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Autore: AHysteria24    01/01/2011    6 recensioni
Elizabeth si ritrova tra le braccia fredde di uno sconosciuto senza la minima idea di come ci sia arrivata. L'evento di una sera cambierà la sua vita e quella delle persone che ama, e che dovrà proteggere.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Capitolo 1 - Buio Ok, questa è la mia prima Fanfiction. Risale a parecchio tempo fa, ma mi sono decisa solo adesso a pubblicarla perchè avevo una paura matta. Anzi, a dirla tutta ce l'ho ancora adesso. Che dire, spero che la storia sia di vostro gradimento. Mi piacerebbe ricevere qualsiasi tipo di recensione, brutale o meno. Non voglio sentire solo complimenti, apprezzo le critiche forse anche di più. Detto questo, ringrazio Giuls e Elly per avermi sopportato e aiutato in tutto questo tempo. E' anche merito vostro questa storia.
E ora la pianto, vi lascio leggere. :)


  Raindrops.

L'uomo è semplicemente un prodotto comune, mentre il mostro è un prodotto raro; ma sono entrambi ugualmente naturali, ugualmente necessari, ugualmente compresi nell'ordine universale e generale.
-Denis Diderot.

Prefazione 

  

Sapevo. Sapevo che in quel momento avrei potuto morire, e sarebbe stata probabilmente colpa mia.

Sapevo che ne sarebbe andata anche della vita, o meglio, dell’esistenza, delle persone che avevo accanto in quell’istante.

Sapevo più che mai in quel momento, con il cuore che scandiva frenetico ogni singolo rintocco del tempo che scorreva incessantemente, che avrei dovuto avere paura, essere spaventata, terrorizzata per la mia vita.

Sapevo che avrei dovuto avere paura di loro. Di lui.

Tuttavia, nonostante in quel momento fosse la mia vita ad essere in pericolo, non riuscivo in alcun modo a temere per essa. O almeno a non temerne per mano loro, per mano sua.

Levai lo sguardo di fronte a me, con il poco coraggio di cui ero provvista, pronta.

Guardai attentamente ogni singola figura davanti a me e, improvvisamente, mi tornarono in mente con prepotenza le parole pronunciate da Alice in un passato poco lontano.

“Era lui…era lui ad ucciderti”. Ora aveva un senso.

Capitolo 1. Buio.

Era tutto così scuro, così buio. Non riuscivo a ricordarmi dove fossi e soprattutto cosa stava succedendo. Che gran casino, continuavo a ripetermi, dove diavolo sono?

Nel frattempo quell’oscura parete misteriosa continuava a correre di fianco a me. Non riuscivo a darle una forma, a descriverla in modo soddisfacente. Riuscivo solo a percepire il suo spostamento continuo ed assurdamente rapido. Sentivo il vento fischiare nelle orecchie e frustarmi il viso, costringendomi a socchiudere gli occhi nel tentativo di mantenerli aperti.

Un momento.

Non mi stavo muovendo, eppure… Una parete non poteva sicuramente spostarsi. E soprattutto non potevo muovermi di certo a quella velocità. Ma che diavolo...?

Le mie gambe erano ferme, o almeno così le sentivo, ma avevo quasi paura di guardarmi in giro e distogliere lo sguardo da quel muro scuro per timore di ciò che in realtà mi circondava.

Faticai a mantenere il mio respiro regolare, cercando di calmarmi come potessi.

Sentivo solamente quel suono simile ad un fruscio, creato dal rapido spostamento d’aria che si creava attorno a me. Faceva freddo.

Chiusi gli occhi ed ispirai profondamente, rabbrividendo un poco.

In quel momento, e solo allora, mi accorsi di un altro respiro molto, molto vicino al mio viso.

