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Autore: _Miwako_    12/12/2005    13 recensioni
'Qualcuno ha detto che il punto in cui il giorno e la notte si incontrano, quando vi sono sia il sole che la luna, si chiama ultima metà del cielo. Perché è come se un cielo se ne andasse per lasciare posto ad un altro. E quando ci si innamora, è proprio come essere lì, a metà tra la luce e le tenebre'.
Il sesto anno. Una nuova studentessa, un nuovo professore. L'amore, l'amicizia, l'odio, la solitudine, il coraggio, la paura. Ragazzi che crescono e provano sentimenti incontrollabili. L'adolescenza.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.TU ES LE JAMAIS DE MON TOUJOURS.

 

 

[Tu sei il mai del mio sempre.]

 

 

 

“When you try your best                                          Quando fai del tuo meglio

 but you don't succeed                                            ma non hai successo

When you get what you want                                 quando hai quello che vuoi

but not what you need                                            ma non quello di cui hai bisogno
When you feel so tired                                            
quando ti senti così stanco

but you can't sleep                                                  ma non riesci a dormire
Stuck in reverse                                                      
bloccato al contrario

And the tears come                                                 
e le lacrime cominciano a scendere

streaming down your face                                       lungo il tuo viso
When you lose something                                       
quando perdi qualcosa

 you can't replace                                                    non puoi rimpiazzarlo
When you love someone                                         
quando ami qualcuno

 but it goes to waste                                                 ma non funziona
Could it be worse?                                                 
 
Potrebbe andare peggio?”

 

 

Coldplay.

 

 

Aprì gli occhi. Una lama di luce gli penetrò le pupille, strinse le palpebre. Era steso per terra a pancia in su. Sotto le mani pizzicava qualcosa di ruvido e pastoso. L’unico rumore che riusciva a sentire era come uno scroscio d’acqua e l’ululato lontano del vento. Aprì gli occhi, questa volta la luce non lo accecò. Vide che il cielo era bianco, di un bianco innaturale, e c’era luce, una luce innaturale, come se ci fosse il sole, ma il sole non c’era. Strinse la terra sotto le mani: era sabbia. Si portò a sedere, batté le palpebre, guardandosi. Non portava più la divisa di Hogwarts. Indossava un paio di pantaloni bianchi che non aveva mai visto, e per il resto nulla. Aveva il petto ed i piedi nudi. Aggrottò le sopracciglia.

Dove diavolo era?

Si alzò in piedi. Quello che vide lo sbalordì e lo accecò e lo calmò in modo strano. Di fronte a lui si stendeva il mare. Un mare chiaro, limpido, silenzioso. In lontananza c’era un muro di scogli: e dietro, la luce più bianca che avesse mai visto, come se là dietro ci fosse nascosto un sole bianco. E lui, era al centro di una spiaggia infinita, deserta, e dietro di lui non c’era nulla, se non sabbia. In cielo non c’erano gabbiani, in mare non c’erano pesci e sulla sabbia non c’erano conchiglie. C’era solo luce, luce e luce. E l’unica cosa che riusciva a sentire era il vento, e l’unica cosa che riusciva a respirare era l’odore del sale.

Era il posto più bello che avesse mai visto. Guardò ancora davanti a sé. Gli scogli sembravano più vicini, la luce là dietro più invitante. Si chiese cosa ci fosse là dietro. Se lì dov’era era tutto così meraviglioso, chissà com’era là, dove il cielo era ancora più candido?

Fece qualche passo in avanti. L’acqua del mare gli bagnò dolcemente i piedi. Fece ancora qualche passo. L’orlo dei pantaloni si bagnò appesantendosi.

Era ipnotizzato: il suo unico desiderio era arrivare dietro quegli scogli. Doveva essere così bello laggiù…

Bastava fare ancora qualche passo, e arrivare là, dove sembrava tutto così bianco…

-         No, Ron, non credo affatto sia una buona idea! – disse una voce allarmata alle sue spalle, e delle dita gli strinsero con forza il braccio.

La vaga sensazione di euforia scomparve e lui batté le palpebre.

Si voltò.

Hermione lo guardava con aria spaventata.

Era strana: sembrava anche lei travolta da tutta quella luce. Anche lei non aveva la divisa di Hogwarts. Aveva addosso qualcosa di indefinibile, una specie di tunica bianca, ed era davvero strana, così.

Ron fece un passo indietro, e tornò sulla sabbia asciutta. Non notò che i piedi, nonostante avessero toccato l’acqua, non si erano affatto bagnati.

-         Dove stavi andando? – chiese Hermione, sempre con quell’espressione impaurita.

Ron aprì la bocca per risponderle, ma si accorse che non lo sapeva.

-         Non lo so… tu che ci fai qui? –

-         Io… non so che posto sia questo. Non mi piace. – aggiunse lei, stringendosi con le braccia nude e guardandosi intorno come se avesse freddo.

Ron rise.

-         Come fa a non piacerti? Non hai visto? Guarda, dietro gli scogli. E’ là che volevo andare. Non ti attira l’idea? –

Hermione lo guardò come se fosse impazzito.

-         Per niente – disse, e mentre pronunciava quelle parole, la sua espressione si illuminò di puro terrore. – oh, no. Ron. –

La sua mano andò inaspettatamente a prendere quella di Ron e la strinse, forte.

Ron si chiese che cosa avesse, qualcosa di strano alle sue spalle gli diceva di ritrarre la mano, ma lui non la ritrasse, perché avrebbe dovuto?

Hermione sembrava avere gli occhi lucidi, ma Ron non avrebbe saputo dirlo con certezza, perché… che strano, era la sua vista che si stava abbassando, o Hermione stava diventando veramente così bianca da sembrare trasparente?

-         Ehi, dove vai? – chiese Ron, e d’istinto le strinse la mano con entrambe le sue.

-         Ron, io non vado da nessuna parte. Tu non andare. – disse Hermione, con tono di rimprovero, ma non sembrava arrabbiata. Sembrava veramente, veramente spaventata, e sembrava veramente una lacrima quella cosa madreperlacea che le scendeva sulla guancia.

-         Dove…? –

-         Capito? – insistette Hermione, e sembrava stringergli anche lei le mani, ma lui non sentiva nulla. – capito, Ron? Non andare. –

Una folata di vento glì portò via il calore delle sue mani.

 

I suoi occhi videro un soffitto bianco sporco. Qualcuno confabulava accanto a lei. Un forte odore di medicinali le fece salire la nausea.

- Si è svegliata, si è svegliata! – disse una voce, è Ginny, pensò lei.

Dei passi e lei voltò a fatica la testa. Fece appena in tempo a vedere il viso di sua madre che affondava nell’incavo del suo collo, e i suoi singhiozzi, e suo padre che la guardava pallido.

-         Ci siamo spaventati tantissimo – disse sua madre, con la voce rotta dal pianto.

Hermione, nel tentativo di dire qualcosa, tossì, e sua madre si ritrasse.

-         Oddio, scusami, ti devo aver soffocato – sorrise sua madre tra i singhiozzi, asciugandosi le lacrime con un lembo della camicia.

Hermione provò a sorridere, ma le venne fuori una smorfia. Con gli occhi color cioccolato socchiusi, guardò oltre i suoi genitori. Ginny era sulla porta. Le sorrise, debolmente. Aveva una caviglia fasciata ed un cerotto sullo zigomo.

Era una stanza d’ospedale, vero?

-         Cos’è successo? – mormorò, parlando per la prima volta.

Fu Ginny a rispondere, sotto gli occhi mesti dei genitori.

-         Ti ricordi il combattimento a Hogwarts? – la sua voce era stranamente bassa. – a quanto pare, siamo svenuti tutti. E’ passato un giorno e mezzo da quando ci hanno portato qui, al San Mungo. Io sono stata la prima a svegliarmi, e me la sono cavata con un’ustione da bacchetta – accennò alla caviglia fasciata. Non sembrava affatto fiera di sé, però.

-         E gli altri? – chiese Hermione, sentendo che stava riuscendo a riacquistare la voce, ma uno strano rivoltamento dello stomaco la fece sentire peggio.

Ginny esitò, scambiando una grottesca occhiata con i suoi genitori.

-         Luna è stata operata stanotte… era in pericolo di vita per aver perso troppa… ha avuto come una sorta… di emorragia di magia. Da quando l’hanno portata qui si è svegliata solo una volta, ma dicono che sia fuori pericolo e che si risveglierà definitivamente nel giro di alcune ore. Harry… ha riportato una sola ferita grave, si è fratturato una spalla ed è un po’ confuso, ma anche lui si ristabilirà. Abbiamo parlato e mi sembra tranquillo. I professori stanno complessivamente bene. Tu ti sei rotta un polso. –

Hermione andò con lo sguardo verso il suo polso destro. Era fasciato, ma provando a muoverlo non faceva particolarmente male.

-         Te l’hanno aggiustato… in due giorni non farà più male e potrai togliere la fasciatura. –

-         Sei stata in coma per più di ventiquattr’ore – s’intromise sua madre, con voce ansiosa. – i medici… cioè, i Medimaghi non avevano idea del perché continuassi a dormire, visto che non avevi lesioni alla testa. Grazie al cielo, ti sei svegliata. Stai bene? –

Hermione stava bene alla testa, ma non stava affatto bene, in realtà.

Guardò Ginny.

-         E Ron? –

La ragazza esitò di nuovo, distolse lo sguardo, la guardò di nuovo.

-         Non ne sono sicuri. E’… dorme sempre. Continuamente, da quando è arrivato qui. Non si è svegliato nemmeno una volta. Neanche una. –

I suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime, i genitori di Hermione erano incerti.

- Forse è meglio non parlare di cose così delicate or… - provò sua madre, ma lei la interruppe.

- Cosa? Che significa, Ginny? Non capisco. – disse, ma capiva benissimo. Si mise a sedere, sua madre la guardò preoccupata. Era evidente che stava prendendo in considerazione l’idea di cacciare Ginny dalla stanza.

