Ok,
questo capitolo non è stato difficile da scrivere: di più.
Non perchè non sapessi cosa scrivere, tutt'altro. Le parole le
sapevo benissimo, ma facevano troppo male. Ok, ora mi prenderete per
pazza, ma mentre scrivevo piangevo. Ero (sono) disperata. E' un
capitolo pesante, tra i più importanti di tutta la fiction.
Abbiamo superato la metà da pochi capitoli, la discesa sta
iniziando. E si sta rivelando un viaggio bellissimo, soprattutto
grazie all'affetto che mi aveva mostrato fino ad ora: sono tra gli
autori preferiti di 61 di voi, 101 preferiscono Father, 31 la
ricordano e 121 la seguono. MA QUANTI SIETE? *______*
Ma
soprattutto, vi voglio dire che questa storia ha ricevuto 411
commenti. Non ci credo, seriamente. Ho iniziato a scrivere a 15 anni
per sfogarmi ed ora eccomi qua, ho fatto passi da gigante! Ci credete
se vi dico che scrivevo in sms? * rabbrividisce* E di passi da
gigante ne ho fatti anche da quando ho iniziato questa long. E devo
dire grazie ad una persona in particolare: piperina.
Grazie. Seriamente, darling, per tutto * si asciuga le lacrime con un
fazzoletto, emozionata*.
Ci tengo anche a nominare altre
lettrici, anche se non sono iscritte: per prima, mia moglie, la mia
adorata mogliettina che oggi fa 19 anni (ti amo da morire, amore <3
), mia sorella rem e anche l'altra, la mosca JuliaSnape, neptunia,
niki_black, Denise (che è sempre in msn con me a farmi forza
u.u ), jillien.
Ma soprattutto, grazie a tutti. Non sarei qua se
non fosse per voi <3
Ed ora spazio pubblicità u.u
Io
e la mia sopracitata sorella, remvsg, abbiamo scritto una raccolta a
4 mani che ha partecipato e vinto ad un contest indetto da V ogue.
Eravamo solo in due squadre partecipanti, ma le avversarie spaccavano
veramente u.u Indi per cui...leggete :D
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=630681
Ed
ora preparate i fazzoletti. Vi ho avvisatie.
Buona lettura :D
elyl
Chapter XXXI:
The Truth
“Ciò
che tu hai scoperto con orrore,
risulta poi essere la semplice
verità”
-La provincia dell’uomo, Elia Canetti-
Silenzio:
era tutto quello che Alistair Piton riusciva a sentire. Aveva
azzittito i propri pensieri, isolato ogni rumore, in attesa che suo
padre iniziasse a parlare. Era ormai passato un quarto d’ora da
quando erano entrati nell’ufficio e l’uomo non aveva
ancora proferito parola, semplicemente fissava un grosso tomo su uno
degli scaffali della sua libreria. Iniziava a essere nervoso, non
sopportava più lo stare immobile nella stessa
posizione.
Severus chiuse gli occhi e sfiorò col pollice la
copertina rigida del libro che conteneva la foto della sua bella
Lily. < Ti
prego Lily, dammi la forza di parlare. Ti prego, aiutami a non
crollare.
> disse nella propria testa. Fece un respiro profondo, strinse il
legno dello scaffale e iniziò.
“Tua nonna, Eileen
Prince, era una strega Purosangue, la cui famiglia aveva nobili e
antiche origini: tutti i componenti di questa casata si vantavano di
non avere neanche una goccia di sangue sporco
nelle proprie vene. Eileen, mia madre, tua nonna…”
S’interruppe, incapace di continuare. Provò a parlare ma
la voce non sembrava voler collaborare, così diede un piccolo
colpo di tosse. “Subito dopo Hogwarts incontrò un uomo,
Tobias Piton, mio padre.” Pronunciò la parola < padre
> con tutto l’odio e il ribrezzo possibili, gli stessi che
riservava a Potter e Black. “Un babbano.”
