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Autore: Imrahil    13/12/2005    0 recensioni
A metà strada tra la magia del mondo tolkeniano e la visione giovanile del mistico di harry Potter, si apre la cortina sul mio mondo. Un giovane ragazzo, erede di un tragico retaggio di potere e dolore, si ritroverà al centro del travolgere di numerosi eventi. Tra creature innaturali, divinità oscure e lotte fra uomini, quale può essere il destino di un ventenne? Legere Aude!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Il sole inondava con gli ultimi raggi la valle, che dalle falde dei monti si estendeva all’ infinito verso occidente. Le vette delle montagne, ancora innevate all’inizio della primavera, brillavano di rosa lucido contro il blu pallido del cielo. Profondi passaggi scavati nella nuda roccia tagliavano le catene di monti creando un labirinto di gole, passi e burroni dove nulla viveva se non un profondo silenzio interrotto solo dall’incessante soffio del vento. Una figura solitaria ed esile emerse dall’intrico di roccia e la sua ombra si allungò lungo il versante della montagna quando il sole la illuminò. Si fermò alcuni secondi, ammirando un paesaggio che per la prima volta da giorni non era la nuda ossatura della terra. Ogni albero, pianta o fiore davanti a lui era tinto di rosso sanguigno. Sembrava quasi che la terra versasse lacrime di sangue al suo arrivo. Un brivido lo percorse a quel pensiero e per scrollarsi di dosso l’ansia si inoltrò nel rosso della prateria, lasciandosi alle spalle le montagne. Quando il sole scomparve oltre l’orizzonte e l’oscurità della notte lo sorprese durante il cammino, lasciò che la pallida luce della luna e delle stelle lo guidasse. Si fermò sotto le fronde scure di un vecchio albero nodoso, che si stagliava su una piccola collina sperduta nella pianura aperta. L’erba, piegata da folate  lente e continue di vento, assomigliava al frangersi continuo delle onde del mare sulla spiaggia. Raccolse alcuni rami e foglie secchi e accese un piccolo fuoco, per potersi riscaldare nella fresca aria notturna. Seduto attorno al fuoco si liberò della sua sacca e si abbassò il cappuccio del mantello che fino ad allora aveva tenuto sul capo. Il calore del fuoco gli riscaldò le membra e la luce viva ne rivelò i lineamenti. Era un uomo. La corta e rada barba ne testimoniava la giovane età. I capelli, d’oro, con striature bianche, erano lunghi, e terminavano in una lunga coda raccolta. Gli occhi erano di un colore indefinito. Variava come lo sfavillare delle lingue di fuoco che fissavano, cambiando da un azzurro chiaro a nero profondo. E rispecchiavano un animo inquieto. Rivelavano una natura selvaggia, un’anima placida e mite, che se stimolato poteva mutare bruscamente in violenta e passionale. Il ragazzo si avvolse meglio nel mantello e si accomodò tra le radici dell’albero, osservando con attenzione la valle oltre lo sfavillare del fuoco. Avrebbe vegliato fino a poco prima del sorgere del sole, per poi rimettersi in cammino. Preferiva riposare alla luce del giorno, che tante creature temevano e paventavano. Era inevitabile adottare tali  cautele in quei tempi malvagi. Anche quelle contrade, che conducevano alle città degli Uomini, adesso non erano più sicure. Vegliò per quelle che a lui sembrarono ore interminabili, osservando le stelle nel cielo limpido e ravvivando di tanto in tanto la fiamma con qualche sterpaglia. Quando l’alba era ormai vicina e il torpore della stanchezza lo assopiva, colse un movimento alcuni metri davanti a lui. Si alzò di scatto in piedi, portando la mano destra ad afferrare qualcosa appeso alla cinta. Aguzzò gli occhi e tentò di individuare di nuovo ciò che aveva visto. Oltre alla vista acuta, poteva contare anche su un udito molto fine: due qualità che potevano spesso salvare la vita.  La individuò quasi subito: una figura incappucciata, avvolta in un manto, che recava incisi strani simboli brillanti. Il viandante si fermò a pochi metri, guardando nella direzione del ragazzo, come avendo capito di essere stato visto, poi si avvicinò lentamente al focolare. L’umano mise mano all’elsa della spada che gli pendeva dal fianco, rilucente di rosso e lingue di fuoco. L’incappucciato si fermò e disse con calma, quasi incurante della presenza dell’umano.

