli rivolgevano.
Incrociò le braccia  e sollevò capo, mantello e sopracciglia in una posa imperiosa. Severus non era molto alto, ma confidava nella bassa struttura ossea dell’Inquisitore per torreggiare minacciosamente su di lei.
“Abbastanza soddisfatto”, mormorò nel suo tono più greve.
“Di essere sordo?” replicò la Umbridge con un sorriso tagliente.
Piton storse la bocca in un misto di odio e offesa. “Di insegnare qui”, sibilò stentoreo.
Gli occhi della Umbridge scivolarono indagatori sulle erbe appese, sui barattoli colorati e il loro viscidume galleggiante e sui puzzolenti e dannosi calderoni degli allievi. Non si preoccupò di mascherare il suo disprezzo o brividi di disgusto nell’osservare la segreta. “Sono sicura che è orgoglioso di tutto questo“ cantilenò con un sorriso mellifluo. Piton inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla. “Bene, bene, hem hem, che altro mi può dire sul.. suo.. affascinante..lavoro?”
“Insegno Pozioni.”
“Questo lo vedo” la donna-rospo sfoderò il suo lezioso sorriso, mettendo in mostra denti aguzzi e piccolissimi, luccicanti alla luce delle torce. Severus Piton si domandò se non fossero finti. Dopotutto, una donna, a quell’età.. Era già tanto se aveva un incisivo suo, giusto?
La classica vena unticcia, cominciò a pulsare vivacemente sulla tempia di Piton. “Insegno Pozioni. Punto. Erbe, veleni, sudore e sangue. Lavoro duro e tanto, per me, per tutti. Contenta?”
Il sorriso lezioso si allargò notevolmente: “Sempre. Ora prego, farò un giro tra i suoi allievi per, hem, osservare il suo livello di preparazione. Questo è il quarto anno, giusto?”
Senza attendere una risposta dall’arcigno collega la Umbridge cominciò a scribacchiare. Quando terminò, indicò la cattedra e disse: “Può stare qui seduto mentre lo faccio. Non si preoccupi.”
Troppo scioccato per rinfacciare a quella donnaccia la sua presunzione nel comandarlo a bacchetta, Severus Piton si ritrovò seduto alla sua sedia, ritrovandosi a ipotizzare il modo più doloroso e atrocemente mortale per togliere la vita a quella megera. Il suo sguardo impenetrabile vagò minaccioso sugli studenti che si affrettarono ad abbassare il capo e a tornare ai loro fumi giallastri odorosi di fallimento. La Umbridge quasi scompariva dietro alle volute di uno dei calderoni, intenta a confabulare con alcuni giovani Grifondoro. Piton seguì per un po’ la conversazione, benché troppo fioca per essere udita e poi, qualcosa di rosso catturò la sua attenzione.
Maledizione, non di nuovo. Stupide allucinazioni.
La Lily quindicenne dei suoi ricordi più amari, quella Lily tanto desiderata che l’aveva ‘aggredito’ alla torre orologiaia, era ora seduta ad un banco, sventolando una mano in un gesto strano dal fondo dell‘aula, salutando lui, con un sorriso al tempo stesso ammiccante e perfido.
Storceva la bocca, parlandogli in silenzio e ridendo. Piton non aveva dubbi, lo stava prendendo in giro, con quel modo così simile a quello di Potter e i suoi amici..
Quello che Lily aveva poi adottato..
Severus Piton sentì un fremito nelle mani, cosa insolita avendo il resto del corpo paralizzato dalla paura -poteva essere quella?- e dall’imbarazzo.
Andava bene vedere fantasmi evocati dalla sua psicologia contorta quando era da solo. Andava meno bene se c’era qualche svitata come Lovegood in zona.
Ma, la prospettiva di ritrovarsene uno, davanti a quasi trenta persone in una truce e fumosa aula, compresa una vecchia befana che alla minima occasione se ne sarebbe approfittata per ...
Per qualcosa…
Severus non riusciva nemmeno a ipotizzare le conseguenze di una tale disgrazia. Conseguenze che, se non avesse fatto qualcosa, l’avrebbero fatto scivolare nella classifica del peggior insegnante dell’anno, con tanto di espulsione dal corpus docente.
Severus alzò gli occhi verso i fondo dell’aula. Lily era ancora lì, ma ora brandiva un coltello e si apprestava a procurarsi le cornee del rospo di Vilcabamba, con un vecchio coltello dalla punta uncinata. Senza guanti di protezione e con una cattiveria non da lei. Come se il rospo le avesse fatto un affronto personale.
Al momento di infilare il coltello sotto la palpebra per far scivolare l’occhio dell’anfibio fuori dall’orbita, Lily sollevò la testa verso Severus con un sorriso meschino.
L’insegnante si morse il labbro e guardò con vero orrore quel viso di ragazza deformato da.. Severus non sapeva nemmeno definirlo. Era trionfo, era disprezzo, era malattia. Le orbite di Lily gli apparivano cave nella luce scarsa delle torce e nella penombra dei fumi, tossici senza dubbio, pensò Severus, studiando distrattamente le prima, la seconda e la terza fila di destra della classe.
