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Autore: Mattia Zadra    08/01/2011    1 recensioni
Alcuni capitoli tratti dal mio romanzo, "Vedere", edito dalla Cicorivolta Edizioni.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi qua un anno dopo.
 Me ne sto ai piedi del letto a fissare il viso angelico del mio unico amore, per nulla deturpato dal passare degli anni.
Cathline dorme. Cathline non si sveglia.
Cathline è in coma.
Arriva l’infermiera, quella anziana, che da tempo sostiene di dover andare in pensione. E invece eccola ancora qui.
“Come andiamo?” mi domanda, senza badare alla mia risposta.
“Al solito. Lei come sta? Ci sono miglioramenti?”.
Ovviamente mi riferisco alla mia fidanzata.
Anche se stento ad ammetterlo, ormai ho quasi smesso di sperarci.
Ormai la vivo più come una domanda di routine.
“Al solito pure lei. Nessun segnale di ripresa.”
Dietro una tendina grigia si sente la voce di una donna che legge una favola ad un bambino. O forse a una bambina? Non lo so, a dire il vero non ho mai guardato oltre quel sottile telo di stoffa. Ma non importa.
Manca poco alla fine dell’orario delle visite, e quel poco tempo che resta voglio dedicarlo alla mia amata.
Come se mi avesse letto nel pensiero ecco che arriva quell’anatrata starnazzante in camice bianco a segnalare che restano ancora 5 minuti e che poi avremmo dovuto andar via.
Per tutti questi istanti preziosi guardo il viso della mia Cath, le sopracciglia arcuate, le palpebre abbassate, le labbra carnose di un color rosa scuro, che danno l’impressione di aver ancora molti baci da ricevere e donare. E Dio solo sa quanti ne riceverebbe dal sottoscritto qualora dovesse un giorno aprire gli occhi.
I capelli castani scendono fluenti fin poco sotto le spalle.
Il resto del corpo è nascosto dal lenzuolo e solo le braccia escono dalla coperta. Le prendo una mano. La stringo e cerco di trasmetterle tutto il mio amore per lei in quel casto contatto che ormai è ricco di significati.
A lato, sul comodino, c’è un vaso con all’interno una dozzina di rose.
Una è più rossa delle altre. Si capisce subito che è quella di oggi.
Ogni giorno da quando lei è qui io le porto una rosa.
Tante volte si è riempito quel vaso, e altrettante volte l’ho dovuto svuotare.
Chiudo gli occhi, e dopo pochi secondi torna la vecchia a rompere le palle come suo solito.
Lascio la mano vellutata della mia bella addormentata.
Le stampo un bacio sulle labbra.
Un ultimo sguardo al suo viso, che non rivedrò fino a domani se non nei miei sogni.
La guardo e mi sforzo di vederla.
Ma non mi riesce.
 Non più.
Esco dalla stanza e come al solito la civetta afflitta dalla frustrazione per la totale mancanza d’amore nella sua vita mi lancia un’occhiataccia, come se invece che aver baciato la mia ragazza avessi molestato un bambino.
Ma ormai non mi importa più nulla di quello che pensa lei.
Non mi importa più del pensiero di nessuno.
Scendo in strada con ancora nelle narici il profumo dei capelli di colei che nella sua non-vita è la mia unica ragione di vivere.
È incredibile lo stacco dalla realtà che provo ogni volta che esco dall’ospedale.
In un certo senso è come se dentro a quelle mura vivessi i miei unici 5 minuti di vita reale della giornata.
Sarà per la persona che ho là dentro, o per suggestione, non ne ho idea.
Mi incammino verso casa, ma ci sarà una tappa prima.
Oggi è mercoledì, ed il mercoledì vuol dire bevuta con Mark.
Guardo il semaforo. È rosso.
Sbatto le palpebre.
Guardo il semaforo. È verde.
  
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