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Autore: Beatriz Aldaya    04/01/2011    5 recensioni
"...Seth sentì le dita di Jane scivolare fra le sue e dissolversi, quasi fossero aria. Il braccio gli ricadde penzoloni al fianco. Il bambino guardò in alto verso la sua amica, che era ancora lì. Cercò i suoi occhi, il suo sorriso che conosceva tanto bene: lei lo guardava, ma i suoi occhi rubino erano attraversati da un'ombra più scura del solito. E i suoi denti, i suoi denti erano sempre stati così bianchi, affilati? Seth rabbrividì."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leah Clearweater, Seth Clearwater, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, Breaking Dawn
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Imaginary friend, deadly enemy



«No, no! Non si fa così! Dai, Jane...» il bambino si mise a ridere di cuore.
Ad un tratto esclamò: «Shh! Zitta!»
Tese le orecchie, bloccandosi a mezz'aria, con una matita colorata in mano. Era steso prono sul pavimento di legno della propria camera, fianco a fianco con una ragazzina di qualche anno più grande di lui, dai capelli biondo grano e due occhi grandi e strani. “Impossibili da leggere e unici al mondo”, pensava il bambino quando la osservava, “sarebbe grandissimo avere degli occhi belli come i suoi. Ai miei amici piacerebbero un sacco. Rossi rubino, come quelli dei cartoni animati...”
I due rimasero in silenzio, guardandosi. Qualcuno saliva le scalette che portavano al piano superiore con passi pesanti.
«Presto, nascondiamoci!!» bisbigliò eccitato il bambino, rotolando sulla pancia e finendo sotto il letto. La sua amica lo seguì a ruota. Si stava strettini, là sotto, ma i due erano in missione segreta, e un bravo agente non si lamenta mai. Anche in caso di freddo, caldo, fame e perdita di orsacchiotti della buonanotte. Così aveva detto la mamma.
Il nemico entrò in camera. I due dalla loro posizione sotto il letto potevano vederne solamente le scarpe da ginnastica sbrindellate e fradice. Evidentemente il nemico aveva camminato in una palude e aveva...
«Seth? Che fine hai fatto?» ululò il nemico. Accidenti! La voce era da femmina! Bisognava cambiare il piano di attacco, tutti sanno che non si possono trattare male le donne. Anche questo lo diceva sempre la mamma, ma Seth decise che quando si è in guerra non si possono fare preferenze per nessuno. Guardò Jane negli occhi: alzò la manina paffutella facendole il segno convenzionato.
Ma i due vennero bloccati da un altro urlo.
«Seth, vieni qui, hai lasciato il tuo astuccio sul mio letto! Se non arrivi entro cinque secondi te lo butto a terra! E non provare a farmi uno dei tuoi scherzi idioti!»
Sentendosi scoperto, il bambino dovette fermare tutta la delicata operazione, mentre il nemico si lasciava cadere su una sedia emettendo un sospirone. Poi si tolse le scarpe e le buttò sotto il letto dove i due amici erano nascosti. A entrambi scappò un gridolino di sorpresa, soffocato immediatamente, ma ormai il danno era fatto: la copertura era saltata e dovevano battere la ritirata!
«Ah, ma allora sei là sotto! Esci subito, che ti stropicci i vestiti e poi la mamma si arrabbia!» disse il nemico con tono imperioso.
Seth e Jane furono costretti ad abbandonare il rifugio e strisciarono fuori.
«Ma guarda, sembri un topolino!» lo prese in giro la ragazza «e ora sistema il mio letto!»
«Tiranna!» la apostrofò il bambino, facendole una linguaccia e sistemandosi preoccupato i vestiti.
Guardandosi, sussurrò: «Leah, secondo te la mamma si arrabbia sul serio perchè mi sono sporcato?»
«Se sistemi il letto non ti succederà niente» pronosticò la sorella, lasciandosi cadere esausta sulla sedia della traballante scrivania, mentre osservava compiaciuta il fratellino che si affannava a riordinare tutto.
«Aiutami dai, tira un po' le coperte di là...»
«Parli con me?» disse Leah, facendo la sostenuta.
«Ma certo che no.» rispose Seth, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, poi si scambiò un occhiolino con Jane. «Parlo con lei» disse indicando la ragazza.
Leah lo guardò storto, dopo aver osservato il punto indicato dalla sua manina paffuta.
«Ah, certo, come ho fatto a non pensarci... la testiera del letto! Ma sai che a volte sei bello strano?» ed uscì dalla cameretta strisciando i piedi.
Dopo un'attimo, Seth aveva finito il suo lavoro.
«Grazie per avermi aiutato, Jane! Che facciamo adesso? Potremmo andare fuori nel bosco a cercare delle noci, che ne dici?»
Jane fece di no con la testa.
«Vuoi continuare a disegnare?»
Ancora no.
«Cosa facciamo allora?»
La ragazza indicò lo zaino ancora intatto del bambino.
«Compiti?» chiese incredulo quello. Jane fece un segno d'assenso.
«Ma adesso non ho voglia! Voglio andare nel bosco! Che amica sei, che mi dici che devo fare i compiti?»
Jane lo guardò mogia mogia e cominciò a dondolarsi sui talloni. Seth si vide in zona allarme-lacrime, quindi andò subito ai ripari, e corse di volata ad abbracciare l'amica del cuore.
«D'accordo, d'accordo, faccio i compiti, ma dopo andiamo nel bosco!»
Jane gli sorrise contenta.

