“CHE COSA?” esplose Harry. Ron ed Hermione fissavano il
preside a bocca aperta.
“Sì,
mi aspettavo una reazione del genere” disse Silente, serafico “ma credevo che
Arthur vi avesse già detto…”
“Papà
ci ha solo accennato qualcosa a proposito di un nuovo compagno di dormitorio,
non ci ha detto ci chi si sarebbe
trattato” esclamò Ron “ora capisco perché sembrava
così sconvolto!”
“Sì,
è comprensibile che questa notizia vi sorprenda…”
“Più
che sorprendermi mi ha sconvolto” borbottò Harry. Iniziava a provare qualcosa
di diverso dalla paura e dalla confusione: rabbia. Non ne poteva più di notizie
e avvenimenti sconvolgenti: tutto ciò che voleva era poter uscire da quella
storia e vivere la sua vita come qualunque altro ragazzo normale. Ah, già, ma
lui non era ‘normale’, giusto? A lui non era concesso questo lusso.
“…ma
c’è un ottimo motivo per cui quel ragazzo deve venire
qui ad Hogwarts” proseguì Silente “non posso permettere a Voldemort di
trovarlo, per nessuna ragione al mondo. Se riuscisse a
renderlo come lui…”
Tenne
la frase in sospeso, e un pesante silenzio scese nella stanza. Hermione fu la
prima a parlare. “Credete che sia proprio…necessario…metterlo in dormitorio con
noi…cioè, con Ron ed Harry? Insomma, nessuno di noi lo
conosce bene, e non possiamo essere certi che non…bè…”
“Che non tenti di colpire Harry? Su questo hai
ragione, non conosco il ragazzo. Ma c’è un motivo ben preciso per cui voglio che restiate uniti, e non è solo per
combattere Voldemort. Devo confrontare attentamente lui ed Harry.”
Harry
aggrottò la fronte. “Confrontarci? E perché?”
Silente
parve esitare un istante, poi scosse il capo. “Mi
dispiace, Harry, ma non è opportuno che tu sappia troppe cose, almeno per il
momento. Un giorno lo saprai, ma per ora è meglio di no.”
“Ma…”
“E’
per il tuo bene, credimi” tagliò corto Silente “potete andare.”
Silente seguì con lo sguardo i tre ragazzi che
uscivano dal suo studio, discutendo animatamente. Scosse il capo, inquieto.
Forse aveva fatto male a tacere, Harry aveva il diritto di sapere, e anche Douglas…no,
era meglio così: sarebbe stato un peso troppo grande da sopportare. Un
giorno…sì, un giorno avrebbe detto tutto. Ma non ora.
Douglas
chiuse libro di Incantesimi Oscuri che aveva rubato
nella sezione proibita della biblioteca di Haven e guardò fuori dal finestrino
del treno, osservando la grigia campagna inglese, così diversa dalla
lussureggiante distesa verde che era l’Irlanda. Era in viaggio da parecchio:
prima aveva preso una nave dall’Irlanda (e aveva scoperto nella maniera
peggiore di soffrire il mal di mare), poi aveva attraversato mezza Inghilterra
prendendo tre treni diversi. Il vecchio aveva insistito affinché viaggiasse da
solo e come un Babbano, senza adoperare mezzi magici. Sosteneva che era più
sicuro. Secondo la modesta opinione di Douglas era solo più scomodo.
Il
ragazzo infilò la mano in tasca, come per assicurarsi che la bacchetta fosse
ancora lì. Aveva preferito tenerla a portata di mano, per sicurezza. Non era
ancora molto bravo con le Maledizioni Senza Perdono e doveva assolutamente perfezionare
l’Avada Kedrava (ancora non riusciva ad uccidere nulla di più grande di un
topo), ma conosceva sortilegi a sufficienza per dare del filo
da torcere ad un mago adulto…il che, considerato che mancava ancora un
mese e mezzo al suo quindicesimo compleanno, era un bel traguardo. La tirò
fuori e la lucidò con la manica della camicia. Era affezionato alla sua
bacchetta: il giorno in cui era andato ad acquistarla ci aveva messo ore a
trovarne una adatta per lui, ma alla fine l’aveva
trovata. Un bell’acquisto: dodici pollici, legno di quercia e
corde di cuore di drago. Perfetta per incantesimi potenti, ottima per le
maledizioni.
“Altro
caffè, tesoro?” domandò una grassa inserviente, facendo capolino nello
scompartimento per la quarta volta nel giro di due ore. A quanto pareva lo
aveva preso in simpatia.
