Capitolo 3
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Quando
Glacier ti ha detto che per pranzo saresti stata sua ospite insieme a tutti gli
altri ti è preso un colpo.
Tutti.
Dentro. Casa. Hughes.
Effettivamente
Glacier non deve avere paura di quei terremoti che sono i tuoi figli. E nemmeno
di Roy. Ma tu – e Riza ovviamente – un’idea chiara ce l’hai eccome. Proprio per questo hai cercato di declinare l’invito. Inutilmente. Glacier non ha voluto
sentir scuse. E tu, ora, guardando l’allegria che regna in quella casa,
comprendi perché: Glacier non voleva lasciarvi soli in quel giorno
carico per voi di dolore. Glacier ha capito. Glacier ha voluto aiutarvi.
Certo, al
momento la casa è un po’ rumorosa, ma sentire le risate che riecheggiano ti mette di buon umore almeno in parte. E
sembra scacciar via un po’ della malinconia che prima ti ha assalita. E, contemporaneamente, te ne addossa
un’altra, di un altro tipo. Forse addirittura peggiore della precedente.
Forse
è stato vedere Roy giocare con i bambini. Lui che ha sempre affermato
che come padre sarebbe un disastro! Ah, che sciocco tuo fratello…
Chissà quando capirà che sarebbe l’esatto contrario?! Forse quando…sarà padre?!
Ti viene da ridacchiare al solo pensiero. Sul serio. Ma
poi, inaspettatamente, i tuoi occhi corrono alla figura di Riza, intenta a
sbucciare delle mele. Forse l’impossibile non è proprio tale.
Osservi la
tua migliore amica e la nostalgia preme nuovamente. È così strano
per te vederla tranquilla, con un grembiule azzurro legato intorno alla vita e
le mani sempre così abili nell’uccidere ora impegnate per creare
un pranzo squisito. È sempre stata brava in cucina, Riza. Fin da quando
hai memoria. Ricordi ancora le buonissime torte che sapeva cucinare…
Accanto a
te, che controlla la cottura della carne, c’è Glacier. La dolce e
materna Glacier. La donna che ha accettato la morte del marito ed è
andata avanti, certa che la cosa più importante fosse sua figlia. La
capisci. Riconosci quel sentimento d’amore verso i
proprio figli, quel amore così forte.
Dal salotto
arrivano le voci di Roy e Ed che, a quanto sembra, sono molto più
bambini dei veri bambini. E la
risate di questi ultimi. E i rimproveri malcelati di Winry. Ti piace quella
ragazza. È forte. E ti ricorda la te stessa di tanti anni fa.
Avverti uno
sguardo addosso e, voltandoti, non ti sorprendi nel scoprire che sono proprio
gli occhi di Riza a fissarti. E c’è qualcosa di strano nel suo
sguardo. O almeno così ti sembra. Sai che si sta chiedendo perché
tu sia veramente lì: la scusa che le hai appioppato non l’ha
convinta molto. Alzi le spalle e lei annuisce piano. Le chiacchiere sono
rimandate ad un altro momento.
Dopo il
pranzo – in cui tua sorella ha conosciuto quasi tutti i protagonisti
delle vicende dell’ultimo periodo – avete deciso di spostarvi in
salotto per chiacchierare meglio. Manca solo Riza che, eludendo elegantemente
le proteste di Glacier, è andata in cucina a preparare il caffè. E
tu, ora, hai deciso di eludere altrettanto elegantemente la “folla”
e raggiungerla.
Trovi
strano il poterla vedere nuovamente così rilassata, il viso disteso e le
mani che si muovono veloci in una cucina. Eri convinto che non
avresti mai più potuto vedere questa Riza, che per sempre ti
sarebbe stato negato il poter essere appoggiato a quello stipite per guardarla
di nascosto. Sempre che le si possa nascondere
qualcosa.
“ Ha
intenzione di fare la muffa?” La senti infatti
chiedere senza che i suoi occhi si spostino dalla moca che ha iniziato a far
rumore.
Sorridi
accondiscendente: non sarai mai in grado di prenderla di sorpresa! Dovresti
saperlo ormai.
“
Come mai ti sei allontanata?” Le chiedi entrando finalmente nella cucina.
“ Per
fare il caffè.” Ti risponde laconica. E pretende anche che tu ci
creda magari.
Ma con
Riza è meglio essere diretti. Solitamente serve, almeno.
“ Sai
perché mia sorella è qui?” Le domandi allora appoggiandoti
accanto a lei. Vedi i suoi occhi saettare velocemente verso di te e il sospiro
che le esce dalle labbra subito dopo ti fa capire che
forse, quel giorno, essere diretti è la cosa peggiore.
