I due viandanti viaggiarono senza alcuna sosta per molte
ore, senza scambiarsi alcuna parola. Il ragazzo fissava spesso il suo compagno,
incuriosito ed attratto dalla sua natura aurorea. Non aveva mai incontrato atols
nel suo villaggio a Est. Di questo popolo sapeva ben poco, solo ciò che dicevano
le storie, come tutto ciò che riguardava il mondo al di fuori del suo paese
natio. Le leggende narravano che gli dei avessero infuso una scintilla di
essenza divina negli atelos, a differenza degli altri uomini, alla creazione del
mondo. Per questo avevano fama di essere immortali, saggi e capaci di usare la
magia al di sopra dei comuni umani. Sapeva inoltre che la stirpe atelos era
divisa in due, quella aurorea e quella notturna. Quale relazione e differenza ci
fosse tra le due, lo ignorava. Tanti e tali pensieri gli affollavano la mente,
che non si accorse del tempo che rimase a fissare l’aelto, senza rendersi
peraltro conto che egli si era accorto del suo sguardo. Spesso volgeva la mente a ciò che aveva
sognato e si interrogava sul significato della prima visione. Era anche roso dai
dubbi; perché sua madre gli aveva mentito sul modo in cui l’aveva trovato? Non
riusciva a trovare risposta e intanto rabbia e sconcerto si accavallavano nel
suo animo, mentre il tempo passava e proseguivano verso occidente. L’atelos
pareva anch’egli immerso nei propri pensieri.
Sembrava che durante la notte qualcosa lo avesse
profondamente turbato e faceva ben attenzione a tenere nascosto il corpo sotto
il mantello. Nascoste, le ferite provocate da quella che sembrava esser una profonda ustione, facevano ancora
tremare le sue braccia per il dolore.
Trascorsero così parecchie ore, quando i due giunsero
infine ai piedi di un’alta collina. “Vorresti accamparti qui o preferisci
viaggiare anche di notte?” Gli chiese l’auroreo, poiché ormai il sole stava per
tramontare. “Accampiamoci pure”.
Salirono in poco tempo lungo i fianchi del colle,
totalmente spoglio, ma dalla cui sommità si poteva scorgere tutto il paesaggio
circostante. L’orizzonte si tingeva di porpora agli ultimi raggi del tramonto
quando i due si sedettero uno al fianco dell’altro.
L’atelos alzò gli occhi bianchi verso l’alto, fissando
le stelle che compivano il loro eterno ciclo celeste. Il suo sguardo scorreva
rapido sulle costellazioni, soffermandosi su ogni punto luminoso, quasi stesse
leggendo le parole di un libro. Nell’oscurità sempre più fitta sembrava che la
sua figura risplendesse di una luce flebile. “ Studi le stelle?” Gli chiese il
ragazzo.
“Studio i messaggi che mi trasmettono.” Corrugò
leggermente la fronte, preoccupato. “Questa notte, però, emanano bagliori rapidi
e complessi che non riesco a decifrare.”
“Se hai qualcosa da chiedermi - disse, intuendo forse i
pensieri del ragazzo - non esitare”.
Per alcuni istanti regnò il silenzio, poi il giovane
parlò, valutando l’efficacia di ogni sua singola parola. “Io non so molto a
proposito degli ateloi, solo le storielle che raccontano gli anziani. Vorrei
quindi che mi raccontassi qualcosa a proposito della tua razza, degli aurorei e
dei notturni.”.
Ràikas rimase alcuni secondi silenzioso, sempre mirando
attento il flusso degli astri, poi parlò con voce ironica. “Sei come una rana in
un pozzo, che vive del tutto ignara della grandezza dell’oceano.” Il timbro
della voce poi cambiò, divenendo austero, sereno e fermo.
“Io appartengo alla nobile stirpe degli Ateloi, gli
uomini del Drago Azzurro, del Sole Sorgente. Gli dei ci preservarono, il giorno
della nostra creazione, dalla mortalità, entro la fine del mondo. Possiamo in
ogni caso morire, per violenza e dolore. Noi e i nostri fratelli, i Notturni,
quando la nostra razza era giovane, eravamo tuttavia intrappolati dalla nostra
immortalità. Ci eravamo cristallizzati, e oltre a non poter invecchiare, non
potevamo nemmeno maturare, crescere spiritualmente. Avevamo colto l’istante e
non riuscivamo a superarlo, se mi intendi.”
“Credo di capire.” Disse rapito il ragazzo, che mai
aveva sentito narrare una storia con tale intensità. “Noi eravamo e siamo tutto
uno con la terra e i nostri destini, vicende ed emozioni erano legati ad essa
come tralci inerpicati su torri altere e immobili. Vivevamo sì in armonia con il
mondo, ma eravamo intenti in sogni anziché nella realtà. Furono i due Saggi, i
primi due Astri a svegliare il nostro popolo dalla sua
immobilità.
La potenza degli dei scorreva in loro, riunirono gli
atelos e li guidarono verso due strade diverse, ma parallele. Essi mostrarono
agli aelta la bellezza del mondo nel suo cambiare, quella che dimora e muta in
ogni istante e quella che dura in eterno, aumentando ogni giorno di luce e
bellezza. Il nostro popolo sentì il potere crescere nella sua anima, quando capì
che la terra pulsava di tumultuosa vita ed essa poteva dimorare nei nostri cuori
se l’avessimo fatta nostra.