“Sì,
grazie” rispose il ragazzo, rimettendo in fretta la bacchetta in tasca. A dire
il vero non sopportava quella brodaglia bollente, ma non voleva addormentarsi e
abbassare la guardia. E poi aveva ancora addosso i
postumi della sbornia presa tre giorni prima, al festino di addio organizzato
da Sean…un tipico festino irlandese. Mentre
l’inserviente gli versava il caffè, Douglas infilò una mano in tasca per
prendere il denaro. Accidenti, che confusione con quelle stupide monete
babbane…
“Oh,
non preoccuparti per i soldi” disse la donna, tendendogli il caffè “offre la
casa, ne hai bisogno.”
Douglas
fece una smorfia, prendendo il bicchiere. “Ho un aspetto così spaventoso?”
L’inserviente
rise. “Diciamo che hai l’aria di non dormire da una settimana.”
“Ci
siete andata vicino” commentò cupamente il ragazzo,
costringendosi a bere. Aveva sperato che la donna se ne andasse,
ma quella non accennava a muoversi.
“Secondo
me avresti bisogno di una bella dormita, tesoro”
cominciò, con un aria materna che gli fece venire voglia di vomitare “sei così
pallido…e hai gli occhi infiammati per la stanchezza…”
Douglas quasi si strozzò col caffè. Occhi infiammati? Ma che
diavolo stava…ah, giusto, gli occhi rossi.
“O
forse è colpa del gatto…” proseguì imperterrita la donna, guardando il grosso
gatto nero che li fissava dalla gabbia con aria seccata “sai, potresti essere allergico al pelo e non saperlo. Talvolta
capita. Dovresti chiedere ai tuoi genitori di farti fare
qualche controllo medico, non si sa mai...ma a proposito, dove sono i tuoi
genitori? Come mai sei in viaggio da solo?”
Ma quella
era pagata per servire i passeggeri o per mettere il becco nei loro affari?
“Sto
andando da mia madre”tagliò corto Douglas. Fra l’altro non stava nemmeno
mentendo.
“Capisco.
E tuo padre?”
Douglas
sentì qualcosa scattargli nello stomaco, per un attimo
dovette fare forza su sé stesso per impedirsi di tirare fuori la
bacchetta scagliarle una maledizione. “E’ morto” disse freddamente.
“Oh.”
La grassona prese a tormentarsi il grembiule, a disagio. Uno a zero per
Douglas.
“Bè…ora
devo proseguire il mio giro. Buona giornata” disse in fretta la donna, prima di
filare fuori dallo scompartimento.
“Era
ora, non se ne andava più!” esclamò il ragazzo in Serpentese,
rivolto al gatto. Il felino lo guardò storto, e un sibilo furibondo uscì dalle
sue fauci.
Non rivolgermi nemmeno la parola, Douglas.
Giuro che questa me la paghi!
“Non
fare così, Raksha, sai che nemmeno io avrei voluto trasfigurarti…”
Però lo hai
fatto! Che nervi, tutto questo pelo…non faccio altro
che starnutire! Non avrei mai creduto di poter diventare allergica a me stessa!
“Non
ho potuto fare altrimenti, viaggiando con un cobra avrei attirato troppo
l’attenzione.”
E allora
perché non hai trasformato Eustace in un canarino, già che c’eri?
Douglas
finse di riflettere. “Uhm, vediamo…perché Eustace è già a Londra? E comunque stai tranquilla, appena possibile ti farò tornare
come prima…forse. Dipende fa come ti comporterai.”
Certe volte ti detesto,
lo sai?
Prima
che il ragazzo potesse replicare gli altoparlanti
entrarono in funzione. “Avvertiamo i gentili passeggeri che fra venti minuti il
treno effettuerà la fermata alla stazione di King’s
Cross a Londra” annunciò una voce femminile “ripeto: avvertiamo i gentili
passeggeri…”
Douglas
emise un sospiro di sollievo. “Finalmente, non ne
potevo più di stare in treno!”
Raksha
starnutì.
Non parlarmene…
“Mi
sembrate nervosa” commentò Silente, osservando Nadja.
Non faceva altro che tormentarsi il labbro inferiore e scrutare in mezzo al
fiume di persone che si riversava nella stazione.
“Io…sì,
un po’. Non vedo mio figlio dall’estate scorsa, sapete.”
“Neanche
durante le vacanze di Natale?”