Si sentì sollevato a metà, quando si accorse che nessuno degli allievi sembrava essersi accorto del suo smarrimento o del fatto che, in fondo alla classe, si fosse palesata la presenza di un allieva morta da tempo e che, in barba a tutte le regole magiche, metafisiche, naturali, stava versando le interiora e le cornee del rospo squartato in un calderone.
Severus Piton si ripeté di non commettere l’errore che in quei casi lo aveva portato a fare scelte discutibili -Abbracciare Luna Lovegood, mettere sul rogo il compito di Malfoy..-, e decise di alzarsi con circospezione, avvicinandosi a Lily intenta al lavoro. Per un momento si chiese se non fosse ancora Luna.. Ma no, eccola lì. Proprio a lato di Lily, immobile..
Lo sguardo di Severus tornò rapito verso la sua amica d’infanzia. Più si avvicinava, muovendosi con una naturalezza e una calma che in quegli istanti non gli appartenevano, si accorse che il rosso dei capelli di lei era molto più color carota che mogano, per non parlare di quelle lentiggini che all’occhio critico di Severus, le deturpavano letteralmente il viso.
E finalmente, qualche entità superiore sgombrò il cervello del laconico insegnante, così da potergli mostrare..
“Weasley..” mormorò sconvolto. Quell’allucinazione era orribile. Tutte erano orribili. Tempo due settimane e avrebbe rischiato di confondere anche Hagrid per una quindicenne ragazza morta.
Dannazione, dannazione, dannazione. Ogni suo controllo veniva annientato da quel ricordo malevolo. E Severus sapeva di non poterci fare nulla, perché se lo meritava. Se Lily era morta e lo tormentava era solo colpa sua.
Come  sapeva che avrebbe continuato a farlo, finché non si fosse deciso  a smetterla di rifugiarsi nel Pensatoio ogni volta che poteva, voleva, doveva.
Lily era stata il suo ossigeno, la sua immobile, incrollabile ragione di vita. Ma da quando era scomparsa, Severus si rifiutava di comprendere che ciò che stava respirando, era solo aria viziata.
“Mi è sparito il rospo, professore” disse Weasley senza inflessioni particolari nella voce. Non c’erano né paura, né timore nel suo modo di rivolgersi a lui. Piton corrugò arcigno le sopracciglia, ritrovando sé stesso. Non era Lily, non lo era affatto. Ma lui era un insegnante di Hogwarts e ora, ora era in classe e come tale doveva comportarsi. La femmina Weasley era famosa per la sua schiettezza e il cipiglio irremovibile, ma non era un problema per l‘arcigno Piton, anche se la ragazza costituiva una seria eccezione tra membri dello smidollato Potter Club. Da Granger Sotutto o dal fratello Pel di carota, per non parlare di Paciock o dei due gemelli Weasley . Era anche abbastanza graziosa, benchè Severus considerasse tutte le ragazze rosse di capelli come copie mal riuscite della sua Lily.
Piton fissò gli occhi di Ginny, in silenzio. Poi parlò:
“Non è un problema mio, Weasley.”
Ginny assottigliò leggermente le palpebre. “Lo comprendo, la pozione è compito mio. Ma il mio rospo è sparito e mi sono allontanata solo un attimo, perciò...”
“Sciocchezze Weasley. Ti ho visto io dalla cattedra mentre lo sezionavi.”
Ginny s’impuntò. Lei non aveva mentito, quel maledetto rospo non l’aveva nemmeno toccato.
“Come ha fatto a vedermi se io stessa non ho visto il mio rospo?”
Piton si portò una mano tra gli occhi, massaggiandosi la fronte, scocciato. Era un diverbio così stupido.
Lily è stata Lily Evans, avrebbe voluto ringhiare in faccia a quella pretenziosa Potter-Fan, solo che è più comodo dare la colpa a te, perché tu sei viva e lei è morta.
Piton rimase immobile, più teso di quello che la sua maschera imperscrutabile suggerisse. Non gli riusciva difficile, eppure un dilemma lo assalì: Weasley non si era accorta di essere, come dire, posseduta? Se di possessione si era trattata..
Fissò la ragazza davanti a lei, che non accennava ancora ad abbassare gli occhi carichi di rabbia e sfida. Piton congiunse le mani, con esasperata lentezza, riflettendo.
Non era il momento di porsi simili interrogativi su presenze dell‘aldilà più o meno reali, bisognava trovare un capro espiatorio per l‘anfibio scomparso. Piton si voltò verso un fumoso punto della classe e ringhiò: “Signor Bower, perché non hai dato il rospo a Weasley?”
Il viso di Bower spuntò da una nuvola verde elettrico, l’espressione intimorita. “Ma professore, io ho dato a tutti il loro rospo. Ce n’era uno per ognuno, non credo che..”
“Certo. Sta zitto. Allora Weasley,” disse Piton incrociando le braccia con aria annoiata e infastidita, “Sembra che bisognerà levare qualche punto ai Grif..”
La voce sognante e un po’ stridula di Luna Lovegood interruppe il discorso di Piton come una scossa elettrica. O almeno, così Piton la percepì.