Il ragazzo
lo guardò esterrefatto: doveva essere un sogno. O uno scherzo.
Sì, era uno scherzo di pessimo gusto: suo padre non poteva
avergli mentito per tutta la vita, non poteva averlo cresciuto con la
convinzione d’essere un Purosangue se non lo era.
“Che
cavolo stai dicendo, pa’?” Domandò storcendo il
naso dopo qualche minuto di silenzio, sperando di aver capito
male.
Il pozionista inspirò e finalmente si voltò,
andandosi a sedere sulla propria poltrona. <
Perdonami, Alistair. Perdonami per tutto il male che sto per farti
>.
“Sono
un Mezzosangue, Alistair.” Disse semplicemente, fissando il
legno della propria scrivania. “Figlio di Eileen Prince, nobile
Purosangue, e Tobias Piton, schifoso babbano con la repulsione per
tutto ciò che di magico esiste. Ed essendo tua nonna ed io dei
maghi, rientravamo in quella categoria tanto odiata.” Fece una
smorfia amara. “Mi sono sempre chiesto come abbia potuto
innamorarsi di lui, un essere che ci trattava male da mane a sera.
Per compensare tutto questo odio, per farmi abbandonare quella
schifosa casa di quel maledetto quartiere babbano in cui vivevamo,
mia madre mi diede tutto l’amore di cui era capace. Mi
raccontava di quanto contasse la nostra famiglia nel nostro
mondo, di quanto fosse bella Hogwarts e delle quattro Case,
Serpeverde la più prestigiosa.” Fece una pausa durante
la quale intrecciò le dita delle mani. “Poi arrivava
lui, ubriaco fradicio. < Sono
sciocchezze, quella è una scuola di matti. Tua madre è
una fallita, proprio come te e il resto dei vostri parenti. Siete un
branco di pazzi ed io lo sono ancor di più. Avrei dovuto
obbligarla ad abortire, così non avrebbe mai partorito un
abominio come te.
Sei
solo un povero stupido, se credi a tutte queste balle.
>” Si passò una mano tra i capelli e Alistair vide
perfettamente la sofferenza e l’odio deformare il suo volto.
“Era sempre così, sempre ubriaco. Sì, mio padre
era un alcolizzato, un fallito. Un Babbano
della peggior specie. Mi vergogno di essere suo figlio.”
Il
ragazzo lo osservò, incapace di dire qualsiasi cosa, ancora
troppo scioccato. Suo nonno era un babbano: ciò faceva di lui
un Mezzosangue, avvicinandolo ancora di più a
Hermione.
“Litigavano sempre, per qualsiasi cosa, bastava
anche una sciocchezza: come mi vestivo, la cena, i miei capelli, come
lei camminava, il suo modo di stirare. Poi lei si ammalò, ma i
litigi non diminuirono, anzi: aumentarono. Si amentava che era
diventata inutile, non faceva nulla, che era una zavorra.”
Ringhiò, rivedendo davanti a sé il viso dell’uomo
che purtroppo era suo padre. “Fu in quel periodo che conobbi
Lily. Tua madre.” Immediatamente si rilassò, ripensando
alla prima volta che l’aveva vista tanti anni prima. Era
rimasto nascosto tra i cespugli a osservarla giocare insieme a
Petunia, fare le sue prime magie senza neanche saperlo. Rimase
incantato: era semplicemente bellissima. Quel giorno si innamorò
di lei e non smise mai di amarla: il suo amore cresceva giorno per
giorno. Tanto soffriva, tanto l’amava.
“Ehy, no, pa’,
aspetta un attimo.” Sollevò le mani, facendogli segno di
fermarsi, poi lo guardò strizzando gli occhi. “Che
cavolo ci faceva una Purosangue in un quartiere Babbano?”
