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Autore: baby80    29/12/2010    17 recensioni
La storia dei nostri amati Oscar e André attraverso lo sguardo di un personaggio delicato e silenzioso, che ci mostrerà tutto quello che non è stato detto e non è stato visto, tutte quelle parole e quei gesti che sono rimasti celati dietro ad un'ombra...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Indietreggio di qualche passo, quel tanto da rasentare il muro al mio fianco, ed attendo la sua venuta col respiro affannoso e il cuore in tumulto.
Tendo l'orecchio per udire quei rumori che giungono prima della sua persona: il ticchettio degli stivali, il suono cadenzato dei suoi passi, a sottolineare quell'andatura così perfetta, impeccabile, riconoscibile ad occhi chiusi tra mille altre.
Ma è quando vedo la sua ombra fondersi con la mia che ho la conferma del suo arrivo, e infatti non debbo aspettare molto per scorgere la figura longilinea e quei lunghi riccioli che so essere color dell'oro, ma che ora mi appaiono neri come la pece.
Guardo Oscar oltrepassare la soglia del salottino e voltare in direzione della grande scalinata di palazzo Jarjayes, cammina distrattamente con la testa bassa e le dita strette in pugni, ed è in questo attimo di debolezza che mi è permesso di attaccare il soldato, quel soldato che in condizioni di normalità avrebbe fiutato la mia presenza ancor prima di oltrepassare la porta, ma il comandante è nascosto chissà dove, forse addormentato dai fumi dell'alcool, e qui, ora, vi è soltanto una donna imprigionata da un groviglio di pensieri, che non mi è difficile afferrare per un braccio e trascinare nella mia direzione.

“Ma... chi è...?”
sono le sole parole che riesce a pronunciare Oscar, ancora frastornata, spiazzata da un gesto che l'ha colta impreparata, proprio lei, che da sempre ha tutto sotto controllo, è caduta in un banalissimo agguato, in casa proprio, per mano di una serva.
Serro le labbra, senza mai mollare la presa attorno al suo braccio, conscia del fatto che prima o poi i suoi sensi si risveglieranno, e così accade, all'improvviso.

“Anais?”
Il mio nome fuoriesce dalle sue labbra in un misto di stupore e rabbia, la medesima rabbia che colorerebbe la mia voce se solo potessi parlare, ma non mi è possibile, per questo ho bisogno di altre armi.
Stringo le dita attorno al suo braccio senza curarmi del suo ruolo di padrona, non vi è rango nel mio mondo, nell'oscurità possediamo tutti lo stesso volto.

“Cosa vuoi?... che cosa ti prende? Ti stai comportando in modo ridicolo...”
Davvero Oscar? Non è così che si dovrebbe comportare una serva? Certo che no, questi sono i modi che solitamente usano i padroni... oh no, mi sbaglio, questo è il modo che riservi tu ad una sola persona! Non è cosi? E sia chiaro, biondina, non ho intenzione di lasciarti andare!
Socchiudo gli occhi puntandole addosso il verde del mio sguardo.

“Cosa credi di fare? Forse non te ne rendi conto ma tutto questo potrebbe costarti caro... Ti conviene lasciarmi andare prima che decida di sbatterti fuori di qui, e non m'importa se è notte e siamo in pieno inverno! Sono stata chiara?”
Cerca di spaventarmi alzando il tono della voce, e non mi resta altro da fare che afferrarla per la camicia, con la sola mano libera, e trascinarla lungo il corridoio.
Non posso rischiare che lui ci senta.
Ma è in quest'istante che il soldato ritorna in vita, lo scorgo nell'azzurro dei suoi occhi e in un movimento così veloce da essere impercettibile.
Oscar mi afferra per le braccia e mi sbatte contro il muro, una volta soltanto ma con una tale potenza da farmi mollare la presa, rendendola finalmente libera.
La guardo voltarmi le spalle e allontanarsi verso il salottino.
Cosa fai comandante, vai in cerca di aiuto? Non hai abbastanza coraggio per affrontarmi da sola? O forse vuoi semplicemente fargli del male, perché sei tu, ora, a soffrire come un cane.
No, non posso permettertelo. Non questa volta, sono stanca dei vostri stupidi problemi, ne ho fin sopra i capelli di voi due!
Sento la rabbia ribollirmi il sangue e martellarmi le tempie, prendo un profondo respiro e in meno d'un soffio le sono dietro, le cingo la vita con le braccia obbligandola ad arretrare.
Questo non te lo aspettavi Oscar, non è così? Il mio aspetto minuto può trarre in inganno, sotto questo corpicino esile c'è della polpa buona, come fece notare la cara vecchia Nanny tastandomi le cosce dinnanzi al Generale, il giorno che arrivai in questa casa, ed è proprio così, sono piccola ma dura come la roccia.
Compiamo qualche passo indietro rischiando di cadere nell'intreccio confuso delle nostre gambe, ma non abbandono la presa, non lo faccio neanche quando cominci a darmi delle dolorose gomitate sul petto, ai fianchi, in qualsiasi punto ti è possibile, sei un osso duro, ma lo sono anch'io.
Il pensiero che qualcuno possa scoprirci in questa folle lotta mi fa nascere un inopportuno riso sulle labbra, chissà cosa penserebbero se ci vedessero... non ho il tempo di concludere il pensiero, Oscar ha eluso la mia morsa e mi è di fronte, furente, pronta a far di me qualunque cosa le passi per la testa, ma tutto ciò che fa è afferrarmi un braccio e trascinarmi nell'ala della servitù.