“ Cosa vuole sentirsi dire esattamente? La
versione reale o quella che mi ha propinato Alice l’altra notte sperando
che ci cascassi?” Ti chiede mentre rabbia e frustrazione escono
simultanee dalla sua bocca.
Sorridi
mesto. È stato solo un piccolo scatto. Un minuscolo scatto se vogliamo
essere precisi. Ma ti è bastato per capire che
Riza è frustrata da quella situazione che non le piace per niente.
“ Sei
preoccupata per lei?”
Le sue mani
si arrestano solo un attimo. Un nano secondo ed ecco che riprende a versare il
caffè nelle tazze; poggia quest’ultime su un vassoio e si dirige
verso il salotto. Ma prima d’uscire
completamente dalla cucina si ferma sulla soglia.
“
Dovrei esserlo?”Domanda a bruciapelo quasi a specificare qualcosa. Poi,
senza aspettare una risposta, esce rapida.
Hai voluto
farti raccontare tutto. Tutto quello ch’è
successo in quell’ultimo periodo. Anche i dettagli “tecnici”
che Riza ha omesso in quanto riguardanti
l’Alchimia. Non che lei non ne capisca nulla, ma da quanto hai appreso
nell’ultima ora è stata veramente
complessa come cosa.
Inizialmente
– Edward in particolar modo – tutti si sono dimostrati restii a
raccontarti ogni cosa. Non ti ci è voluto molto
per capire ch’era dato dal fatto che scoprissero la tua esistenza
praticamente in quel momento. E non potevano giustamente immaginare che tu
fossi (o fossi stata) un’Alchimista in passato. Quando hai specificato
questo passaggio il racconto è fluito da solo.
Si è
rivelato molto più interessante di quanto ti aspettassi. E ti sei
trovata a pensarci per diversi minuti alla fine.
“
Scusi.” La voce di Winry che richiama la tua attenzione ti distoglie dai
pensieri alchemici.
“
Dimmi.”
“ Ha
detto che conosce l’Alchimia. È anche lei
un’Alchimista di Stato?”
La domanda
ti spiazza. E i tuoi occhi incrociano quelli di Roy e Riza quasi in
contemporanea. Poi, rapidi, tornano sulla figura della ragazza bionda che ti
siede davanti. Ti chiedi come l’abbia capito, come l’abbia intuito.
In fondo, vedendo una ragazza con tre figli a carico, solitamente il fatto che
sia stata nell’esercito non è la prima cosa a
cui si pensa. O forse, semplicemente, il ruolo di militare che hai
ricoperto a Ishbar ti si è incollato alla pelle.
Abbassi la
tazza di caffè che stavi bevendo e respiri a fondo.
“ Si, sono stata un’Alchimista di Stato.” Ammetti
alla fine cercando la volontà di pronunciare quelle parole. E ti costa
molto. Perché non vai fiera di quanto hai fatto in quei sei mesi
infernali. Proprio per niente.
Alzi gli
occhi su Riza e capisci subito che di quanto è stato il vostro passato
– quello prima d’Ishbar – chi ti sta davanti non sa nulla. E
deve continuare ad essere così. Perché
loro non capirebbero, non capirebbero mai.
Perché l’unico modo per capire è vivere sulla propria
pelle. E questo, per fortuna, a loro sarà sempre negato.
“ Ho
combattuto nella guerra di sterminio d’Ishbar.”
Ecco,
è questo ciò che Winry voleva sentirsi dire. Perché dentro
di se l’aveva già intuito. Ma ha anche
intuito che più di questo non saprà. Più di questa
verità non le dirai. E non chiede altro. Se lo farà
sarà in seguito. Per il momento si limita ad annuire, piano, senza
scavare in quel passato ch’è una piaga
sempre presente.
Il pranzo a
casa Hughes si è trasformato in una quasi cena alla fine. E la cosa,
chissà perché, non ti sorprende per niente. È proprio per
questo che i bambini si sono addormentati sul divano assieme ad Elicia.
E ora ci
siete tu, Roy e Alice che vi dirigete verso casa dell’uomo con la
stanchezza pressante sui vostri volti. Tuttavia sai bene che non finirà
tutto con due saluti e un “arrivederci a domani”. Non potrà
finire così. Perché ci sono ancora alcuni punti lasciati in
sospeso.
La piccola
Kathleen dorme serena fra le tue braccia, e la stessa cosa fanno
James e Daniel in braccio a Roy; entrambi avete convenuto che il pancione ingombrasse
già abbastanza per Alice.