Severus
rimase in silenzio, incapace di proseguire. Gli sembrava di avere
sassi nello stomaco, si sentiva un peso all’altezza del
diaframma che quasi gli impediva di respirare. Non voleva proseguire,
non voleva che lo scoprisse: perché non poteva rimanere
nell’ignoranza? Perché non potevano scappare lontano? Da
Potter, dal Signore Oscuro che lo voleva al suo servizio, da Silente,
da se stesso.
“Papà? Che cosa ci faceva mamma in quel
quartiere?” Domandò nuovamente Alistair.
L’uomo
lo guardò negli occhi, ma non riuscì a resistere e
abbassò il capo, fissando un punto imprecisato della
scrivania.
Strizzò gli occhi e lo osservò
attentamente.
“Aspetta un momento…” Iniziò.
Per qualche assurdo motivo gli venne in mente il giorno in cui chiese
a suo padre chi avesse scelto il suo nome. < “Tua
madre voleva un nome importante per suo figlio. Inizialmente pensava
a Richard, ma poi disse che era un nome troppo comune. Pensò
anche a Robin, eroe di una delle sue favole preferite da bambina, poi
lesse Alistair ed andò subito a cercarne il significato. Sai
qual è il significato del tuo nome? Ha origini greche e
significa “difensore degli uomini”. Diceva che era un
nome perfetto, era sicura che avresti fatto qualcosa di grande, che
saresti diventato importante.”
“Prima, hai detto una
cosa.”
“Ho detto tante cose, Alistair.”
“Hai
detto che mamma mi voleva chiamare Robin, come l’eroe di una
delle sue favole preferite, giusto? Però quando ero piccolo
non mi hai mai raccontato di storie con protagonista un certo Robin e
quelle che mi hai raccontato sono le tipiche storie di noi maghi.
Quindi, questo Robin è protagonista di racconti Babbani,
giusto?” >
Quel
giorno suo padre non rispose, aveva glissato l’argomento e
detto che non aveva origini Babbane, ma da quanto stava dicendo in
quel momento le aveva. Allora cosa ci faceva una ragazzina Purosangue
in un quartiere pieno zeppo di Babbani? Si massaggiò le
tempie. < Pensò
anche a Robin, eroe di una delle sue favole preferite da bambina >.
Nel
mondo magico, non esisteva alcuna fiaba con protagonista un uomo
chiamato Robin, nessuna:
se ne sarebbe ricordato, non dimenticava mai nulla.
“Papà?”
Lo chiamò nuovamente. “Mamma…” Fece una
pausa, un unico pensiero che lo ossessionava. “Mamma era una
Nata Babbana, vero?” Concluse in un soffio.
L’uomo si
prese il viso con una mano, chiuse gli occhi e fece un respiro
profondo: suo figlio era intelligente, troppo.
Non sapeva se essere felice o turbato dal fatto che ci fosse arrivato
da solo. Guardando il lato positivo, gli aveva evitato di pronunciare
le fatidiche parole. Il lato negativo era che sarebbe giunto alla
giusta conclusione troppo presto. Strinse la mano a pugno e annuì
impercettibilmente.
Alistair lo guardò stupito, ma piano
piano la consapevolezza prese il sopravvento sullo stupore e il suo
viso venne illuminato da un sorriso radioso.
“Lo sapevo!”
Esclamò trionfante scattando in piedi. “Lo sapevo, lo
sapevo.” Iniziò a camminare avanti e indietro,
passandosi la mano tra i capelli, sorridendo felice. “Aspetta
che lo dica a Hermione.”
“Alistair, per favore.”
Sussurrò.
“Me lo sentivo, non chiedermi perché.”
Iniziò a gesticolare.
“Alistair, per favore siediti.”
Ripeté un po’ più forte.
“Questo mi
rende come lei.” Il suo sorriso divenne ancora più
largo, se possibile. “Hermione e Alistair, la Serpe e la
Leonessa, Mezzosangue entrambi, innamorati l’uno
dell’altra.”
“ALISTAIR!” Lo chiamò
spalancando gli occhi, respirando quasi a fatica. “Ti prego,
siediti.”