° ° ° ° ° ° ° ° °



«Credo che Seth sia strano forte» disse Leah entrando in cucina. Sua madre stava tagliando delle verdure per la cena. Si fermò, pulendosi le mani sul grembiule a fiori. Una ciocca le scivolò da dietro l'orecchio e guardò male sua figlia.
«Non devi dire queste cattiverie. Vuoi la merenda?» e si diresse verso il frigo.
Leah era abbastanza contrariata: voleva mettere in giro la notizia che suo fratello parlava da solo!
«Mamma, ma parla con le testiere dei letti! E fa gli occhiolini a persone immaginarie!»
«Ah...» la mamma, che stava tirando fuori uno yogurt dal frigo, parve abbastanza colpita dalle parole. Bingo!
«Forse giocava. È un bambino con una fervida fantasia!»
«Faceva un gioco molto stupido.»
«Ha cinque anni meno di te.»
«È stupido lo stesso.»
«Non dire parolacce a tuo fratello.»
Seth entrò in quel momento in cucina, trascinando il padre appena rientrato in casa per la manica.
«Prima mi ha detto che era un'idiota» intervenne candidamente.
«Leah...» la ammonì la madre brandendo la carota che aveva cominciato a tagliare.
«Non è niente vero!» disse la ragazza, facendogli una linguaccia. Poi sillabò muta la parola “spia” al fratello. Quello le rispose per le rime, sempre mimando: “così impari”.
Seth scostò una sedia per Jane, che fino a quel momento se ne era stata in disparte, e le fece un sorriso per invitarla a sedersi. Lei rispose con una strizzatina d'occhi e si accomodò. Il bambino trascinò una sedia lì vicino e si sedette al suo fianco.
«Mamma, ci fai la merenda?»
Sue Clearwater annunciò che ci sarebbe stato solo yogurt anche per lui. Seth storse il naso e  accettando, disse: «Due, grazie».
Proprio in quel momento, Harry scostò la sedia dove era seduta Jane, che traballò e si resse al tavolo per non cadere. Il papà si voleva sedere sulla sedia già occupata dalla sua nuova amica! Forse non aveva visto Jane... era così minuta...
«Papà! Attento!»
«Che cosa succede?» chiese il padre allarmato.
«Non puoi sederti lì! C'è già Jane.»
Il tempo si fermò.
Harry Clearwater guardò stralunato prima la sedia, poi il figlio.
Sue smise di tagliare le verdure e si girò verso il tavolo.
Seth guardava con gli occhi spalancati prima i genitori, poi un punto vicino al padre.
Leah guardò la madre e ruppe il momento di magia.
«Te l'avevo detto, che parla con persone immaginarie!»
Seth la guardò storto: «Ma cosa stai dicendo?»
«Leah, che ne dici di andare in camera tua? Devo chiedere una cosa a tuo fratello.» disse il padre esitante.
Leah sbuffò e cominciò a salire le scale. Appena scomparve dalla loro vista, Harry si sedette su una sedia, lasciando cautamente libero il posto di Jane. Venne subito raggiunto dalla moglie.
«Seth, chi è Jane?»
Seth pensò che i suoi genitori non capivano proprio niente di niente.
«È lei.» disse semplicemente indicando Jane, che si stava un poco riprendendo dallo spavento di prima.
«Ah... è una tua amica?»
«Oh si, ed è simpaticissima!»
«È un'amica... immaginaria?»
«No!» Seth li guardò, strabuzzando gli occhi. Sembrava veramente confuso.
«Oh, non è niente, tesoro, vai pure a giocare.» disse dolce Sue.
Harry e la moglie guardarono il figlio alzarsi e dirigersi verso le scale. Arrivato vicino la porta della cucina alzò una mano e strinse il pugnetto in aria, come se stesse dando la mano a qualcuno.
«C'è da preoccuparsi, Sue?»
«No. È un bambino, per lui è un gioco. Smetterà presto.»


