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Autore: Umpa_lumpa    05/01/2011    2 recensioni
-Se ti commissionassi un quadro…Un qualcosa di semplice, giusto per poter avere la soddisfazione di esporre un tuo favoloso quadro nel mio salotto.
Ci mancava solo il sarcasmo scadente. Dando un violento strattone, divincolò il suo polso dalla presa insistente dell’altro, per poi massaggiarsi l’arto offeso in un implicito atteggiamento di biasimo.
-Suvvia, dimmi di cosa si tratta, una buona volta!
-Disegnami la pioggia- concluse Luigi con un sorriso beffardo stampato in volto.
-La pioggia? – cosa ci sarà mai di difficile nella pioggia?
[piccola one-shot senza troppe pretese, dopo tanto tempo che non ne scrivevo una. Vi invito a leggere e a farmi sapere cosa ne pensate!]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Hai mai disegnato la pioggia?-

 

-Non credi che quella mano sia venuta alquanto storta? Capisco che l’arte non sia necessariamente perfezione…

-Dimentichi che nessuno è perfetto.

-Infatti stavo dicendo, se solo tu non mi avessi interrotto, - riprese l’altro con fare seccato – che l’arte non è necessariamente perfezione. Anche l’imperfetto può essere arte. Però, e scusate se dico ciò che penso, l’arte deve essere bella. E non mi sembra affatto che quella mano sia bella, non credete anche voi?

-L’arte deve essere bella? Che razza di discorso è mai questo? – domandò incredula una piccola donnina con degli occhiali troppo grandi, facendosi timidamente spazio nel gruppo con il gomito. –L’arte non segue mica qualche obbligo, sai? L’arte può essere bella, non deve- proferì, enfatizzando l’ultima parola del suo discorso.

-Sì, infatti…l’arte deve avere un significato, giusto? Trasmettere qualcosa, è quello l’importante. Perciò Carla, non starlo a sentire: le sue non sono altro che critiche inutili, come sempre.

Ah, l’invidia: quale dolce sensazione sentir gli altri grondare invidia da tutti i pori. Vederli ridicolizzarsi con commenti inutili era quanto di più divertente le fosse mai capitato e tale diletto sembrava solleticarle il petto ancor di più quando, senza nemmeno aver avuto l’opportunità d’aprir bocca, qualche cavaliere dall’armatura scintillante si prodigava per difenderla. Era buffo pensare che non fosse nemmeno lei a dover infierire sull’invidia bruciante di chi la critica, perché vi era sempre qualcun altro a pensarci al posto suo. Ecco perché Carla non si era mai  presa la briga di cambiare il suo circolo di amici in favore di una compagnia più interessante, magari capace di trarla fuori dal suo soffocante studiolo di tanto in tanto: perché rinunciare a questo divertente spettacolino?

Sorrise in direzione dell’ultimo commento, con fare distaccato, come se non stessero discutendo del suo ultimo dipinto.

-Hai già venduto tutto anche di questa mostra, non è così? Chissà come hanno potuto comprare una mano storta!- sentì dire dalla protettrice di turno. Quando scoppiarono tutti a ridere (tutti tranne uno, s’intende),  si lasciò scappare solo un lieve risolino per non essere scortese. Infine, posò una delle sue graziose mani sulla spalla del suo critico più accanito, come a dirgli “tranquillo, ti perdono”.

-Mi dispiace, ma adesso penso che me ne andrò

-Ma come? Non vieni a prendere qualcosa da bere con noi? Dai, offre Luigi – aggiunse qualcuno, facendo cenno in direzione  dell’uomo ormai messo ad una simpatica berlina. Carla rifiutò cortesemente, alzando appena la voce su un sottofondo di risa divertite: d’altronde, non avrebbe mai sopportato un’intera serata trascorsa sciorinando filosofia spicciola su cosa sia l’arte.  Quei pochi minuti dall’agrodolce sapore di un decadente circolo di bridge le erano più che sufficienti, pensò con sprezzo fra sé e sé. E poi, di cosa sia l’arte non gliene importava proprio un bel niente. Non era certo per passione che si ritrovava lì, ma per un triviale bisogno di denaro; quello che spinge chiunque ad adattarsi a qualsiasi attività che porti a casa uno stipendio.