- Non lo so, Hermione – la sua voce era incrinata. – parlano di… coma, o qualcosa del genere. E’ stato colpito da una magia molto potente per… - Ginny si bloccò, e distolse nuovamente lo sguardo.

Hermione sapeva che voleva dire per salvarti, perché era vero.

Sapeva che era tutta colpa sua.

Ma, Ron che non si svegliava? Ron gravemente malato? Era una cosa… inimmaginabile. Ron non era il tipo da… essere ferito.

-         Mi stai prendendo in giro – disse Hermione, ma il suo tono di voce aveva una nota stranamente disperata. Cercò di scendere dal letto, sua madre si scandalizzò bloccandola.

-         Tesoro, non ti devi muovere, ti sei appena… -

-         Non è possibile che stia male! – gridò Hermione, divincolandosi dalla presa di sua madre e scendendo dal letto, sotto lo sguardo sbalordito di Ginny.

I suoi piedi nudi toccarono il pavimento freddo dell’ospedale. Improvvisamente, ricordò.

I piedi nudi, la luce, la paura…

Il cuore cominciò a batterle all’impazzata.

-         Era con me fino a un attimo fa! Io lo so che non ci è andato! – esclamò, col fiato corto, oltrepassando Ginny ed uscendo dalla stanza.

Dietro di lei, i suoi genitori si scambiarono un’occhiata terrorizzata.

Ginny la guardava come se la vedesse per la prima volta.

-         Dov’è, Ginny? Dimmi dov’è! –

La ragazza, sconvolta, non trovò parole da dire e non se la sentì di dare man forte ai genitori che le facevano segno di non dirglielo, e si limitò a guidarla lungo un corridoio, sotto gli occhi straniti di alcuni pazienti e Medimaghi.

Hermione, dentro di sé, sorrideva. Meno male che glielo aveva detto! Meno male che gli aveva detto, di non andarci, laggiù. Ora sarà sicuramente sveglio, a chiedersi perché diavolo deve starsene relegato a letto, no?

Svoltarono in un altro corridoio, e davanti a loro l’intera famiglia Weasley, seduta su alcune sedie, si voltò.

C’erano Arthur, Molly, Fred, George, Charlie, Bill, e stranamente c’era perfino Percy e quella ragazza sembrava davvero Fleur Delacour.

Molly aveva gli occhi gonfi e Arthur l’aria di uno che non ha dormito per molto tempo.

-         Hermione, cara, ti sei… - disse Molly, ma a stento, un singhiozzo soffocò le sue parole.

Avanti, pensò Hermione, perché tutti loro hanno delle facce così preoccupate?

Per uno come Ron, che è talmente incosciente da…

Si fermò, sulla porta aperta.

Un Medimago si voltò a guardarla per un attimo. Teneva la bacchetta puntata a pochi centimetri d’altezza dal petto di Ron, e deboli scintille dorate uscivano dalla punta fino a scivolare come fili natalizi nella gola e nel cuore del ragazzo.

Ron dormiva. La pelle era stranamente chiara, troppo chiara, le lentiggini quasi invisibili. Le labbra dischiuse avevano perso colore, ed anche i capelli non sembravano rossi come al solito.

Ron dormiva, sotto le lenzuola di quel letto, e non si muoveva. A malapena il suo petto si alzava e si abbassava a mostrare il suo respiro.

-         La prego di uscire, signorina – disse il Medimago, con voce roca, ancora fermo e concentrato con la bacchetta. – può assistere, ma non stia nel raggio dell’incantesimo. –

Hermione indietreggiò e vide tutta la situazione per quella che era.

Lei con il pigiama  ruvido di uno strano azzurro dell’ospedale, davanti alla stanza in cui Ron dormiva, di un sonno da cui forse non si sarebbe più svegliato.

E allora non era contato niente dirgli di non andare.

 

-         Cara, siediti. Sei sicura di sentirti bene? – disse Molly, facendo avvicinare una sedia con la bacchetta.

Hermione non provò nemmeno a rispondere, e si sedette.

-         Hai mangiato qualcosa? Non ti sarai mica appena svegliata, vero? Eravamo tutti così preoccupati per voi. –

Ginny andò a sedersi accanto a Bill.

Il Medimago continuava a fare quello strano incantesimo con la bacchetta.

Hermione continuava a non trovare risposte per quelle domande, anche se la sua educazione le diceva di rispondere, ma l’educazione aveva una voce molto flebile, adesso.

Non si accorse nemmeno del silenzio che calò, mentre i Weasley la guardavano e si guardavano tra loro.

Fleur si alzò, schioccando la lingua.

-         Trovo che sia una pèsima idea stare tuti stipati qui – disse sbrigativamente, sempre col suo forte accento francese. – ‘Ermaini, hai una pèssima scera. Andiamo a prendorti qualcosa da monsgiare. –

Le picchiettò con un dito sulla spalla e lei, vagamente stranita, si alzò e per qualche motivo la seguì, lanciando un’ultima occhiata alla stanza.

Dovevano essere al quarto piano, Lesioni da incantesimo. Salirono al quinto, dove c’era una specie di bar, e senza aggiungere nulla a quello che aveva già detto Fleur la costrinse a sedersi ad un tavolo ed andò a prendere un succo di pompelmo ed una brioche.

-         Non hai l’aria di una che ha dormito per più di un sgiorno. – disse, sendendosi e porgendole la brioche.

Hermione guardò la brioche, ed il suo stomaco brontolò. Effettivamente, aveva fame. Ma che senso aveva?

Vedendo la sua esitazione, Fleur inarcò un sopracciglio.

-         Monsgiala. Non morirà per questo. –

Hermione la guardò, chiedendosi se per caso sapesse leggere nel pensiero o cose simili. Guardò di nuovo la brioche, e l’addentò.

Fleur sorseggiò il suo succo di pompelmo rimanendo in silenzio per un po’.

-         Sono molto carini questi tuoi sentimonti – disse, ad un certo punto, come folgorata. – ma farne una trasgedia non servirà a nessùno. –

Hermione aggrottò le sopracciglia.

-         Perché mi dici queste cose? – disse, per la prima volta, diffidente.

Fleur si riavviò i lunghi capelli biondi con aria da donna vissuta.  

-         E’ un brutissimo spetacolo vedore una che si dispera sans reagire – disse. – personalmonte, non mi comporterei mai in modo così passivò. –

Già Fleur non era facile da sopportare in condizioni normali, figurarsi nello stato in cui Hermione era in quel momento.

Preferì non rispondere, anche se dentro di sé rimuginava velocemente, finì la brioche e si alzò.

Fece per voltarsi, poi tornò a guardare Fleur, che la ignorava completamente finendo di sorseggiare il suo succo di pompelmo.

Sì, Fleur era proprio insopportabile; ma purtroppo non la si poteva odiare, visto che non era una persona cattiva. Quindi, tanto valeva dirlo, no?

A modo suo, Fleur l’aveva aiutata.

E quando qualcuno ti aiuta, devi rispondere e basta.

Hermione fece un enorme sforzo.

-         Grazie. – disse.

Fleur sventolò una mano come a cacciare una mosca fastidiosa.

Lei fece di nuovo per voltarsi, poi aggrottò le sopracciglia e la guardò.

-         Ma tu perché sei qui? –

La ragazza alzò lo sguardo azzurro, accigliata. Poi fece un sorrisetto, alzò di nuovo la mano e gliela mostrò. Sull’anulare brillava un piccolo anello.

-         Bill – disse, senza nascondere una straripante fierezza.

Hermione la guardò perplessa, annuì, e si diresse giù, al quarto piano.

Si sarebbe tolta quella ridicola tenuta da paziente e avrebbe fatto davvero quello che doveva.

 

I giorni passavano, lenti, le facce cambiavano, le cose cambiavano.

La famiglia Weasley ed Hermione praticamente vivevano al San Mungo. I signori Granger, quando i Medimaghi ebbero tolto la fasciatura alla figlia, seppur di malavoglia furono costretti da Hermione a tornarsene a casa, nella Londra babbana, non essendoci per loro altra ragione per restare. Harry e Luna si erano ristabiliti: Harry ormai poteva gironzolare per l’ospedale con tranquillità, e presto sarebbe stato dimesso; Luna era ancora ricoverata per fare degli esami, ma presto il signor Lovegood (che le faceva visita quotidianamente) l’avrebbe riportata a casa.

Inizialmente, Arthur aveva pregato Molly di tornare a casa almeno la notte, per riposarsi su un letto vero. Ma la moglie non ne aveva voluto sapere: da quando Ron era stato operato, veniva controllato dai Medimaghi periodicamente, e lei era sempre lì, su una sedia, a cucire, leggere o dormire. Arthur si era arreso, ma quando anche i figli avevano manifestato la stessa determinazione a rimanere, si era imposto con decisione, dicendo che un affollamento di gente nella stanza non sarebbe stato affatto salutare per Ron stesso. Con un po’ di brontolii, figli e genitori erano giunti alla conclusione che i ragazzi sarebbero tornati a casa la sera e la notta, mentre durante il giorno potevano venire al San Mungo. Silente aveva spedito un gufo alla famiglia, Hermione, Harry e Luna, informandoli che la scuola non avrebbe riaperto fino all’autunno successivo. Stranamente, Hermione faceva fatica a pensare che solo qualche giorno prima frequentava più o meno tranquillamente la scuola. Ormai aveva attutito lo shock di quando si era svegliata, e conduceva con calma e determinazione la stessa vita della madre di Ron, solo che lei sedeva dalla parte opposta della stanza e invece di cucire portava avanti il programma scolastico che avrebbe dovuto seguire in quel periodo. Anche la schiena ormai non le faceva più male a forza di dormire seduta o con la testa appoggiata al letto di Ron: pareva averci fatto l’abitudine. Ogni tanto, Molly le lanciava delle occhiate, le chiedeva se voleva tornare a casa, dicendo che Arthur avrebbe potuto accompagnarla, ma lei si rifiutava e continuava a fare i compiti. La ragazza era ormai stata dimessa dall’ospedale, ed i genitori le avevano portato dei vestiti puliti. Ormai il solo segno della battaglia, su di lei, era un grande ematoma blu lungo il polso.