° ° ° ° ° ° ° ° °



Seth salì le scale, con Jane che gli stringeva forte la mano.
Entrato in camera, trovò sua sorella Leah seduta alla scrivania.
«Stavo facendo i compiti.» la informò, sperando che questo potesse convincerla a lasciargli il posto.
Leah lo guardò sorridendo. Giocava con una ciocca dei lunghi capelli corvini ed era accoccolata su una sedia quasi sfondata durante un'epica battaglia a cuscinate. Quella volta, Leah lo stava battendo vergognosamente: Seth era allora saltato con troppa foga sulla sedia per colpirla dall'alto, ma la sedia aveva ceduto. Il bambino era dovuto stare un mese con un piede ingessato.
«Hai un'amica immaginaria?»
Le parole della sorella non volevano essere cattive, erano piuttoste curiose, ma il bambino si sentì per un attimo solo al mondo.
«Lei è vera!» urlò contro la sorella. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Il senso di sconforto gli invase il cuore, e bisbigliò di nuovo, quasi a rimarcarlo: «Lei è vera...»
Leah gli si avvicinò allarmata.
«D'accordo, non ti agitare» gli disse, e cercando di calmarlo gli appoggiò una mano sulla spalla.
Nello stesso istante in cui la mano calda della sorella si posò sulla sua pelle, Seth sentì le dita di Jane scivolare fra le sue e dissolversi, quasi fossero aria. Il braccio gli ricadde penzoloni al fianco. Il bambino guardò in alto verso la sua amica, che era ancora lì. Cercò i suoi occhi, il suo sorriso che conosceva tanto bene: lei lo guardava, ma i suoi occhi rubino erano attraversati da un'ombra più scura del solito. E i suoi denti, i suoi denti erano sempre stati così bianchi, affilati? Seth rabbrividì.

° ° ° ° ° ° ° ° °



Era notte. Leah dormiva rannicchiata sotto le coperte, i capelli formavano strani disegni sul cuscino.
Seth non riusciva a dormire. Jane come al solito era lì vicino a lui, ma la presenza della ragazza non aveva il potere di calmarlo come sempre, produceva anzi l'effetto contrario: il bambino si sentiva vagamente in pericolo... Strizzò forte gli occhi per non dover fissare quelli di fuoco dell'amica. Il pensiero dei suoi denti mortali lo tormentava, proprio come le parole pronunciate dai genitori e dalla sorella quel pomeriggio, che continuavano a ronzargli in testa. Che Jane fosse solo nella sua testa? Chiunque fosse, Seth non sapeva più se la voleva come amica.
Il bambino decise che forse avrebbe potuto dare un sbirciatina. Sì, magari avevano ragione gli altri, Jane era solo frutto della sua fantasia. Avrebbe aperto gli occhi e lei non ci sarebbe stata più.
Ma quando, timoroso, schiuse appena le palpebre, lei se ne stava sempre lì, i capelli biondi che si muovevano leggermente. Alzò una mano pallida che quasi riluceva, scintillando alla luce della luna che entrava dalla finestra, e la posò sulla guancia di Seth.
Prima il bambino avvertì un gran freddo.
E poi arrivò la fitta lancinante alla testa.
Seth urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Leah balzò sul letto, i capelli aggrovigliati davanti a viso. Si precipitò sul fratello, che teneva gli occhi sbarrati e fissi nel buio.
«Seth? Che succede?»
Nello stesso istante, Sue e Harry entrarono di corsa nella stanza. Il padre teneva una mazza da baseball in mano.
«Seth, Leah, che succede?»
La ragazzina si stava quasi per mettere a piangere, chinata sul fratello.
«I-io non lo so, stavo so-solo dormendo e, e... Seth ha cominciato a...»
«Spostati!» le disse il padre, che aveva lasciato cadere la mazza per terra. Prese il figlio in braccio e seguito a ruota dal resto della famiglia, caricò il bambino in macchina per portarlo a casa di Billy Black. Lui avrebbe saputo cosa fare.