Il ragazzo lo guardò qualche istante,
rabbuiandosi, poi si sedette, senza guardarlo. Doveva esserci
qualcos’altro, per forza. Per quale motivo avrebbe reagito in
quel modo, sennò?
“Che altro devi dirmi, papà?”
Domandò con un filo di voce.
Il Pozionista sorrise
tristemente.
“Sei intelligente, Ali: molto, forse troppo. Ma
è una cosa di cui sono orgoglioso, sai? Perché so che
non commetterai i miei errori.” Fece una piccola pausa durante
la quale lo guardò. “Soprattutto, ogni tuo successo è
anche mio.”
“Che cosa stai dicendo?” Chiese
confuso, sentendo un peso nello stomaco. Solo una volta suo padre
l’aveva chiamato Ali: quando doveva essere operato.
“Tu
non ami le Arti Oscure come le amo io, hai la repulsione per loro: ti
piacciono Storia della Magia, Antiche Rune e Aritmanzia. Non farai i
miei stessi errori.” Abbassò il viso e fece una lunga
pausa. “Il mio amore per la Magia Oscura unito al mio disprezzo
per i babbani, ai miei occhi tutti come mio padre, ci portava a
discutere. Inizialmente mi trattenevo, ma la situazione mi sfuggì
di mano. Nonostante tua madre fosse una Nata Babbana e continuasse a
parlarmi della sua famiglia, dei Babbani così diversi da lui,
nella mia testa erano tutti uguali a quell’essere che mi aveva
generato: arroganti, odiosi, vili, schifosi, immeritevoli di vivere.”
Serrò la mascella. Come aveva potuto essere così
stupido? Scosse il capo e continuò a parlare. “Ci
fidanzammo verso la fine del quinto anno e non appena finimmo
Hogwarts andammo a vivere insieme, a Spinner’s End, dove
viviamo ora. Mia madre era morta e mio padre se ne andò
lasciandoci la casa, fonte di ricordi che lo ossessionavano e gli
ricordavano che razza di figlio avesse. Sei nato in quella casa.”
Sorrise, ricordando il terrore e il senso d’impotenza provati
dal diciottenne che era. “Sei nato settimino, ti aspettavamo
più tardi. E invece, quel 31 ottobre 1978, nascesti. Eri così
piccolo che quando il medimago ti mise tra le mie mani ebbi paura di
romperti. Avevi tantissimi capelli neri, come i miei, ma la prima
cosa che subito notai furono i tuoi occhi: verdi come i suoi, Ali.
Verdi.”
Una singola lacrima scese lungo la sua guancia. “Capisci, Ali?
Le possibilità che ereditassi il suo colore erano bassissime e
invece no! Hai i suoi occhi. Ogni volta che ti guardo io la vedo: le
somigli più di quanto tu possa anche solo immaginare. E non
hai idea di quanto la cosa mi uccida, figlio mio. Non ne hai
un’idea.”
Il ragazzo abbassò lo sguardo.
“E’…è
morta quando sei diventato Mangiamorte?” Domandò
sussurrando, temendo il peggio, stringendo i propri pantaloni. Gli
era sempre stato detto che era venuta a mancare per una malattia, ma
aveva una brutta sensazione. Date le premesse, non si sarebbe stupito
se fossero stati quei pazzi al servizio del Signore Oscuro ad
ucciderla. Sì, doveva essere così. Solo la morte di sua
madre avrebbe potuto far capire a suo padre quanto fosse pazzo ad
odiare i Babbani e spingerlo a mettersi al servizio di Silente.
“No.”
Rispose il pozionista fissando un punto imprecisato della
scrivania.
“Allora è morta per il cancro?”
Chiese tirando un sospiro di sollievo.
Severus si prese il viso
con una mano e chiuse gli occhi. In un lampo fu di nuovo nello studio
di Silente, quattordici anni prima.