A circa una settimana da quando si era piazzata in quella stanza, una sera, ebbe un mancamento.

- Hermione, spero vivamente che tu abbia mangiato regolarmente in questi giorni! – disse allarmato il professor Lupin, anche lui dimesso dall’ospedale, che aveva portato una scatola di Cioccorane lasciata intatta sul comodino.

Hermione finì di bere il bicchiere d’acqua che un’infermiera le aveva porto, sotto gli occhi terrificati della signora Weasley.

-         Sì, beh, forse mi sono dimenticata qualche pasto… - mormorò, anche se ‘qualche’ non era esattamente il termine giusto, visto che a malapena si ricordava l’ultima cosa che aveva mangiato.

-         Così non va affatto bene, Hermione – disse severamente Lupin, raccogliendo uno sguardo di approvazione da Molly. – credo che dovresti andare a casa. –

-         No, non ce n’è affatto bisogno! – replicò lei con un sorriso nervoso. – mi farò dare dei buoni pasto dalla mensa dell’ospedale, professore. Non si preoccupi! – aggiunse, vedendo il suo sguardo estremamente dubbioso.

L’uomo si scambiò un’occhiata allusiva con Molly, sospirò.

-         Va bene – mormorò, alla fine. – ma stasera credo proprio che dovresti dormire stesa, e su qualcosa di più comodo, e magari per più di quattro ore di fila. Chiederò ad un’infermiera se è possibile portare una brandina qui fuori. Non ti dispiace dormire nel corridoio? –

Hermione scosse velocemente la testa, sollevata di quella soluzione non drastica.

Lupin sospirò di nuovo e si voltò verso la signora Weasley.

-         Temo che questo valga anche per lei. Magari qui vicino c’è una stanza libera o qualcosa del genere. –

Molly esitò, guardando Ron che dormiva di sottecchi, poi, sarà stata la stanchezza, sarà stata la disperazione o le capacità persuasive di Lupin, ma annuì, rassegnata.

 

Gli occhi e la testa dolevano. Anche una gamba, a dire il vero, ma aveva la mente talmente incasinata che non avrebbe saputo dire quale.

Sentiva le palpebre pesanti nel tentativo di aprire gli occhi.

Merlino, fa che non ci sia ancora quella dannatissima luce.

Ma, aprendo lentamente un’occhio, si ritrovo al buio, se non fosse stata per una luna ad un quarto che splendeva fuori ed illuminava vagamente la stanza.

Il silenzio era pressoché totale: provò a muoversi. Caspita, ma quella gamba, la destra, era rotta o cosa? Faceva un male cane.

Dal pessimo odore di medicinali quella si sarebbe detto un ospedale; ed anche dalla pessima stoffa del pigiama, comunque, che era ruvida come carta vetrata.

Si grattò la schiena ed a fatica si portò a sedere. La gamba fece un rumore poco rassicurante, tipo un piccolo crack. Non era particolarmente stupito di trovarsi all’ospedale: aveva appena combattuto, no? Ricordava vagamente una bruttissima sensazione alla bocca dello stomaco mentre una dannatissima maledizione lo colpiva. Beh, se la gamba era l’unica cosa rotta, lui era davvero una specie di genio.

Provò a scendere dal letto, stringendo forte i denti: sì, effettivamente era doloroso muovere la gamba, ma lì attorno non c’era nessuno. Insomma, possibile che nessuno stesse al suo capezzale a piangere? Va bene, aveva dormito solo per un po’, ma qualcuno poteva pur degnarsi di fare la guardia al suo povero corpo malato, no?

Saltellò su una gamba verso la porta socchiusa. Il corridoio era illuminato di una luce fioca vagamente fastidiosa. Continuando a stare solo sulla gamba sinistra, aprì la porta con uno sbadiglio sguaiato. La testa non faceva quasi più male.

Si asciugò le lacrime procuratogli dal violento sbadiglio e guardò avanti.

Oh.

Beh, Hermione era lì. Che dormiva, voltata verso il muro. Su una brandina.

Ma perché, poi?

Prese una delle sedie abbandonate lungo il corridoio e con una sequenza di saltelli piuttosto rumorosi riuscì ad avvicinarsi e sedersi lì vicino.

Hermione continuava a dormire, senza accorgersi di nulla, nonostante il casino che avesse fatto.

Ron la sbirciò. Aveva una gran voglia di svegliarla, ma gli dava l’impressione di essere la tipica persona che si arrabbia ferocemente se la si sveglia nel cuore della notte… beh, come molti.

Rimase lì a guardarla, indeciso sul da farsi.

Pensieroso, le toccò la guancia con il dito indice. Neanche l’avesse fatto in modo particolarmente violento, prendendolo alla sprovvista lei si voltò di scatto e tirò una specie di pugno a vuoto (anzi, lo avrebbe preso in piena faccia se non si fosse spostato), dando ora la schiena al muro. E dormiva ancora, eh.

Ron la guardò terrorizzato. Cioè, vigilanza costante, veramente.

Levatosi dalla testa qualsiasi romanticheria gli potesse venire in mente, dopo quel pericoloso pugno, cercò di alzarsi dalla sedia e tornarsene a letto a chiedersi se aveva qualche problema a farsi piacere una che lancia pugni mentre dorme, ma ovviamente inciampò, vanificando ogni suo sforzo di non fare rumore. La sedia cadde con lui facendo un gran casino.

Hermione aprì gli occhi. I loro sguardi si incrociarono. Ron, steso per terra, si sentì definitivamente uno schifo, ma la salutò con un cenno.

Lei sbatté le palpebre, fissandolo, come se avesse qualche serio dubbio su quello che stava vedendo.

-         Ron? - fece, mettendosi a sedere.

-         Quasi – mormorò lui, sentendo che la gamba stava definitivamente separandosi dal resto del corpo, a giudicare dal dolore, almeno.

Prima che avesse il tempo di alzarsi e riacquistare dignità, Hermione gli si gettò addosso e lo abbracciò, facendolo ricadere seduto.

-         Sei vivo! – disse Hermione, facendolo quasi soffocare.

-         Non per molto – fece a fatica Ron.

-         Oh, scusa – replicò lei con aria preoccupata.

Cadde uno strano silenzio.

Hermione si chiese cosa diavolo stesse succedendo. Quello che si era decisa a dire si era volatilizzato, sparito, evaporato.

Quello di importante che aveva da dire non riusciva ad esprimerlo.

Si alzò.

-         Hai… male alla gamba? – chiese, sentendosi stranamente stupida. Ron aveva la faccia contorta nel dolore del tentativo di alzarsi. Lei gli porse la mano e con un po’ di fatica riuscì ad aiutarlo ad alzarsi.

Ron era ammutolito. Da una parte, moriva dalla voglia di chiederle cosa stesse succedendo, da quanto tempo era lì e perché lei dormiva in ospedale. Dall’altra, era semplicemente terrorizzato all’idea di dire una sola parola. Insomma, non si era mica aspettato un’accoglienza così calorosa.

Era ancora un po’ scioccato dal dirompente abbraccio che lo aveva quasi soffocato, anche se questo era un particolare… quasi irrilevante, ecco.

Hermione lo aiutò a tornare a stendersi sul letto, con il viso in fiamme. Più Ron se ne stava zitto, più lei si sentiva male. Dopo aver passato giorni a non mangiare e non dormire, peggio di come era mai stata, possibile che ancora non avesse la spinta giusta per essere un po’ più spontanea?

Non era giusto. Non riusciva ad essere spontanea. Era lui quello spontaneo. Era per questo che le piaceva.

Era per questo che ora doveva rompere il silenzio, lui.

Ma Ron non era in grado di leggere negli sguardi veloci di Hermione come un uomo vissuto, perché non lo era.

-         Vado... vado a chiamare un Medimago. E tua madre! Sono stati tutti in pensiero per te. –

Oh, dai, Hermione. Aggiungici uno sdolcinato anche io. Non faresti niente di male, non diresti bugie. Perché non lo dici, allora? Tu riesci a fare tutto. Questo è un giochetto.

Ma Hermione non era spontanea.

-         Ma da quanto tempo sono qui? - fece Ron, quando lei fece per dirigersi verso la porta.

Hermione avrebbe fatto di tutto pur di non trovarsi lì. Cioè, da una parte sì, dall’altra no. Era notte, era buio, lei era ancora un po’ insonnolita, e stranamente non riusciva a riflettere con chiarezza su quello che faceva e diceva. L’angoscia provata in quei giorni sembrava far parte di un lontanissimo, brutto incubo.

-         E’ passata più di una settimana… dal combattimento ad Hogwarts. Sei rimasto senza sensi fino ad ora. – riuscì a dire frettolosamente, anche se per qualche motivo a poco a poco si sentiva più tranquilla. Forse si aspettava inconsciamente di trovare Ron un po’ cambiato, ma non lo era, e questo era un sollievo.

-         Una settimana? A me sembra di aver dormito sì e no qualche ora… -

Hermione rise con un po’ di disperazione. Beh, in fondo era normale che lui non si rendesse conto dei giorni orribili che avevano passato tutti quanti.

-         Si sono preoccupati tutti per te. Tua madre è rimasta qui senza quasi mangiare o dormire fino a ieri. –

Non era necessario dire che lo aveva fatto anche lei, no?

-         E come sta Harry? E Ginny? –

-         Stanno tutti bene. Ne siamo usciti tutti un po’ malconci. – provò a sorridere lei, ma lui le lanciò uno strano sguardo dubbioso.

-         Mi stai nascondendo qualcosa? – le disse, all’improvviso, mosso da chissà quale istinto.

