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Autore: sihu    03/01/2011    8 recensioni
La loro non era mai stata una vita facile, mai.
Fin da quando erano venuti al mondo avevano dovuto fare i conti con la crudeltà delle persone, sperimentando fin da subito l’isolamento e l’abbandono. Per gli altri non erano altro che rifiuti della società, i figli del demonio.
Trovare un motivo per tirare avanti ogni santo giorno, magari sorridendo, non per niente facile. A volte neppure per un tipo vulcanico come Rufy.
Era lui il vero fulcro del trio. Nei momenti peggiori ai due fratelli più grandi bastava guardarlo ridere, ingenuo come quando era bambino, per trovare il coraggio di continuare a sfidare il mondo. Tutto sommato si era sempre trattato di uno scambio piuttosto equo: i due fratelli più grandi insegnavano al piccolo a vivere, lui li faceva ridere e li metteva di buon umore.
Ora però, ogni cosa è andata persa; il trio è distrutto.
Tre uomini sull’orlo del baratro incontrano tre donne destinate ad influenzare le loro vite, sia nel bene che nel male. Riusciranno i tre fratelli a tenere fede alla promessa?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 1

TRE UOMINI, SOLI E DISTRUTTI

- Noi tre fratelli ci incontreremo ancora.. -

Rufy si svegliò di soprassalto, sudato e con il fiato corto. Nella mente aveva ancora bene impresse le parole del suo sogno, le stesse che aveva sentito pronunciare da suo fratello tanti anni prima, anche se mai come in quel momento gli erano suonate tanto stupide.

Era solo, nonostante tutte le promesse fatte.

Era ferito, non solo nel fisico.

Gli ultimi eventi gli avevano mostrato chiaramente tutte le sue debolezze e come il suo sogno fosse più che mai lontano. Se non fosse stato per Jimbei, Iva, Mr 2, Ace e persino per gente che non aveva mai visto prima, probabilmente sarebbe morto. Anzi, sicuramente sarebbe andata così. Del resto, quante possibilità poteva avere un moscerino come lui, solo e senza nessuno dei suoi compagni, contro la Marina ed il Governo Mondiale?

Il ragazzo di gomma non aveva più la forza nè la voglia di combattere perché si sentiva un fallito. Nulla era andato come lui si era immaginato o quanto meno come aveva sperato. Sentiva di avere sbagliato ogni cosa, a partire da Sabo ed Ace fino ad arrivare alla sua ciurma. Niente fratelli, niente compagni; dove si trovava ora tutta la sua famiglia?

Nel cercare disperatamente di proteggere chi più amava aveva fallito e li aveva persi tutti quanti, nessuno escluso. Riprendere la vecchia strada per Rufy sembrava un'impresa decisamente al di sopra delle sue possibilità, almeno allo stato attuale delle cose. Era assurdo pretendere che i suoi amici avessero ancora fiducia in lui, nelle sue abilità e nella sua forza; non dopo quello che era successo sull’arcipelago Sabaody. Il Ragazzo di Gomma ricordava bene l’espressione spaventata di Nami, così come quella di Robin che chiedeva disperatamente aiuto tendendo la mano verso di lui. Li aveva persi tutti, senza riuscire a fare nulla per salvare loro la vita. Come poteva farsi chiamare ancora capitano, dopo tutto il dolore che aveva causato loro?

Un ruggito destò l’attenzione del ragazzo, ricordandogli dove si trovava. Rufy si guardò intorno ed il suo sguardo di perse tra alberi secolari che sicuramente stavano nascondendo pericolosi mostri che non aspettavano altro se non lui come cena. I soli compagni con i quali ormai passava le sue giornate quando Ray lo lasciava solo ad allenarsi.

Erano passati solamente pochi mesi da quando l’allenamento era iniziato, da quando ogni sua speranza ed ogni suo sogno era svanito, eppure i miglioramenti erano stati enormi. Ogni giorno il vecchio pirata si complimentava con lui, ma Rufy alzava le spalle e si limitava a dire che non era ancora abbastanza. Non era mai abbastanza per lui, persino quando intorno a lui vi erano solamente i corpi inermi dei mostri che aveva abbattuto e la desolazione del campo di battaglia.

Il ragazzo sospirò. Combattere era la sola cosa che lo aiutava a non pensare ai suoi fallimenti. Tutto il resto veniva dopo, persino il cibo.