“Ginny, le budella del tuo rospo sono cotte, faresti meglio a scolarle.”
La faccia coloratamente occhialuta di Luna emerse dai fumi giallini del calderone di peltro, per poi tornare al suo, da dove si sprigionavano flebili fili turchesi. Guardandola Piton comprese che se qualcuno, quel giorno, era riuscito a ultimare la pozione, bè, era stata la Lovegood.
La fronte di Piton si decorò di varie rughe, mentre controllava il contenuto del calderone della Weasley. L’occhio bulboso del rospo galleggiò sulla superficie, per poi esplodere con un plop! sommesso. “Bene, Weasley. Ora giochiamo a fare le bugiarde? Sappi che i preziosi punti della tua Casa te li leverò lo stesso, per essere un’ingrata. Preferivi mettere nei guai Bower?”
Ginny sembrò boccheggiare, farfugliando interdetta. “Non sono stata io! Non l’ho nemmeno toccato! Stavo strappando le zampe all’Avonero!” si guardò attorno, allargando le mani.
“Non ci sono nemmeno gli scarti qui!”
“Certo” disse Piton sardonico, “Adesso mi dirai che sei stata posseduta.”
Ginny si arrabbiò per l’ingiusta frecciata che la riportò indietro ad un certo incidente fatto di serpenti e fogne. Piton cercò di leggerci dell’altro in quella rabbia, ma non ci riuscì. Si appuntò mentalmente di schiaffare sul cervellino della femmina Weasley, un bel Legilimens per risolvere l’arcano.
“Dieci punti via da Grifondoro. Più una nota di demerito sul registro, Weasley. E..” Piton sollevò un braccio intimandole di starsene zitta, “ Un tema di trenta pagine sulle specie di rospi diffusi nel Sud America, se non riuscirai a terminare la pozione entro..” Piton si fissò il polso come se ci fosse un invisibile orologio, “Oh, sì. Entro venti minuti.”
“Ma..” Ginny scoccò uno sguardo furente a Luna, ormai estraniatasi da ciò che la circondava. Sicuramente era stata lei a sezionare il suo rospo e a versarlo nel pentolone, per fare una di quelle che lei definiva gentilezze, probabilmente. Poteva dirglielo prima!
“Non è giusto! Non è assolutamente giusto!” le mani di Ginny si chiusero a pugno, cosa che non intimorì per nulla Severus, che incrociò le braccia, imperioso.
“Signorina, vorrei dirti che la vita non è giusta, ma rischierei di ripetermi.”
Piton fece per allontanarsi, senza dedicare ulteriore attenzione alla Weasley e, soprattutto alla Lovegood. Non le aveva più rivolto la parola da quando era venuta alla torre a lamentarsi, ma la cosa non lo preoccupava affatto. C’era anche da dire che  Luna Lovegood in classe, era un’entità diversa rispetto a quella che lo tormentava fuori dall’aula. Com’era ovvio, non si preoccupò di giustificare o di premiarla per aver inguaiato la Weasley. Solo, la ignorò.
Hem, hem.
Severus Piton si ritrovò a sbattere contro Dolores Umbridge. A quanto sembrava l’aveva raggiunto alle spalle, durante la diatriba con la Wesley e doveva averla seguita con vivo interesse, a giudicare dagli occhi luccicanti e le narici frementi come un cane che fiuta la preda. Severus inclinò il capo, abbastanza perché potesse guardarle il viso e l’assurda permanente che lo decorava, in attesa.
“Apprezzo i suoi metodi educativi”, chiocciò la strega. “Soprattutto il fatto che punisca i bugiardi.”
I suoi occhi lampeggiarono, incrociando quelli furenti di Ginny.
“Tuo padre lavora nel derelitto settore dei Babbani al Ministero, non è vero?”
“Sì”, rispose Ginny a denti stretti.
“Povero Archibald. Aggiungere altra vergogna alla sua precaria posizione! Sono i bambini come te, il pericolo per la nostra società, piccoli fili d’erba malvagi..” Dolores Umbridge rise, indifferente all’espressione calcolatrice e diffidente che Severus manteneva dietro la sua cortina untuosa.
“Ma”, continuò la donna, “Non credo che ci sia da punire solo la giovane Weasley, qui. Se permette.”
 La sua tozza mano ingioiellata spinse Piton di lato, energicamente. Con sorpresa di quest’ultimo, la vecchia strega tarchiata si posizionò, le braccia sui fianchi, davanti a Luna, che continuava a rimestare la sua pozione, per nulla coinvolta o interessata al dibattito che si stava volgendo attorno a lei, nonostante tutti ormai nella segreta tacessero e si fossero messi a fissare l’evolvere degli eventi nel fondo dell‘aula.
“Trenta punti in meno alla sua Casa, signorina. E una punizione con me, domani nel mio ufficio. Io, a differenza del suo magnanimo e altruista professore, non punisco solo i bugiardi, ma anche gli infami. Come te.”