- Allora io vado. Ad ogni modo, Luigi, quando vuoi, sei libero di venirmi a trovare nel mio studio, sai? Forse saprai darmi qualche dritta per disegnare bene quella mano. – disse stringendo con fare sornione le dita che teneva ancora sulla spalla dell’amico -  I tuoi consigli sono sempre i bene accetti – concluse, quindi, sapendo bene che di lì a poco sarebbero scattate le lodi sulla sua “incredibile modestia”. In momenti come questi, le sembrava di trovarsi in uno di quei teatrini di marionette che, alle volte, aveva visto sul ciglio di qualche strada.

-Certo, certo. Sarebbe divertente vederti all’opera – replicò quello, assottigliando appena gli occhi . Ma proprio quando si stava voltando per imboccare la porta della sala d’esposizione, fu fermata da una mano stretta con arroganza attorno al suo polso fino: - E se ti proponessi una sfida?

Come in un film di bassa categoria, un coro di sospiri stupefatti si levò dai presenti.

-Che sfida?

-Se ti commissionassi un quadro…

-Non ti disegnerò l’intera cappella Sistina in scala, se è questo che stai chiedendo- lo interruppe stizzita. Quella situazione cominciava a farsi alquanto fastidiosa, mentre lei non desiderava altro che tornare a casa e sorseggiare una tazza di thè caldo davanti ad un film degli anni cinquanta.

-No, no…niente sfide impossibili – disse l’altro ridacchiando. Poi riprese: - Un qualcosa di semplice, giusto per poter avere la soddisfazione di esporre un tuo favoloso quadro nel mio salotto.

Ci mancava solo il sarcasmo scadente. Dando un violento strattone, divincolò il suo polso dalla presa insistente dell’altro, per poi massaggiarsi l’arto offeso in un implicito atteggiamento di biasimo.

-Suvvia, dimmi di cosa si tratta, una buona volta!

-Disegnami la pioggia- concluse Luigi con un sorriso beffardo stampato in volto.

-La pioggia? – cosa ci sarà mai di difficile nella pioggia? Proprio non capiva dove volesse andare a parare…

-Ma sì! Solo la pioggia. Per il resto ti lascio carta bianca…nulla di complicato, visto?

-Di tutto ciò che potevi domandarle, hai scelto proprio la più ridicola! – si intromise nuovamente quella donnicciola dai grossi occhiali e la vocina stridula. – Non sarà certo un problema per Carla, non è così?

-No, non penso ci siano problemi. E poi, non devo preparare altre esposizioni al momento…Per quando vuoi che te lo consegni?

-A tua discrezione.

-Bene, allora ti farò sapere – concluse, grata all’idea di poter finalmente sgattaiolare a casa.  Salutando di nuovo tutti quanti, si strinse di più nel suo cappotto, infilò i guanti con una certa fretta e si incamminò verso il suo appartamento. In genere le importava ben poco dei commenti dei suoi “ammiratori”, visto che non considerava così importante il livello della sua produzione artistica, fin tanto che vendesse. Tuttavia, stavolta si trovava a concordare con loro su una cosa: disegnare la pioggia era davvero una richiesta ridicola. Ma, d’altronde, si disse anche che non valeva la pena rovinarsi una serata rilassante su una questione così sciocca: avrebbe risolto quella seccatura l’indomani, in poche ore e senza troppe difficoltà.

