.Around Him
Chapter One: Little Houdini
has got Chords of Steel.
... Quanto tempo era passato,
esattamente?
Poco meno di un anno, forse.
Ecco.
In poco
meno di un anno, aveva trovato la sua professione, il suo mentore e la sua
famiglia.
Si ritrovava
sempre più spesso a pensarci, Apollo, nelle giornate di ozio all’agenzia
“Vattelapesca Wright & Co.”, mentre Trucy provava il patrimonio culturale
appena ottenuto della loro tradizione familiare ed il signor Wright era fuori
ad occuparsi delle sue “missioni segrete” che, sempre più spesso, riguardavano
il suo esame per tornare ad essere un avvocato.
Apollo
era a conoscenza di questo particolare semplicemente perché, anche se
continuava a non considerarsi tale, era un tipo abbastanza curioso.
E il
signor Wright ne provocava veramente molta, in lui, di curiosità.
Insomma:
ok che, con sua enorme gioia, aveva ritrovato sua madre e aveva scoperto di
avere anche una sorella e va bene che Phoenix era da considerarsi solo e semplicemente suo mentore, ma, in ogni caso, in qualche modo faceva
anche lui parte della sua famiglia, no!?
In fondo,
era anche il padre di sua sorella.
Cioè…
Inutile
cercare scuse.
Apollo
era semplicemente curioso.
Phoenix
era... Una sorta di mito, nel campo. E lui voleva semplicemente vederlo dietro al
banco della difesa, come non avuto mai occasione di fare. E per quanto potesse
sembrare un tipo (molto) strano, era un grande.
Era... Puro e semplice interesse professionale.
Ecco, si. Interesse professionale.
Il flusso
di pensieri del giovane avvocato fu interrotto da un mesto bussare alla porta
dell’ufficio.
Subito si alzò per andare ad aprire (non si sarebbe mai immaginato di ricevere
visite, di domenica pomeriggio), ma Trucy, facendo cadere il mazzo di carte che
aveva in mano, lo precedette –Un nuovo talento!- esclamò, preparandosi a
mostrare il suo miglior sorriso e urlando un “Avanti” talmente vigoroso, che al
confronto le Corde Vocali d’Acciaio di Apollo sembravano un bisbiglio.
*
Era passato molto tempo.
Quasi otto anni, constatò.
E in quegli otto anni, era giunto all’apice della sua carriera, e i suoi studi
sui sistemi giuridici esteri potevano oramai dirsi completati.
Aveva
girato mezzo mondo. Forse era ora di tornare a casa.
Si era
cominciato a preparare psicologicamente già da prima della partenza: era
piuttosto sicuro di trovare un bel po’ di cambiamenti, e di conseguenza doveva
essere pronto ad ogni eventualità.
Si stupì,
nel chiedersi cosa potesse essere successo in quegli anni in cui era mancato,
ed i suoi pensieri si soffermarono per un brevissimo attimo su tutte quelle
persone che avevano popolato la sua vita fino a qualche tempo prima.
“Miles,
stai diventando vecchio.” Si disse, sospirando.
Per quanto poi a 34 anni qualcuno
possa considerarsi vecchio…
Edgeworth in quegli ultimi anni, aveva incontrato solo Franziska, e per poco. Era
successo nel periodo in cui si era stabilito in Germania per studiarne il
sistema legale.
Poi era
partito per l’Italia e non aveva più sentito neanche lei.
Le sue
riflessioni furono stroncate da un improvviso senso di nausea.
Lui non odiava solo i terremoti, gli ascensori, le scale pieghevoli e i pollini
che in primavera lo facevano sembrare un fazzoletto ambulante. No, lui odiava
anche gli aerei, per questi dannati sensi di vertigine che lo colpivano quando
meno se l’aspettava.
E pensare che ancora non si era avvezzo a quel mezzo di trasporto divenuto
abituale in quegli otto anni.
Chiuse
gli occhi e buttò indietro la testa, per tentare di calmare quella sensazione
orribile.
Fortunatamente
per lui, fini per addormentarsi, e i suoi occhi si riaprirono solo quando quel
coso infernale atterrò.
Fu veloce
a prendere le sue cose e a chiamare un Taxi per farsi riaccompagnare a casa.
Era
pomeriggio inoltrato, oramai. Forse le cinque.
Era
talmente sicuro di riuscire ad entrare tranquillamente in quella città da cui
era mancato per un sacco di tempo, come se nulla fosse successo, che non aveva
preso in considerazione l’idea di ritrovarsi di fronte la porta di casa sua.