Luna sollevò lo sguardo dal ventre del calderone, spingendosi gli occhiali sulla fronte. Gli occhi bulbosi rotearono dalla Umbridge, a Ginny - che ora era combattuta tra una perfida gioia e il dispiacere-, a Piton.
Severus rimase interdetto. Aveva saputo della perfidia dell’ Inquisitore supremo e di come si divertisse a infliggere punizioni, da cui lui stesso traeva spesso spunto e idee, ma in quel momento, per qualche inspiegabile ragione, avvertì un moto di disappunto.
Gli occhi vacui di Luna si posarono su di lui a lungo e, forse per la sua immaginazione o semplicemente perché la faccenda era così e basta, erano grevi di accusa e sfida.
Avrebbe osato ribattere?
La Umbridge parlò di nuovo, prima di riprendere il suo giro: “Domani alle sette, signorina. Non porti piume o libri. Ho io quello che serve.”
Luna abbassò gli occhi, senza far vedere agli altri quanto poco fossero sognanti in quel momento. Non erano nemmeno tristi o arrabbiati, sentimenti già più che umani, bensì vacui e privi di vita come quelli dei pesci stesi sui letti di ghiaccio del mercato.Tornò a lavorare sulla sua pozione Turmentante, quasi ultimata.
Ginny osservò la Corvonero a lungo. Avrebbe voluto dare ascolto a quella parte di sé stessa che le imponeva di criticare e impedire ogni ingiustizia e aggredire la Umbridge, ma era troppo amareggiata per le punizioni inflitte da Piton e per il fatto che Luna, nonostante i suoi sforzi di trattarla da amica, fosse troppo lunatica o disinteressata per capirlo. Comprendeva quasi tutte le sue stranezze, ma accettare il suo parlare a vanvera e a sproposito, non era fra quelle.
Piton tornò verso la cattedra, senza guardare nessuno. Il gorgogliare di calderoni e lo sciabordio dei mestoli accompagnarono i restanti minuti della lezione, fino a venire interrotti a loro volta, dal suono della campana.


Ancora novembre, il Lago Nero, il passato.

La pioggia li aveva colti di sorpresa. Impreparati. Si erano rifugiati sotto un albero, stranamente accartocciato su sé stesso, con le fronde abbastanza fitte da riparli dalle gocce fini e punzecchiati come spilli.
Lily sfruttò finalmente la sua abilità nelle magie casalinghe, per asciugare gli abiti di entrambi e seduti attorno alla calda fiammella sottovuoto, se ne stettero tranquilli ad aspettare il diradarsi della nebbia che li avvolgeva.
Sedevano entrambi con le schiene appoggiate al tronco dell’albero, ancora di fianco l’una all’altro. Lily si sentiva ancora imbarazzata per quella strana scelta. Quando era con Severus sedevano sempre l’uno di fronte all’altra. Non era abituata a quel contatto, nemmeno con le sue amiche.
“Allora Evans, hai finito con le domande sul Quidditch?”
“Credo, almeno”, Lily sorrise. “Insomma, è qualcosa di strano per me..”
James si girò verso di lei, “Ma al primo anno hai volato anche tu, no?”
“Sì, bè… non è stata un’esperienza molto felice”, mormorò Lily con lo sguardo basso.
James rise. “Non è stata un’esperienza molto felice? Evans, ma come diavolo parli?”
Lily lo guardò con occhi sbarrati, incerta. James rise ancora di più, posandole una mano sul capo e scuotendole con grazia i capelli.
“Sei troppo perbene, Evans. Dovrebbero portarti ad Azkaban per eccesso di buone maniere!”
Lo sguardo atterrito di Lily alle sue parole, costrinse James a tornare serio. “Che hai?”
“Azkaban.”
James le scoccò uno sguardo interrogativo. “La prigione magica, Evans, non dirmi che..”
“Si, so cos’è. Me l’ha detto Severus”, mormorò Lily. “Da quando me ne ha parlato non riesco a non..”
“Averne paura?” James afferrò un lembo del pullover di Lily e cominciò a giocherellarci. “Mocciosus è un povero idiota oliato. Non ha la minima idea di come parlare ad una ragazza! E a spiegare le cose è un cane. Parlare di Azkaban piuttosto che di Quidditch? Deve essere..”
“Smettila James” disse Lily in tono deciso, cosa che colpì il ragazzo, almeno quanto il fatto che lei si fosse rivolta a lui usando il suo nome. “Lo sai. Sev è un mio amico, non devi.. offenderlo.”
“Un giorno dovrai dirmi perché ci passi tutto quel tempo. Cos’ha quello che io non ho?” domandò James, sinceramente interessato. “Un naso più grande del mio?”
Lily trattenne un sorriso.
“Capelli più lucidi?”
Lily sbuffò, indecisa se ridere o riprenderlo per la sua impertinenza.
“Non sei spiritoso” replicò la ragazza, corrucciata, “So che lui è un po’... paranoico riguardo a te e ai tuoi amici, ma non ha sempre…”
James fece un espressione gongolante, i denti luccicanti in una smorfia euforica. “Riguardo a me? Sono il suo peggior incubo, non è vero?”