 

****

Quando le chiedevano perché avesse cominciato a dipingere,  non sapeva se sentirsi in imbarazzo oppure seccata a quella domanda inutile. Trovava assurdo che tutti quanti pensassero che il presupposto di una qualsiasi carriera artistica fosse una spassionata dedizione alla propria pratica, una passione imprescindibile. Per questo delle volte era tentata di dir loro la verità:  immaginava se stessa ridere con malizia e rispondere con falsa innocenza “non sapevo che altro fare e, visto che il talento non mi mancava, mi son detta che o mi mettevo a dipingere, o avrei trascorso la mia vita a far compagnia ai barboni sotto i ponti”. Chissà quale sarebbe stata la reazione di tutti quei spocchiosi che pendevano dalle sue labbra nel sapere che quei capolavori, fino ad allora definiti “l’espressione della sua anima sensibile” non erano altro che una patacca qualsiasi buttata giù per racimolare qualche soldo.
Di certo, in un primo momento, nessuno le avrebbe creduto. Dopo qualche attimo di silenzio, si sarebbero sentiti risolini forzati e un qualche “che scherzo divertente!” sussurrato flebilmente. Ma quando lei avrebbe confermato ciò che aveva detto? Avrebbero scosso la testa indignati? L’avrebbero insultata fino a non avere più fiato in gola? O si sarebbero fissati le scarpe, non sapendo che dire?
Nonostante tutto, le sarebbe davvero piaciuto rispondere così. Sapeva, però, che non poteva permetterselo: non per chissà quale motivo, ma poiché le avevano costruito attorno delle aspettative che lei non si poteva concedere di deludere. Alle volte le sembrava di avere due mani che, con dedita gentilezza, le strangolavano il collo. Così, con voce alle sue orecchie strozzata, finiva sempre per rispondere ciò che tutti si aspettavano da lei. Il fatto che si fosse messa a dipingere perché nessuna università o qualsivoglia lavoro le interessavano sarebbe rimasto un segreto custodito tra lei e le sue tele.

Il giorno seguente si era svegliata tardi e, dopo aver fatto colazione sfogliando una rivista capitatale fra le mani, si era pigramente vestita. Afferrando di nuovo i guanti e il cappotto e avendo già preso le chiavi dello studiolo, sbirciò fuori dalla finestra, osservando il cielo plumbeo che sembrava incombere sul suo appartamento.

-Stupida pioggia… - mormorò fra sé e sé, agguantando un vecchio ombrello.

 

***

 

Con sua somma sorpresa non aveva piovuto, il che era stata una fortuna: odiava lavorare quando c’era brutto tempo. Si sentiva indolenzita e svogliata e le veniva voglia di scappare al bar di fronte a bersi un thé. D’altronde, non è che avesse bisogno di guardare il fenomeno vero e proprio per riprodurlo: non era certo un’impressionista e non dipingeva en-plein-air.  Senza contare che ne sapeva abbastanza di tutti quegli insulsi luoghi comuni che la gente considerava tanto poetici. Bastavano quelli, in realtà, per comporre un bel quadro.
Quando piove, il mondo piange.
Quando piove, il mondo è freddo e triste.
La pioggia è “spleen”, come aveva gentilmente suggerito a suo tempo Baudelaire, e le sue gocce che scivolano con languore sulle finestre non sono altro che le sbarre di una prigione.
E bla, bla, bla.

In definitiva, seguendo queste indicazioni, e mettendosi di buona lena, ci aveva messo ben poco per dipingere quello stupido soggetto (grazie anche alla tela di piccole dimensioni che aveva scelto; un trucchetto per accelerare i tempi). Il suo quadro non presentava altro, oltre alla pioggia:  sembrava che la scena fosse osservata da una finestra perché vi erano alcune gocce condensate in primo piano, ma non vi erano particolari indicazioni, oltre a  ciò, che lo facessero pensare; esso era un trionfo grigiastro, dove lievi sfumature lasciavano intravedere delle sbarre immaginarie e alcune tracce di un verde smorto evocavano un praticello intristito (ma, in effetti, talmente indistinguibile da non poter essere definito tale).  In poche parole,  a quel suo gruppo civettuolo sarebbe di certo piaciuto, l’avrebbero lodata a dismisura e lei si sarebbe divertita a punzecchiare, con falsa modestia, il solito criticone, crogiolandosi nella sua biasimata invidia.

