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Autore: Artemisia89    05/01/2011    2 recensioni
È il 1862: una nobiltà spaesata tenta di sorridere al fluire di un nuovo corso che la trascinerà verso un disadattamento che sarà la sua personalissima rovina. Hanno detto addio alla corona con l'euforia di un'amante che si crede indipendente, ma ora, nemmeno un anno dopo, una nostalgia insinuante si è annidata in fondo ai loro pensieri, e i calici si libano, ma a fatica l'acclamazione al Re! viene respinta in fondo alla gola. Delia è giovane, ha 18 anni, e ha vissuto già una decadenza che, senza intristirla, l'ha lasciata orfana di non sa chi e cosa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Esterno ottocentesco

(o di come Delia scoprì la neve)




A Rita,
per un mucchio di cose che già sai,
e per una serie infinita di altre ancora condividere.
Chiara (russkava yazikà!)




~



Al di là dell'ampio vestito bianco che la impaccia, dei guanti in seta che la isolano da ogni sensazione tattile e che le filtrano il mondo attraverso stoffa e cuciture, Delia inizia a sentire l'aria mancarle. Un tremolante flûte nella destra a sviare l'attenzione, mentre la mano sinistra scende sul ventre, dove il corpetto le fascia il torace e termina a punta proprio lì, verso la sua femminilità che è, in qualche modo, la vera protagonista della serata. Sara Lascaris, sua compagna di studi in collegio a Roma, fa il proprio debutto in società in una freddissima sera di Dicembre e, con lei, quindici fiori della gioventù piemontese vengono trascinati nel gelo degli abiti scollati, dei gioielli freddissimi, dei velluti leggeri, per esporre se stessi agli eroi monchi ed orbi di una nazione. È il 1862: una nobiltà spaesata tenta di sorridere al fluire di un nuovo corso che la trascinerà verso un disadattamento che sarà la sua personalissima rovina. Hanno detto addio alla corona con l'euforia di un'amante che si crede indipendente, ma ora, nemmeno un anno dopo, una nostalgia insinuante si è annidata in fondo ai loro pensieri, e i calici si libano, ma a fatica l'acclamazione al Re! viene respinta in fondo alla gola. Delia è giovane, ha 18 anni, e ha vissuto già una decadenza che, senza intristirla, l'ha lasciata orfana di non sa chi e cosa.

Oltre le ampie vetrate, la neve continua a cadere. Si chiede se mai il nascondino tra lei e quella cosa fredda e bianca avrà fine, un giorno. Qualche ora fa, mentre Martino la conduceva per le strade di una Torino illuminata ed umida, i fiocchi li hanno sorpresi appena un attimo dopo che entrassero nel cortile di palazzo Lascaris: Delia inizia a pensare di esser nata roppo sud per comprendere quel mistero schiumoso. E che la neve sapeva essere una divinità rispettosa finché il suo atteggiamento restava distante.
Aveva ballato una quadriglia francese e due valzer prima che Sara la togliesse dal Colosseo che era la sala da ballo, per gettarla nella fossa delle presentazioni: in quanto presunta migliore amica di Sara, a Delia spettava il compito di inchinarsi e lasciare che il proprio guanto venisse a malapena sfiorato dalle labbra del parentado. Vennero ammirato i boccoli scuri, la fronte alta e il portamento eretto ("...so che le suore Orsoline costringono le ragazze a camminare con delle stecche di legno alla schiena. Se è vero, si vedono i risultati, mia cara...") senza tralasciare di mettere in evidenza i piccoli difetti la cui assenza avrebbe fatto sfigurare Sara. Delia ringrazia sorridendo pensosa e agitando il ventaglio di pizzo bianco, spendendo qualche parola sulla sua Roma, distante e cristallina nell'aria invernale, e che sa pulita da una pioggia continua che  baratterebbe volentieri con la neve che si accumula sulle balconate del palazzo. Si avvicina alla finestra e sente il gelo che il vetro non riesce a trattenere e semplicemente non capisce come quel candore possa farle rizzare i peli sulla nuca e farla rabbrividire quando i caminetti inondano le sale di luce e calore, e le centinaia di persone sembrano respirare un'aria che pare fuoco. Quasi ha voglia di gridare ai musicisti di smettere di suonare, di fermare gli archi sulle corde affinché lei possa appoggiare l'orecchio alla finestra e sentire se, in qualche modo, la neve ha un suono quando cade.
Mentre è lì per compiere il gesto fatale di aprire una delle portafinestre per uscire in giardino, una mano accanto a lei bussa sul vetro all'altezza dei suoi occhi: Delia si volta ed è costretta ad alzare lo sguardo verso la persona più anonima abbia mai incontrato nella sua breve vita.
L'abito nero che indossa è simile a quello di tutti gli altri uomini della sala – anzi, non totalmente. Spoglio di spille ed onorificenze – così come il viso del suo possessore non è segnato da nessuna cicatrice o benda – sembra più uno schizzo, un abbozzo, un qualcosa di incompleto che a Delia sembra l'unica alternativa possibile alla totalità bianca che la terrorizza e canta, tra i sempreverde del giardino. È più alto di lei, ed è sicuramente più grande nell'età e nelle esperienze, tutti lo sono  attorno a lei, che non ha avuto nessun contatto che andasse oltre il chiostro del convento delle Orsoline: i corti capelli biondo scuro e gli occhi di un colore che Delia non riesce a definire, completano la figura che le sta davanti e che, ad un tratto, inizia a parlare.