Lily lo fissò imbronciata. “Sei pregato di smetterla. Severus non saprà difendersi, ma io sì. E molto bene, te lo assicuro.” Per rimarcare le sue parole, fece il gesto di sfilare la bacchetta dalla manica in cui la riponeva.
James, per nulla turbato dal cipiglio di Lily, le mollò un pugno scherzoso sulla spalla.
“Sempre a difendere i deboli, vero? Sempre Mocciosus.. Però quando devi offendere Sirius io devo stare zitto, vero?”
Lily sbatté le palpebre, colpita. “Scusami, io non ..”
“Lascia stare, sei perdonata. Non sarai l’ultima che gli darà addosso per la sua.. Insensibilità maschile!”
Lily non riuscì a trattenere un sorriso. “Insensibilità maschile? E poi sono io quella che parla altisonante!”
James si atteggiò scherzosamente a duro, parlando con voce roca.
“Tesoro, devo nascondere il mio lato sensibile.”
Lily rise divertita, riso che si spense non appena vide l’espressione seria di James.
“Ti piace ancora?”
Lily distolse i suoi occhi verdi da quelli nocciola di James, cercando di nascondergli quello che il suo cuore conteneva. O almeno così credeva.
“Non lo so. A volte.”
James corrugò la fronte, contrariato. “Quindi, accettare di uscire con me oggi è stato un bieco tentativo di corrompere me per arrivare a Sirius?”
Lily spalancò la bocca, interdetta. “Uscire con te? Questo è un appuntamento?”
James sostituì alla sua aria seria un espressione offesa. “Perché? Non lo sembra? Credevo che quando.. All’orologio, due settimane fa.. Avevi accettato, se non sbaglio!”
Lily spalancò ancora di più gli occhi, indecisa tra un sorriso o una smorfia di disappunto. “Trascinarmi fuori sotto la pioggia senza spiegazioni, al lago, in pieno autunno...
E' un appuntamento per te?”
“Bè, non potevo certo portarti a Hogsmeade come le altre, Evans.”
Lily non riuscì a nascondere in fretta l’espressione amareggiata che le calò sul viso, al che James si affrettò a rimediare, torcendo il busto e cercando di mettersi davanti a lei, parlandole a quattr’occhi.
“Non fraintendere, Evans. Se ti ho trascinato qui, perché ti ho trascinato è vero, l’ho fatto perché non volevo che fosse un appuntamento. Volevo.. Che ci fossi tu. E io. Insomma, una cosa così. Diversa dalle altre. Solo io... E te.”
Lily rispose titubante. Una strana sensazione di paura e tranquillità le pervadeva le membra, per non parlare della pancia che le doleva, per qualche inspiegabile ragione. Avvertiva una certa tensione nell’aria umida e immobile. Forse era colpa di quella nebbia che nascondeva tutto, rinchiudendoli in una bolla ovattata dove regnava solo quella bianca foschia. Sembrava che le stesse parole di James, avessero evocato quella sensazione, come una formula magica per il mal di stomaco e il dubbio.
“Io e te.. Come.. amici?”
Questa volta fu James a distogliere lo sguardo. Lily vide i suoi occhi incupirsi, la bocca diventare una linea sottile. “Certo. Come amici, Evans. Naturalmente avrei invitato anche Moccio.. Scusami, intendevo il caro Severus, ma non si può dire che frema di gioia all‘idea. Anche perchè credo voglia uccidermi.”
Lily gli batté amichevolmente la mano sul ginocchio, tanto per rimarcare le parole poco convinte del ragazzo e maledicendosi per il sorriso divertito che le era spuntato, quando James aveva parlato di Severus. Era sollevata, per un attimo aveva creduto che.. No. Era stato solo il salto di umore di James che l’aveva disorientata e cercò di rimediare.
“Quand’è che abbiamo smesso?” gli domandò.
“Smesso cosa?” domandò James laconico. Tornò a guardarla negli occhi, ma a Lily non sfuggì il velo inquieto e amaro che ora gli animava le pupille.
“Di essere.. conoscenti. Insomma.. Prima ci salutavamo a malapena..”
“Sarebbe..” James tossicchiò, indeciso su come esprimersi. “Sarebbe meglio dire che non ci sopportavamo.”
“Da quel giorno sul treno”, disse Lily.
“Da quel giorno sul treno”, gli fece eco James, il velo di inquietudine un po’ allentato sulle sue iridi. “Sembra che il quinto anno a Hogwarts porti bene”, commentò con un sorriso sghembo. Lily si rese conto che ora la stava guardando, la stava guardando veramente. E non solo perché gli unici abitanti del mare di nebbia, in quel momento, fossero loro due.
“Stai crescendo anche tu, Lily Evans” disse piano, scegliendo con cura le parole. James parlò con il tono di uno più grande, come se non fossero coetanei.
“Mi chiedo come hai fatto. Sei tornata di nuovo qui, dopo l’estate, come tutti gli altri anni, ma.. Eri, sei.. dannatamente diversa.” Il tono di James si fece beffardo, nel cercare di spiegare un concetto che a lui stesso sfuggiva, “E.. hai scelto Sirius, perché è quello che le ragazze a quest’età fanno. Come le tue amiche.. Buffo, vero?”