Hermione lo guardò aggrottando le sopracciglia.

-         Cosa? –

-         Sei strana. Più strana del solito. –

Lei fece una smorfia.

-         Grazie. Senti, ora vado a informare qualcuno. Non vorrei che la tua gamba peggiorasse. –

Si voltò, lui ebbe la tentazione di fermarla prendendole la mano. La sfiorò soltanto con le dita. Lei finse di non accorgersene.

Dai, cosa ci voleva. Un semplice e tu, stai bene?. Era così difficile? Insomma, era Hermione. La solita Hermione. Il fatto che… che ne fosse innamorato non significava che doveva imbarazzarsi per ogni cosa. Era lei che doveva imbarazzarsi, ma a dirla tutta gli sembrava quasi fastidiosamente tranquilla.

-         Tu ti sei ferita? – chiese, con una decisione che stonava un po’ con le sue parole.

Hermione, una mano sulla maniglia fredda della porta, si voltò e lo guardò nella penombra. Improvvisamente, stava bene. Le sembrava di aver perso i sensi per tutti quei giorni e di averli riacquistati all’improvviso. Il tatto, le dita sulla maniglia della porta. L’odorato, l’intenso odore di medicinale che aleggiava per i corridoi. La vista, accorgersi che era talmente buio che da non riuscire a vederlo bene. E dire che sarebbe bastato un lumos, ma non era esattamente in condizioni di fare magie, lei.

-         Al polso. Ma mi hanno aggiustato tutto in un paio di giorni. Niente di grave. –

E non aspettò che lui dicesse qualcosa, e uscì e corse più forte che poteva con lo stomaco che si contorceva.

 

In realtà, nessuno dormì granchè quella notte. Dal momento che Hermione aveva avvertito la signora Weasley che Ron si era svegliato, si era innescato un meccanismo a catena, che aveva portato a farlo sapere ad Arthur e conseguentemente anche a tutti i figli, che nel giro di un’ora erano arrivati lì ed avevano soffocato Ron di abbracci (a dirla tutta, Fred e George si lasciarono andare al ben più affettuoso gesto, a detta loro, di dargli in ‘dono’ un pacchetto di caramelle che avevano tutta l’aria di poter provocare gravi danni all’aspetto fisico). Ginny scoppiò a piangere. Ultimamente sembrava tornata sensibile come quando era bambina. Poco più tardi arrivò anche Harry, un po’ zoppicante ma tutto intero, con cui Ron intrattenne una lunga conversazione di argomenti misti cui gli altri non prestarono particolarmente attenzione, neanche fosse stata una piccola festicciola notturna. Il Medimago di turno diede un’occhiata alla gamba di Ron, gliela aggiustò con un colpo di bacchetta e gli raccomandò di non giocare a Quidditch per un mese e mezzo (sia lui che Harry fecero delle facce talmente sconvolte che il Medimago gli accorciò la riabilitazione di due settimane) e di non tornare a scuola per la fine dell’anno ma di tornare a riposarsi a casa (il che ovviamente significava saltare gli esami. Ron esultò, Hermione sentì tutta la sua zelante preoccupazione femminile sfumare trasformandosi in irritazione). Alla fine, gli venne accordato il permesso di tornare a casa il pomeriggio del giorno successivo. Harry stava giusto pensando si chiedere a Hermione se secondo lei fosse il caso che anche loro lasciassero perdere la fine della scuola, conoscendo a malincuore le terribili conseguenze che una simile richiesta avrebbe portato, quando arrivarono dei gufi che informavano i presenti studenti di Hogwarts che l’anno sarebbe stato concluso in anticipo in seguito agli avvenimenti di qualche giorno prima, e che i loro bagagli sarebbero stati rispediti nelle rispettive case.

La mattina dopo, dunque, erano tutti in gran fermento. Ron zoppicava con Harry per l’ospedale come se fosse stata casa loro, ed erano una coppia così spassosa che i Medimaghi li lasciavano gironzolare dove volevano. Sia Molly che Hermione avevano ripreso a mangiare. I genitori della ragazza sarebbero venuti a prenderla per portarla a casa quel pomeriggio stesso.

Prima del pranzo, Lavanda fece visita a Ron.

Quando bussò alla stanza ed entrò, sotto gli occhi di tutta la famiglia di Ron, richiudendosi la porta dietro le spalle con nonchalance, erano tutti sconvolti.

Molly sbatteva le palpebre.

-         Chi è quella ragazza? –

-         La ragazza di Ron – sghignazzò Charlie.

-         E tu come lo sai? – fece Ginny.

Charlie mise su un’aria misteriosa.

-         In realtà… -

-         In realtà Ron quest’anno ha scritto molto sia a me che a Charlie. – si intromise Bill, con aria divertita. I due fratelli più grandi dei Weasley sarebbero dovuti andarsene di lì a poco, per via del lavoro.

-         Ah, davvero? – chiese Arthur, aggrottando le sopracciglia. – a noi ha scritto meno del solito, invece. –

-         Sono cose che non avrebbe mica potuto dire a te – mormorò Bill, con un sorriso malizioso.

Molly lanciò un’occhiata scioccata alla porta della stanza di Ron. Probabilmente si stava chiedendo quando il suo figlio maschio più piccolo aveva cominciato ad uscire con le ragazze, ma soprattutto perché questa Lavanda stava così tanto lì dentro, a porta chiusa.

-         E tu, Hermione? La sapevi questa cosa? – chiese Arthur, soprappensiero.

Ginny trasalì per lei, Hermione non trasalì ma non avrebbe voluto rispondere.

-         Sì. -

-         Ma da quanto va avanti? –

-         Circa da Marzo. – si intromise Harry, avvertendo una tensione sospetta formarsi nell’aria.

Hermione guardò altrove, e stranamente notò che Bill la studiava con educato interesse. Lei distolse nuovamente lo sguardo, perplessa.

E poi, quando se ne andò le fece una carezzina sulla testa come ad una bambina.

- Credo che Bill ti abbia preso sotto la sua ala protettiva – mormorò Ginny, con una punta di gelosia nella voce.

Lavanda ancora non usciva. Molly sembrava avere i nervi a pezzi.

-         Basta, è una cosa inammissibile. Non può restare così tanto lì dentro. Se vuole frequentare mio figlio, deve presentarsi. Ora io entro e… -

Ma la porta si aprì e ne uscì Lavanda. Hermione la guardò bene in viso, cercando però di non farsi notare.

Dalla sua espressione non si capiva granché. Non era particolarmente felice ma neanche particolarmente triste. Le lanciò uno sguardo celeste, non la salutò.

Neanche dall’espressione di Ron era chiaro quello che si erano detti. Per una volta, non gli si leggeva in faccia quello che pensava.

Va bene, era vero che Hermione in un attimo di perfidia, specialmente quando i Weasley avevano cominciato a tempestarla di domande sulla ‘ragazza di Ron’, aveva sperato di vedere Lavanda uscire con le lacrime agli occhi. Invece era stato tutto così normale che anche la perfidia sfumò lasciando un enorme, spaventoso vuoto.

Non era successo, vero?

Avrebbe dovuto saperlo.

Cosa ti aspettavi?

 

Ginny camminava soprappensiero lungo i corridoi del San Mungo. Dopo aver passato tutti quei giorni lì, ormai lo conosceva come le sue tasche, ed ora che non aveva più quel devastante peso che era Ron steso su un letto che non si svegliava, quei corridoi li sentiva diversamente, ed in un certo senso la tranquillizzavano e la facevano pensare.

Furono i primi giorni che cominciò a pensare di diventare Auror.

Molti Auror, ultimamente, percorrevano quei corridoi. A volte portavano delle persone in ospedale, molto spesso venivano a parlare con Harry, e non solo. Avevano cominciato a interrogare gli studenti che avevano preso parte al combattimento di Hogwarts. Avevano parlato anche con lei.

Al solo pensiero le si stringeva lo stomaco.

Per questo ormai non ripensava più. Non ripensava più alle cose passate. Non sapeva come ci riusciva: forse era solo questione di distrarsi, forse con suo fratello che era stato così male si era resa conto che c’erano cose molto più grandi sia di lei che dei suoi pensieri.

Era stata Tonks a interrogarla. Una cosa molto informale, molto amichevole, perché tutti si fidavano di Ginny Weasley, ed anche lei in fondo faceva parte di quella schiera di piccoli eroi che avevano sconfitto i Mangiamorte.

Tonks, con una ciocca di capelli rosa che le sfiorava una tempia, le aveva sorriso e le aveva fatto poche domande.

Per quanto tempo hai combattuto?

Per tutto il tempo. Non so quanto. Tutto.

Chi c’era con te?

Mio fratello, Harry e Luna. Hermione è arrivata dopo. E altri Grifondoro, e dei Corvonero.

Hai visto il viso di qualche Mangiamorte?

No. Questa è la verità.

Ma ne hai riconosciuto qualcuno? Se non sbaglio tu c’eri al Ministero, l’anno scorso. Hai riconosciuto delle voci?

Io…

I Lestrange?

Sì.

Avery?

Sì. Credo sia stato lui a ferirmi. Credo? Lo so.

Malfoy?

E lei trasalì. Già. Quale Malfoy?, avrebbe voluto chiedere. Ma così si sarebbe scoperta troppo.

E rispose ‘forse’. Lei che aveva sempre pensato che i ‘forse’ sono inutili.

Tonks le aveva lanciato un’occhiata. Ginny si chiese se sapeva. Né sua madre né suo padre le avevano ancora parlato della vicenda successa a scuola. Ma chissà se lo avevano raccontato a qualcuno.

Qualcun altro? Hai visto qualcuno andarsene con i Mangiamorte? Qualche studente, ad esempio?

No. Davvero.

Non l’aveva visto andarsene con loro.

Tonks ancora la guardava con quello sguardo.

C’è qualcos’altro che vuoi dirmi?