Quella consapevolezza ci ha sempre accompagnato e ora
sappiamo che un tempo non eravamo che una fiamma che non traeva sostegno dal
legno che le dava vita.
Ad un certo punto, le due Stirpi si divisero e i due
Astri si separarono e ancora oggi non c’è conciliazione tra i due
popoli.
Ahimè, purtroppo lo splendore che dava sostentamento
alla mia stirpe, quella Aurorea, richiamò presenze oscure e crudeli nei nostri
cuori. Ci eravamo liberati da una maledizione eterna, ma diventammo deboli. Con
il passare del tempo, che ora avvertiamo con più forza, divenimmo compiacenti.
Dimenticammo lo spirito d’armonia che ci univa alla nostra
terra.
Moltissimi morirono, corrotti dalla cupidigia e da
oscuri sentimenti, lasciandosi consumare da essi, visto che la nostra natura
divina ci impedisce di coltivare certe passioni. Ponemmo delle restrizioni alle
nostre vite, affinché non commettessimo lo stesso errore. Adesso frantumiamo le
nostre vite, viviamo un’esistenza di privazioni e focalizziamo il nostro essere
solo su taluni aspetti, inseguendo in loro la perfezione. Non desideriamo
provare ogni sensazione, ogni emozione del mondo. Coloro che lo fanno capiscono,
prima della fine, che questo desiderio è un’immagine allo specchio, una
riflessione dei nostri peggiori eccessi, portata in vita dalla
decadenza.”.
L’umano rimase alcuni secondi a riflettere su ciò che
aveva udito, poi disse: “La vostra scelta di vita è del tutto differente da
quella di noi uomini comuni. Noi siamo spinti dalla curiosità a provare ogni
frutto che la terra ci offre. Ciò non accade quindi agli atelos. Così
imperturbabili sono i vostri spiriti?”
L’auroreo sospirò e il suo sguardo si fece assente,
quasi rimembrasse tempi passati o pensasse a un terribile
futuro.
“Molti di noi cadono negli anni della maturità,
abbandonando le nostre regole e la grande tragedia della nostra razza accade
ancora e ancora, mentre il numero delle nostre genti diminuisce di generazione
in generazione.”
Il ragazzo tacque, fissando anch’egli le stelle,
dispiacendosi di aver fatto parlare Ràikas di qualcosa di tanto spiacevole. Non
poté fare a meno di pensare che, nonostante tutto, gli atelos erano ancora un
popolo potente, che aveva una grande influenza sul suo, specialmente sulle
grandi città del Sud, i più grandi insediamenti dopo la caduta di Maruyl venti
anni prima.
Il ragazzo si voltò verso l’atelos, notando che si era
alzato fissando con sguardo sempre più accorato il cielo.
“E’ il momento in cui la luce che si riversa sulla terra
svela il fato.”disse con calma. “Esse annunciano il destino”. Ciò che lesse in
seguito lo sigillò tuttavia nel proprio cuore.
“E’ il filo della casualità a tessere il nostro
cammino?” Si domandò quando ebbe decifrato l’oracolo dei
numi.
Il ragazzo che per caso aveva incontrato, che di un dio
aveva uguale indole, sarebbe stato d’innumerevoli lotte la causa, e di fiumi di
sangue la fonte. Tutto ciò che vedeva era la sventura, la morte, la decadenza e
la sagoma di una grandiosa divinità che si ergeva nuovamente. Cosa doveva fare?
“Cosa vedi?” gli chiese il ragazzo,
notando l’espressione turbata
dell’elfo. “Nulla che possa interessarti.” Disse, troncando il discorso. Si
sedette nuovamente, immergendosi nei suoi pensieri, riportando alla mente
ricordi lontani.
Quando infine Ràikas gli rivolse nuovamente la parola
mancava poco tempo all’alba e nessuno dei due aveva dormito. Gli parlò,
nuovamente pacato: “Non mi hai detto nulla di te. Puoi avere i tuoi segreti, ma
per ancora un po’ di tempo saremo compagni. Potresti almeno dirmi come ti
chiami.”
“Elios.”rispose quasi senza
riflettere.
“Elios? E’ chiaramente uno pseudonimo. Capisco che tu
non riesca a fidarti di me, ma provaci, perché io ti
proteggerò.”.
“Cosa ti spinge a farlo?”
“Avere la possibilità di proteggere gli altri è
estremamente importante, non credi?”
“E’ questo il tuo senso dell’onore, Ràikas?” Chiese
dubbioso il ragazzo.
“Ciò di cui parlo non è onore, ma orgoglio.” Lo corresse
l’auroreo.
Elios rimase alcuni istanti in silenzio, riflettendo su
quelle parole. Ràikas disse infine:
“Adesso basta parlare, è tardi, riposa pure, ti
sveglierò fra qualche ora.”
Il ragazzo non pose domande. Era molto stanco e aveva bisogno di un po’ di riposo. Si stese sull’erba e rimase per un po’ di tempo ad occhi aperti. Ràikas guardava ancora le stelle e gli dava le spalle. Quando il sonno lo colse, l’ultima cosa che vide fu il viso dell’atelos che fissava il suo. I suoi occhi rispecchiavano un animo dibattuto come chi sia messo di fronte a un terribile bivio. Per un attimo ebbe paura di ciò che quegli occhi esprimevano. Poi si addormentò
This Web Page Created with PageBreeze Free Website Builder