Salve ragazze,
sono molto stata molto felice di vedere che il capitolo
scorso è stato “apprezzato”. Mi ha fatto
davvero un enorme piacere perchè ero così
preoccupata!!!
Devo essere sincera? Mi aspettavo mails di protesta e gente
con la mannaia appostata sotto casa. e invece siete state tutte
carinissime nel lasciarmi quei commenti molto belli e di gran conforto!
Spero che la storia vi intrighi e che continuiate a seguirla
con interesse!
La trama è un po’ intricata e con risvolti
inquietanti ma
spero di renderla il più possibile realistica e chiara.
Comunque, per rispondere ad alcuni dubbi: Bella ha perso la
memoria con l’incidente ma sta cominciando a ricordare
qualcosa. Solo poche
immagini fugaci che però, pian piano, si fanno sempre
più precise e più
frequenti. Avendo smesso di prendere gli psicofarmaci, Bella
è inoltre molto
inquieta e questo contribuisce alla confusione che avverte dentro di
sé.
Non riesce a gestire i fatti che accadono intorno a sé e
ciò
che le succede. Il non reagire è determinato dal senso di
impotenza che prova
dopo ciò che Phil le ha fatto.
Per l’evolversi della
trama, vi chiedo di avere pazienza
ancora un attimo.
Dal prossimo cap la situazione si sbloccherà. Scusate se ci
ho messo tanto a postare ma sono capitoli molto complicati da elaborare
perché cerco
di non urtare sentimenti ed essere allo stesso tempo
“delicata” nello scrivere di
temi così sensibili.
Alas, ‘twas not ment to be
Maledizione, non era
così che doveva andare
Non avrei potuto parlarne con
nessuno.
Chi mi avrebbe creduto?
E poi, Reneé avrebbe sofferto troppo. Non volevo
caricarla di questo peso, adesso che aveva appena avuto il bimbo.
Non potevo però permettere a quel verme di restare con
mia madre.
Appena fosse passato un po’ di tempo, non appena mia
madre si fosse rimessa, le avrei detto almeno parte della
verità. Non potevo
permettere che lui le facesse del male…
Ma non potevo neanche tenermi tutto quel dolore dentro
di me. Mi sembrava di scoppiare, di impazzire, di morire.
Avrei voluto passarmi la soda caustica nei punti in
cui mi aveva toccata. Punti che mi parevano bruciare.
Afferrai il cellulare. Quattro chiamate senza
risposta.
Jason.
Non avevo minimamente intenzione di richiamarlo. Era
proprio l’ultima persona che avrei voluto sentire.
Gli mandai un sms dicendogli che Reneé aveva partorito
e che ero per questo occupata.
Basta.
Le mie dita tremavano.
Poi digitai l’unico numero che mi sentivo in grado di
comporre.
Quello di Edward.
Avevo bisogno di lui. Volevo che mi portasse via da
quell’inferno insopportabile. Volevo che venisse a salvarmi
dal baratro in cui
sapevo star annegando. Avevo bisogno di lui…
Con mano tremante, premetti il tasto verde
ed attesi.
Invano.
Il cellulare risultava spento o non raggiungibile.
Mi ricordai della nostra ultima telefonata. Della sua
voce preoccupata.
Delle sue parole…
“Bella,
io voglio
che tu mi faccia una promessa. Mi devi giurare che mi telefonerai. Se
succede
qualcosa, qualsiasi cosa, tu mi devi telefonare, mandare un
messaggio… ed io
verrò ad aiutarti. Me lo prometti? Se non trovi me, puoi
chiamare Carlisle,
Esme, chiunque di noi. E noi verremo ad aiutarti.”
Non potei frenare
le lacrime.
Non me la sentivo di parlare con Esme o
con Carlisle. con loro non avrei potuto confidarmi. Mi vergognavo
troppo di
quello che era successo. Non era di loro che avevo bisogno, in quel
momento.
Però, potevo mandare un messaggio ad
Edward, chiedergli di richiamarmi il prima possibile…
Se davvero ci teneva a me, mi avrebbe
aiutata.
Nella mia mente continuavo a ripetermi:
“Edward, Edward, vienimi a prendere. Ti prego… ti
prego.” Rannicchiata in un
angolo, dondolandomi avanti ed indietro tra le lacrime, tenevo il
cellulare tra
le dita. Volevo scrivergli ma non sapevo come dirgli ciò che
era successo.
Mi sentivo così male, così sbagliata.
Forse, se glielo avessi detto, avrebbe
deciso di non volermi più del tutto.
Potevo rischiare?
Dovevo.
“ Edward, scusa se ti disturbo. Ho bisogno
di parlarti. È molto urgente. Richiamami. Per favore,
è importante. ”
Rimasi a fissare il display per venti
minuti prima di decidermi ad inviarlo, poi, inghiottendo il groppo che
mi
sentivo in gola, premetti quel maledetto tasto.
Edward… Edward…
Phil battè con forza sulla porta della camera del
bambino. Mi ci ero chiusa dentro a chiave. Mi rannicchiai ancora di
più nel
piumone nel cui mi ero avvolta,
accovacciata per terra, come in un vano tentativo di nascondermi al
mondo
esterno.