Corrugò le sopracciglia, non perché fosse offeso ma come se stesse ragionando su un problema difficile da districare.
“Ti comporti come se ti piacesse Sirius e, credimi, hai tutte le qualità per piacergli..”
“Ma?” domandò Lily piano. Non capiva dove volesse andare a parare il ragazzo. Non capiva ciò che stava cercando di dirle..
James posò lo sguardo sulla riva, dove l’acqua sciabordava piano, nascosta dal vapore delle nebbie. “Ma rimani come una bambina. Ingenua, senza malizia. E non capisco quello che vuoi veramente.”
Lily scosse il capo, intristita. “Non è un gran complimento.”
“Oh, no, mi hai frainteso!” James tornò a dedicarle tutta la sua attenzione, gesticolando allarmato. “Il mio è un grande complimento. Detesto le persone.. Come dire.. Tu sei diversa da loro.”
James le aveva preso la mano di scatto e aveva cominciato a parlare con foga.
“All’inizio ho pensato fossi stupida quando sei rimasta là, impalata ad aspettare Sirius.. Uguale a tutte le illuse che ti avevano preceduta. E solo parlando con te mi sono reso conto di quanto fossi caparbia, fiera, orgogliosa!” James stava sorridendo entusiasta e Lily non ne capiva il perché. Sembrava preda di un incantesimo Esaltante. Poi, tornò serio.
“Non ti ho mai prestato attenzione, la dovuta attenzione, perché.. Non riuscivo a inquadrarti. Non ti capivo. Eri con Mocciosus, eppure non eri.. Come lui. Stavi con le tue amiche.. Ma non eri come loro.”
Lily si accorse che gli occhi le bruciavano e di non poter parlare, perché se l’avesse fatto avrebbe cominciato a piangere come una patetica fontana e non sarebbe stata sicura di riuscire a fermarsi.
“Tu sei Lily Evans. E me ne sono reso conto solo quando ti ho parlato, in quel momento, in quell’istante. Ti ho visto così, senza difese.. E mi è venuta voglia di difenderti.”
James s’interruppe. Rimase a contemplare il viso di Lily, mentre un tarlo nella sua testa urlava freneticamente: Baciala! Baciala! Baciala ora, idiota di un Potter!
Inclinò leggermente il capo. Inevitabile, quando il tuo naso è un po’ più lungo. Li separavano solo pochi centimetri..
Il rumore di passi frenetici, troppi passi, sui ciottoli della riva fece voltare Lily di scatto. James non fece in tempo a maledirsi che un enorme cane nero si slanciò fuori dalle pareti di nebbia, ringhiando in tono basso.
Lily sgranò gli occhi, ma non urlò. Sapeva chi si celava dietro quella sagoma. Severus glielo aveva detto. “A che gioco giochi Potter?” sibilò incattivita e guardinga. Che sciocca farsi abbindolare così, ma era James Potter e avrebbe dovuto aspettarselo. Si sentiva un’ ingenua, esattamente come aveva detto lui. Aveva davvero creduto che quei pochi minuti trascorsi assieme a parlare di sciocchezze avessero potuto cancellare l’arroganza e la presunzione che trasudava da ogni poro di Potter.
James scrollò attonito il capo. “A Quidditch!” accennò un sorriso sghembo, che fece ancor di più infuriare Lily.  “Severus ha ragione a criticare te e i tuoi modi! Sei solo..”
La pelle bianchissima di Lily si era imporporata notevolmente, segnalando al ragazzo che forse l’entrata in scena di Sirius aveva abbastanza scombinato i suoi piani.
Perché quell’idiota non aveva aspettato che Evans se ne fosse andata?
All’inferno, pensò James, tirandosi in piedi velocemente. Lily fece lo stesso, ma a differenza sua, afferrò la borsa e cominciò a correre, sparendo nelle nebbie. James si riprese in fretta e cercò di andarle dietro, ma il vapore si era ormai richiuso dietro di lei, rendendola introvabile.
La voce di Sirius lo riportò alla realtà. “Paura, eh?”
James si lanciò dietro di lui. Non era arrabbiato con Sirius, non gli riusciva quasi mai con lui, ma offeso sì.
“Stupido cane!”
“Ehì!” Sirius mise le mani davanti a sé, per afferrare il braccio levato di James, ancora in lotta con sé stesso per capire se doveva colpirlo seriamente o in modo scherzoso.
“Dovevi portarla ai Manici di Scopa e offrile uno di quei drink con ombrellino e fiori. Ovvio che sia fuggita. Un appuntamento sotto un albero? Mentre piove? In pieno novembre?” Sirius scosse il capo, deluso. “Hai perso del tutto il tuo tocco magico James. Il vecchio metodo Potter attirava di più.”
“Smettila per favore.”
“Per favore?” Sirius fece una faccia esageratamente sbalordita. “Quella donna ti ha cambiato amico mio. Vedi di tornare in fretta  te stesso!”