Dopotutto, pensò leccando le tracce di yogurt dal suo cucchiaino, si poteva ritenere soddisfatta.
Proprio per questo fu un’enorme sorpresa constatare che le cose non sarebbero andate come lei si aspettava.

-E’ favoloso, sai? Come sempre, dopotutto. Sarebbe sprecato nel salotto di Luigi! Perché non lo tieni tu? O se non ti interessa…regalalo a me! – le disse uno, ridacchiandole divertito in un orecchio.

-Allora Luigi? Tu cosa ne dici? Non sei tu quello che ha lanciato quest’insulsa sfida?

-Beh…fatemici pensare…- replicò quello, mettendo un po’ di distanza fra lui e il quadro per osservarlo meglio. Carla guardò la scena divertita, consapevole che, di lì a poco, l’altro avrebbe declamato una qualche critica insulsa, scatenando l’ilarità  generale.

-E’ dipinto in maniera eccezionale, davvero – disse invece.
Pensò di aver sentito male, ma quando osservò le espressioni incredule di tutti quanti, si rese conto che Luigi aveva detto ciò per davvero. Se ne sentì quasi rammaricata: dove stava il suo divertimento, così? Se anche l’invidia di Luigi fosse scomparsa, le sue esposizioni sarebbero di certo diventate più noiose di quanto già non fossero.

-Ti piace davvero?

-No
Ah, ecco. Lasciò andare un sospiro di sollievo nella sua testa.
-Non è carino farmi illudere che ti sia piaciuto un mio dipinto, sai? – disse allora con pacatezza e con fare divertito.
-Cosa c’è che non va? Forse la mancanza di soggetto? O il fatto che il prato sia troppo indistinto? Dici che avrei potuto disegnarlo meglio? Dimmi; sai che le tue critiche mi interessano – proseguì, disgustata alle sue stesse parole. Non pensava certo ciò che aveva detto…

-No, non ho mentito. Non hai proprio capito: è disegnato magnificamente. Ma, sbaglio o voi stessi l’altra volta avevate detto che l’arte è ciò che vuole trasmettere? Beh, questo dipinto è di certo ben fatto ma…non mi sembra di capire cosa tu pensi della pioggia, sai?

-Non capisco…cosa vuoi dire?- chiese con voce sommessa. Si sentiva alquanto confusa.

-Dico che ti sei ispirata a Baudelaire, vero? E se non a lui, a qualche altro poeta, immagino. Forse a Paolo Conte? Non c’è una sua canzone in cui scrive “fuori piove un mondo freddo”?
Quando Luigi si fermò in attesa di risposta, regnò il silenzio più assoluto. Nessuno sapeva cosa dire e una sensazione di disagio cominciò a serpeggiare fra tutti i presenti, Carla compresa.

-Ma tu? Tu cosa pensi della pioggia? – riprese l’altro, soddisfatto della reazione ottenuta. – Sai, un soggetto così comune come questo, deve per forza essere espresso attraverso ciò che si senti. Altrimenti, dove sarebbe la sua attrattiva?  Per farla breve, a disegnar la pioggia così,  è capace chiunque abbia un minimo di familiarità con i pennelli. Questo quadro – e qui fece un piccola pausa, come a voler imprimere meglio ciò che stava per dire – non mi trasmette niente.

Quando nessuno aprì di nuovo bocca, Luigi sorrise a trentadue denti.
-Ma sai cosa ti dico? E’ comunque carino; nel mio salotto ci farebbe una bella figura – concluse ridacchiando nello stupore generale.

 

***

 

Come?

Come si disegna la pioggia?