Che cosa avrebbe dovuto dirle? Che prima del combattimento aveva visto in viso i Mangiamorte, che era stata a pochi metri da loro, che aveva baciato uno di loro?

Nessuno l’avrebbe ammesso, e questa volta anche lei sarebbe stata nessuno.

E adesso era lì, che camminava lungo i corridoi di quell’ospedale, sentendosi sollevata da un peso troppo grande, e non ripensava.

Ma non avrebbe fatto in tempo nemmeno a pensare che era ‘libera’.

Era legata indissolubilmente a quelle persone, per qualche motivo.

E voltò lo sguardo verso una stanza da cui usciva un Auror in divisa che ne raggiunse un altro poco lontano.

Gli passò accanto.

-         Ha detto qualcosa? –

-         Ma per favore, quello non molla niente. Del resto, non ha nulla da perdere. –

-         E’ in pessime condizioni, eh? –

-         Beh, mi stupirei se sopravvivesse alle prossime due ore. –

-         Questa gente mi fa incazzare. Non avrebbero nemmeno dovuto curarlo. –

-         Avery ci sarebbe servito come fonte di notizie. Ma ormai è inutile. –

Ginny si fermò.

Avery. Stava morendo, eh? Era stato il combattimento ad Hogwarts.

Non le dispiaceva. Non sentiva alcun senso di colpa. Questo la spaventò. Non era da lei non sentire sensi di colpa.

I due Auror continuavano a parlare tra loro. Non controllavano la porta della stanza.

Ginny fece qualche passo.

Perché, perché sentiva questo bisogno ossessivo di sapere? Aveva deciso di non ripensare.

Ma proprio in quello stesso istante stava ripensando.

Aveva bisogno di sapere, e Avery sapeva. Niente di più facile.

La mano poggiò sulla maniglia, e con un gesto più veloce di quanto lei stessa potesse prevedere, aprì la porta e se la richiuse alle spalle.

Silenzio ed un odore acre. Le tende erano chiuse, filtrava poca luce dalle finestre.

Sul letto, immobile, una persona. Era Avery, ma se non ne fosse stata certa non avrebbe saputo chi si trovava avvolto in mezzo a tutte quelle garze, con tutti quei punti, con quell’aria di essere più morto che vivo.

Un occhio era scoperto dalla garza. La palpebra era chiusa. Ginny per un attimo pensò che forse era veramente morto, ora, lì, davanti a lei.

Ma appena fece un passo, provocando un piccolo ticchettio sul pavimento, la palpebra si aprì. L’uomo si voltò leggermente verso di lei. La guardò come se non la vedesse, per un po’, e lei era lì immobile che già voleva scappare.

-         Ti conosco… -

Non aveva più la voce potente e cattiva di quando aveva attaccato Hogwarts. O meglio, cattiva lo era ancora, ma ormai di potente non aveva più nulla.

-         Ti devo fare una domanda. – fece Ginny, e le tremava un po’ la voce, ma si sentiva la freddezza ostentata.

-         Sei un Auror? Non risponderò a nessuna domanda. Tanto ormai sono al capolinea. –

-         Non sono un Auror. Voglio solo sapere… -

Avery fece per ridere, ma evidentemente anche quello era uno sforzo troppo grande.

-         Vuoi sapere come procede il tuo amico? Siete proprio dei ragazzini. –

Ginny provò un moto di rabbia. Basta, basta con questo ragazzini, basta con quelle arie di sufficienza, basta con il tuo amico. Ne aveva abbastanza che la gente la sottovalutasse. Ma del resto… lei stessa sapeva che non la sottovalutavano.

Lei valeva… eppure non ne era più così tanto sicura.

E non sapeva neanche che cosa dire, perché chiedere come sta? come se fosse ancora innamorata di lui non era appropriato.

- Ti dico solo una cosa: farà strada, in fondo è figlio di Lucius. E se morirà, morirà per il Signore Oscuro. –

Ginny rabbrividì.

-         Non sarebbe una morte onorevole. –

-         Perché tu sei una Grifondoro… non è stato carino da parte di Draco, mentire e ‘difenderti’. Se lo sapesse il Signore Oscuro… -

Avery tossì. Un rivolo di sangue gli scese lungo il mento. Quasi si potevano contare nei suoi occhi gli ultimi momenti che gli rimanevano.

Ginny non voleva vedere qualcuno morire davanti ai suoi occhi, ma non riusciva a muoversi né a distogliere lo sguardo.

L’occhio di Avery la guardò.

-         Però Rodolphus sembrava piuttosto incuriosito da te… forse non sei poi così Grifondoro, eh? –

Voleva gridarlo, con tutta la sua voce, io sono Grifondoro! come se fossero le sue ultime parole, perché anche di questo era stanca, stanca dei dubbi, stanca di lealtà e cattiveria, stanca di divisioni, stanca tanto del verdeargento quanto del rossoeoro.

-         Che ne dici se ti passassi il testimone? –

I suoi pensieri si bloccarono.

- Il testimone? –

Avery mosse con fatica la mano destra, fasciata. Al dito medio, portava un anello nero.

-         Argento nero – puntualizzò Avery, come se le avesse letto nel pensiero.

Ginny lo guardò con diffidenza.

-         A cosa serve? –

-         Il Signore Oscuro sa che chi lo porta è un suo servitore. Se te lo dessi, potresti presentarti davanti a lui senza che gli altri Mangiamorte di uccidessero, per procedere al Marchio. –

Ginny per un attimo si vide con il Marchio Nero lungo il braccio, segnata per sempre, e quell’anello al dito, e quel cappuccio sulla testa. No, mai. Era disgustoso. Tutti loro, tutta quella storia era disgustosa. Non poteva credere che esistessero persone del genere.

Ma non disse nulla.

-         Prendilo, se lo vuoi – mormorò Avery – a me non serve più. –

E proprio in quel momento, prima che Ginny potesse distogliere lo sguardo, Avery morì. E lei vide la morte, per la prima volta, dritta nell’occhio scuro di un Mangiamorte che aveva tentato di ucciderla.

E pensò che non era giusto, che Avery era scappato, che se il mondo fosse veramente stato giusto lui sarebbe sopravvissuto, e avrebbe vissuto con il rimorso ed in una prigione, e avrebbe sofferto per tutta la vita, con il Marchio che gli bruciava. Ma il mondo non era giusto.

Si avvicinò per la prima volta al letto, e non guardò più il viso dell’uomo. Toccò l’anello con la punta delle dita e glielo sfilò. Senza nemmeno guardarlo, lo mise in tasca.

E decise che se il mondo non riusciva ad essere giusto, allora lei lo avrebbe aiutato, e sarebbe diventata Auror per far pentire fino all’ultimo ogni singolo Mangiamorte. Non redimerli: il suo ultimo tentativo non aveva avuto molto successo. Da qualche parte dentro di lei, sapeva che quell’anello le sarebbe servito proprio a questo scopo.

Ginny Weasley che decideva di portare la giustizia nel mondo.

Dopotutto, era ancora una ragazzina.

 

Ron guardava il soffitto con un braccio appoggiato alla fronte. Faceva improvvisamente caldo, in quella stanza esposta al sole. Si avvicinava l’estate.

Se solo pensava all’estate precedente, non poteva credere che tutto potesse precipitare, cambiare, sconvolgersi in pochi mesi.

Più che altro, ripensava a tutti i madornali errori che aveva fatto durante l’anno. Era come se non avesse saputo mai fare la cosa giusta, o essere lì al momento giusto, come se non avesse mai capito, come se avesse sempre distolto lo sguardo di fronte alla realtà.

Ma lui era così, ed era terribile essere così.

Non poteva essere stato proprio lui quello che aveva detto ad Hermione voglio essere il primo a  fare l’amore con te, non poteva essere stato proprio lui quello che aveva detto è finita!, non poteva essere stato proprio lui quello che era stato con Lavanda, non poteva essere stato proprio lui a correre davanti a Hermione durante un combattimento.

E non poteva essere proprio lui, in quel momento, a sapere che i suoi errori non erano finiti, che ne avrebbe fatti altri, ma che forse c’era la possibilità che fossero un po’ meno gravi, che fossero un po’ più vicini alle cose giuste.

E non poteva essere stato proprio lui quello che aveva detto Lavanda, finisce qui, perché di solito non era lui a troncare con gli altri, ma gli altri a troncare con lui.

Lavanda non aveva pianto, non nel modo in cui aveva pianto la prima volta che gli aveva detto mi piaci in un San Valentino in biblioteca, dopo essere stata appena tradita. Forse già lo sapeva, e per questo non aveva risposto, ma era stata lì in silenzio, e lo aveva punito con quel silenzio, che era stato decisamente peggio di una scenata, perché evidentemente aveva abbastanza esperienza da sapere che lui era il tipo di ragazzo che non sopportava una sgridata silenziosa.

E anche Hermione non parlava, e anche questo lui non lo poteva sopportare.

Harry fece capolino dalla porta. Sembrava quello uscito meglio da tutto quell’anno: in fondo, parte dei suoi ricordi non esistevano più, e se i ricordi non ci sono, non ci stai male, aveva scritto Bill in una lettera, perché suo fratello minore ormai era troppo incasinato per riuscire a farcela da solo.

-         Ron, Hermione sta andando via. Vuoi che le dica di venire qui? –

-         Cosa? –

Pensa, Ron, pensa. Non fare la cosa giusta, fai almeno un errore più piccolo. Non lasciare tutto in sospeso, scrivi ‘fine’ in fondo a questo benedetto copione.

-         Allora? Non fare quella faccia, non ti morde… suppongo. – rise Harry. Anche Ron non potè fare a meno di scoppiare a ridere.

-         Oh, smettetela di ridere alle mie spalle. Fammi passare, Harry, altrimenti dovrò rimanere qui per un’altra settimana prima che Ron ti risponda. –

Ron si irrigidì e la guardò male.

-         Eri dietro la porta! –

-         Sì, vi spiavo per controllare di cosa parlate quando non ci sono. Ma insomma, dovremo pure accordarci per quest’estate, no? –

Harry scrollò le spalle.

