Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Miss Demy    04/01/2011    17 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
Cap. 2: Voglio solo vederti felice!



“Non so ancora chi sei ma, almeno adesso, so dove trovarti.”
Era l’unica cosa che riaccendeva in me la speranza.
Un barlume di luce che mi conduceva a quella ragazza tanto misteriosa.
A detta di molti poteva essere una qualunque ballerina. Non per me. Per me era la dolcezza, la tenerezza in persona.
Bisognosa d’amore, di attenzioni “pure”.
Continuavo a pensarla mentre lo spettacolo proseguiva e con esso i balli sensuali e provocanti di altre ragazze.
Non le ricordo neanche. Non ricordo neanche i commenti dei presenti.
Dopo Bunny, questo era il suo nome, la mia mente e le mie orecchie si erano offuscate lasciando dentro di me solo e soltanto l’immagine di lei che ballava, che mi guardava, che si sentiva desiderata e se ne vergognava.
Mi alzai, ovviamente Moran era troppo concentrato ad ammirare le ballerine per chiedermi dove stessi andando, e mi diressi verso il retro del palco.
Sapevo che dopo lo spettacolo le ballerine tornavano nei loro camerini per cambiarsi.
Alcune si rivestivano, altre si cambiavano con ulteriori costumi per intrattenere i clienti che lo desideravano.
Altre volte mi ero recato all’uscita dei camerini aspettando le ragazze, ogni volta una diversa, che avrebbero allietato le mie serate facendomi dimenticare lo stress accumulato durante la giornata.
Ogni volta, però, non ero mai stato nervoso, anzi, ero sempre stato tranquillo e rilassato.
Perché stavolta non lo ero? Perché ero titubante? Forse era meglio tornare indietro e lasciare stare la ragazza misteriosa.
Cosa le avrei detto? Non lo sapevo, non capivo neanche perché mi stessi rimbecillendo.
Stavo per tornare indietro quando mi accorsi di Seiya.
Stava venendo verso me, anzi verso il camerino, con aria spavalda e sicura di sé.
Se fosse stata un’altra serata, una delle solite, potrei dire che aveva la mia stessa espressione.
Ma quella volta no. Lui era il playboy in attesa della prossima conquista e io il ragazzo rimbecillito e titubante.
“Hai già scelto anche stavolta su chi fare colpo?”
La sua voce era euforica e piena di sicurezza mentre si appoggiava di schiena alla parete, in attesa che la porta del camerino si aprisse.
Feci cenno di no, con la testa bassa e le mani in tasca poggiato anche io di schiena alla parete opposta, senza svelare i motivi per cui mi trovavo lì. Motivi ben diversi dai soliti.
Non ebbe il tempo di domandare nulla che la porta, su cui si trovava appesa una stella gialla con la scritta Moonlight dancers, si aprì.
Alcune ragazze uscirono dalla stanza in abiti succinti, pronte a farsi corteggiare da chi lo volesse.
Ci sorrisero, in maniera audace.
Ricambiai il sorriso, per educazione, mentre Seiya risultò più cordiale di me.
Ma neanche lui si spinse oltre i saluti.
La porta rimase aperta ed ecco che scorgendovi dentro notai Lei. La mia Lei.
Era rimasta nel suo completino da esibizione in versione sexy Sailor.
Come immaginavo, lei non sarebbe stata una delle intrattenitrici e di ciò ne fui sollevato.
Si avvicinò alla porta, timida e con gli occhi, oserei dire, intimoriti.
Era sola nella stanza e forse era per questo che sembrava avesse quasi paura.
Cercò di chiudere la porta del camerino in modo da poter rimanerne dentro, nella sua intimità.
Seiya, però, portò una mano alla porta, bloccandola e facendo sì che lei non potesse più richiuderla.
Lei indietreggiò, inerme, non sapendo come comportarsi.
Adesso i suoi occhi, spalancati, tremavano. Lo percepivo.