I suoi compagni avrebbero fatto fatica a riconoscerlo ora. Probabilmente guardando quel ragazzino nervoso, silenzioso e solitario si sarebbero chiesti che fine aveva fatto il vero Rufy. Quello casinista, sorridente e sempre alla disperata ricerca di cibo.

Il ragazzo sospirò e lanciò una pietra che andò ad infrangersi contro un tronco nel bel mezzo della foresta. Avrebbe dovuto darsi da fare se voleva vivere, non continuare a rimuginare sul passato. Un fruscio tra gli alberi ricordò nuovamente a Rufy che non era solo. Cappello di Paglia di riscosse dai suoi pensieri, ricordandogli anche che non metteva nulla sotto i denti da quella mattina. Era difficile stabilire che ora fosse, ma sicuramente l’ora di mangiare doveva essere passata da un bel pezzo.

Si allontanò cauto, cercando di fare meno rumore possibile per non disturbare nessuna delle inquietanti creature con le quali divideva l‘isola, mentre due occhi color oro lo fissavano nascosti tra le foglie.

Quando Rufy fu abbastanza lontano, Keira decise di uscire allo scoperto, certa che il moccioso sarebbe tornato ad allenarsi qualche ora più tardi. Si stiracchiò come una gatta, allungando le braccia sinuose verso l’alto. Ormai le abitudini del ragazzo non erano certo più un mistero per lei. Ancora una volta aveva avuto la prova della prevedibilità degli esseri umani e del loro sentirsi insignificanti davanti al corso degli eventi.

Per lei il ragazzo non era altro che un invasore che aveva usurpato la sua bella isola e che stava distruggendo ogni cosa. Forse un po’ più strano e triste degli altri, ma comunque un usurpatore.

Keira sospirò, mettendosi seduta; lo avrebbe aspettato. La pazienza non poteva certo mancare ad uno spirito millenario come lei.

***

Dall’altra parte del mondo, nella prima tratta della rotta del grande blu, un uomo scendeva da una nave. O meglio, veniva buttato giù in malo modo sotto lo sguardo deluso dei compagni e della gente raccolta al piccolo porto dell'isola.

- Vattene, sei una delusione. -

Gridò un uomo dal ponte del grosso galeone, lanciando un fagotto che doveva contenere tutte le sue cose al ragazzo carponi sul ponte. L’uomo non si mosse, rimase immobile a fissare la sacca. Sembrava perso in un altro mondo, lontano, ed era infinitamente triste.

Un uomo distrutto, pensò Robin che fissava la scena dal molo. Quello che vedeva la lasciava stupita ed incredula. Di fronte a tutta quella disperazione anche i suoi problemi sembravano meno complicati. In fondo lei doveva solo lasciare passare due anni, poi avrebbe riabbracciato i suoi amici e sarebbe potuta tornare dal suo capitano; quell’uomo invece aveva l’aria di avere appena perso tutto.

- Che succede? -

Chiese all’uomo che la accompagnava. I due viaggiavano insieme da quando la ragazza aveva accettato di entrare nell’armata rivoluzionaria, seppure per due soli anni. La meta del loro viaggio era proprio quella nave dove sarebbe stata accolta come la Luce della Rivoluzione.

- Nulla, stanno solo cacciando un ladro.. -

Rispose l’altro, vago, lasciando trasparire una punta di delusione nella voce.

Anche una vecchia signora fissava la scena, ferma sulla porta di casa. Di tanto in tanto mormorava qualcosa, scuotendo la testa.

- Povero ragazzo. -

Continuava a mormorare, quasi fosse una cantilena.

- Lo conosce, signora? -

Chiese Robin, avvicinandosi incuriosita. Qualcosa in quel ragazzo le era terribilmente familiare, al punto da spingerla a preoccuparsi per lui.

L’anziana donna studiò a fondo l’archeologa, chiedendosi se poteva o meno fidarsi di lei. Alla fine decise di parlare.