Quando
entrate in casa la prima cosa a cui pensate è
di mettere a letto i bambini, in modo che almeno loro non si sveglino con un
bel mal di schiena il giorno dopo. Li accomodate sul
letto di Roy e dopo che Alice ha rimboccato loro le coperte vi rifugiate in
soggiorno chiudendovi la porta alle spalle in modo da non far rumore.
“
Allora, Alice, perché sei qui in realtà?” Esordisce Roy con
una calma disarmante mentre fa ondeggiare piano il Whisky contenuto nel suo
bicchiere. Tuttavia sai bene che quella calma è solo apparente: dentro
di se, Roy, è agitato come non mai.
Alice
temporeggia malamente osservando le spire di fumo che si levano dalla sua tazza
di tè. Per lei niente alcolici. È sconsigliato in stato avanzato
di gravidanza.
Osserva
prima suo fratello e poi sposta lo sguardo su di te che, con un bicchiere pieno
di Whisky come quello di Roy in mano, attendi pazientemente una risposta. Sa
che non potevi credere alla scusa della notte prima. Serviva solo a temporeggiare.
A darti l’illusione che andasse tutto bene. Peccato che tu, le illusioni,
le fai scoppiare come bolle di sapone troppo deboli
per sopravvivere. È nella tua natura. È quello che sei.
“ Si
tratta del bambino.” Ammette alla fine la mora con gli occhi ancora fissi
sul fumo ondeggiante.
“
Quale esattamente?”
La
precisione solitamente fuori luogo di Roy, per una volta, non è
fuori luogo. Che dipenda dal fatto che, a conti fatti, in quella casa ci sono
quattro bambini?!
“
Quello che ho nella pancia.”
Senti un
brivido lungo la schiena. Questo non è proprio un bel segno. Questa
frase è l’unica che non avresti mai voluto sentire.
Il liquido
prima ondeggiante nel bicchiere di Roy continua il suo pigro movimento, solo
che non è più l’uomo a farlo oscillare. Il suo polso ora
è fermo, immobile. E suoi occhi prima velati dalla stanchezza –
alla pari dei tuoi – ora sono vigili come mai. Tutto ciò che
c’era prima è scomparso. Ora è
passato in secondo piano.
“
Alice…” Il nome di quella che per te è alla
stregue di una sorella ti esce in un sospiro soffocato. Non sai cosa dire. O
meglio: sai cosa dire, solo che sai anche che le
parole non servirebbero a nulla. Le parole non servono mai con Alice. Con Alice
servono i fatti.
“ Ho
un’appendicite.” Ammette alla fine la donna socchiudendo gli occhi.
Vedi le
spalle di Roy sciogliersi, la sua tensione un po’ allentata. Tuttavia nel
momento in cui incrocia i tuoi occhi
s’irrigidisce nuovamente. È forse preoccupazione ciò che
legge nelle tue iridi? E perché? Non è forse una semplice
appendicite?
“
L’appendicite in suo non è pericolosa.” Lo informa Alice
intuendo in gioco di sguardi in atto fra voi due. “ Il fatto che io sia
incinta e con un’appendicite è pericoloso.” Dice
fissando quegli occhi uguali ai suoi, e intuendo la domanda riflessavi dietro.
“ Pericolosa da danneggiare il bambino.”
Un altro
brivido. O forse una scossa elettrica. Non sai dire cosa ti ha attraversato la
schiena, ma sai che la sensazione che ti ha lasciato non
è affatto piacevole. E ha un retrogusto amaro.
La tua mano
scatta rapida verso quella di Alice ora appoggiata
inerme sul divano e la stringe. Forte. Così forte da far quasi male. Ma non importa. È giusto così. E la stretta
che ti arriva di rimando è forse anche peggiore.
Alice ti
sta chiedendo aiuto. A te e a Roy. Lo sta facendo perché è chiaro
che da sola non può farcela. È chiaro che ha bisogno di una mano.
Lo sta
chiedendo a voi perché tu e Roy – bambini e marito a parte –
siete l’unica famiglia che ha. E perché dopo la morte di Maes il
suo cuore è un po’ più vuoto, un po’ più
frammentato.
Tu, Alice,
Roy e Maes.
Voi
quattro. E la piccola famiglia che avevate creato. Quella piccola famiglia
basata su quel sentimento misto di amore, amicizia e… E cosa? Cosa ancora vi legava? Non lo sai. O forse non l’hai mai
saputo. Ma non ti è mai importato molto.
Perché eravate voi. Voi quattro. E andava bene così.
Osservi di
soppiatto tua sorella che, china sui suoi bambini, li accarezza i capelli e
sorride come solo una madre sa fare. E pensi a quanto dolore abbia adesso nel
cuore. E a quanto ne abbia ingabbiato nel corso degli anni.