Seth urlava, urlava e urlava. Stava per sentirsi male. Il dolore lancinante alla testa era finito pochi secondi dopo essere cominciao, ma Jane era rimasta a pochi centimetri dalla sua faccia per tutto il tempo, ghignando e lanciandogli occhiate di fuoco.
Mentre suo padre lo prendeva in braccio, la ragazza gli aveva sussurrato all'orecchio: Io esisto.
Era la prima volta che Jane gli parlava. Aveva una voce acuta e malvagia. Terribilmente dolce.

° ° ° ° ° ° ° ° °



Il giorno dopo, Seth ebbe il permesso di restare a casa da scuola. La mamma gli preparò uno dei suoi piatti preferiti e gli stette tutto il giorno vicino.
Nessuno era riuscito a capire perchè il bambino si fosse messo a urlare in quel modo così straziante nel bel mezzo della notte, e lui si era guardato bene dall'accennare a Jane. Era sicuro che l'avrebbero preso per pazzo.
La ragazza era rimasta tutto il giorno in un angolino guardarlo, ma nessuno sembrava vederla. Seth si era ormai convinto che lei esistesse solo nella sua mente. Un'amica immaginaria... O meglio, il suo incubo personale.

Quando arrivò sera e fu il momento di andare a dormire, Seth fu irremovibile: non avrebbe messo piede nella sua camera, e così i genitori dovettero accoglierlo nel loro letto. Jane si accovacciò in un angolino di quella stessa stanza, e Seth dormì tutta la notte aggrappato diperatamente al padre, sognando le leggende della tribù Quileute che suo padre gli raccontava sempre quando era più piccolo.
Sognò Freddi dai lunghi denti e dalla pelle diafana, con gli occhi vermigli e malvagi. E Jane era fra di loro, parlava con la sua voce affilata e dolce come il miele, lo chiamava a se... Quando Seth si rifiutava, lei si avvicinava. Appena la sua pallida mano sfiorava la guancia del bambino, il dolore gli percorreva nuovamente il corpo, tanto forte e reale da svegliarlo.
E Jane era sempre lì, a scrutarlo dal proprio angolino, mentre Seth rabbrividiva e silenziose lacrime cominciavano a scendergli dagli occhi.