Portò una mano, chiusa a pugno, al petto; sapevo che in quel momento il suo cuore batteva all’impazzata. Almeno, il mio sembrava stesse per uscirmi dal petto.
“Bella biondina, che ne dici di bere qualcosa assieme?” Con voce spavalda, prendendola per un polso, Seiya le si era avvicinato tirandola a sé.
La sua forza fece sì che lei non potesse opporre resistenza e, anche se avesse potuto, sapeva che facendolo avrebbe comportato il suo licenziamento.
Stringendo le labbra e abbassando lo sguardo Lei annuì.
So che in realtà non lo voleva, leggevo la sua paura, la strana sensazione di novità non le piaceva e non piaceva neanche a me.
Mi chiedevo, sapendo come si comportavano le ragazze che lavoravano in quel locale, come mai una ragazza timida e spaventata si trovasse lì?
In ogni caso, non era il momento di porsi domande. Sentivo già ribollire il sangue nelle mie vene notando come Seiya la stringesse a sé, cercando di condurla verso un luogo più appartato del locale.
Ciò che mi sconvolse di più era il modo in cui lei, a testa bassa, si facesse condurre da lui.
Arrivati davanti a me alzai un braccio per bloccare al ragazzo spavaldo il passaggio.
Si fermò di colpo non capendo quali fossero le mie intenzioni.
“C’ero prima io, volevo conoscerla prima io” dissi, guardandolo negli occhi azzurri ma gelidi, in tono di sfida.
Sorrise in maniera beffarda: “La prossima volta, Marzio, pensaci prima!”
Mi guardò, mi sfidò, allontanandosi con lei e baciandole la guancia.
Non riuscii a vedere il suo dolce viso, perché ormai di spalle, ma riuscii ad avvertire i suoi sentimenti.
Paura, tensione. In contrasto ai miei. Rabbia, sensazione di impotenza.
Non potevo fare niente. O forse sì.
Seguì Seiya e, con lui, la ragazza.
Mi distrassi un solo attimo a causa di una voce amica:
“Marzio, tutto solo?” Era Moran, in compagnia di due belle ma diverse ragazze.
Una dal caschetto biondo e l’altra dai capelli mossi e scuri.
Aveva un’aria beata. Come dargli torto.
Moran era davvero un bel ragazzo. Biondo, occhi color nocciola e un’aria da bravo ragazzo. Il classico esempio di come l’apparenza a volte inganna. Non nel senso cattivo ma di certo non era il ragazzo da fiaba, piuttosto era il latin lover della situazione. Gli piaceva divertirsi.
Chi a New York City, all’età di venticinque - ventisei anni, non vorrebbe divertirsi?
Fino a ieri avrei potuto rispondere: nessuno.
Ora, invece, non ne ero più sicuro.
Non credo dipendesse dal fatto che potevo avere tutte quelle che volevo e non accettavo il fatto che Lei mi avesse liquidato in un attimo.
Credo piuttosto che Lei avesse fatto nascere in me sensazioni nuove, inaspettate, che non credevo avrei provato mai.
Come, ad esempio, un enorme senso di protezione verso colei che era così innocente e delicata.
La ragazza dai capelli ondulati, che fino a quel momento era abbracciata a Moran, si avvicinò a me, sensualmente. Poggiò le sue braccia sulla mia spalla e mi sussurrò all’orecchio, con tono malizioso: “Vieni con me?”
Fino a quel giorno non me lo sarei fatto ripetere. In fondo essere desiderato da tante belle ragazze accresceva ancora di più la mia autostima e il mio orgoglio maschile.
“Un’altra volta” risposi, educatamente, allontanandomi dalla sua presa e continuando a seguire l’invisibile filo d’Arianna che mi avrebbe condotto da Lei.
Erano scomparsi dalla mia visuale e la luce soffusa all’interno del locale, poi, non mi aiutava di certo.
Salì le scale ritrovandomi al primo piano dove si trovavano le stanze delle ragazze nelle quali invitavano i clienti, avendo così maggior privacy.
