Quando vedemmo il nostro
villaggio avvolto dalle fiamme capimmo che i nemici
erano riusciti a passare. Fu una notte terribile, di cui ancora serbo un vivido
ricordo, gli uomini di Yoshitane non erano
interessati al controllo della zona, cosa che consentì ad alcuni di noi di
salvarsi, ma solo a infliggere gravi danni agli
avversari, per cui trucidarono buona parte delle truppe, soprattutto i più
giovani, violentarono molte donne e fecero razzia dei nostri beni.
Subito Onigumo
scattò in direzione del villaggio, e anch’io. Quando
mi vide capì che lo stavo spiando, ma non era il momento per fare
recriminazioni. Mentre correvamo vidi un drappello di
soldati nemici scendere dai colli a nord del villaggio. Là sopra c’era un varco
per attraversarli comodamente, quello a cui Onigumo
avrebbe dovuto fare da guardia. Certo li notò anche lui e si rese conto della
terribile responsabilità che gravava sulle sue spalle.
Eravamo ormai quasi arrivati quando sentii un rumore sospetto e mi fermai di
botto. Anche Onigumo si
fermò, e mi guardò con espressione interrogativa. Lo afferrai per la veste e lo
buttai faccia a terra, poi mi nascosi insieme a lui
nell’erba alta.
“Non ti muovere” mormorai.
Un gruppetto di quattro soldati
nemici sbucò dagli alberi e iniziò a guardarsi intorno. Probabilmente ci
avevano sentito correre ed erano venuti a cercarci. Io trattenevo il respiro, e
maledicevo con tutto il cuore Onigumo che tremava
come una foglia, a rischio di segnalare la nostra presenza. Alla fine i soldati
si allontanarono, e dopo aver aspettato ancora per alcuni minuti ci rialzammo.
“Forse possiamo fare ancora
qualcosa per proteggere le nostre famiglie” dissi “Andiamo!”
Feci per muovermi, ma mi accorsi
che Oniguno non mi seguiva. Restava lì immobile, con
una faccia smarrita, lo sguardo perso.
“Che
fai, Onigumo? Muoviti!”
“Quei soldati... erano armati”
“Che ti
aspettavi? Che portassero fiori?”
Lo tirai per il braccio per
dargli una mossa, ma lui si scostò e si prese la testa fra le mani.
“Lasciami stare, Umitsu” gridò “Non voglio venire!”
“Che
dici? Dobbiamo fare qualcosa!”
“Che
possiamo fare contro quei samurai armati sino ai denti?”
“Ma non
possiamo stare senza fare niente? Pensi che il villaggio ci perdonerà se ci
nascondiamo?”
“Ma
ormai il villaggio è perduto!”
“Ma
forse possiamo salvare qualcuno...”
“No! Ho paura!”
Mi venne l’impulso di dargli uno
schiaffone: per colpa sua il villaggio era messo a ferro e fuoco, e non muoveva
un dito? Ma non c’era tempo per litigare, quindi lo
lasciai lì e corsi al villaggio.
Non riuscii a fare nulla. Mentre
mi aggiravo fra le capanne in fiamme in cerca di sopravvissuti
mi imbattei in un soldato nemico. Quello mi colpì al fianco con la spada, un
pessimo colpo che mi fece solo un piccolo taglio, ma capii che al secondo
affondo sarei stato meno fortunato, e quindi simulai di essere stato ferito
mortalmente, mi buttai a terra e rotolai due o tre volte lanciando lamenti, e
alla fine giacqui immobile. Per mia fortuna il soldato non volle accertarsi
della morte e si limitò a frugarmi nelle tasche. Poi se ne andò,
ma intanto altri ne arrivavano, per cui dovetti continuare a fingere. Quando
potei rialzarmi era l’alba e ormai i nemici se ne erano
andati. Nel villaggio erano rimasti pochi uomini e un gruppo di donne coi bambini. Tutti gli altri erano morti o prigionieri. Due
giovani sopravvissuti ammucchiavano i cadaveri nello spiazzo principale. Tra
quei corpi c’era quello di mio padre, di miei amici,
di tanti altri.