Passò
sulla valanga di pacchi e pacchetti ben sistemati di fronte alla soglia, dove
spiccavano numerosi A EDGY DA WENDY in caratteri arzigogolati, e si concentrò
sulla porta.
Era la cosa più semplice del mondo.
Prendi la
chiave. Infilala nella toppa. Fai scattare la serratura. Entra.
Il
braccio si fermò a mezz’aria. No, non ce la faceva.
Riprovò.
Arrivò ad
infilare la chiave nella toppa, poi si bloccò.
Si diede
dell’imbecille un paio di volte, mentre il braccio che teneva la valigia gli
doleva sempre di più.
Dopo una
mezz’ora si risolvette a lasciare la valigia davanti la porta di casa, le
chiavi infilate nella toppa e i pacchetti al loro posto.
Aveva
bisogno di una boccata d’aria.
Così si
ritrovò a percorrere strade a lui familiari, le mani infilate in tasca ai
pantaloni per via del vento autunnale, né particolarmente freddo, né
particolarmente caldo, senza un motivo ben preciso. Si incamminò per vie di cui
molto probabilmente aveva già calpestato il suolo molte volte, lasciando che
fossero i piedi a guidarlo.
Se ne
pentì quasi subito.
Alzando
lo sguardo, che fino a quel momento era rimasto incollato all’asfalto scuro,
immerso in chissà quale pensiero, si trovò davanti ad un edificio, nel quale
aveva avuto il piacere di entrare si
e no un paio di volte.
Era certo
di aver fatto dietrofront per tornare indietro, d’un tratto sicurissimo di poter aprire quella
dannata porta, e invece se ne ritrovò davanti un’altra che, di certo, non corrispondeva a quella di
casa sua.
Era di un
grigio metallizzato anche troppo familiare.
In quel
momento, Miles realizzò di essere veramente
ritornato dal suo viaggio.
Era una consapevolezza che lo lasciò un attimo perplesso “Dall’altra parte di
questa porta” rimuginò “c’è lui”.
Deglutì.
Si
accorse che tutta quella voglia di tornare che l’aveva colpito all’estero era
magicamente scomparsa.
Certo che otto anni sono tanti…
“Magari
nemmeno si ricordano chi…”
Un attimo.
Che…
Cos’era quell’insicurezza? Da quando si faceva certi
problemi?
Insomma, era solo una porta, alla stregua di quella di casa sua. Una stupida, legnosa porta che…
Bussò.
Si diede
dell’imbecille per la centocinquantesima volta quel giorno, ma bussò.
E bussò
in una maniera che gli parve talmente lieve, che gli sembrò strano che
qualcuno, dall’altra parte, potesse sentirla.
Eppure,
quel qualcuno dall’altra parte, sentì
il rumore forte e chiaro, perché dopo qualche secondo un “Avanti” (che fece sussultare
Miles, tanto era forte) ruppe il silenzio di quel corridoio.
Indugiò
qualche attimo, la mano poggiata sul pomello della porta, ad immaginarsi la
probabile reazione delle persone presenti nella stanza.
Difatti
la voce che aveva sentito non era di certo quella che si aspettava di sentire,
ragionò.
In
qualunque modo stessero le cose, alla fine si decise, e con un lieve cigolio la
porta si aprì.
Quando
entrò, la prima cosa che lo colpì non fu il caos più totale o gli strani
aggeggi disseminati per la stanza.
Bensì lo
colpì la presenza di due persone che, facendo mente locale, non ricordava di
aver mai visto.
Le parole
gli morirono in gola, anche perché in quel momento si accorse di non aver
effettivamente nulla da dire. In ogni caso, constatò, anche se avesse avuto
qualcosa da dire, non ne avrebbe avuto il tempo materiale, visto che dopo la
sua favolosa entrata in scena (a cui
erano susseguiti attimi di imbarazzante silenzio, anche se Miles continuava a
ripetersi che non era per colpa sua), una voce squillante aveva riempito la
stanza –Benvenuto, signore!- aveva salutato immediatamente una ragazzina di non
più di quindici anni, che aveva un serio
bisogno di un bravo stilista, visto il costume da prestigiatore con tanto
di cilindrone azzurro che indossava orgogliosamente.
-E’ qui
per mostrarci il suo talento?- con nonchalance la ragazzina circondò le spalle
dell’uomo (considerevolmente più alto di lei), con un sorriso smagliante
stampato in faccia.
-Uh…-
Miles non aveva idea di cosa rispondere.
“Talenti?
Ma cosa…” era lievemente confuso.
-Oh. Ma che maleducata che sono.- Little Houdini
mostrò una faccetta corrucciata –Il mio nome è Trucy, piacere- si riprese
subito, porgendogli la mano e lasciando andare la presa sulle spalle del
procuratore, che intanto si guardava intorno in un misto di incredulità e
panico.