E adesso? Dov’era? Non conoscevo di certo tutte le stanze, tantomeno quella della nuova arrivata.
Ero terrorizzato al solo pensiero che Seiya potesse farle qualcosa contro la sua volontà.
Una ragazza dal caschetto corvino, avrà avuto diciotto anni, si avvicinò a me con aria sensuale: “Vuoi le coccole?”
Sorrisi a quell’età era già così disinibita. Ciò mi fece apprezzare di più la dolce Bunny.
Scossi la testa: “Solo sapere dove trovare Bunny”
La giovane ragazza fece una specie di smorfia, come se, anche se da poco, fosse già abituata a sentire domandare di Bunny.
Indicò col capo la stanza in fondo al corridoio.
Non indugiai un solo un attimo. Ero già davanti la porta della sua stanza.
 
Bussai, con irruenza, con forza, con ansia.
Nessuna risposta. Approfittai del fatto che ero solo in quel corridoio e accostai l’orecchio alla porta. Ebbene sì, volevo origliare.
Nessuno parlava ma sentì il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.
Ed ecco che finalmente mi aprì. Aveva ancora la lampo dei pantaloni aperta e un sorriso da ottengo sempre ciò che voglio.
I miei occhi cercarono subito Lei. La vidi, su un sofà accanto al letto, sdraiata, con gli occhi che avevano appena lasciato scendere le lacrime, tremante. Cercava a testa bassa di ricomporsi, di rialzarsi le bretelline del reggiseno.
“Vuoi unirti a noi?” chiese, beffardo e non curante della situazione, il ragazzo.
Mi voltai verso di lui e, pieno di rabbia, gli diedi un pugno dritto in faccia:
“Cosa le hai fatto, schifoso?”
Sentii Bunny rannicchiarsi su se stessa, la udii piangere.
“Ma sei impazzito?” urlò Seiya, tendendosi la guancia con entrambe le mani.
Lo vidi sferrare un pugno verso di me ma lo precedetti stendendolo a terra stavolta.
“Vattene!” dissi.
Capì che non poteva competere con me e con la mia forza e, alzandosi a fatica, se ne andò.
Chiusi la porta a chiave. Mi diressi verso di lei.
Era ancora rannicchiata, con le gambe scoperte al petto e la testa bassa poggiata sulle ginocchia. La sentivo singhiozzare, la vedevo tremare.
Mi tolsi la giacca e la poggiai sulla sua schiena cercando di coprirla il più possibile.
Un respiro le morì in bocca. Non si aspettava un tale gesto.
Mi sedetti accanto a lei e, portando il mio braccio sinistro sulla sua spalla destra, la spinsi verso di me.
Non mi guardava. Non ne aveva il coraggio. Si vergognava, ne ero certo.
Poggiò la sua testa sulla mia spalla, come a trovare un conforto, mantenendo sempre quella posizione iniziale; e io iniziai ad accarezzarle i lunghi codini, ormai sfatti, per tranquillizzarla.
Iniziò a rilassarsi, rallentando i singhiozzi, lasciandosi coccolare. Sapevo che ne aveva bisogno. Lo sapevo dal primo momento che la avevo incontrata.
Poi, fece una cosa che non mi sarei mai aspettato. Strinse le sua braccia attorno alla mia vita. Mi abbracciò forte, mantenendo la sua guancia a contatto col mio cuore.
La strinsi forte anche io, accarezzandole la schiena, coperta dalla mia giacca, e i dorati capelli.
Riprese a piangere e mi spiazzò.
Non volevo violare la sua intimità ma dovevo sapere.
Tenendola sempre stretta a me le misi una mano sotto il mento e le feci alzare il viso per poterla guardare negli occhi.
Adesso che i nostri occhi erano legati fra loro, mi accorsi ancora di più della sua purezza, della sua ingenuità, della sua dolcezza.
Con il suo sguardo, con i suoi occhi pieni di lacrime ma anche di tanto amore, mi sciolse il cuore, mi infuocò l’anima.