<
Era chino in avanti su una sedia e Silente, in piedi accanto a lui,
lo guardava cupo.
“Credevo…che
lei…l’avrebbe…protetta.”
“Lei e
James hanno riposto la loro fiducia nella persona sbagliata >
osservò all’epoca Silente < Più o meno come
te, Severus. Non speravi che Lord Voldemort la
risparmiasse?”.
Respirava appena.
“Suo figlio è
sopravvissuto.” Aggiunse Silente. “Suo figlio è
vivo. Ha i suoi occhi, esattamente i suoi occhi. Ricordi la forma e
il colore degli occhi di Lily Evans, non è vero? Sono gli
stessi di tuo figlio, o mi sbaglio?”
“No!” Urlò.
“Perduta…morta…”
“E’
rimorso, Severus?”
“Vorrei…vorrei essere morto
io…”
“E a che cosa sarebbe servito, e a chi?”
Ribatté Silente, gelido. “Se amavi Lily Evans, se
davvero l’amavi, allora la tua strada è tracciata.”
>
Fece
un gesto brusco col capo per scacciare i ricordi, annaspando,
provando con la stessa intensità di allora il desiderio di
morire.
“L’ho uccisa io.” Sussurrò.
“Stai
scherzando.” Disse il ragazzo dopo qualche istante. “Non…no,
stai scherzando. Non può essere vero.”
Severus
sollevò lo sguardò e lo fissò negli occhi verdi
del figlio: < Ricordi
la forma e il colore degli occhi di Lily Evans, non è vero?
Sono gli stessi di tuo figlio, o mi sbaglio? >.
Sì, la stessa forma, lo stesso identico colore, lo stesso
fuoco che vi bruciava. Occhi che ora lo guardavano
sbigottito.
“Diventai un Mangiamorte e lei mi lasciò.”
Riuscì a dire, vedendo lo stupore impossessarsi di suo figlio.
“E voleva portarti via con sé, ma glielo impedii.”
Concluse a fatica.
Nell’ufficio calò il silenzio.
All’improvviso, i suoni erano spariti, la luce era debole e
faceva freddo, un freddo che si era impossessato del corpo di
Alistair. Lentamente, la consapevolezza esplose in lui, portando
rabbia. Sua madre non era morta quando aveva pochi mesi, aveva
lasciato suo padre perché era diventato Mangiamorte. E
l’avrebbe portato via con sé, se non glielo avesse
impedito.
“E’ viva? E’ VIVA E TU NON MI HAI MAI
DETTO NULLA?” Urlò scattando in piedi, mettendo le mani
sulla scrivania. “Mi hai mentito per tutti questi anni!”
Continuò. “Mi hai negato la possibilità di avere
una madre!”
“Alistair, siediti.
Per favore.”
Lo pregò Severus, il cuore che batteva dolorosamente.
Il
ragazzo strinse la presa sulla scrivania, guardandolo. Ciò che
vide, lo lasciò senza parole. All’improvviso, sembrava
più vecchio di cent’anni: aveva rughe marcate, il viso
era deformato dal dolore e si teneva una mano al petto, come se
volesse strapparsi il cuore. Fece un respiro profondo e finalmente
obbedì, lasciandosi cadere nuovamente sulla sedia.
“Adesso
starai seduto e calmo finché non smetterò di parlare.”
Disse schiarendosi la voce, cercando di ricomporsi, tornando al tono
da professore. “Ti chiedo di farmi parlare, poi potrai fare ciò
che vuoi, non mi importa. Ma lasciami parlare perché se mi
dovessi interrompere non sono sicuro di riuscire a terminare il
discorso. Va bene?”
Alistair annuì.
“Ottimo.”
Annuì a sua volta e fece un respiro profondo. Non voleva
dirglielo, non era pronto: ma lo sarebbe mai stato? < No
> si rispose. “Non ci sentimmo né vedemmo per un
anno. Lei se n’era andata ed io, troppo orgoglioso e stupido,
non la cercai. Quando compisti un anno, finalmente mi decisi. Le
mandai un gufo e ci vedemmo. Ti portai con me con la speranza che
rivedendoti mi perdonasse e tornasse da
noi.