L’occhiata che James gli indirizzò fece tacere per un po’ Sirius che iniziò a fischiettare la sigla di apertura di MagoMatto, popolare show radiofonico del momento. Il fatto che quella trasmissione fosse incentrata sugli scherzi molesti, fece agitare qualcosa nella mente di James, ancora affascinata dall’immagine di Lily sotto la pioggia, a pochi centimetri da lui.
“E' un po' di tempo che Mocciosus se ne va in giro allegro per i corridoi, non credi?” mormorò distrattamente, cominciando a frugarsi nelle tasche alla ricerca dell’ultimo Boccino vinto, trofeo di una partita Grifondoro-Serpeverde.
Sirius rispose dopo un attimo di silenzio, incerto tra un ghigno e una risata accondiscendente. "Davvero lo trovi allegro, James?”
“Sì” rispose James cercando di scrutare tra le nebbie, là dove Lily era sparita.
Le sue mani si richiusero a pugno sul Boccino e lo strinse finchè le nocche divennero bianche, prima di liberarlo nell’aria, dove cominciò a librarsi, zigzagando. “Quell'idiota ha qualcosa che io non ho, Sirius.”
Sirius fece spallucce, sbuffando divertito. “Non essere avido, James. E poi dubito che Mocciosus abbia qualcosa che possa essere di valore per te... Tranne, bè...” Sirius all'improvviso sorrise, comprendendo dove voleva andare a parare l'altro.
James fece una presa particolarmente riuscita vicino all’orecchio dell’amico. Senza emettere il minimo verso o fare una smorfia. Impassibile. “Non è giusto" disse "Una ragazza tanto bella, vicino ad un essere così brutto...”
Sirius sorrise ancora. Un sorriso entusiasticamente perfido e calcolatore, che rese i tratti del suo bel viso più famelici e arroganti, simili a quelli di un vero Black, come avrebbe detto la sua cara madre.
“In fondo,” riprese James guardando ora il Boccino svolazzante, ora lanciando significative occhiate a Sirius, “Una simile ingiustizia...”
L’amico allargò il sorriso, gli occhi luccicarono febbrili.
“..Deve essere corretta.”


Il presente, torri di Hogwarts.

Il senso di colpa per Severus Piton era un vecchio amico. O quasi. Era più uno scomodo compagno di vita, che anno dopo anno, fin da quando era dolorosamente venuto al mondo, lo aveva accompagnato in ogni istante, oscillando da eventi banali -come l’avere mentito ai signori Evans sul campo estivo in cui avrebbero mandato Petunia- a quelli più gravi -aver condannato a morte, colei che aveva trasformato la sua misera e vigliacca esistenza in qualcosa di vagamente umano.
Perciò quando il senso di colpa, perennemente presente nel suo macchinoso e oscuro cervello si fece più pressante e pungente, Severus Piton cercò di non farci molto caso, sbrigando le faccende quotidiane come se nulla fosse. Maledisse Potter, tolse punti ai Grifondoro e agli altri odiosi studenti affiliati. Privilegiò i Serpeverde, evitando tuttavia la riconsegna dei compiti, ignorando la faccia delusa di Malfoy, ed evitò Silente. Chiacchierò in tono lugubre con la Mc Grannitt, scrisse un gufo a Shakebolt per rimandare la sua partecipazione alla riunione di quella sera, tra la muffa di Grimmauld Place e ne spedì uno a Lucius Malfoy, in cui scrisse cose che gli mettevano rabbia e furia nel cuore al solo immaginarle.
Non aveva voglia di occhiate astiose a cui ribattere in modo pungente e sarcasticamente arguto, a cani e lupi, a nobili o a serpenti. Fare l’ambigua spia tra bene e male, costava la sua discreta fatica.
Così, quando la sera calò sul castello e Severus Piton si ritrovò affacciato alla finestra serrata, dove qualcuno dall’alto dei cieli lanciava secchiate di pioggia battente, non poté fare a meno di pensare all’ingiustizia subita da Luna Lovegood quel mattino.
Il fatto stesso che ai suoi occhi quel fatto gli apparisse come un’ingiustizia era di per sé, straordinario. Severus Piton non si faceva problemi a privilegiare i Serpeverde e a maledire tutti gli altri o a fare il sostenuto, l’arcigno, il perfido sempre e comunque, con chiunque, perché Severus Piton sapeva di avere la sua parte.
Era un uomo solo, non ci voleva granché a rendersene conto. Lui stesso, guardandosi allo specchio, oh, mesi dopo la morte di Lily, aveva compreso che non sarebbe più riuscito ad essere un vero essere umano che stringe legami regolati da sistemi affettivi più o meno duraturi, più o meno complessi.
Non sarebbe stato più nessuno. Il fatto che vivesse in una scuola dove il senso comunitario e il cameratismo erano alla base dei valori dei fondatori, non lo influenzava minimamente.
Severus Piton era un uomo solo, spezzato a metà. Privato della sua luce, aveva compreso che il resto dei suoi anni, che sarebbero stati sicuramente una manciata, li avrebbe trascorsi diventando una marionetta sotto l’egida di Silente, calcando al massimo quel lato acido e incattivito della sua anima, fino a rendersi una macchietta, uno stereotipo. Il tenebroso professore delle segrete di Hogwarts, insegnate di Pozioni.