° ° ° ° ° ° ° ° °



Dopo alcuni giorni, durante i quali Sue e Harry avevano controllato costantemente Seth e si erano convinti che non sarebbe successo nulla di strano, i genitori decisero di far tornare il bambino a scuola.
Seth quella mattina entrò in classe circondato da tutti i suoi amici che festosi volevano sapere perchè era rimasto a casa. Quando seppero che non era stato molto bene, lo informarono su tutte le novità che si era perso, come per esempio che la signora maestra si era arrabbiata così tanto con loro che era diventata rossa come un pomodoro e per sbaglio aveva pestato i propri occhiali nella foga di andare a raccoglierli; che Jake aveva dato un bacio a Cassie e che Barbara aveva vomitato nel cestino.
Un po' delusi dal fatto che l'amico prestava loro poche attenzioni, i bambini si diradarono presto per andare a colorare la lavagna, mentre Seth si sedette fissando un punto vicino alla finestra con sguardo impaurito.
Infatti, seduta fra le due grandi cartine geografiche, comodamente accoccolata su un banco, c'era Jane. Dalla notte in cui aveva toccato Seth sulla guancia, non si era più avvicinata troppo e osservava il bambino da qualche metro di distanza con i suoi occhi malvagi. Quando Seth la guardava cercando di non farsi notare, lei sibilava: esisto.
Proprio in quel momento , la maestra entrò in classe e salutò tutti urlando allegramente: «oggi interrogo!»
Immediatamnte tutti furono ai propri posti e la lezione cominciò. Seth cercò di concentrarsi sul proprio quaderno, ma non riusciva a smettere di guardare Jane. I capelli biondi di lei ondeggiavano leggermente, come se venissero scompigliati dal vento, ma in classe non tirava un filo d'aria. La temperatura era anzi quasi soffocante e tutti erano in maglietta e pantaloni corti.
«Seth! Stai attento!»
«Si, mi scusi»
Seth afferrò una penna e cominciò a scrivere a casaccio sul quadernone per fare contenta la maestra, ma il non poter guardare Jane per accertarsi che se ne stesse a debita distanza lo innervosiva troppo. Dopo un minuto, sperando che la maestra non lo vedesse, alzò di nuovo la testa e diede una sbirciatina in diezione della ragazza. Ebbe un tuffo al cuore ed emise un verso di stupore: lei non c'era più. Si girò per controllare il resto della classe, ma la voce dell'insegnante lo bloccò:
«Clearwater, fatti riprendere un'altra volta e passi il resto della lezione fuori dalla porta!»
Arrossendo per la vergogna e con i compagni intorno a lui che ridacchiavano, Seth affondò il naso nel libro e cercò disperatamente di capire qualcosa di quello che spiegava la maestra. All'improvviso, provò una strana sensazione di gelo e rabbrividendo si girò: vide Jane a pochi centimetri da lui. Fece un tale balzo sula sedia che la maestra lo fulminò e gli gridò in malo modo: «fuori!»
Corse fuori dall'aula e chiuse velocemente la porta senza dire niente, sperando che Jane rimanesse bloccata dentro. Vedendo che non succedeva nulla, si sedette appoggiato al muro, stringendo al petto le ginocchia e respirando profondamente per calmarsi un po'.
“Tu non esisti. Ci sei solo nella mia mente. Non devo aver paura di te!” si ripeteva fra sè e sè. Ma appena il cuore tornò al normale battito e il bambino riaprì gli occhi, si ritrovò Jane davanti.
«Tu dici?» disse quella, e gli posò la mano sul braccio.
Di nuovo Seth sentì un dolore insopportabile irradiarsi dal punto a contatto con la mano da Jane a tutto il resto del corpo, e cominciò a urlare di dolore e paura, steso nel corridoio della scuola.

° ° ° ° ° ° ° ° °



Otto anni dopo
Tutti erano pronti. I licantropi, carichi e attenti come non mai, nascosti nel boschetto; i Cullen, schierati al centro del campo, pervasi da un senso di determinazione; infine tutti gli altri vampiri che avevano risposto alle chiamate d'aiuto. C'era chi non vedeva l'ora di combattere, chi sembrava chiedersi cosa ci stava a fare in mezzo a quel campo che di lì a poco sarebbe diventato un inferno, chi chiacchierava con un amico.
Jacob era l'unico dei nostri ad essere allo scoperto: vicino ai Cullen, con le manine della piccola Renesmee affondate nella pelliccia, superava tutti quanti in altezza e la sua mole massiccia non sarebbe di certo passata inosservata.
Dal canto mio, ero eccitato. Di lì a poco sarebbe scoppiata una battaglia in grande stile e anche se la situazione era pericolosa e abbastanza tragica, non riuscivo a trattenermi. Ci sarebbe stato da divertirsi!
“Manca solo che tu ti metta a scondinzolare e siamo pronti per la festa.” cercò di ironizzare mia sorella, nascondendo la sua preoccupazione.
“Dillo, Leah, te la stai facendo addosso!” le disse puntandole contro il muso in segno di sfida.
Lei mi ringhiò contro: “Se usciamo vivi da questo campo te la faccio vedere io, Seth!”
Stavo già per ribattere, cominciando uno dei nostri battibecchi infiniti, quando sentii Edward sibilare con gli occhi puntati sulla foresta davanti a noi, e l'attenzione di tutti si concentrò in quella direzione.
“Che si aprano le danze!” conclusi, mentre Leah tendeva ogni suo muscolo, pronta ad attaccare.