Però era successa una cosa a cui non avevo minimante pensato:
si era sposata. Ed era rimasta incinta.”
Alistair fece per
dire qualcosa ma prima che potesse farlo, Severus riprese a
parlare.
“Si era sposata, si stava costruendo una nuova
famiglia: ci aveva dimenticato. Ma non riuscivo a dimenticarla, così
mi buttai anima e corpo nella mia attività di fedele
Mangiamorte. Fu così che un giorno, alla Testa di Porco, la
sentii.” Si passò una mano sul viso. “Sentii la
Profezia, anche se non completa, poiché venni individuato
immediatamente e Silente mi sbatté fuori senza troppi
complimenti. Gongolante, corsi dal mio
Signore…” Fece una faccia disgustata nel pronunciare la
parola < mio >. “…e gli riferii ciò che
avevo udito, ciò che sapevo.” Strinse i pugni e si
costrinse a proseguire. “Quando scoprii a chi si riferiva, mi
sentii morire. Desideravo morire, ma non potevo, perché dovevo
salvarla. Per questo motivo chiesi aiuto a Silente.”
“Aspetta
un…” Iniziò Alistair, strizzando gli occhi.
“Non
gli chiesi del semplice aiuto, lo pregai.” Continuò
ignorando il figlio, notando il lampo di consapevolezza nei suoi
occhi: stava capendo, stava giungendo alla giusta conclusione.
“Sapevo benissimo che non era lei l’obiettivo, ma avrebbe
fatto di tutto per impedirgli di raggiungerlo, persino sacrificare la
propria vita. E non volevo che succedesse.” Deglutì a
fatica. “Ma non ci riuscii poiché vennero traditi. Li
trovò. Prima uccise lui,
poi…” Non riuscì a terminare la frase. “Infine
andò dal bambino.” Fece un respiro profondo e lo guardò
negli occhi. “E’ l’unico a essersi salvato.”
Il suo cuore sembrò fermarsi. “Per questo lo chiamano il
Bambino che è Sopravvissuto.”
Alistair si abbandonò
sulla sedia, chiuse gli occhi e si prese il volto con una mano. Sua
madre non era morta per un tumore incurabile, era stata uccisa dal
Signore Oscuro. Non era una Purosangue, era una Nata Babbana. Aveva
lasciato suo padre quando questi era diventato Mangiamorte, si era
risposata e aveva avuto un altro figlio. Ed era morta per
proteggerlo. <
E’ l’unico a essersi salvato. Per questo lo chiamano il
Bambino che è Sopravvissuto.
>. L’unico a essersi salvato. E in tutto il mondo magico
esisteva un unico Bambino Sopravvissuto.
“Tu…”
Iniziò, ma non riuscì a proseguire, così si
schiarì la gola. “Tu mi stai…stai cercando di
dirmi che mamma è…” Fece un respiro profondo,
sperando si trattasse solo di un brutto incubo. “Mi stai
dicendo che mia mamma è la madre di Harry Potter?”
Severus
fece un respiro profondo e annuì.
“Sì,
Alistair. Tua madre è Lily Evans. Moglie di James Potter.”
Non riuscì a non pronunciare quel nome senza provare una fitta
d’odio. “Madre di Harry James Potter, il Bambino che è
Sopravvissuto.”
Alistair abbassò il capo e chiuse gli
occhi. Sua mamma era Lily Evans, madre di Harry Potter: erano
fratelli. Era un Nato Babbano, un Sangue Sporco, come diceva Eric.
Per tutta la sua vita gli aveva fatto credere di essere Purosangue,
di essere l’ultimo erede di una nobile e antica famiglia di
maghi. Non gli aveva mai dato tanta importanza come in quel momento
in cui si era rivelato essere tutto una bugia. La sua vita lo era.