Severus Piton non esisteva più e lui lo sapeva. Gli era rimasta solo quella corazza da eroe gotico che lotta per un redenzione che con tutta probabilità, non gli sarebbe mai stata concessa.
E adesso, c’era quell’emarginata di Luna Lovegood con i suoi problemi e i blandi tentativi di Silente che voleva fargli trascorrere del tempo assieme, come se lui Piton non avesse altra gioia nella vita che diventare il guardiano di una svitata con gli occhi a palla.
Piton aveva il sospetto che Silente leggesse troppe riviste di Stregapsiche, con tutti quegli articoli sul ‘come creare situazioni per incrementare il dialogo in famiglia’. L’idea delle serate e dei pomeriggi che il Preside gli aveva intimato di trascorrere con la Lovegood era abbastanza balzana da essere scaturita da quelle pagine, rifletté.
Il fatto che la Lovegood avesse fatto la spia sulla Weasley, anche se con tutta probabilità si era solo limitata a straparlare come al solito, lo spinse a pensare che, forse, Luna Lovegood non avesse bisogno di una guida, quanto di un po’ di Magiscotch per tenerle chiusa la bocca. Molto Magiscotch.
Il riflesso della sua faccia cattiva sul vetro bagnato lo catturò. Si trovò terrificante, simile ad un mago mistico troppo preso da sé stesso per sforzarsi a pensare agli altri. Silente si era fatto sfuggire che Luna avrebbe dovuto aiutare lui, ma come? E, cosa non meno importante, perché?
In fondo, lui era Severus Piton. Solo, sì. Spezzato? Certamente. Scontroso? Non v’era alcun dubbio. Perché prendersi il disturbo di aiutare qualcuno già perduto in partenza?
Severus inclinò il capo, cercando di vedere oltre lo spesso strato d’acqua che scorreva a cascata giù per il vetro. Facendolo, colse il baluginio di una luce perlacea alle sue spalle, un ellisse né liquida né gassosa. Il Pensatoio.
Pensare all’incidente Lovegood-Weasley - più l’Inquisitore, ricordò Severus pieno d’orrore. La sua vita era già abbastanza brutta senza che lui pensasse a quella befana-, gli aveva fatto scordare per un attimo la visione che l’aveva scatenato.
Era fuor di dubbio che questa volta l’allucinazione di Lily, si era, in qualche modo, proiettata sulla Weasley e - qui il cervello di Piton s’illuminò-, probabilmente si era anche impossessata del suo corpo senza che lei se ne rendesse conto. Come spiegare altrimenti l’incidente del rospo nel calderone? Non di certo con una presenza fantasma che vedeva solo lui.
Lo scrosciare della pioggia fuori dai vetri bui coprì il gemito soffocato di Severus. E se le allucinazioni stessero diventando solide? Lily poteva forse ritornare, grazie a lui, grazie alla strenua insistenza con cui cercava di rivivere i ricordi passati?
Lanciò uno sguardo allo scintillante magma del bacile, posato nella vetrinetta dei libri. Di cosa poteva essere capace quell’artefatto?
L’aveva usato talmente tanto che era quasi possibile ipotizzare effetti collaterali non spiegabili..
Eppure, queste domande risuonarono vuote, prive di risposta, mentre l’oscuro insegnante si allontanava dalle finestre a larghi passi, verso l’opalescente scintillare del Pensatoio.
Quando si fece scivolare nella sua poderosa collezione di ricordi e memorie, strappate all’oblio del tempo, tutto svanì. L’Ordine della Fenice, il Signore Oscuro, il compito bruciato di Malfoy, Harry Potter, Albus Silente, l’angoscia delle allucinazioni, i Mangiamorte,  il senso di colpa, Luna Lovegood, i suoi doveri, le sue scarse ambizioni..
Ogni cosa, tutto, si dissolse nel vacuo luccicare d’argento e di una fitta nebbia bianca, sulle rive del Lago Nero, in un ricordo non suo. Un ricordo rubato, eppure tanto caro, tanto odioso, di una ferita all’orgoglio all‘inizio di novembre.


Ciao a tutti!
Allora, questo è stato l'ultimo capitolo disponibile su Accio =)
Sono quasi identici, a parte ovvie correzioni. Comunque. Da domani inizierò a postare i nuovi capitoli -ultimamente il tempo libero moi piove addosso- perciò continuate a leggere e a commentare!
Ringrazio tutti coloro che mi recensiscono e mi hanno scritto messaggi di apprezzamento (Sì è vero, adoro scrivere questa storia).
Vi saluto!
Exelle

Nota sul capitolo: So che scrivere spiegazioni su ciò che si è scritto esce un po' dall'etica dello 'scrittore' (Nel mio caso fan writer), tuttavia, sappiate che il ricordo in cui cade Piton alla fine del capitolo è quello che ho descritto in due parti nel corso della storia. Metterlo alla fine sarebbe stato un po' paccoso... Ehm.

  
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