Non le era mai capitato, fino ad allora di sentirsi così umiliata. Più ripeteva a sé stessa che non le importava nulla dei suoi dipinti (né tantomeno dei commenti di qualcuno che non aveva nient’altro di meglio da fare di fingersi un critico d’arte), e più sentiva il petto bruciarle ed una vocina fastidiosa in testa ripeterle che non era brava nemmeno a disegnare la pioggia. Non aveva mai preteso che i suoi quadri significassero qualcosa, o che trasmettessero qualcosa; finché vendevano, andavano bene.  E allora perché era così turbata da quel commento? Forse perché, come Luigi, gli altri estimatori avrebbero potuto dire ciò e non voler più acquistare i suoi dipinti? No, era certa che non sarebbe successo nulla del genere.

La mattina dopo si ritrovò nel suo studiolo. Si stupì nel constatare che vi si era recata quasi inconsapevolmente, come in una specie di trance. Infatti non aveva nemmeno fatto colazione, e la sua idea di prendere un cornetto al bar sull’altro lato della strada era andata in fumo quando si era accorta che erano le sei e che, di conseguenza, il locale era ancora chiuso.
Era andata lì alle sei?!?! Di solito era così riluttante all’idea di mettervi piede che più tardi vi si recava e meglio si sentiva, tanto da essere solita temporeggiare a casa con il pretesto di una qualsiasi stupidaggine.  Ad ogni modo, ripetendosi che, visto che ormai vi si trovava, tanto valeva mettersi all’opera, prese i colori e si sedette di fronte ad una nuova tela.
La prese più grande stavolta  per dare libero sfogo alla sua fantasia.
Ma quando avvicinò il pennello, si rese conto che non sapeva cosa tracciare: quale fantasia, se non aveva la più pallida idea di come si disegnasse la pioggia? Sarebbe finita per dipingere di nuovo un ammasso d’acqua grigiastra. D’altra parte, la pioggia era questo, no? Quindi non vi era altro modo per dipingerla.

Tirò un lungo sospiro, sconsolata.
Fissò il vuoto davanti a sé per lungo tempo, senza saper cosa fare, o cosa pensare. Poi, però, sentì un fievole ticchettio, mano a mano più insistente. Per un attimo, pensò che il rubinetto perdesse, ma poi, rivolgendo lo sguardo al finestrone che affacciava sulla strada, vide che pioveva.

-Poco importa – pensò – non è che cambierà qualcosa se mi siederò là davanti a dipingere quel che vedo. Luigi dirà solo: “questa è una strada ben disegnata, ma ancora non so cosa tu pensi della pioggia”.

Riprese, quindi, a fissare il vuoto, abituandosi pian piano a quel costante sottofondo. Dopotutto, era piuttosto piacevole. Si fermò a pensare (ridacchiando della sua stessa idiozia) che sembrava che qualche bambino stesse picchiettando le sue piccole dita sulla finestra. In fondo, aveva l’impressione di aver letto da qualche parte un paragone simile. Le solite stupidaggini poetiche.
Eppure, soffermandosi a pensarci sopra, si ricordò di quanto lei stessa, da piccola, si divertisse a picchiettare le dita sul finestrino della macchina, per far scivolare le gocce cadutevi sopra. Sua madre le intimava sempre di smetterla perché la distraeva mentre guidava, ma lei continuava, ignorandola. Infatti, allora pensava che pioggia fosse così divertente, così bella. Si chiese quand’era che avesse smesso di pensarla così.