Non avrei potuto notarlo se non mi fossi concessa quel secondo di pausa: era fin troppo regolare, perfetto. Stavo per alzare lo sguardo quando mi resi conto di cos’era in realtà quella parete misteriosa. Le punte più scure di quel muro, che convergevano verso il centro da entrambi i lati e sembravano volermi schiacciare, opprimermi… che stupida. L’angolazione da cui la osservavo era totalmente sbagliata. La stavo guardando al contrario. Quando quel pensiero finalmente mi raggiunse, fui sconvolta da una certezza quasi angosciante. Angosciante, senza quasi.

Mi resi immediatamente conto delle braccia che mi sostenevano, strette attorno alle mie gambe e dietro la mia schiena per sostenermi. Ero in braccio a quel misterioso, regolare respiro.

“Tutto okay?”, chiese quel respiro, “Pensavo fossi svenuta. Stai bene?”.

La voce era come il respiro, regolare, perfetta.

Rimasi sorpresa un istante, ammaliata dal suono di quella voce, e poi farfugliai, nella confusione più totale: “Chi, io?”.

Una dolce risata eruppe da un punto molto più vicino di prima, per poi mormorare al mio orecchio: “E chi, altrimenti?”. Distinsi con chiarezza un sorriso nella sua voce.

Ancora non riuscivo a rendermi conto di ciò che stava accadendo.

Dovevo capire chi fosse quello sconosciuto. A quel punto alzai lo sguardo, ma non mi servì a molto: era davvero buio. Che ora era? L’ultima volta che avevo guardato l’orologio…

“Dove sono?”, mormorai più a me stessa che alla voce.

Il movimento del capo mi causò una forte fitta alla testa; portai una mano alla nuca come per arginare il dolore, invano. Feci una smorfia.

“Siamo nella foresta di Sellen, vicino a casa ormai. Non ti preoccupare, è tutto okay adesso”.

Sbattei gli occhi un paio di volte, cercando di mettere a fuoco il mio strano interlocutore, ma senza risultati soddisfacenti. Riuscivo solo a delineare i confini di un volto niveo, quasi argenteo, ma avrei giurato fosse colpa della luna. In cielo infatti sembrava esserci la luna.

Le cime di quelli che ora davo per scontato fossero alberi erano parzialmente più chiare da un lato, i riflessi che brillavano nella notte più buia che avessi mai visto. La vegetazione appariva così fitta e scura da impedire ai deboli raggi di raggiungermi - e raggiungerci, sembrava più giusto dire a quel punto.

Già, pensai con ironia. Qualcuno di sconosciuto e misterioso mi sta trasportando chissà dove. Avrei dovuto essere terrorizzata. Invece ero solo enormemente confusa; confusa e affascinata allo stesso tempo da quella voce. Il che era sbagliato; non del tutto, ma comunque sbagliato.

Sin da piccoli ti insegnano a non dare retta agli sconosciuti. E io ovviamente dove potevo finire? In braccio a uno sconosciuto in un posto dimenticato da Dio in preda a chissà quale strano tipo di amnesia. Il mio sarcasmo mi sconcertava.

Cercai di concentrarmi ugualmente, tentando di ripensare all’ultima cosa che ero certa di aver fatto. Non mi ricordavo niente di quello che mi era successo. L’ultima immagine nitida che avevo era mia madre, che mi raccomandava di stare attenta. Quella immediatamente successiva, era quella stupida foresta buia. Un bel rompicapo. E soprattutto, una fregatura.

“Ecco, siamo quasi arrivati. Rilassati”.

Lavorai qualche istante per distendere i miei muscoli. Non mi era sembrato di essere tesa.

A dire il vero non lo sapevo, non ne ero sicura. Come d’altronde la maggior parte delle cose al momento. Non avevo ancora abbassato lo sguardo dal viso candido della voce, stavo ancora cercando di capire, di vedere meglio, quando una luce in lontananza catturò la mia attenzione e mi costrinse a voltarmi, riportando lo sguardo sulla foresta.

Una luce! Finalmente una debole, piccola, stupida, insignificante luce! Il sollievo che mi portò quella vista fu pressoché immediato; non sapevo bene il perché.