“Sono un atelos. Il mio nome è Ràikas ”. Detto questo si fece avanti, mostrando il viso e le mani levate, in segno di resa.

Il ragazzo costatò che, in effetti, era davvero un atelos e della razza aurorea. Il viso chiaro, dagli occhi nivei, incorniciato da una folta chioma bianca e gli occhi penetranti e sottili erano una prova più che sufficiente. Ma ciò che catturò lo sguardo del ragazzo erano dei segni bianchi, lame aguzze luminose, dipinte ai lati del viso come fulmini sfavillanti nel cielo notturno. Inoltre quel nome, Ràikas, sembrava riportargli alla mente qualcosa che gli sfuggiva.

“Sono un viandante… ” Cominciò il viaggiatore, ma il ragazzo gli tagliò le parole in bocca, interrompendolo con tono brusco:

“Qui ci sono solo io. Cosa vuoi?” Rispose il ragazzo.

“Posso fermarmi qui?” Gli chiese semplicemente l’atelos, notando il carattere scontroso dell’umano. Il ragazzo sembrò pensarci per alcuni secondi, poi rispose, con fare più calmo:

“Fa come credi, ma se solo provi a fare qualcosa di strano… – l’auroreo rimase impassibile a queste parole senza prestare troppa attenzione al tono minaccioso che lasciavano intendere.

“Non ne è ho mai avuto intenzione” Concluse con noncuranza sedendosi davanti al fuoco. Il ragazzo si sedette nuovamente con la schiena appoggiata al vecchio albero, senza mai distogliere lo sguardo dall’estraneo. Non sapeva quali fossero le sue reali intenzioni, ma sapeva che gli aurorei erano di indole buona. Passò del tempo e non distolse mai lo sguardo dall’altro. Questi dopo un po’ sembrava essersi addormentato, rimanendo immobile, seduto, anche se il ragazzo non ne era sicuro. Gli aelta, infatti, non avevano bisogno tanto del riposo della mente, quanto di quello del corpo. Come divinità dal cuore umano, lasciavano che il sonno ridesse forza alle loro membra, mentre la loro mente rimaneva lucida e vigile.

Quando finalmente giunse l’alba, vinto dalla stanchezza, il ragazzo chiuse gli occhi, quasi senza accorgersene. In pochi attimi l’oscurità lo avvolse e si addormentò profondamente.

Aprì gli occhi, ma non si svegliò. Stava sognando, non avvertiva nulla, il suo corpo era spento ed era immobile ad osservare la visione che aveva davanti. Si trovava nel suo villaggio natio. Era una notte buia e senza luce. Nubi cupe e tuoni fragorosi turbavano il sonno del paese. La piazza centrale del villaggio, piatta e vuota, circondata da piccole abitazioni di legno e paglia, era deserta. Improvvisamente un rombo fragoroso squarciò la notte e un bagliore ad Ovest  lacerò le tenebre. Passarono pochi secondi in cui il silenzio fu assoluto, anche lo scorrere del tempo sembrava essersi fermato.  Poi ci fu un lampo, improvviso e violento si abbatté con fragore sul centro della piazza. Il ragazzo chiuse gli occhi, accecato dalla luce, così improvvisa e vicina. Il boato violento ruppe vetri e finestre e per un attimo la terra fremette. Il bagliore rosso durò pochi istanti, per poi dissolversi. Quando aprì gli occhi rimase sconcertato: nel punto dove si era abbattuto il fulmine  ora giaceva un piccolo fagotto avvolto in fasce nere.

Rimase fermo, interdetto e stupito da quel prodigio.