- Certo, Sabo era diventato un rivoluzionario fin da bambino. -

Raccontò la donna, fissando l’orizzonte. Ricordava bene quando la nave dei rivoluzionari era arrivata su quell’isola per la prima volta, tanti anni prima. Dragon in persona ne era sceso tenendo tra le braccia un fagotto insanguinato ed aveva urlato che voleva un dottore. La donna aveva chiamato il marito, l’unico medico della piccola isola, ed insieme lo avevano curato. Da allora Sabo aveva sempre seguito Dragon, come un figlio. A chiunque gli chiedesse qualcosa, il ragazzo diceva che era lui l’unico padre che avesse mai conosciuto e per il quale avrebbe dato la sua vita. La Rivoluzione era sempre stata tutta la sua vita; il suo unico scopo.

Sabo viveva per cambiare il mondo e renderlo un posto migliore, poi la vita lo aveva colpito e ne aveva fatto un ladro cacciato in malo modo dalla stessa nave che lo aveva visto crescere e diventare uomo.

- Perché si è comportato così, se la rivoluzione era tutta la sua vita? -

Chiese Robin, stupita, senza staccare lo sguardo dal ragazzo. Non si era ancora mosso dal molo, fissando incredulo la nave che era stata la sua casa per tanti anni dalla quale era stato allontanato. Probabilmente si chiedeva cosa lo aveva portato in quella situazione, o forse si chiedeva solo in quale locanda fosse meglio andare a cercare del buon rhum. Nemmeno una donna intelligente come Robin avrebbe potuto dare risposta ad un simile enigma.

- Bambina, un uomo smette di ragionare quando il dolore diventa troppo forte.. -

Mormorò l’anziana donna, sospirando, prima di allontanarsi silenziosamente.

Robin trovò le parole della donna eccessivamente misteriose, eppure non cercò di fermarla per farle altre domande. Lasciò che la donna tornasse alla sua casa, fissando tristemente per terra. Pochi conoscevano Sabo quanto lo conosceva lei, che si era presa cura di lui quando Dragon lo aveva portato da loro sanguinante e moribondo. Solamente a lei il ragazzo aveva raccontato del suo passato e dei suoi fratelli. Quando parlava di loro il suo viso si illuminava, erano il suo orgoglio. Era sicuro che li avrebbe rivisti ancora e che avrebbero finalmente navigato insieme, come una famiglia. L’idea che il ragazzo fosse rimasto solo, abbandonato a se stesso la distruggeva tanto quanto la distruggeva vederlo solo e abbandonato a se stesso, ma non c’era più nulla che la donna potesse fare per lui.

Sabo aveva scelto la sua nuova strada, e solo il tempo avrebbe detto che era stata una buona scelta oppure no. La donna chiuse la porta con uno scatto, cercando di chiudere fuori anche l’espressione atterrita del ragazzo, ben sapendo che era un tentativo inutile.


Robin salì sulla nave, scossa, lasciandosi alle spalle sia Sabo che la vecchia signora.

***

A Coconut Village Nojiko si era alzata presto come suo solito. I mandarini d’altra parte non aspettavano certo lei e c‘era un sacco di lavoro che doveva fare da sola. Senza Nami era dura mandare avanti la piantagione ma la ragazza era felice che la sorella minore stesse finalmente inseguendo il suo sogno con delle persone che si prendevano cura di lei. Saperla con Rufy, Zoro e gli altri la faceva sentire al sicuro, nonostante quello che scrivevano i giornali di loro e delle loro imprese. Conoscendo Nami, il caratterino e la sua determinazione bastava alla ragazza per essere certa che la sorellina stesse bene.

Una volta arrivata alla piantagione che una volta era appartenuta alla madre, Nojiko trattenne a fatica un urlo: un uomo incappucciato dormiva tra i cespugli con un paio di mandarini tra le mani. Ad uno sguardo più attento la ragazza intuì che doveva trattarsi di un tipo troppo pericoloso ma solamente di un vagabondo. Era visibilmente ubriaco, il volto pallido e scavato era ricoperto da una fitta barba che lo rendeva a dir poco irriconoscibile. Anche i capelli non erano per nulla curati e sparavano in tutte le direzioni.

Ogni tratto del suo viso era distorto da una muta sofferenza, quasi avesse un peso terribile a premergli sul cuore.

La ragazza si riprese dallo spavento iniziale e si avvicinò allo sconosciuto con le braccia all’altezza dei fianchi, studiandolo in modo severo. Scostò delicatamente il cappuccio dal viso, senza che questi desse segno di essersi svegliato, e lo guardò meglio. Non doveva essere tanto più vecchio di lei. Un anno o due al massimo.