Non avevo mai avuto paura del buio, né mai mi aveva infastidita, al contrario.

Forse era soltanto perché desideravo un cambiamento, seppur minimo, a quella distesa scura di alberi sfreccianti. O forse perché la luce portava più chiarezza, possibilità di vedere meglio, anche un viso, una voce…

Mi lacrimavano gli occhi. Stavamo, anzi stava, andando troppo veloce e il vento mi frustava il viso, scompigliando i miei capelli già indomabili.

Chissà come erano conciati! Molto più che probabilmente erano più vicini ad assomigliare ad un nido di vespe che il mio semplice taglio castano chiaro. Improvvisamente non ero più sicura di voler vedere più chiaramente, di arrivare alla luce. Quasi sorrisi di quanto frivola potessi essere a volte. Sbattei le palpebre ripetutamente, cercando di vedere attraverso la patina sottile che mi offuscava la vista.

“Eccoci”, mi informò un sussurro.

Era vero. La luce era vicinissima, quasi tastabile ormai. Rimasi sorpresa da come quella voce suonasse sempre più affascinante e perfetta ogni volta che la sentivo, così vicina al mio viso. Ci avvicinammo ancora e mi resi conto che non era una luce naturale, ma solo un gigantesco lampadario in una veranda. L’entrata della casa era graziosa, semplice, ma molto raffinata.

Nonostante le dimensioni fossero pressoché enormi, passandoci affianco non ci si sarebbe neanche accorti che era lì, forse. Era come fissata nell’insieme della foresta, intrecciata perfettamente con la natura lì intorno. Era perfetta.

La porta era relativamente piccola, di legno, apparentemente antica come tutto il resto, ma dall’aspetto resistente. C’erano due finestre che davano sull’entrata, una aperta per metà, dalle quali era possibile sentire il mormorio sommesso all’interno del piccolo locale. Sulla destra spuntava un minuscolo ma curato giardinetto, mentre dalla sinistra si riusciva a sentire lo scorrere di un fiume. Era il genere di casa che ognuno avrebbe sempre desiderato per sé.

“Se ti metto giù prometti di non urlare e scappare via?”.

Ora la luce c’era; avrei potuto benissimo alzare lo sguardo e verificare i miei sospetti su quella misteriosa voce, ma non volevo. E se fosse stato solo un sogno? Uno stupido, strano, stranissimo sogno? Beh a quel punto perché svegliarsi?

Perché è ovvio che i sogni si interrompano sempre nel momento migliore.

Un piccolo sbuffo mi ricordò che la voce era ancora in attesa di una risposta. Ma perché mai sarei dovuta scappare urlando?

Non ero sicura di come potesse suonare la mia voce in quel momento così mi limitai a fare solo un debole cenno con la testa. Finalmente i miei piedi toccarono terra.

“Attenta”, mi avvertì gentile.

Ah. Brutta idea. Le mie gambe erano talmente intorpidite da non sentirle neanche, figuriamoci stare in piedi. Infatti, appena il sostegno scomparve da sotto e dietro di me, mi sentii fragile, traballante e mi sentii cadere. Ma mi aspettavo un tonfo, il mio tonfo.

Invece in poco meno di un secondo ero di nuovo nelle braccia gelide della voce. Era freddissimo. Beh non potevo biasimarlo, faceva davvero freddo lì fuori. Probabilmente avevo le labbra viola e il naso rosso.

Oh perfetto!, pensai sarcastica, immaginandomi il quadro generale della situazione. Probabilmente avevo le sembianze di un clown.

“Te l’avevo detto”, aggiunse con un tono serio e divertito nello stesso istante.

Quando mi sentii stringere al freddo corpo della voce, un brivido mi percorse dalla testa ai piedi. Metaforicamente parlando, è ovvio. Non ero neanche sicura di averli i piedi.

“Scusami”, mi disse.

Aveva una voce tormentata adesso, quasi dolorante.