La porta della casa di fronte a lui si aprì, lenta. Un uomo si stagliò sulla soglia della sua abitazione con una lucerna in mano, gettando luce sul luogo immerso nell’oscurità . Altri abitanti imitarono il primo e ben presto molte altre porte si aprirono e numerose persone si affacciarono dagli usci delle loro case. Nessuno osava però avvicinarsi al misterioso involucro, che rimaneva immobile al centro della piazza. Alcune gocce bagnarono il terreno e ben presto una leggera pioggia iniziò a cadere sul villaggio. Dei tenui vagiti e il pianto di un bambino ruppero il silenzio. Al centro della piazza c’era dunque un neonato avvolto nelle fasce scure. Un’anziana donna si mosse dal cerchio degli abitanti esitanti, l’unica che avesse il coraggio di avvicinarsi, quasi la pioggia fresca l’avesse liberata dalla paura che ancora bloccava tutti. Il ragazzo la riconobbe. Era la sua madre adottiva. Si avvicinò con passo lento al fagotto e lo raccolse con esitazione e lentezza dal suolo, tenendolo con delicatezza fra le braccia, calmandone il pianto. Il ragazzo si avvicinò senza volerlo alla donna, quasi fosse qualcun altro a voler vedere tramite lui la creatura che teneva in grembo. Per pochi istanti poté osservare il bambino. Il piccolo viso addormentato e delicato pareva quello di un bambino qualunque, uno come tanti. Eppure il ragazzo avvertiva una terribile consapevolezza: quelle scene accadute venti anni prima riguardavano lui, quel trovatello in fasce nato dalla folgore era lui. E la verità gli appariva davanti agli occhi solo ora. Tutto intorno a lui si dissolse come nebbia al sole, lasciandolo solo con i suoi dubbi. D’improvviso il sogno era ricominciato e in un vortice di immagini e colori passavano davanti a lui scene spezzate di tutta la sua vita. Sembrava che qualcuno stesse scrutando nel suo passato. Vide la madre che raccontava al giovane di allora come l’aveva trovato sull’uscio di casa, abbandonato. Menzogne, se ciò che aveva visto era vivo.

Visse nuovamente le emarginazioni e l’isolamento in cui l’avevano rilegato gli abitanti del villaggio. Adesso capiva perché nessuno aveva mai voluto stringere legami con lui. Avevano tutti paura. Era la paura che si annidava dietro l’odio che leggeva negli occhi di chi lo aveva disprezzato sin da piccolo. E si rivide anche quando, pochi giorni prima aveva deciso di mettersi in viaggio per giungere a Fearin, la città dove forse avrebbe potuto ottenere le risposte alle sue domande. Le visioni cessarono d’improvviso, lasciando il ragazzo solo con i suoi pensieri, circondato dal nulla.

Fu la voce di Ràikas a svegliarlo: “Forza, ragazzo, ormai il sole è sorto da tempo. E’ ora che entrambi riprendiamo il cammino.”

Si mise in piedi lentamente, destandosi e risvegliando le membra intorpidite, sorpreso che l’atelos fosse ancora lì e che non se ne fosse già andato e soprattutto ancora stordito dallo strano sogno che aveva fatto. L’elfo sembrò non notare l’aria turbata del ragazzo e gli si rivolse con voce indifferente: “Sei fin troppo distratto. Non solo accendi un fuoco, rivelando così la tua presenza nel raggio di molte miglia, ma ti addormenti alla presenza di uno sconosciuto di cui non sai nulla.”.

“Pare che non mi sia sbagliato sul tuo conto, Ràikas, giacché sono ancora vivo.” Ribatté il ragazzo.

“Ma non lo sarai ancora per molto, nonostante la tua vista e il tuo udito.”

Il ragazzo rimase sorpreso del particolare notato dall’altro e si incuriosì di quel personaggio di cui conosceva, di fatto, soltanto il nome.

“Allora mi accompagnerai per evitarmi una brutta fine?” Chiese ironico a Ràikas.

“Sì, se sei diretto ad Ovest.”

“E’ proprio la direzione che seguo.”

“Allora la percorreremo insieme finché le nostre strade non si divideranno.”

Annuì. L’auroreo gli ispirava fiducia e per la prima volta da settimane avrebbe trascorso del tempo con compagnie diverse dal vento e da sé stesso.

Si misero subito in marcia, lasciandosi alle spalle il vecchio albero avvizzito mentre le loro ombre li precedevano verso occidente al crescere del sole.

…………………………………………………………………………………….

Alcune ore dopo,  intorno alle ceneri del fuoco intorno a cui i due avevano riposato, si trovavano altre persone, se così si poteva descriverle. Erano quattro, tutti abbassati a terra e annusavano l’aria come le belve fiutano la traccia. Portavano lunghi stracci grigi come vestiti, forati in più punti, come se qualcosa di appuntito e massiccio li avesse trapassati. Avevano capelli grigi, lunghi, che lasciavano sciolti. Sarebbero potuti sembrare comuni Uomini se non fosse stato per gli occhi. Estremamente dilatati e neri come la pece, brillavano di una luce rossa che pareva sangue. Improvvisamente si voltarono tutti nella direzione che l’umano e l’aelto avevano intrapreso tempo prima. Si incamminarono rapidi nello stesso cammino, correndo agili nell’erba alta, quasi non toccassero il suolo. La caccia era iniziata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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