Un rumore
alle tue spalle ti distoglie da questi pensieri e voltandoti vedi Riza che
sistema i bicchieri e la tazza sul tavolino di vetro davanti al divano. La vedi
simulare tranquillità, ma il tremore impercettibile delle sue mani la
smentisce. E dai suoi occhi stanchezza e preoccupazione si mescolano
vorticosamente. Sai perfettamente a cosa sta pensando. I tuoi pensieri sono
uguali ai suoi.
Lanci
un’ultima occhiata a tua sorella e poi ti dirigi verso il divano su cui
eri seduto fino a pochi attimi prima sprofondandovi nuovamente. Gli occhi di
Riza si alzano impercettibilmente verso l’alto. I tuoi, invece, si
chiudono piano e ti passi una mano su di essi massaggiandoli piano.
“
Tutto bene?” Ti chiede la voce di Riza. Non c’è ansia o
preoccupazione nel suo tono; sai che ha fatto quella domanda solo per proforma.
In realtà non ne aveva nemmeno bisogno. Come sai che non ha bisogno di
una risposta. Ma tu gliela dai comunque.
“ Forse oggi ho stancato troppo gli occhi. Iniziano a farmi male.” E la
testa ricade inerme sulla spalliera del divano.
Non sai
quando ne come, ma senti il divano piegarsi piano e un
attimo dopo senti le dita fresche di Riza accarezzarti piano le tempie fino a
massaggiarle dolcemente. Rilassi la fronte prima corrucciata e abbandoni le
braccia lungo i fianchi. È così bello starsene lì,
entrambi su quel morbido divano… E le lievi carezze di Riza sono come un
balsamo per tutte le ferite e per tutti i dolori. È come se la sua sola
presenza fosse in grado di lavare via tutto, e lasciarti galleggiare in una
bolla di serenità.
“ Non dovrebbe sforzare troppo gli occhi. In fondo ha recuperato la vista
solo da un paio di giorni.” Formale e incisiva. Come sempre. Ma hai sentito chiaramente la sua voce tremare. E la
dolcezza che ha solcato quella frase è qualcosa di così raro che è paragonabile al diamante più prezioso.
Quella dolcezza che solo raramente, di tanto in tanto, lei lascia trasparire.
Socchiudi
le palpebre e i tuoi occhi corrono sulla sua figura fino a tuffarsi dentro al colletto della camicia che indossa. La giacca della
divisa abbandonata sull’attaccapanni. E la vedi. Vedi quella striscia
più chiara, dalla consistenza di carta vetrata. Ruvida al tocco. Ecco
ciò che ti ha terrorizzato poco tempo fa. La causa di quel senso di
panico che ancora ti perseguita nella notte.
Levi due
dita e accarezzi piano quella cicatrice recente, segno indelebile della guerra
appena conclusasi. E senti Riza rabbrividire e poi
irrigidirsi sotto il tocco di quella lieve carezza. I suoi occhi cercano
immediatamente i tuoi e quando questi s’incrociano
riesci a leggerle dentro come mai prima.
“
Sono sempre io la causa del tuo dolore…” Sussurri piano. La mano
ancora ferma sul suo collo.
“ La
scelta è stata mia.” Ribatte lei mentre le sue mani scivolano
lungo il tuo profilo accarezzandolo quasi e poi s’abbandonano
lungo i fianchi, inermi. E può sembrare un segno di resa, il suo. Ma sai bene che non è così.
È il
bisogno a precedere il suo comportamento. Lo stesso bisogno che senti anche tu,
che ti attorciglia le viscere ogni volta che la vedi. È il bisogno di
quell’amore che per così tanti anni è stato solo
un’illusione lontana. E che oggi è ancora un’illusione. Solo
più vicina. Non è più solo un miraggio. Ora la certezza
che ci vorrà solo – ancora un po’ – di tempo
è reale. Ora il tempo non è tiranno come prima.
E quando
allunghi entrambe le braccia e la stringi a te ciò che ottieni non
è un rifiuto. Per una volta lei non si ribellerà a te e a quelle
carezze che sogna da sempre. Per una volta lei si lascerà stringere e
ascolterà il battito del tuo cuore. Per una volta, anche se il tempo che
aspettate non è ancora giunto, lei fingerà indifferenza. E
dormirà accanto a te assaporando un piccolo assaggio di quella vita che
da troppo bramate entrambi.
Sono tremendamente il ritardo, lo so. Ma il lavoro e la scuola prima e le festività poi non
mi hanno lasciato molto tempo. E dato che volevo
ricontrollare questo capitolo ho posticipato la sua pubblicazione.
Spero che vi piaccia.