“Stai bene, piccola? Ti ha fatto del male? Ti prego, dimmelo”
Continuando a fissarmi negli occhi sorrise dolcemente, nonostante la paura e la tristezza che ancora le leggevo proprio come quella mattina.
“No, non mi ha fatto niente, sto bene” si limitò a dire, scuotendo la testa.
Voleva rassicurarmi. Era assurdo, lei voleva rassicurare me.
Sorrisi, togliendo la mia mano dal suo mento.
La strinsi un’altra volta a me, con tutta l’energia che possedevo, come a trasmetterle un senso di protezione che lei stava cercando, di cui aveva bisogno.
La accarezzai di nuovo. Quando vidi che, finalmente, si era calmata e che asciugava le ultime lacrime mi allontanai, a malincuore, da lei.
Rallentò la presa anche lei guardandomi negli occhi, non capendo.
Una delicata carezza sul suo viso e: “Sei tranquilla adesso?”
Sorridendo con dolcezza e con un senso di gratitudine rispose: “Sì. Grazie, Marzio!”
La guardai aggrottando la fronte, incredulo. Sapeva il mio nome?
“Sai il mio nome?” Stavolta rideva divertita, gli occhi le brillavano.
“Ti ha chiamata così quel tizio, l’ho tenuto in mente!”
Sorrisi anche io.
“È bello vederti sorridere.”
Si alzò in piedi e si tolse la giacca. Adesso era in intimo, maledettamente bella. Non sembrava in imbarazzo. Forse si fidava di me, sapeva che poteva fidarsi.
Poggiò la giacca su una sedia accanto al letto e si avvicinò a me, ancora seduto e curioso.
Prese la mia mano nelle sue, invitandomi ad alzarmi.
Poi, l’incredibile.
Portò la mia mano, anzi le nostre mani, al suo cuore e, cercando di fare la maliziosa, disse:
“Perché lo hai fatto? Cosa vuoi in cambio?”
Mi spiazzò, per la seconda volta in dieci minuti.
Le accarezzai, con la mano che ancora avevo libera, la frangia scostandole i ciuffi dagli occhi.
Con un dolce sorriso, di quelli rassicuranti di cui aveva bisogno, risposi:
“Voglio solo vederti felice.”
Adesso ero io che avevo spiazzato lei.
I suoi occhi si illuminarono di gioia, adesso potevo scorgervi dentro una luce di allegria, di rassicurazione.
Le nostre mani erano ancora incatenate, la mia mano ancora sul suo viso, i nostri occhi... stavano già facendo l’amore.
Chiuse gli occhi, avvicinando ancora di più il suo viso al mio, quasi a sfiorare le mie labbra con le sue.
E adesso? Cosa dovevo fare? Io la volevo, la desideravo, avevo sperato tanto di rivederla, di poterla abbracciare, di baciare le sue labbra.
Sapevo, però, che in quel momento non sarebbe stato giusto. Non potevo approfittare di lei, dei suoi stati d’animo. Era ancora scossa. Forse credeva di dovermi ringraziare così. Forse mi credeva come tutti gli altri.
Ebbene, lo ero stato. Ma adesso non lo ero più. Adesso avevo la consapevolezza che quel piccolo angelo biondo mi aveva cambiato.
Mi erano bastate meno di ventiquattro ore per vedere tutte le mie certezze crollare, per vedere il mio mondo ridursi in cenere.
Ma forse non era crollato, non era stato ridotto in cenere. Si era soltanto migliorato. Lei lo aveva migliorato.
Le baciai le palpebre che ancora teneva chiuse in attesa di un altro tipo di bacio che, in realtà, desideravo anche io con tutto me stesso.
Non appena allontanai le mie labbra dal suo viso aprì gli occhi, perplessa.
Riuscì lo stesso a sorridermi, lasciando la mia mano che teneva ancora fra le sue.
Abbassò lo sguardo. Adesso sì che si vergognava.