Dopo pochi secondi, l'esercito dei Volturi fece il suo ingresso nel campo. Con eleganza e fierezza, i  vampiri camminavano sincronizzati come fossero un sol uomo. D'un tratto la formazione si schiuse rivelando i pezzi grossi al suo interno: tutti avanzavano con studiata leggerezza e particolare lentezza.
“Uff, sorella, quanti salamelecchi!”
“Sono d'accordo. E anche il branco di Sam sembra pensarla così...”
Mi guardai intorno: tutti i lupi fremevano dalla voglia di entrare a far parte della scena, appoggiando il clan dei Cullen.
Tutti insieme, avanzammo silenziosi ed uscimmo allo scoperto, unendoci ai vampiri. Potemmo vedere lo sconcerto passare per pochi attimi sulla faccia dei Volturi, che si bloccarono a un centinaio di metri da noi.
“Wow, i grandi vampiri superpotenti hanno paura!!”
“Seth, finiscila di fare lo scemo.”
“Uh, d'accordo... I pezzi grossi però hanno tutta l'aria di starsi consultando.”
“Ti informo che anche io ho due occhi e vedo benissimo da me cosa succede. Non serve che tu mi faccia la cronaca.”
Sempre gentile, la mia sorellina. Non avendo null'altro da fare che aspettare, studiai lo schieramento dei nostri nemici. Al centro, c'erano i tre matusa. Come aveva detto che si chiamavano Edward? Mentre ci pensavo su , lasciai scivolare lo sguardo su tutto il resto del corpo di guardia. Ad un tratto il sangue mi si raggelò. Chi era quella figurina bionda vicino ai fantastici tre? Aveva un che di familiare... Aguzzai il più possibile la vista.
Era una ragazza con i capelli lunghi e biondi, lievemente scompigliati dal vento. Gli occhi rossi e malvagi, le labbra carnose e il colorito estremamente pallido.
Per poco le zampe non cedettero. Non ci capivo più niente, la mente annebbiata e persa nei ricordi...  era come il ritorno di un antico incubo ricorrente che si credeva dimenticato.
Jane, l'amica immaginaria di quando ero piccolo. Era identica a quella vampira.
Il mio incubo personale, che mi aveva fatto quasi diventare pazzo, era tornato a perseguitarmi.
“Seth? Tutto bene?” mi chiesero Leah e Jacob, notando il mio improvviso cambiamento di stato d'animo.
“Si, non vi preoccupate, tutto sotto controllo” mentii io. Fortunatamente quando si pensa non si può balbettare. Jacob tornò a studiare i Volturi, ma mia sorella mi lanciò uno sguardo interrogativo.
“Guarda che non mi freghi, sei una palla al piede da quando ho cinque anni, sarà pur servita a qualcosa questa tortura! Dimmi cosa succede”
Incapace di mentire, scosso com'ero, confidai a Leah la verità.
“Vedi quella vampira minuta e bionda alla destra dei capi?” chiesi, guardando per terra.
“Si, sembra un membro importante del clan...” confermò lei.
“Ti ricordi che quando avevo sette anni ho avuto qualche... problema?” esitai.
“L'amica immaginaria che la tua mente bacata aveva partorito e le punizioni mentali che ti autoinfliggevi perchè ti sentivi diverso?” domandò Leah, stranamente apprensiva.
“Non era andata proprio così, era lei che quando mi toccava di provocava un dolore matto.” obiettai.
“Veramente lo psicologo aveva dato questa spiegazione delle autopunizioni...” ribatté Leah.
Sbuffai.
“In ogni caso, non è questo il punto. Il mio incubo personale era spiaccicato identico a quella vampira bionda.” confessai.
“Oh...” Leah era perplessa. “Sei sicuro?”
“Mi ha perseguitato per sei mesi, mi ricorderò per tutta la vita il suo aspetto, puoi contarci.”
“È una cosa proprio strana. Inquietante...”
“Già.”