« Non può uscire fuori – o almeno, non svestita così. »
Delia accenna un inchino e aspetta, senza fiatare, finché lo sconosciuto smette di fissarla e la lascia. Lo guarda sparire oltre una delle tante porte, fin quando una compagnia di ragazze non occupa la sua visuale con le loro ampie crinoline. Tutte le donne di una certa età, osserva Delia, ad un tratto della loro vita iniziano a deporre gli abiti color pesca, cremisi e ocra, per colori più cupi e neutri: il nero che iniziano ad indossare sistematicamente in ogni momento della loro giornata le fa assomigliare a tante vedove – o alle suore che hanno accompagnato la sua adolescenza. Certo, i veli bianchi spezzavano quella tristezza, ma Delia si rannuvolava a pensare che quei riquadri di stoffa servissero a nascondere il sacrificio dei capelli. Vanitosa com'era appena entrata in collegio, era terrorizzata dalle minacce di rasatura che suor angela le faceva quando la ritrovava per i corridoi a tarda notte. Un giorno la suora aveva provato a chiederle perché al minimo accenno di temporale Delia preferisse lasciare il calore del suo letto ed affrontare i suoi rimproveri, il buio del convento e la solitudine della sera: gliel'aveva chiesto senza riuscire a nascondere una punta di sfinimento nella voce. Mentre sorrideva al sole che entrava generoso dalla finestra sopra il letto, Delia aveva risposto che la ragione era da ritrovarsi nella sua data di nascita: sono un fiore di Maggio – diceva – i tuoni e i lampi e la pioggia mi fanno paura. Cammino tutta la notte per sfuggire al vento.



Poco dopo sente una mano proprio lì, sulla schiena, dove credeva di essere diventata insensibile a causa del corpetto troppo stretto: un'altra mano compie il gesto proibito di girare la maniglia e aprire la portafinestra. Mentre camminano verso la terrazza, Delia sente lo sconosciuto di qualche minuto prima dirle "presto, prima che smetta" e percepisce sulle proprie spalle nude, il peso di un caldo soprabito maschile. L'uomo  glielo aggiusta addosso per poi chiuderglielo sul seno. Tutto quello che Delia riesce a dire sotto quel soprabito così pesante e quegli occhi così leggeri è:
« Non avrete freddo? »
Ma in tutta risposta l'uomo la prende sottobraccio  e la fa avvicinare alla ringhiera di marmo, non coperta dal tetto del palazzo: restano ai bordi della protezione fornita dalle balconate dei piani alti, così, dondolandosi sui tacchi e guardando la neve cadere e accumularsi sull'erba.
« ...ma...» esordsce Delia.
« Ma cosa? » chiede l'uomo sorridendo senza guardarla, assorto.
« Ma...com'è? »
« Posso mostrarvelo, ma dovrete essere coraggiosa »
Delia annusce, guardandolo e stringendosi ancora di più al suo braccio. La festa danzante che dista solo venti passi da lei é già il ricordo di un'altra vita. L'uomo si libera dal suo braccio, le cerca le mani sotto il soprabito con un movimento così aggraziato e naturale che provoca in Delia un improvviso amore per tutto il genere umano; e poi compie il gesto più inaspettato e insensato possibile. Le toglie i guanti di seta, la prende per mano e la porta alla ringhiera: raccoglie per lei una manciata di neve e poi con un "...a coppa, sì, ecco, mettetele a coppa" gliela adagia nelle mani. Delia sente i suoi palmi prima bloccarsi, e poi respirare. Le dita le diventano rosse mentre le richiude sulla neve che, ancora compatta, non accenna minimamente a sfaldarsi. Delia si avvicina ancora di più alla balaustra, e si sporge mentre, dietro di lei, l'uomo sta ritto a guardarla: apre le mani sul giardino e guarda la neve mischiarsi al tappeto bianco qualche metro più sotto, poi si volta e con una grande meraviglia disegnata in viso dice allora è vero che la neve non fa rumore quando cade.



La riaccompagna dentro che è tutta pallida e gelata, e aspetta di vederla smettere di tremare prima di aiutarla a togliere il soprabito di dosso. Sembrava, nella sua gioia poco lucida, una pianta che avesse appena passato l'incolume l'inverno: sorride quando la vede esaminarsi le scarpette umide.
« Non siete fatta per il freddo, signorina. E Torino è una città a cui non sopravvivreste. Venite, vi accompagno alla carrozza. »
Martino si era addormentato davanti ad un bicchiere condiviso con gli altri vetturini: l'uomo lascia Delia alle porte della  depandance, entra e riporta indietro un Martino farfugliante scuse e balbettii. Nella sua leggera mantellina di velluto, Delia guarda con terrore i finestrini della carrozza dimenticati aperti e trema al pensiero dell'ora di viaggio che la separa dal palazzo in cui alloggia. Si volta per accennare un inchino all'uomo, quando lo vede togliersi il soprabito di dosso – per una seconda volta – e chiuderlo con gesti precisi sotto il suo collo, scostando con una mano i boccoli già quasi sfatti. Martino attende, le redini in mano. Delia inizia a parlare, confusamente e sottovoce, finché non alza lo sguardo e chiede – per una seconda volta:
« Non avrete freddo? »
E lui, mano sinistra dietro la schiena e gli occhi che, prima persi nella neve, tornavano a fissarsi su Delia, risponde :
« Oh, resisterò. D'altro canto, mi pare d'aver inteso chi, tra i due, è più incline al freddo. Buonanotte signorina. »
E Delia appoggia la mano su quella che le viene porta, sale in carrozza e per tutto il viaggio verso casa, non fa che stringersi addosso quel soprabito così ruvido e maschile e respirare forte un odore silenzioso che è quasi come neve.





Fine



Un grazie al virtuale possessore di quel soprabito: per avermelo prestato, per non averlo rivoluto indietro, per averci nascosto dentro le prime parole di questa storia.
Chiara
  
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