Forse era stanco, forse pesavo troppo o sentiva freddo. Sta di fatto che quel tono di voce, di quella voce così assurdamente perfetta, mi costrinse finalmente ad alzare lo sguardo verso il suo viso.

Era più vicino di quanto mi aspettassi, e fu quello che mi colpì maggiormente all’inizio.

Poi però i miei occhi si abituarono lentamente alla luce, sbattendo le palpebre ripetutamente, e quel primo pensiero si perse nella mia mente come tutto il resto.

Era la cosa più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita.

Non era certo una gran durata, appena sedici anni, ma comunque abbastanza da poter affermare che di visi del genere non ne esistevano. Analizzai il suo profilo attentamente, dal basso verso l’alto, assimilando il più possibile di quel viso nei miei ricordi, sicura che sarebbe scomparso da un momento all’altro, come per magia.

Il suo collo, così vicino alla mia fronte, era bianco, snello, ma i muscoli erano ben visibili e apparentemente contratti. La mandibola era pronunciata, ma non troppo, ed era serrata. Gli zigomi erano squadrati, leggermente sporgenti ai lati, in modo da dare al viso un’aria misteriosa, e nonostante tutto bellissima.

La bocca era semplicemente perfetta. Le labbra erano sottili ma piene, di un colore molto simile al rosa, ma leggermente più scuro. Il naso era sottile, perfetto come tutto il resto. La fronte era alta, bianca, ed era in parte coperta da piccoli ciuffi ribelli di una chioma pressoché splendida. Erano i capelli più belli mai visti. Il colore era davvero particolare: un debole castano chiaro, con riflessi rossicci qua e là. Si potrebbe definire castano ramato, o bronzo meglio.

Gli occhi. Gli occhi li tenni per ultimi perché immaginavo che un viso del genere avesse occhi altrettanto stupefacenti. Ma non così. Era un colore, una sfumatura mai vista: un forte color oro ambrato, profondo e dai riflessi leggermente più chiari, tendenti quasi al verde chiaro. Erano occhi cauti, attenti, cerchiati da profonde occhiaie simili ad ustioni.

Le mie dovevano essere peggio, comunque.

Rimasi a fissarlo per alcuni secondi, minuti forse, lottando contro il desiderio di alzare una mano e toccargli il volto. Volevo parlare, chiedergli qualcosa, qualunque cosa che mi facesse credere di essere sveglia e di non sognare davvero. Ma non riuscivo a trovare la mascella, molto probabilmente era da qualche parte per terra.

“Stai bene?”, mi chiese con apprensione.

Stavo bene? Fisicamente, sì credevo di sì. Mentalmente? Ah, quello non lo sapevo. Non dopo averlo visto. La mia testa era affollata da pensieri confusi, perlopiù stupidi e frivoli, come volerlo toccare in viso e sentire che era reale.

“Ehi tu. Sei sicura di stare bene?”, mi chiese di nuovo con un sorriso che mi accecò.

Annuii debolmente, ma non la bevette.

“Okay. Quando sei in grado di parlare, entriamo”.

Alzai lo sguardo, con più grinta stavolta della precedente, e lo fissai in cagnesco per qualche istante.

Era davvero stupido guardarlo in quel modo, e soprattutto davvero, davvero difficile.

Come puoi guardare male un angelo? Restammo così diversi istanti, il suo sguardo all’inizio cauto. Con il passare dei secondi però divenne sempre più divertito, quasi trionfante.

Stava trattenendo un sorriso, era facile vederlo, poiché gli angoli della sua bocca erano leggermente piegati all’insù ed i suoi occhi erano stretti con un’aria quasi di divertimento.

Ah. Ero buffa, fantastico. In effetti, chissà come ero ridotta dopo quella corsa nel bel mezzo della foresta più buia e fitta esistente, e chissà poi cosa avevo fatto prima di ritrovarmi nelle braccia di quello splendido angelo divertito.

Il pensiero mi fece trasalire. Che diavolo era successo… prima?