-         Io andrò dai Dursley per un paio di settimane. E poi vorrei scappare a casa tua, Ron. – fece, con aria supplichevole, anche se sapeva che alla Tana era sempre il benvenuto. Era l’ottavo Weasley, ormai, con i capelli scuri e la cicatrice, però.

-         Non c’è problema – fece Ron. Fece una pausa ad effetto. – ah, giusto, dimenticavo… se vuoi puoi venire anche tu, Hermione. –

Hermione fece una smorfia.

-         Si da il caso che anche senza il tuo permesso, ho già l’invito sia di Ginny che di tua madre. –

-         Questa volta non è che mi bruci poi tanto essere stato battuto sul tempo. –

Harry sorrise. Caspita, che passi da gigante, Ron. Cioè, non tentava di cambiare di una virgola la situazione. Non era certo affar suo, però era veramente snervante.

-         Oh, ehilà, ragazzi! Sto tornando a casa, e voi? –

Luna Lovegood aleggiò nella stanza, un po’ spiritata come al solito. La sola differenza era una fascia intorno alla fronte, e vederla così dava una strana impressione, come se non fosse più lei.

-         Purtroppo – sospirò Harry. Era strano, ma se una volta Luna, che aveva sempre l’aria di essere tra le nuvole, lo infastidiva o meglio gli dava uno strano disagio, da quando c’era stato il combattimento la trovava quasi… rilassante. Sembrava che per lei tutto potesse aggiustarsi.

-         Perché purtroppo? – fece allegramente Luna, guardandolo con le sopracciglia inarcate e gli occhi azzurri sgranati.

Harry si grattò la nuca, sentendosi un po’ stupido.

-         Beh, non per tutti andare a casa è la cosa più piacevole. – borbottò.

-         Luna, Harry vive con degli zii terribili che lo trattano male, è naturale che non voglia tornare là – ridacchiò Ron.

Luna fece un’espressione stupita.

-         Ma come? Casa propria è il luogo migliore dove tornare, no? –

Harry si stupì e la guardò. C’era qualcosa di familiare nel modo in cui l’aveva detto.

Dipende solo da quale posto decidi che è casa tua.

Il suo orologio fece un meccanico bip bip.

-         Sarà meglio che vada – fece, frettolosamente, risvegliandosi – se perdo il treno e arrivo in ritardo mio zio mi ammazza. Già era di pessimo umore sapendo che sarei tornato con qualche giorno di anticipo… -

-         Vuoi che ti diamo un passaggio? Io sono in auto con i miei. – fece Hermione.

-         No, mi accompagna tuo padre, Ron, in stazione, quindi non ce n’è bisogno. –

Andò a dare una pacca sulla spalla a Ron.

-         Ci vediamo tra qualche settimana. E faremo allenamento intensivo di Quidditch, dato che sicuramente ti sarai rammollito. –

-         Come se non lo fosse già… -

Ron lanciò un’occhiataccia ad Hermione.

-         Grazie, grazie, ragazzi, mi fa piacere che siate così gentili e vi preoccupiate per la mia salute. Su, sparite, lasciatemi col mio dolore e ripresentatevi quando verrete a scroccare le vacanze a casa mia. –

Harry rise, Luna scoppiò esageratamente a ridere, ed uscirono entrambi dalla stanza.

-         Non dobbiamo aspettare Hermione? – fece Luna, guardandosi languidamente indietro.

Harry scosse la testa.

-         Lascia perdere. Torniamo a casa. –

Casa è il miglior luogo dove tornare, dipende solo da quale posto decidi che è casa tua.

 

-         Beh? Ti sei incantata? Non ti aspettano i tuoi genitori? –

Errori, errori nei fatti e nelle parole. Proprio lui che predicava quelle storie delle parole che ti fanno ‘zac’ nel cuore, non faceva altro. Ma in realtà non è che si sentisse poi tanto all’altezza di fare ‘zac’ nel cuore di qualcuno, solo poco.

Hermione si sentì una stupida e si chiese perché non se ne era andata con gli altri.

La verità era che voleva chiederglielo. Voleva chiedergli se stava ancora con Lavanda, sentirsi rispondere di sì e dirsi che non era colpa sua, che era Ron che era un insensibile, che non aveva mai capito niente, che aveva finito tutto ancora prima che tutto iniziasse.

Eppure qualcosa era iniziato, i baci c’erano stati, le carezze c’erano state, gli sguardi c’erano stati, ma tutto era stato lasciato in sospeso.

Ed era colpa di Ron, perché Ron lasciava sempre tutto in sospeso.

-         Ah, no, è che… ti volevo dire che… quest’estate non farò… i tuoi compiti, ecco. -

-         Sì, come no… li farai, eccome. –

Ecco, poi c’era il Ron strafottente, che era una nuova evoluzione del suo carattere. Quello che si passava la mano tra i capelli, quello che era il re a Quidditch, quello che squadrava le ragazze, e dava per scontata lei.

Il Ron strafottente aveva spesso una prevalenza, a dire la verità.

-         Se ti dico che non li farò, non li farò, punto. –

-         Ma se sono anni che dici così e poi finisci sempre per farmeli! –

-         Quest’anno è diverso! –

-         Non è mai poi così diverso, rischiamo sempre la pelle. –

-         Non è divertente. –

Ron la guardò. Beh, e quella faccia seria?

Hermione distolse lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.

E’ strano, perché puoi ripeterti in testa un discorso mille volte, poi quando vorresti dirlo lo dimentichi, e quando non vorresti ti esce fuori con una naturalezza che non sembra neanche tua.

-         Non è stato divertente stare a guardarti per giorni senza sapere se ti saresti svegliato. Non è stato per niente divertente. Mi sono dimenticata di dormire e di mangiare, mi sono presa una specie di sgridata dalla Delacour, e come se non bastasse dovevo avere sempre in testa il Litus Somnii e mi sentivo così in colpa… -

Ron era più confuso che mai.

-         Ma cosa… tanto per dire, che cosa diavolo è il Litus coso? –

Hermione lo guardò malissimo.

-         Litus Somnii, Ron. L’avevo letto all’inizio dell’anno, quando sono andata nella Sezione Proibita della biblioteca. –

-         E perché mai ci sei andata? –

-         Ho già letto tutto quello che mi interessava nelle sezioni normali, aspetto che le aggiornino un po’. Ma non è questo che importa! Il Litus Somnii è letteralmente la Spiaggia del Sogno. Secondo una leggenda popolare le persone che sono tra la vita e la morte, ad esempio quelle in coma come eri tu, si ritrovano lì. Ho letto che secondo questa credenza chi tenta di andare nell’acqua, muore. –

Ron la fissò.

-         Che c’è? – fece Hermione, distogliendo lo sguardo.

-         Era solo un sogno, Hermione – disse, come se stesse parlando con una pazza.

Anche lei lo fissò.

-         Ah, sì? E come mi spieghi che abbiamo fatto lo stesso sogno? Anche senza pensarci troppo… -

Ron aggrottò le sopracciglia, concentrato. La guardò, incredulo.

-         Mi stai dicendo che se fossi andato un po’ più in là, sarei… cioè… -

Hermione scosse la testa con veemenza.

-         E’ per questo, è per questo che mentre anch’io ero in quella specie di breve coma e me lo sono ricordato, ti ho detto di non andare, ma quando ho visto che non ti svegliavi, che passavano giorni, ho pensato… -

Cos’aveva pensato?

Che era colpa sua, che in fondo era sempre stata colpa sua. Che se avesse imparato a proteggersi da sola, Ron non avrebbe cercato di proteggerla e non avrebbe rischiato, che in fondo aveva sempre saputo che lui le voleva bene, e lei a lui, ma non aveva mai detto niente, anche se sapeva che lui avrebbe fatto uno sforzo sovraumano a fare il primo passo, e tutto questo per paura. E in fondo anche lei era una che lasciava tutto in sospeso, che non riusciva a mettere la parola ‘fine’ in fondo a quel copione.

Ma non poteva dirlo a Ron.

Perché aveva paura.

Non paura di lui, ma era quella paura oscura e terrificante di quando hai davanti una persona che è importante per te, ma non sai cosa dire e non sai se dirai cose alla sua altezza, e ti metterai a pensare alle conseguenze, a quella persona che si allontanerà da te, perché non sei all’altezza.

-         Ma che cos’hai, Hermione? Sei un po’ strana. –

E Ron vedeva solo il suo imbarazzo, non vedeva mai quello di Hermione, perché non si sentiva all’altezza.

Hermione scosse la testa, non disse nulla, voleva scappare e rimanere.

Calò il silenzio.

Ron la guardò e se lo disse. Si disse che se non lo portava avanti, quel copione, non avrebbe mai saputo come sarebbe andato a finire. E sarebbe continuato così, per anni, e si sarebbero scritte pagine e pagine di storia sembra uguale, e lui non sarebbe cresciuto mai.

Era ora di guardarla in faccia la paura, e non essere all’altezza, ma con orgoglio.

-         Senti… non ho ben capito quello che volevi dirmi, ma comunque ho anch’io qualcosa da dirti. –

Hermione lo guardò. Eccola, eccola che arrivava la delusione finale. Ed aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, probabilmente.

Ron aggrottò le sopracciglia, abbassando lo sguardo come se non sapesse bene come esprimersi.

-         Io lo so che non sono un granchè a scusarmi o a fare discorsi seri, e che probabilmente non ho nemmeno un gran carattere, perché mi irrito facilmente, non ascolto, m’ingelosisco e dico le cose sbagliate al momento sbagliato… -

-         Ma questo… - tentò di protestare Hermione.

-         Ehm, vorrei che mi lasciassi finire altrimenti mi dimentico tutto quello che volevo dire – disse Ron, annuendo.

Hermione sorrise.