“Dov'è la tua stanza?”
mi domanda senza guardarmi ed io punto i piedi, obbligandola a voltarsi.
Dannazione Oscar, sono muta, come credi che possa risponderti se non guardandomi in volto?
Ed è quando i suoi occhi azzurri colpiscono i miei che le faccio cenno col capo, sollevando il mento   indicandole l'ultima porta del corridoio.

“Quella è la tua camera?”
Si Oscar, la mia stanza è accanto a quella di André. Non lo sapevi? Ed ora perché stringi le dita attorno al mio polso? Cos'è che ti rende furiosa? Cosa stai pensando? Che in fondo sarebbe stato facile per me intrufolarmi nel suo letto nel cuore della notte, mi sarebbe bastato oltrepassare l'uscio e compiere pochi passi, e così per lui, questo spiegherebbe tante cose, i pettegolezzi delle servette e quello strano saluto che ci siamo rivolti, io e André, il giorno del vostro rientro. Non è così Oscar?
Vorrei poterti parlare, ma immagino che mi sarebbe difficile rimaner calma, ho così tanti rospi da vomitarti addosso, uno su tutti André. Era necessario trattarlo alla stregua di un cane rabbioso anche questa notte? Quale torto ti ha arrecato questa volta, di grazia, per meritarsi il tuo disprezzo? Ha parlato troppo o troppo poco? O magari sono io il problema questa volta, il nome di un'altra donna sulla sua lingua.
Non lo sopporti. E mai ti saresti aspettata di sentire il gusto della gelosia sulle labbra. È questo che ti divora, non è vero?
Dio, Oscar, non è contro di lui che devi combattere. Devi semplicemente amarlo.
Ahia... dannazione! Hai intenzione di spezzarmi un braccio?
Pare di si vista la forza che stai mettendo nello spostarmi di qua e di la, mentre ti aggiri in un ambiente che ti è sconosciuto, alla ricerca di un qualcosa che mi fa capire le tue intenzioni.
Vuoi davvero mandarmi via.
Ti osservo aprire le ante di quell'armadio che di qui a poco non potrò più definire mio, estrarne i pochi vestiti che contiene e gettarli poi, senza riguardo, nel borsone che hai trovato sotto il letto, e ancora la tua mano rovistare nei cassetti della scrivania e divenire pietra.
Mi strattoni a ridosso del mobile senza quasi rendertene conto, la tua attenzione è tutta su quei fogli di carta che rammento a memoria, legati ancora da un nastrino di seta.
Hai riconosciuto la sua scrittura e la tua ira è ovunque: nelle dita strette attorno alle lettere, nelle labbra serrate così fortemente da aver perso il loro colore, nei tuoi occhi velati da quelle che sembrano lacrime.
Fuggi le parole d'inchiostro per raggiungere il mio volto.

“Cosa significano queste? Cosa?”
mi domandi con la voce ormai fuori controllo gettandomi le lettere addosso.
Sono lettere Oscar, delle banali lettere, ti rispondo senza verbo raccogliendone una e sbattendola con forza sul tavolo, ma tu vuoi sapere altro, vuoi scavare a fondo, al di là delle dell'ovvio.

“Cosa pensavi di poter ottenere? Credi davvero che lui voglia qualcosa di più di...”
Dillo Oscar.
Ti sfido, con uno sfrontato sorriso sulle labbra.

“...di quello che gli hai dato finora, infilandoti tra le sue lenzuola?”
sibili sulle mie labbra, priva della ragione, persa in un vortice di emozioni che non credevi di poter provare.
Ed eccola la verità, una confidenza passata di bocca in bocca, tra un sussurro e un bisbiglio, dai bassi fondi della servitù ai piani alti dell'aristocrazia, una verità che di vero ha mantenuto ben poca cosa.
Dici bene Oscar, ho dormito nel suo letto, tra le sue lenzuola, ed anch'io ora conosco il profumo della sua pelle, ma chi può dire cosa sia accaduto tra le mura di quella stanza che è a pochi passi da noi? L'esservi entrata in piena notte e l'esservi uscita alle prime ore dell'alba fa di me la sua amante? Ebbene, parliamo di te, mia cara Oscar, quante volte hai fatto l'amore con lui? Ogni qualvolta ti ho vista addormentata tra le sue braccia?
Il confine tra verità e pregiudizio è così sottile, è sufficiente che vi sia un briciolo di infamia o un soffio di ignoranza per marchiare a fuoco, su qualcuno, la colpa.
Perpetuo il mio sorriso e tu, a ragione, non comprendi.