Mentre rifletteva su tutto ciò, immerse le sue stesse dita nella pittura grigia e le poggiò varie volte, con una certa insistenza, sulla tela bianca che aveva di fronte. Non lo fece di proposito, anzi, per essere precisi, nemmeno si accorse di star facendo ciò.
Forse…forse, la pioggia era veramente tante piccole dita che scivolavano, che si divertivano a bagnare la gente e a scorrere sulle fiancate delle auto e sui muri; si divertivano a giocare nel fango, addirittura a crearlo! Strabuzzavano gli occhi nel vedere tutti quegli ombrelli colorati andare da una parte all’altra, tingendo quel cielo triste, e ridacchiavano nel creare pozzanghere che qualcuno non avrebbe visto, ritrovandosi con un calzino tutto bagnato; si coccolavano nel vedere chi le osservava dalla finestra con una tazza di tisana in mano, e si divertivano nell’osservare chi, senza alcun ombrello con sé, correva come un matto per rifugiarsi sotto il portico più vicino.
La pioggia non era le lacrime di un mondo triste né un fenomeno meteorologico, ma un qualcosa di curioso e liberatorio. Immaginava di correre fuori da quella stanzetta soffocante e di stare lì, sotto quelle dita, senza nessun ombrello; sentiva un peso sollevarsi dal suo petto, e il suo cuore battere più forte, in preda ad un’inspiegabile frenesia.
E le sue dita continuavano a sfregarsi con la tela. Ma non erano più solo grigie: erano colorate, come tutti quegli ombrelli che le sembrava di veder danzare davanti ai suoi occhi; erano rosee, come le persone che, come lei, stavano lì a farsi carezzare da quelle dita e verdi, come gli alberi dei viali, e di color mattone, come le mura dei palazzi.
Chiunque l’avesse guardata in quel momento, l’avrebbe pensata un pazza che si divertiva ad imbrattare una tela senza alcun motivo, ma Carla pensò di star dipingendo. Forse per la prima volta.

 

***

-Non capisco…questo cosa sarebbe?- chiese perplessa quella solita donna occhialuta.

-Non lo vedi? E’ la pioggia

-A me non sembra – s’intromise uno, facendosi spazio nel solito gruppetto.

-Già…è solo uno scarabocchio, questo…questa cosa – disse un altro ancora, guardando le pareti di quell’asfissiante studiolo pur di non dover rivolgere i suoi occhi verso la tela.

-Carla…cosa ti è preso? Questo non è da te…

-E’ vero! Non devi mica ascoltare le parole di Luigi, sai? Lui parla sempre per dar fiato alla bocca e nulla più. Il quadro che avevi fatto l’altra volta era molto bello. Questo è solo un…beh, non lo so nemmeno io – disse, infine, con un po’ di incertezza.

-Non sembra proprio pioggia. E poi sai, mica la pioggia è colorata!

-Scherzi? Non mi dirai che non hai mai visto pioggia verde! – disse uno, facendo scoppiare tutti a ridere. Tuttavia, si zittirono quando sentirono Carla parlare:

-A me piace, invece.

-Come?! Ma, la pioggia non è così!

-No, infatti non lo è. Ma…è così che io la vedo – concluse, guardando per la prima volta con un sorriso sincero, quella tela imbrattata da una quantità innumerevole di dita, da un trionfo di colori un po’ mischiati fra loro.

-Ecco…è così che si disegna la pioggia- disse, infine, osservando le espressioni scandalizzate di tutti i presenti.

Nota dell'autrice: Salve a tutti coloro che sono riusciti a resistere fino alla fine di questa lettura senza premere il tasto "destroy" XD L'idea per questa one-shot mi è venuta questa mattina, a seguito di un attacco d'ispirazione acuta: era talmente tanto tempo che non scrivevo una storia (originale, per di più), che mi sono sentita come una bambina che prova a scrivere un racconto per la prima volta XD In definitiva, non sono affatto convinta del risultato. Proprio per questo motivo, ci terrei tanto che, chi ha trovato il tempo per leggere questa storia, lasciasse gentilmente anche una piccola recensione, giusto per farmi sapere cosa ne pensa, e farmi qualche critica o darmi qualche consiglio. Ah, un'altra cosa: nel corso del testo, sono sicura che abbiate notato una serie di ripetizioni: non mi sono soffermata troppo nel correggerle perchè, leggendo la shot a voce alta, mi sono resa conto che non risultavano poi così fastidiose. Ad ogni modo, se la pensate diversamente, fatemelo sapere e vedrò di correggerle^^
Infine, vi ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere questa mia storiella! (se così si può definire XD)
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento!

   
 
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