Lui
era una bugia.
Inspirò profondamente ed iniziò a
massaggiarsi il collo, cercando di mantenere il controllo. Tutto
riconduceva a suo padre, la colpa di tutto era sua: se sua mamma
l’aveva lasciato, se non era andato via con lei, se era morta,
se non l’aveva conosciuta, se non sapeva niente. Tutto, ogni
cosa, era successa a causa sua. Sentì la rabbia scorrergli
nelle vene, impossessarsi di lui e renderlo furioso.
“E’
colpa tua! E’ tutta colpa tua!” Urlò scattando in
piedi. “Se lei è morta è colpa tua!” Chiuse
gli occhi, sentendo le lacrime scivolare lungo le sue guance. “Solo
colpa tua!” Afferrò l’abat-jour dalla scrivania e
la buttò a terra, mandandola in frantumi, scoprendo che la
cosa lo faceva star meglio.
Severus non disse niente: d’altronde
suo figlio aveva ragione.
“Sfogati pure Alistair, non te lo
impedirò.”
“Sfogati
pure Alistair?
SFOGATI
PURE?”
Gridò. “E’ tutto quello che hai da dire?”
Prese tutto ciò che si trovava sulla scrivania e lo lanciò
contro la parete, sperando di colpire anche i barattoli pieni di
esseri sulle mensole. “Mi menti per tutta la vita e riesci
soltanto a dirmi di sfogarmi?” Strinse i pugni. “Sai che
ti dico? Ti odio. T-I-O-D-I-O!” Scandì ogni singola
lettera. “Sei tu quello che doveva morire, non lei!”
L’uomo chiuse gli occhi e fece un respiro profondo,
tenendosi il viso con una mano.
“Perché? Perché
l’hai fatto?” Domandò singhiozzando disperato.
“Perché mi hai mentito? Eri il mio eroe.”
“Ho
dovuto, Alistair.” Rispose con tono distaccato. Avrebbe dato
qualunque cosa per poter tornare indietro e dirgli immediatamente la
verità, ma non poteva. Cos’era rimasto, ormai di lui?
Niente. Il suo cuore ormai era a pezzi, come se fosse stato colpito
da mille Cruciatus in un’unica volta. No, non era vero:
avrebbero fatto meno male, perché sarebbe stato dolore fisico
che sarebbe passato. Quel dolore invece, quello provocato dall’aver
deluso suo figlio, non l'avrebbe mai abbandonato, gli avrebbe fatto
compagnia fino alla fine dei suoi giorni.
“Ho eseguito gli
ordini di Silente” Riprese dopo qualche istante. “Non
potevo dirti niente, dovevo mentire. <
Il Signore Oscuro tornerà e Harry Potter sarà in enorme
pericolo
> disse: ricordo ancora le sue esatte parole.” Fece una
smorfia amara. “Non potevo dirti chi eri, Alistair: non potevo
per te, per la tua sicurezza, per Potter, per non essere scoperto.
Silente aveva bisogno di una spia. Chi meglio di un Mangiamorte, per
di più abile in Occlumenzia, poteva farlo? Fu così che
divenni i suoi occhi e le sue orecchie. Solo io potevo farlo.”
Concluse gelidamente.
Nell’ufficio tornò a regnare
sovrano il silenzio.
“Perché mi stai dicendo tutto
questo?” Chiese il giovane con gli occhi rossi e la voce rotta,
passandosi entrambe le mani tra i capelli. “Non potevi
lasciarmi nella beata ignoranza?”
“No, non è
più possibile.” Essere freddo gli risultava più
facile. Era meno umano,
non sarebbe crollato davanti a lui o almeno, non del tutto: bastava
già lui in difficoltà. Era suo padre, era l’adulto:
doveva essere forte per entrambi, per lo meno tentarci.
“Ma
per…” S’interruppe e chiuse gli occhi, capendo.