Il silenzio cadde fra di noi. Non riuscivo a staccare gli occhi dalla vampira. Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, avevo di nuovo sette anni ed ero terrorizzato da quella figura. E questa volta era reale.
“Jacob?”
“Dimmi?”
“Riesci a farti dire come si chiama quella vampira minuta, bionda, alla destra dei capi?”
Jake rispose dopo qualche minuto: “Jane. Si chiama Jane. È uno dei membri più pericolosi dei Volturi. Può far credere alla gente di star provando un dolore lancinante in tutto il corpo.”
“Oh!” disse mia sorella.
Mi sentivo debole. La testa mi girava. Le parole del mio alfa mi rimbombavano nella testa. Può far credere alla gente di star provando un dolore lancinante in tutto il corpo. UN DOLORE LANCINANTE IN TUTTO IL CORPO.
Per un attimo mi sembrò che tutto il mio possente corpo fosse percorso da una scossa elettrica e mi sentii una nullità davanti a quella minuscola vampira, Jane, che nemmeno sapeva della mia esistenza.
“Leah...”
“Sono qui.”
Risucchiato da ricordi e pensieri,  non mi ero nemmeno accorto che mia sorella si era avvicinata e mi sorreggeva con una spalla.
“Seth, stai calmo. Non ti può fare niente”
Annui facendo ondeggiare su e giù il mio testone color sabbia. Poi realizzai che mia sorella stava facendo uno sforzo immane per non essere seppellita dal mio peso e mi rimisi dritto sulle zampe. La piccola lupa grigia sbuffò.
“Devo dire ad Emily di farti meno muffins da mangiare” scherzò, cercando di farmi ridere, mantenendo però il tono di voce teso.
Mugolai leggermente.
Allora lei riprese un tono solenne e guardandomi negli occhi, disse: “Qualunque cosa succeda, quella vampira non si avvicinirà a te durante la battaglia. Ci penserà prima tua sorella.”
Annuii e, sollevato, leccai il naso a Leah.
“Che schifo! Ho la tua saliva fin dentro al cervello adesso.”
“Tanto era già poltiglia.”
“Per non parlare del tuo.”
“Ti voglio bene, sorella.”
“Ti voglio bene anche io, Seth.”
Leah strisciò il muso sull'erba, ed io rialzai lo sguardo. Dopo il primo momento di panico, mi ero ripreso. Quella vampira non poteva più niente contro di me. Non avevo più sette anni. Non ero più un bambino solo con le sue paure. Avevo il branco. Avevo mia sorella.
“Non provare mai più a darmi un bacio lupesco.” mi minacciò in quel momeno lei, rialzandosi da terra col muso pulito. Poi, ripensandoci su un momento, aggiunse: “Non provare mai più direttamente a darmi un bacio!”
Diedi una risata simile ad un latrato continuando a fissare Jane, a cento metri da me.
Nello stesso istante, lei alzò gli occhi rossi rubino. Erano ancora più malvagi di come me li ricordassi. Mostrai i denti e, per un attimo, in quelle due pozze di sangue, vidi passare la paura. Jane si tirò su il cappuccio e i suoi capelli biondo grano scomparvero, facendo rimanere l'esile figura di una qualunque ragazzina. La mia amica tanto odiata. Oggi eravamo alla resa dei conti.


____
Buonasera! Ho scritto questa storia per un concorso, da cui però ho tolto l'iscrizione a causa della poca organizzazione D:
Scopo del concorso era scegliere un personaggio della saga e fare in modo che un'altro fosse l'amico immaginario di quando era piccolo... Chiaramente la mia scelta è caduta su Seth e Jane :)
Spero vi sia piaciuta... Se vi va lasciate un piccolo commentino? :)

Angolo pubblicità :)
Bevete Pepsi, scrivete con penne pilot, usate carta riciclata e andate a leggere la mia opera prima, “i vampiri non si addormenteranno mai”!
A parte gli scherzi, se vi piace come scrivo, mi farebbe piacere :)
Grazie a chi è riuscito ad arrivare alla fine! Ciao^^
   
 
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