“Cosa è successo?”, balbettai con voce tremante e stanca.

Mi sentivo come dopo una lunga notte. La mattina mancava la voce.

“Niente. Non ti preoccupare. E’ tutto okay adesso”.

Oh, di sicuro ora era tutto okay. Ma io avevo bisogno di sapere cosa era successo prima.

“No. D-Dimmi cosa è successo prima”, stavo seriamente congelando.

“Prima di cosa?”, chiese con voce apparentemente confusa.

Le cose erano due: o era l’angelo più stupido che ci fosse, oppure faceva il finto tonto.

O forse... ma perché avrebbe dovuto mentirmi? Non riuscivo a capire.

Lo guardai male più a lungo che potei, prima di dover distogliere lo sguardo e riassemblare i miei pensieri, ridotti a poco più di un groviglio annodato di idee. Scossi la testa debolmente come per aiutarmi in tutto ciò e dopodiché lo squadrai nuovamente, cercando una risposta nei suoi grandi e brillanti occhi dorati.

Non trovai quello che stavo cercando, quello no. Ma vidi più di quanto lui mi avesse mai detto in un istante. C’era timore, apprensione e... dolore? Nei suoi occhi all’apparenza solamente divertiti c’era più di quanto pensassi.

Immaginai di affondare nelle sue iridi di quel colore così improbabile, tanto erano profondi.

“Che c’è?”, domandò abbassando lo sguardo e tornando poi velocemente nei miei occhi.

Aveva un’espressione diversa ora, più cauta. Stava nascondendo qualcosa? Non potevo esserne sicura.

“Che cosa è successo prima… prima della foresta?”, rimasi sorpresa.

La mia voce era sorprendentemente decisa ora, sicura. Non pensavo mi uscisse così.

Beh impressionante. Sorrisi di quella piccola vittoria personale.

L’angelo si accigliò al mio cambio di tono e sorrise leggermente. Fece un sorriso che avrebbe potuto togliere il respiro a chiunque, e lo fece.

Dovetti costringermi a pensare a respirare.

Okay, meglio.

Tornai a fissarlo, con interesse, nell’attesa di una risposta decente.

“Come cosa è successo? Non… non ti ricordi?”, chiese. La sua voce era così bella.

“Ehm, no. Ora mi puoi dire cosa è successo?”.

Sembravo a mio agio, cosa difficile stando intrappolata nelle gelide braccia di un bellissimo sconosciuto chissà dove.

“Ti spiegherò tutto dopo. Ora è meglio che entriamo, stai gelando. E il tuo braccio…”.

La sua voce era tornata lo stesso lamento tormentato di prima.

Il mio braccio? E che diavolo…? Non volevo allontanare i miei occhi di un solo centimetro dal suo viso, ma quella frase lasciata a metà mi aveva insospettita.

Così abbassai il viso e rivolsi lo sguardo verso il mio braccio.

Non ero mai stata una ragazza molto coraggiosa, o almeno non per questo genere di cose. Ero il tipo di persona che poteva sopportare facilmente la vista del sangue, a patto che fosse di qualcun altro. Ma quello era ovviamente il mio braccio. E quello era sicuramente il mio sangue.

Successe tutto come se qualcuno avesse premuto il tasto del rallentatore: sembrava di vivere una moviola calcistica.

I miei occhi si sfocarono, come se stessi giocando con il tasto dello zoom di una videocamera.

“Ehi, stai bene? Rispondi. Per favore, rispondi”. Ma c’era qualcosa che non andava.

La sua voce, pur sempre bellissima nella confusione generale -o mia più che altro-, ora era distante e sembrava perdersi nel ronzio di sottofondo che proveniva dalla mia testa.

Mi sentii cadere, o precipitare sarebbe più azzeccato, anche se sapevo di essere del tutto ferma.

Poi il buio si chiuse intorno a me.

Posterò una volta ogni una/due settimane. Lasciatemi un commento :) Grazie.

  
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