- Ehi, tu.. Non credi di dovermi delle spiegazioni? -

Tuonò la ragazza, svegliando bruscamente lo sconosciuto. Il ragazzo sussultò e trattenne per un istante il fiato, prima di alzare lo sguardo sulla nuova arrivata. Sembrava sorpreso, ma non particolarmente turbato.

- Io non devo nulla a nessuno -

Borbottò alla fine, abbassando lo sguardo e tornando accucciato a terra.

Nojiko lo studiò con attenzione ed arrivò alla conclusione che il ragazzo non sembrava avere nulla da perdere. Il suo sguardo era stanco, quasi avesse visto molte più cose di quelle che ci si aspetta da una persona così giovane. Ad ogni modo, la ragazza era abbastanza combattiva e più che mai decisa a non darla vinta allo scocciatore. Se avesse permesso ad un vagabondo come lui di dormire impunito nella sua proprietà nel giro di qualche settimana si sarebbe trovata invasa ed addio raccolto.

- Questa terra è mia! -

Precisò Nojiko, furiosa. Il ragazzo alzò le spalle, con noncuranza. Le parole della ragazza non lo toccavano quasi.

- Allora fammi arrestare. Anzi no, uccidere.. Non mi importa poi così tanto di vivere.” -

Disse il ragazzo, senza nessuna emozione nella voce.

Nojiko lo fissò a lungo, accigliata, chiedendosi se stesse o meno prendendosi gioco di lei.

Il tono incredibilmente serio che aveva usato metteva i brividi e le faceva temere il peggio. Per quanto fosse decisa a far valere quelli che erano i suoi diritti non era certo tanto crudele da rimanere impassibile di fronte a tanta desolazione.

- Credi che dicendo queste idiozie non prenderò provvedimenti? -

Chiese la ragazza, fissandolo con insistenza. Nemmeno quella provocazione servì a smuovere lo straniero. Il ragazzo alzò ancora le spalle, indifferente.

- Fa come credi, tanto io sono solamente un morto che cammina.. -

Mormorò lo sconosciuto, voltandosi dall’altra parte e chiudendo ancora gli occhi.

Nojiko rimase colpita da quelle parole, ma si riscosse al pensiero dei doveri che incombevano. Tornò quindi a dedicarsi ai suoi mandarini, pensando a cosa doveva fare con quello strano tizio. Una voce insistente nella sua testa le diceva che farlo arrestare non era certo la soluzione migliore.

ANGOLO DELL'AUTRICE

innanzitutto, grazie ad ogni persona che ha letto e commentato il primo capitolo della mia storia, per quanto oscuro fosse. credo sia doverosa una spiegazione; il prologo era una sorta di introduzione, di sguardo al futuro o di sogno. solo alla fine della storia acquisterà effettivamente senso.

allo stato attuale delle cose ci sono tre uomini distrutti, su tre isole lontane tra loro, con tre donne misteriose.

altra  precisazione anche se credo sia inutile: la storia inizia qualche mese dopo la battaglia al quartiere generale della marina!

ora passiamo ai commenti:

tre 88: grazie mille!
sono felice che la storia ti sia piaciuta e ti abbia incuriosito. spero che questo capitolo ti abbia dato ancora più motivi per farlo!

Akemichan: grazie mille!
vedo che non sono l'unica ad avere preso male la tragica dipartita di Ace, bene bene! sono contenta che il prologo ti sia piaciuto. nei prossimi capitoli capirai come sono arrivati a rincontrarsi (non a Marineford però, per ora non dico dove!:D), te lo assicuro. grazie per avermi fatto notare l'errore, segnalami pure se c'è altro. 

Micyu_chan: grazie mille!
le tue parole mi hanno resa felice, sono davvero contenta che non solo questa ma anche le mie storie passate ti siano piaciute! spero che questo capitolo non ti abbia deluso.

Kuruccha: grazie mille!
il fatto che nessuno abbia mai scritto dei tre fratelli è principalmente il motivo che ha ispirato me, spero di essere all'altezza del compito. se hai suggerimenti o idee fammi sapere. :D

Brando: grazie mille!
ti anticipo che la battaglia in questione rimarrà un mistero per un po', in compenso tra poco vedrai in che battaglie sono impegnati i tre fratelli ora che sono separati!

GRAZIE MILLE, AL PROSSIMO CAPITOLO!

  
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