-         Cioè – riprese lui – non so bene come spiegarmi… quello che è successo quest’anno, e negli ultimi mesi… ho sempre lasciato tutto sottinteso… e oserei dire che l’hai fatto anche tu… -

Hermione non lo interruppe, ma borbottò qualcosa.

-         Però… insomma… è come… è come vedere uno di quei cosi… quelli che si vedono in quella scatola, che hai a casa tua…-

Lei inarcò le sopracciglia.

-         Un film? –

-         Ecco, quello lì. E’ come vedere un film… e all’improvviso saltasse la luce e tu non avessi visto la fine… insomma, il ‘the end’. –

-         Non è necessario vedere il ‘the end’ per chiarire le cose – mormorò Hermione, arrossendo leggermente.

Ron distolse lo sguardo.

-         Non intendo il ‘the end’ di tutta la saga… solo di un capitolo. –

Hermione rise. Poi però si ricordò della delusione in arrivo e smise di ridere.

-         Ascolta, Ron, non c’è bisogno di fare tutto questo giro di parole… lo so stai con Lavanda. Non ho mica intenzione di… -

Di affondare definitivamente la tua relazione con Lavanda. Bugia. Se l’avesse visto di nuovo in giro con lei, probabilmente non sarebbe più riuscita a guardarlo in faccia senza sentirsi… delusa, impaurita, arrabbiata, vuota.

E dal punto di vista di Hermione, Ron avrebbe potuto reagire in due modi: rimanere in silenzio, e lasciarla andare via, e avrebbero visto lei, Hermione Granger, e non Lavanda Brown, uscire da quella stanza con le lacrime agli occhi. Oppure lui avrebbe cercato di spiegare, che in fondo erano amici, che lei gli piaceva ma mica quando Lavanda, che era stata lei a farsi i castelli in aria ed immaginare le cose.

Ma Ron la guardò confuso, e questo Hermione non l’aveva messo in conto.

-         Guarda che io non sto più con Lavanda. –

Non più.

Hermione rimase paralizzata sul posto, cercando di metabolizzare quello che aveva detto.

-         E cioè? –

Ron inarcò le sopracciglia.

-         Che vuol dire ‘e cioè’? Non ci sto più… insomma, ci siamo lasciati, mollati… non so come spiegartelo –

-         No, ho capito, ma non ho capito perché. –

Lei, che era pronta a passare una pessima estate, a cercare di riparare il cuore a pezzi con lo scotch, che però fa sempre vedere le crepe. Possibile che ci fosse un’altra ragazza ancora? Che Lavanda non fosse l’unica?

Ron arrossì furiosamente.

-         Dai, Hermione… non farmi credere che tu sia così ottusa… -

Lei alzò la testa di scatto.

-         Mi hai appena detto ‘ottusa’? –

-         Oh… l’ho detto, ma… -

-         Sei tu che non ti sai spiegare! Non puoi dirmi che non capisco se poi non sai esprimerti! –

-         Hermione, ti ho mai detto che semplicemente detesto quando travisi quello che dico come ti pare? Ti devo dire quello che penso chiaro e tondo perché tu capisca? Non eri tu quella tanto intelligente? –

-         Cosa diavolo c’entra! Sei tu che travisi i miei, di discorsi! E sì, non sarebbe male se ti esprimessi chiaro e tondo per una volta, eri tu quello che diceva che non voleva più usare sottintesi! –

-         Se non sbaglio anche tu non volevi usarli! Perché devo essere io a chiarire le cose, se tu non fai nemmeno uno sforzo per capirle? –

-         Secondo me tu sai nemmeno che cosa significa chiarire le cose, altrimenti, invece di girarci attorno, avresti già detto quello che volevi dire! –

-         Eccoti, eccoti di nuovo a fare la sotuttoio! Ma si può sapere cosa intendi tu per ‘chiarire le cose’? Sono proprio curioso di sentire i tuoi discorsi contorti che dovrebbero essere comprensibili! –

-         Vuoi un esempio di come si chiariscono le cose, Ron? Le cose si chiariscono decentemente dopo anni di sottintesi dicendo che io sono innamorata di te, che ti amo, va bene? –

Ron la guardò, arrossì, distolse lo sguardo.

Hermione lo guardò, si rese conto di quello che aveva detto e fece lo stesso.

Oh, beh, evidentemente una litigata tira fuori tutto, il peggio ed il meglio di te.

Dopo qualche attimo di silenzio, Ron tossicchiò.

-         Direi che sei stata… come dire… esauriente. -

Hermione, nonostante la tensione al massimo ed il cuore a mille, sorrise.

Altro momento di silenzio.

-         Beh… comunque… - mormorò Ron, sembre piuttosto rosso. – a questo punto mi chiedo esattamente quale sia il nostro problema. –

-         Non lo so. Forse che sei un cretino. –

-         Se la poni su questo piano, allora non sono l’unico, qui. –

Si guardarono in cagnesco.

Ma il problema, quel problema non c’era. Un problema nato e cresciuto in sei anni… che in realtà non era mai esistito. O forse sì, ma al momento era talmente piccolo da sembrare invisibile.

Bussarono alla porta.

-         Hermione, sono secoli che ti aspettiamo, cominciavamo a preoccuparci. Non hai ancora finito con i saluti? –

Sua madre.

-         Sì, un attimo solo. –

La donna sbirciò furtivamente nella stanza, ma fu costretta a richiudere la porta.

Hermione si avvicinò al letto di Ron.

-         Allora, ti riporteranno a casa in giornata? – disse, come se niente fosse.

Ron, vagamente confuso dal brusco cambiamento di tono di Hermione, rispose con un po’ di esitazione.

-         Ah… credo di sì. Ma probabilmente dovrò comunque fare quella roba… fiscoterapia. –

-         Fisioterapia, Ron, impara a parlare! –

Lui la guardò. Non poteva credere… non aveva ancora ben assimilato quello che lei gli aveva detto.

Che sono innamorata, che ti a m o.

Un bel modo… di chiarire le cose.

-         Ehi, smettila di guardarmi così. Non verrò a farti da balia solo perché hai una gamba un po’ malandata. –

-         Un po’ malandata? Grazie mille, riesco a malapena a camminare! E comunque, chi ti ha chiesto niente! – fece una pausa drammatica. – anche se poi probabilmente alla Tana ci sarà solo mia madre a occuparsi del sottoscritto… che mi tormenterà fino alla morte e ne uscirò malissimo… e allora, altro che Litus coso… -

Hermione trattenne una risata.

-         Forse chiederò ai miei se mi possono portare prima. –

-         Uhm, okay, se insisti. Io non ti ho chiesto niente. –

Hermione fece un’aria di sufficienza.

-         Perfetto. Ti farò sapere. –

E tornò a casa.

Dopotutto, è meglio lasciare le cose un po’ in sospeso.

Altrimenti, come si fa poi a chiarirle?

 

 

 

I ragazzi che si amano

si baciano in piedi

contro le porte della notte

ed i passanti che passano li indicano con il dito

ma i ragazzi che si amano non sono li per nessuno

ed è soltanto la loro ombra che trema nella notte

destando la rabbia dei passanti

la loro rabbia, il loro disprezzo, la loro invidia

I ragazzi che si amano non sono là per nessuno

essi sono altrove

ben più lontano che la notte

ben più in alto che il giorno

nella luce abbagliante

del loro primo amore.

 

 

 

 

Quell’estate. ___ L u g l i o

 

Ronald Weasley non faceva altro che poltrire sull’amaca con la scusa della gamba malata, e la cosa sarebbe stata quasi convincente se non avesse giocato a Quidditch con Fred, George e Ginny non appena sua madre sembrava non guardare. Harry Potter sarebbe arrivato quel giorno di metà luglio, ampiamente stufo degli zii e del cugino.

Hermione Granger si era praticamente stabilita alla Tana. Nel tentativo di aiutare la signora Weasley a preparare la cena, aveva quasi mandato a fuoco la cucina. Da quel momento, Molly la teneva ben lontana da qualsiasi cosa che avesse a che fare col fuoco.

-         Vai, esci a fare una passeggiata, ci penso io a cucinare – diceva nervosamente la signora Weasley, e Ron si sbellicava dalle risate nel vedere l’espressione perplessa di Hermione.

Hermione attraversò con passo spedito il prato, le scarpe che affondavano leggermente nell’erba appena tagliata.

-         Ron! –

Il ragazzo si voltò, minimamente turbato, ancora stravaccato a dondolare sull’amaca appesa in aria da un incantesimo, all’ombra di un albero nel giardino sul retro della Tana.

Hermione lo raggiunse.

-         Tua madre dice che tra poco sarà pronto il pranzo e di andare a lavarti le mani. –

Ron fece una smorfia.

-         Ti prego, non dirmi queste cose con quella faccia seria, neanche fossi un bambino. –

La ragazza lanciò un’occhiata significativa alle mani di Ron, decisamente velate di terra (a forza di cadere dalla scopa tutte le volte che i gemelli gli lanciavano una Pluffa rimediata da qualche parte con particolare violenza).

-         Sospetto che tu sia un bambino. Muoviti, tra poco dovrebbe arrivare Harry con la Polvere. –

Si voltò e fece per andarsene. Ron l’afferrò per un polso.

-         Aspetta, aspetta – ridacchiò.

Hermione lo fissò, gelida.

-         Aspetta, aspetta cosa? –

-         Oh, smettila di essere così brusca. Sei arrabbiata solo perché mia madre non ti fa più entrare in cucina. –

Lei distolse lo sguardo.

-         Non è affatto vero! – disse, ma poco convinta.

-         No, non è vero – replicò Ron, ironico.

-         Però – protestò esitante lei. – insomma, è stato un incidente! Mi mette a disagio stare qua a far nulla. –

Ron rise.

-         Okay, adesso ti troviamo qualcosa da fare. Vieni qui. –

Hermione lo squadrò dall’alto in basso.