“Ti ha permesso di entrare nel suo letto, ma questo non significa che lui ti ami... lui non potrà mai amarti perché...”
Perché? Perché lui ama te? Stai parlando troppo Oscar, non è da te.
Non smetto di sorridere, al contrario, inarco un sopracciglio burlandomi quasi di te e delle tue parole, ed è a questo punto che esplodi, ma non m'importa, sono pronta a tutto, a lottare fino alla fine se necessario.
Sento le tue dita stringersi con maggior vigore attorno al mio polso, e le unghie graffiarmi la pelle, mentre mi trascini, ancora.
Attraversiamo il lungo corridoio fino a giungere nelle cucine, dove d'improvviso arresti la nostra corsa, distratta da un particolare che ti mette in allarme. La porta sul retro è aperta, qualcuno oltre a noi è sveglio, e la cosa non ti piace, non l'avevi previsto.
Guardo oltre la tua spalla, attraverso la finestra, cogliendo qualcosa che a te sembra sfuggire questa notte.
André.
Cammina nel cortile, coperto soltanto da una giacca nonostante il gelo invernale, alla volta delle scuderie, certamente diretto alla locanda in cerca di un po' di sollievo, un po' di quiete lontano da lei.
Ti senti in gabbia, non è così André? Non puoi stare dove c'è lei, hai bisogno di respirare, prima di commettere un altro sbaglio.
Sospiro con l'amarezza nel cuore ma non c'è pace per me, non questa notte, lei mi è ancora una volta di fronte, ignara della sua presenza, così distratta da non essersi accorta che lui è là fuori, a pochi passi da noi.
Oscar mi lascia il polso, posa la mano sul mio braccio e m'invita, con poca cortesia, ad attraversare l'uscio, faccio resistenza, voltandomi e puntando i piedi.
Maledizione! Non sono io a dover varcare questa porta!
Mi aggrappo allo stipite tentando di eludere i suoi “inviti” ad abbandonare le cucine, traggo un respiro profondo e, al limite della sopportazione, punto i palmi delle mani contro il suo petto spingendo con tutta la forza che possiedo, e, ancora prima che lei possa proferir parola la blocco contro la parete.

“Pensi di spaventarmi? Ascoltami attentamente... tu non metterai più piede in questo palazzo! Mai più!”
E tu, credi di spaventare me? Sei così folle di gelosia da non renderti conto di quanto sia irragionevole il tuo comportamento. Lo sei a tal punto da gettare in mezzo ad una strada una donna, colpevole d'essere l'amante di un uomo che è alle tue dipendenze, e di cui affermi di non aver bisogno.
Per quanto ancora vorrai prenderti in giro? Come giustificherai tutto questo domattina? Ti guarderai allo specchio convincendoti che l'hai fatto perché... perché non ero degna del tuo amico? Perché una muta non può rendere felice un uomo? Cosa inventerai per celare la verità? Non è per lui che stai mandando alle ortiche te stessa, la tua reputazione, la tua dignità, no, lo stai facendo per te stessa.
Perché non puoi sopportare nemmeno il pensiero che lui guardi un'altra che non sia tu, non è vero?
Sono così stanca. Esausta.
Ti afferro per le braccia e ti strattono, una, due, tre volte, e quando sembri esserti calmata ti mostro ciò che avresti già dovuto vedere.
Lui.
E tu parli, ma a sproposito, fraintendendo ogni cosa. Dio ti ha fatto dono della parola, ma questa notte ne stai facendo un pessimo uso.

“Cosa c'è Anais, non vuoi andare da lui? Non vuoi raggiungere il tuo uomo?”
me lo sbatti in faccia con disprezzo e cattiveria, con il preciso intento di ferirmi, ma sarò io a ferire te, per il tuo bene, cara Oscar.
Ti guardo, scuoto il capo muovendolo su e giù, e nuovamente giù, e su, tento con ogni mezzo di rispondere alle tue stupide domande.
No, non voglio andare da lui, perché lui non è il mio uomo. Lui è tuo, ma sei così spaventata da negare l'evidenza e riversare la paura su di me, invece andare a prenderti ciò che vuoi.
Mi guardi con fare di scherno, vuoi provocarmi, non aspetti altro che lo scontro, testarda come un mulo prosegui nel tuo intento.

“Cosa? Scusa, ma davvero non capisco cosa stai dicendo...”
sorridi a mezza bocca, prendendoti gioco di me, ma non importa, non è necessario che tu capisca.
Ho sempre pensato che fosse una perdita di tempo parlare con te.
Questo pensiero mi attraversa la mente nel momento in cui la colpisco, dandole quello schiaffo che qualcuno avrebbe dovuto darle, molto tempo prima.
  
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