Le accarezzai le braccia che ora le scendevano lungo i fianchi, cerando di incontrare i suoi occhi che teneva fissi nel vuoto:
“Non è che io non voglia baciarti, anzi, non sai quanto lo desideri. Ma adesso ho paura di approfittare di te. Sei ancora scossa. Non sarebbe giusto. Ti rispetto troppo, Bunny.”
Si voltò di scatto incontrando i miei occhi. Dopo un istante di incredulità, un suo sorriso illuminò tutta la stanza buia.
Si sentiva rincuorata, tranquilla, protetta. “Ti andrebbe di fare colazione con me domani?” le chiesi, sperando tanto in un suo sì.
Annuì, poi: “Perché lo fai?”
“Perché mi fa piacere fare colazione con te e avere la possibilità di conoscerti meglio.”
Scosse la testa, arrossendo.
“No, intendevo, perché un ragazzo che viene al Moonlight, per di più non per la prima volta, dice che non vuole approfittare di me e di rispettarmi?”
Il suo sguardo curioso mi suscitò una tale tenerezza che non credevo avrei mai provato nei confronti di una sconosciuta. Sì, in fondo lei era ancora una sconosciuta.
Istintivamente le cinsi le spalle con le mie forti e possenti braccia.
Non potevo dirle la verità, aprirle il mio cuore, non era ancora giunto il momento.
Le baciai la fronte e mi limitai a sussurrarle:
“Te l’ho già detto. Voglio solo vederti felice!”
Non rispose, almeno a parole, ma i suoi occhi si intendevano coi miei lasciando trasparire tutte le sue emozioni che le percorrevano l’anima.
Adesso sembrava diversa. Ora il suo sguardo non era più triste, adesso era serena.
E io, adesso, ero in pace con me stesso eliminando del tutto quella strana sensazione di stretta al cuore che mi tormentava da quella mattina.
Notai sul comodino accanto al letto un cellulare rosa.
“È tuo quello?” indicai col capo.
“Sì.”
Lo presi in mano digitando un numero. Sentì subito il mio cellulare squillare, solo allora richiusi lo sportellino del cellulare di Bunny facendo sì che il mio non squillasse più.
Lo riposai sul comodino, mi avvicinai alla mia dolce Bunny e le dissi:
“Ora il mio numero ce l’hai e io ho il tuo, chiamami tutte le volte che vuoi, tutte le volte che hai bisogno di me o vuoi semplicememte parlare.”
Annuì.
“E tu?”
“Ti chiamo appena arrivo a casa per darti la buonanotte, principessina.”
“Aspetterò la tua chiamata allora!”
Un bacio dolce e tenero sulla sua fronte, una carezza sulla sua paffuta e vellutata guancia, poi, aprii la porta, girando la chiave, e uscì dal paradiso.
Adesso il mio cervello era in tilt, il mio corpo sudava freddo, il mio cuore… beh, aveva appena iniziato a battere. Grazie a lei, solo per lei.

Raggiunsi il mio appartamento dopo aver attraversato, in lungo, Manhattan.
Di nuovo sul mio letto a pensare a lei.
Presi in mano il mio cellulare e la chiamai.
“Sei tu, mio eroe?” Le sue parole erano ingenue ma allo stesso tempo ironiche.
“Sì, principessa, stai bene?”
“Adesso sì.” Riuscii a scorgere una risata nelle sue parole.
“Sono contento, passo a prenderti domani alle 9.00, ok?”
“No, vediamoci a Central Park, all’ingresso sulla East.”
“Va bene, principessa, buonanotte!”
“Buonanotte, mio eroe!”
Riagganciai, emettendo un sospiro di sollievo.
Quasi sette ore e l’avrei rivista.
Adesso sapevo il suo nome e che si fidava di me. L’avevo protetta, rassicurata, confortata, resa serena.
Adesso restava un’ultima cosa, la più importante. Renderla felice. Essere felice con lei.


Moonlight fan club Facebook
   
 
Leggi le 17 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Miss Demy