Nadja
scosse il capo. “No, lui ha voluto passare le vacanze di Natale a scuola
per…‘approfondire degli argomenti’. Non so a che argomenti si riferisse.”
Silente
aggrottò le fronte. “Capisco” disse semplicemente, poi
spostò lo sguardo sul treno che era appena arrivato. Notando gli sguardi
incuriositi che gli lanciavano i Babbani, intuì che doveva aver sbagliato
qualcosa nel travestimento. “Questi Babbani” mormorò fra sé
“sono così dannatamente difficili da imitare…”
“Permesso…”Douglas,
carico di bagagli fino all’inverosimile e con la gabbia di Raksha sotto un
braccio, riuscì a scendere dal treno evitando di essere calpestato dalla folla
di Babbani che premevano per scendere e si guardò intorno. Non gli ci volle
molto ad individuare sua madre, dal momento che accanto a lei c’era un vecchio
che dava decisamente nell’occhio…probabilmente Silente.
Era evidente che nessuno gli aveva mai spiegato bene
il modo di vestire dei Babbani: indossava un paio di pantaloni di un assurdo
colore viola, una maglietta con sopra scritto ‘Sono Troppo Forte’ in caratteri
dorati e una cravatta gialla a pallini verdi.
Nel
complesso sembrava un povero mentecatto. Bè, se erano le prime impressioni
quelle che contavano…
“Douglas!”
Prima
ancora che Douglas potesse rendersene conto si ritrovò
sua madre letteralmente attaccata al collo, che blaterava a proposito di quanto
fosse felice di vederlo, di quanto fosse stata in ansia e i quanto era
cresciuto. Douglas lo trovava un comportamento alquanto seccante e decisamente inopportuno.
“Madre,
non credo che questo sia il momento opportuno” protestò,
cercando di scrollarsela di dosso nella maniera più dignitosa possibile “siamo
in mezzo ad una stazione!”
Sua
madre sospirò, staccandosi da lui. “Scusa, tesoro, dimenticavo
che con te gli abbracci sono vietati. Oh, lui è Albus Silente, il preside di
Hogwarts.”
Gli
occhi rossi di Douglas incontrarono quelli azzurri di Silente, e il ragazzo dimenticò
immediatamente quanto fossero ridicoli i vestiti che
indossava. Gli occhi di Silente erano incredibilmente penetranti, e al ragazzo
parve quasi che il mago più anziano potesse leggergli nell’anima. C’era una
tale aura di potere intorno a lui che, per la prima volta in vita sua, Douglas
si sentì a disagio. Leggermente a
disagio, si sarebbe corretto più tardi.
“Molto
bene” disse Silente, tendendogli la mano “tu sei Salazar, non è vero?”
Il
ragazzo fece per correggerlo, poi cambiò idea. In fondo, che lo chiamasse Douglas o Salazar faceva poca differenza.
“Sì, sono io” disse, stringendo la mano di Silente “lieto di fare la vostra
conoscenza, professore.”
“Il
piacere è tutto mio, ragazzo. So che sei uno studente molto dotato…sono certo
che ti troverai bene ad Hogwarts” disse Silente,
scrutandolo da dietro i suoi occhiali a mezzaluna.
Douglas
sorrise fra sé, compiaciuto. Non era un modesto, e sapeva di essere
dotato-molto dotato, a dirla tutta.
“Grazie, signore” rispose “non vedo l’ora di cominciare.”
“Ne
sei sicuro?”
Codaliscia
annuì. “Sì, mio Signore” disse, chinando il capo “sappiamo
per certo che il ragazzo ha lasciato l’Irlanda…probabilmente è da qualche parte
in Inghilterra. Crediamo che in qualche modo ci possa essere lo zampino di
Silente…”
Gli
occhi color sangue di Lord Voldemort scintillarono
nell’oscurità. “Oh, sì, questo lo credo anch’io… quello sciocco vuole
proteggerlo…spera che tenerlo lontano da me sarà sufficiente…ma si sbaglia. Oh,
come si sbaglia…e quando se ne renderà conto sarà troppo tardi” una fredda,
vuota risata risuonò nella stanza buia. Codaliscia
rabbrividì.
“Questa
volta non sarà come proteggere Harry Potter” proseguì Voldemort “perché Salazar
non è come lui…oh, no, è molto più di lui. E’mio figlio, e il mio erede: il sangue di Serpeverde gli
brucia nelle vene. Sarà lui stesso a consegnarsi all’oscurità. Silente può
anche proteggerlo da me…ma non potrà mai proteggerlo da sé stesso!”