-         Qui dove? –

-         Sull’amaca. Come on, non avere paura. –

-         Senti, come on, questa cosa non reggerà il peso di entrambi, si romperà e… -

-         Non ho mai sentito nessuno così preoccupato per il futuro del proprio sedere! –

Lei arrossì.

-         Smettila di essere così scurrile! –

Ron la ignorò e si spostò un po’ di lato per farle spazio.

-         Su, sbrigati. Altrimenti dovremo farci salire anche Harry e allora sì che non ci reggerà. –

Hermione sbuffò, ma con lieve esitazione salì anche lei. L’amaca era abbastanza grande per contenerli perfettamente.

-         E adesso? – fece la ragazza, socchiudendo gli occhi per il riverbero del sole. Faceva caldo, ma non aveva alcuna intenzione di spostarsi.

Ron si chinò verso di lei e la baciò. Hermione perse di colpo tutte le forze. Ormai l’aveva baciata già alcune volte, ma ancora lei non riusciva a farsene una ragione, non le sembrava nemmeno reale.

E per qualche motivo si vergognava da morire.

- Ron, insomma, proprio qui? – balbettò la ragazza quando Ron si rimise soddisfatto al suo posto.

- Beh, mi sembra che un posto valga l’altro – rise lui, appoggiando il mento sulla massa di capelli castani di Hermione.

- Sì, ma se ci vede tua madre, si infurierà – protestò lei, anche se aveva sempre meno voglia di protestare.

- Ma smettila, tu piaci a mia madre –

- Non ne sarei tanto sicura. –

- Beh, ma cos’è poi tutta questa preoccupazione per quello che pensa la mia famiglia? Non vorrai mica sposarmi? No, perché non sono sicuro di riuscire a sopravvivere per sempre con te che mi martelli di lamentele. –

Hermione arrossì furiosamente, riacquistò le forze e senza preavviso lo buttò giù dall’amaca facendogli fare un capitombolo per terra.

Saltò giù, sprezzante.

-         Idiota! – fece, dirigendosi verso la Tana.

Ron era seduto per terra che se la rideva.

-         Dai, torna qui, stavo scherzando! Lo sai che mi hai fatto male? –

-         Tanto meglio! –

 

Molly e Arthur Weasley guardavano fuori dalla finestra con aria interessata.

-         Ma allora Ron e Hermione stanno davvero insieme? – fece l’uomo, con aria perplessa.

-         Ron non stava con quella ragazza bionda? Non starà mica facendo il doppio gioco? –

Ginny Weasley, seduta a tavola con una rivista in mano, rise.

-         Si sono lasciati. E comunque voi due siete dei ficcanaso. –

Sua madre si voltò con sguardo severo, ma tornò a cucinare con aria imbarazzata.

-         Non rivolgerti così ai tuoi genitori, Ginny. Ti ricordo che sei in punizione. –

-         Tranquilli, tanto non avrei comunque nulla da fare. –

-         Già, anche perché Dean ti ha scaricato! – ridacchiarono Fred e George, entrando in cucina e sedendosi attorno al tavolo lanciando uno sguardo divertito alla sorella.

Ginny fece una smorfia.

-         Come siete delicati, ragazzi. –

-         E chi è questo Dean? – fece Arthur, ancora più perplesso e confuso.

-         L’ex ragazzo di Ginny. Che le aveva chiesto di andare a Mikonos con lui, ma dopo che lei si è imboscata con Malfoy l’ha mollata e ci è andato con la sua migliore amica! –

La ragazza li guardò disgustata, appallottolò due pezzi di carta e glieli lanciò in testa, anche se loro li schivarono.

-         Non vi si può dire nulla! –

-         Oh, tesoro, ma allora sarai a pezzi! – fece Molly, con un attimo di preoccupazione materna. Poi guardò severamente i gemelli. – e voi due, non voglio sentire quel nome in questa casa per molto tempo ancora! –

-         Okay, non diremo più Malfoy – bisbigliarono Fred e George, ma fortunatamente la signora Weasley non li sentì.

-         E comunque, ragazzi, Anna mi ha chiesto il permesso prima di andarci, e a me non importa più niente di Dean – sussurrò Ginny, arrabbiata, avvicinandosi con la sedia ai fratelli.

-         Certo, ti sei fatta infinocchiare – rise Fred, seguitò da George.

-         Ma chi usa più il termine infinocchiare, ragazzi, insomma! –

I cinque nella stanza si voltarono verso la porta. Harry fece un cenno con la mano.

- Oh, Harry, caro! Sei arrivato presto! Oddio, non è ancora pronto il pranzo, hai molta fame? – fece la signora Weasley, con aria terrorizzata.

- Non c’è problema, posso aspettare – sorrise Harry, sedendosi accanto a Ginny.

- Cos’è, Harry, adesso ti metti a fare il principe salvatore di Ginny? Guarda che se lo scopre Ron, poi non ti darà pace! – esclamò Fred.

- Già, il fatto che tu e Ginny vi mettiate insieme è la sua massima aspirazione. – continuò George.

Ginny colpì entrambi con un paio di pugni sulle spalle ben assestati.

Harry fece finta di nulla, e si guardò intorno.

-         A proposito, dov’è? –

-         E’ a tubare con Hermione, come al solito. Quando gli verrà fame, arriverà, come i cani. –

-         Ti ho sentita! – borbottò Ron, entrando seguito da un Hermione con i capelli un po’ spettinati.

Ginny scoppiò a ridere. Ron la ignorò e andò a dare un pacca sulla spalla a Harry.

-         Allora, ti sei divertito dai Dursley? –

-         Una favola. –

Anche Ron si sedette accanto a Harry ed Hermione accanto a lui.

-         Okay, è pronto, ragazzi! – esclamò allegramente la signora Weasley, posando sul tavolo una pentola fumante mentre Arthur si sedeva.

Ginny sbirciò interessata il contenuto della pentola, ma stranamente si ritrovò a scambiare uno sguardo con Harry, il quale sorrise un po’ stupito, e lei stessa sorrise, ma distogliendo lo sguardo vagamente imbarazzata.

Istintivamente, portò la mano alla tasca dei jeans.

L’anello era lì.

 

Gettò il mantello sul letto e guardò la sua ‘nuova stanza’, come l’aveva chiamata suo padre.

Umida, vagamente fredda nonostante fosse piena estate, con una finestrella che dava su una specie di fiume. Il cielo era grigio.

Fece una smorfia, stendendosi sul letto striminzito. Era abituato a ben altri spazi, con la sua stanza arieggiata ed il letto enorme. Dovevano essere proprio i bassifondi del castello, che schifo. Se avesse saputo che erano quelle le condizioni dei servitori del Signore Oscuro, probabilmente ci avrebbe pensato due volte prima di decidere di vivere al suo cospetto.

Bussarono alla porta.

-         Avanti – fece, vagamente scocciato.

Lei fece capolino.

-         Draco, è ora – fece, con un sorriso.

-         Sì, arrivo subito. –

-         Non facciamolo aspettare. –

-         Ho detto che arrivo, Pansy. –

La ragazza lo guardò, sospirò e si richiuse la porta dietro le spalle. Non era triste o arrabbiata: lui era tornato il solito e questo contava.

Draco si voltò di lato, lanciando un’occhiata grigia alla finestra.

Non ti manca il respiro?

Sì, mi manca.

Indossò il mantello, fece calare il cappuccio all’altezza degli occhi ed uscì.

Adesso mi manca.

 

 

Lights will guide you home                        Le luci ti riporteranno a casa
and ignite your bones                                 
e incendieranno le tue ossa
and I will try                                             
 ed io proverò

to fix you.                                                   ad aggiustarti.

 

 

 

Fine.

 

*

So che riceverò improperi a palate per averla finita in questo modo._. D’altronde conoscevo questo finale da poco meno di un anno, e non ce la facevo a pensare diversamente.

Oh, caspita… è stato il lavoro più lungo della mia vita. Una fanfiction durata più di un anno… venti capitoli e duecentoquarantasette pagine. Un po’ mi commuovo.

E dire che ho iniziato a scriverla dopo aver letto visto il terzo film, perché prima non mi interessava un granché il potterverse. Sotto le insistenze dell’instancabile Ayumi mi sono messa a leggere anche il quinto libro e l’ho divorato, e così ecco qua. Ho già letto il sesto libro quest’estate, ma stranamente non mi ha bloccato l’idea che questa era solo la mia versione.

Vorrei fare una lista di ringraziamenti, ma sareste troppi ed io sarei noiosa: diciamo che vi ringrazio tutti, e tantissimo. In particolar modo Ayumi, che mi ha spinto a continuare anche quando non ero più sicura e mi ha trovato la canzone dei Coldplay che mi piaceva tanto.

Perciò, grazie. Eh, beh, non ho altre parole.

Una volta avevo detto che una volta finita questa fanfiction avrei scritto la playlist, la ‘colonna sonora’ di UMC. Perciò, eccola, in ordine cronologico, e ascoltatele se potete.

 

Carla Bruni – Qualcun m’a dit

Carla Bruni – Le ciel dans une chambre

Carla Bruni – Chanson d’amour

Maroon5 – She will be loved

Alex Britti – Una su un milione

Maroon 5 – Harder to breathe

Evan and Jaron – Crazy for this girl

Carla Bruni – Chanson triste

Jem – Come on closer

Samuele Bersani – Giudizi universali

Max Pezzali featured. Paola e Chiara – Amici come prima

Chantal Kreviazuk – Feel like home

Lene Marlin – Never to know

Goo goo dolls – Iris

Coldplay – Fix you

 

Naturalmente non ci sono tutte, non riuscirei a ricordarmeleXD Diciamo che sono le più importanti.

Ah, per chi se lo stesse chiedendo (sì, nessunoXD)… potrebbe esserci un seguito. Forse. Può darsi. Non è da escludere. Ecco._.

Beh, direi che con questo ho finito… spero che L’ultima metà del cielo vi sia piaciuta.

A presto!

 

 

Miwako__

 

 

  
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