“No, ti prego, non dirmelo.” Scosse il capo, piangendo.
“Dimmi che non è vero.”
“Il Signore
Oscuro ha espresso il desiderio di incontrarti.” Disse, celando
tutto il suo dolore. Un ottimo Occlumante, ecco cos’era: in
grado di nascondere le emozioni, di azzittire la prpria sofferenza e
fingersi chi non era.
“No!” Esclamò Alistair
tenendosi il capo. “No. Dimmi che stai scherzando, che è
tutto un incubo, ti prego.”
“No, purtroppo è
realtà.” < E
a volte è anche più brutta dei tuoi peggiori incubi,
figlio mio.
>
“No, basta, non voglio sentire altro.” Il ragazzo
scosse il capo, distrutto, e mostrò i palmi delle mani. “Non
mi interessa.”
Iniziò ad arretrare, fino a quando
raggiunse la porta. La aprì e uscì di corsa.
Severus
sbatté le palpebre molto lentamente. I passi di suo figlio si
allontanavano, rimbombando per tutti i sotterranei, o forse era
l’unico che li sentisse così perché quella, lo
sapeva bene, era la corsa disperata di un ragazzo che stava per
perdere ogni cosa. Sbatté nuovamente le palpebre e la porta si
chiuse, isolandolo dal resto del castello, lasciandolo solo. Chiuse
gli occhi e si prese il viso tra le mani. Come l’ondata di una
mareggia, il dolore lo travolse. Il suo corpo fu scosso da tremiti e
dalla sua bocca uscì un urlo straziante, come quello di un
animale ferito. Come tanti anni prima, desiderava morire. No, lo
desiderava più di allora perché ora stava condannando a
morte suo figlio. Loro
figlio, frutto del loro amore. Alistair era la cosa migliore che
avesse mai fatto, il suo successo più grande. Ed era costretto
a rimetterci per i suoi stupidi errori. No, Alistair non se lo
meritava. Si meritava la felicità, l’amore, la vita.
Si odiava e ancor di più odiava Silente che lo aveva
intrappolato così come una mosca restava intrappolata
nell’abile ragnatela tessuta da un ragno.
Sentì la
porta aprirsi, ma non si azzardò a sollevare il viso. Poteva
essere solo una persona: l’unica che non voleva vedere in quel
momento.
“Che cosa vuoi?” Domandò con un
ringhio, ricomponendosi.
“A giudicare dalle condizioni del
tuo ufficio direi che Alistair ha scoperto la verità e hai
lasciato che si sfogasse. O forse mi sbaglio?” Ribatté
Albus Silente con una nota di dispiacere nella voce.
“Che
acume, Albus.” Commentò acidamente.
“Mi
dispiace, Severus. Lo sai che mi dispiace.” Sospirò
l’anziano. “Ora dov’è?”
“Sarà
tornato nel suo dormitorio.” Si passò una mano sugli
occhi.
“E che cos’ha detto il nostro ragazzo?”
“Nostro?” Sibilò. “E’ mio figlio,
non tuo. Tu non hai nulla a che vedere con lui, stai solo gestendo la
sua vita come se fosse una marionetta.”
“Che cos’ha
detto?” Chiese nuovamente, ignorandolo.
“Niente, cosa
vuoi che dicesse?” Fece schioccare la lingua. “Sa solo
che il Signore Oscuro vuole incontrarlo, ma non è stupido e ci
metterà poco a capire perché
lo vuole conoscere. O forse già lo sa, cosa molto probabile,
ma non vuole ammetterlo.”
“Severus, sai quanto sia
fondamentale che capisca l’importanza del suo ruolo. Non
possiamo permetterci nessuno sbaglio. Volente o nolente, Alistair
deve
accettare
questo incarico.”
Il pozionista contrasse la mascella,
annuendo.
“Mi dispiace.” Ribadì Silente dopo
qualche minuto di silenzio.
Sorrise amaramente.
“Lo so.”