Solo
allora si accorse di un’altra figura all’interno della stanza, che lo osservava
con pietà e comprensione, come a dire “Scappa di qui prima che puoi”.
Ed effettivamente era proprio ciò
che aveva in mente di fare.
Era
palese che avesse sbagliato porta, anche se gli sembrava strano.
Se solo
avesse trovato il modo di…
-… Allora?-
-Uh…?-
era evidente che la sua capacità di esprimere una frase soggetto-verbo-complemento fosse andata a farsi friggere.
-Lei non
ce l’ha un nome?- sorrise nuovamente Trucy.
-Ah. Si. Edgeworth. Miles Edgeworth. Ma…-
la frase venne troncata da una ferrea stretta di mano.
-Bene,
Miles…- Trucy si strofinò le mani e guardò il suo interlocutore in un modo che
lo inquietò lievemente -… Cosa sa fare? Canto, ballo, musica, imitare
-Trucy…-
mugolò l’altro ragazzo in tono sofferente –Non pensi che sarebbe meglio…-
-Oh, si!
Giusto!- quella si battè una mano sulla fronte –Oppure ha bisogno di essere
difeso? Ora la nostra agenzia difende anche!- e con un gesto plateale delle
braccia indicò il ragazzo che, Miles se lo sentiva, avrebbe fatto a meno di
tutto quel pathos.
-Apollo
Justice- sospirò quello, avvicinandosi e stringendo velocemente la mano all’uomo
–Avvocato difensore.- si presentò, e a Miles sembrò tanto che il suo sguardo
continuasse a ripetergli di fuggire il più lontano possibile di lì, e in fretta –Eh, Trucy, senti… Non penso
che il signore, qui, sia venuto per…-
-Polly! Stai per caso dicendo che il
signor Miles non ha talento?-
-Ma
veramente io…- Apollo si arrese.
-Ah! Che scostumato! Lo perdoni,
signore…-
-NO!-
riuscì ad urlare Edgeworth in un lampo di lucidità, portando in avanti una mano
per bloccare quella furia –Ha ragione l’avvocato.- si ricompose –Ero venuto qui
per fare visita ad una persona, non per…- mosse le mani in aria per far
intendere la fine della frase, troppo strana da dire a voce.
-Oh…- il
volto di Trucy assunse un tenero broncio –Allora non è qui per diventare il
quinto membro della prestigiosa agenzia di Talenti “Vattelapesca Wright &
Co. …”- mugolò sconsolata.
-Esat…
No, un attimo. Hai detto Wright?- ora
Miles era perplesso.
-Ha
capito perfettamente. Wright come il suo direttore: Trucy Wright!- spiegò
Little Houdini.
Oh.
Doveva essere omonimia. Per forza…
-Io
veramente cercavo un altro Wright…- imbecille.
Per la centocinquantunesima volta. Stupida lingua…
Lo
sguardo dei due ragazzi si fece più attento –Phoenix Wright. Ecco…- Cadde un
attimo di imbarazzante silenzio -… Forse mi sono sbagliato. Devo aver… confuso
i cognomi.- fece per andarsene –Perdonate il distur…-
-ASPETTI!-
Trucy lo fermò –No, non ha sbagliato!- tentò di rassicurarlo, e Miles, non
seppe spiegarsi il perché, si sentì quasi… Sollevato –Phoenix Wright è mio…-
non fece in tempo a finire la frase che la maniglia girò, permettendo alla
porta di aprirsi e mostrando ai tre le figure di una donna sconosciuta e di un
uomo dal volto terribilmente familiare.
-… Papà!-
terminò Trucy, a mò di saluto.
*
Ok.
Prima
domanda: cos’è questo?
Ok xD.
Questa è una fanfiction che ho in mente di scrivere
da molto tempo e che, per la prima volta dopo un bel po', ho deciso di
scrivere prima a mano.
E’ da
molto che non scrivo una long fic, spero di non fare casini xD
Spero che
questo primo capitolo non sia stato eccessivamente noioso ma, come si dice,
devo prepararmi il campo per la semina *Greta ha in mente idee perverse xD*
Non sarà
solo un qualcosa incentrato su Edgy e Nick, tranquilli, appariranno anche altri personaggi, tra
cui uno originale, ma… Non vi anticipo niente U_U
WARNING: Moooooolto probabilmente si vedranno scene shonen-ai (ma non yaoi, non so se
ce la farei xD), quindi se non vi piace il genere, siete avvertiti U_U
.Thanks for Reading
Greta.