Mi faceva
venire la nausea l’idea di tornare in camera mia.
Quando ero andata a vestirmi e a pulirla, vedendo il
letto, avevo rivissuto tutto quello che era successo. Non potevo
sopportarlo
ancora..
< Isabella, esci immediatamente di lì! Tua madre ci
aspetta all’ospedale. Muovi il tuo culo venduto e vieni.
>
Impotente, aprii la porta e me lo trovai davanti.
Tenevo gli occhi bassi, evitando di incrociare il suo
sguardo.
Mi diede una spinta tra le scapole e per poco non
caddi giù dalle scale.
Il tragitto in auto non fu
disturbato da parola
alcuna.
Muti, entrambi.
Solo nel parcheggio lui mi disse: < Per quanto riguarda
quello che è accaduto questa notte, non credo che tu voglia
che tutti sappiano
quanto ti è piaciuto, quindi vedi di non aprir bocca. Saluta
tua madre e poi
vieni in auto. Intesi? >
Annuii. In silenzio, scesi e mi avvicinai
all’ingresso. Seguii Phil lungo i corridoi fino alla sezione
di ostetricia e
ginecologia.
Le pareti dipinte di rosa avrebbero dovuto trasmettere
sicurezza. A me incutevano timore.
La stanza di mia madre era la quinta del corridoio B.
Phil entrò senza farsi problemi. Io invece indugiai sulla
porta.
Reneé stata seduta sul
letto e aveva occhi solo per il
bimbo che stringeva al petto.
Aveva gli occhi lucidi.
< Reneé… come ti senti tesoro? Sei
riuscita a
riposare un pochino questa mattina? >
Si chinò a baciarle la fronte e le sistemò i
capelli
dietro all’orecchio.
Provai disgusto. Avrei voluto urlargli quanto mi
faceva schifo ma non ce la feci.
Stavo per piangere.
Le lacrime avrebbero sciolto il trucco e tutti
avrebbero visto l’occhio nero, il labbro rotto…
Mi voltai e cominciai a correre.
Sentii mia madre chiamare il mio nome, preoccupata. La
sua voce svanì quando mi infilai nelle scale. Le scesi di
corsa e, ovviamente,
inciampai. Riuscii a mettere le mani avanti e salvai denti, faccia e
tutto il
resto. Sentivo solo pulsare il ginocchio. Non era nulla in confronto al
terribile dolore che stavo patendo.
Alzai lo sguardo e vidi che mi trovavo al piano terra.
Vagai per alcuni minuti senza sapere dove andare.
L’istinto mi diceva di fuggire. Di andare lontano. Tornare a
Forks. Andare da
Edward a Syracuse.
Ma lo avrei trovato disposto ad aiutarmi? Non ne ero
tanto sicura.
Non mi aveva richiamata, non mi aveva mandato nessun
messaggio. Non gli importava niente di me.
< Signorina, posso
aiutarla? > Era stata una
giovane infermiera a parlarmi. Mi guardava in modo strano. Sembrava
preoccupata. Dovevo avere un aspetto orribile.
< Ehm, dovrei andare a trovare mia madre, in
ostetricia. Ha appena avuto un bambino… temo di essermi
persa. >
Lei mi sorrise e mi accompagnò ad un ascensore.
< Devi salire al quinto piano e poi girare a
destra, fino a che non vedi il rosa. > mi disse con un sorriso.
La
ringraziai e premetti il 5. raggiunsi le orribili pareti rosa pastello
e mi
diressi lentamente al corridoio B.
Entrai in camera tenendo lo sguardo basso.
< Bella! > dissero all’unisono Reneé
e Phil. La
prima sollevata, il secondo profondamente irato.
< Bella, mi hai fatto preoccupare. Perché sei
scappata in quel modo? Non vuoi conoscere il tuo fratellino? >
< Vieni qui, piccola. > mi disse mia madre
facendomi spazio sul letto. Mi sedetti vicino a lei e mi lasciai
abbracciare. Sebbene
la sua presa fosse lieve e delicata, mi procurò dolore.
< Non preoccuparti, Bella. Tu sarai sempre la mia
piccola bambina. > e mi baciò sulla guancia.
Mi osservò attentamente e disse: < Tesoro, ti sei
truccata! > il suo tono era stupito.
< Oh… si beh… ecco… >
< Stai benissimo. È per Jason, vero? > mi
chiese
con un gran sorriso speranzoso dipinto in volto.
Come potevo deluderla? Come potevo dirle la verità nel
momento in cui teneva la ano a quel bastardo di Phil, con il loro
bambino
poggiato contro il suo seno?
< Beh, anche per te. era un’occasione importante.
Volevo essere carina. >
< Oh, tesoro… > mi accarezzò la
guancia. < Tu
sei così bella. E intelligente. Troverai qualcuno che ti ami
e sarai felice
anche tu come lo sono io adesso, con la nostra bellissima famiglia.
>
Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre mi
guardava e mi diceva quelle parole.
Phil le strinse la mano.
Forse non era colpa degli ormoni. Venni pervasa dal
panico.
< Mamma? Tutto bene? Perché piangi? >
Lei scosse la testa e distolse lo sguardo dal mio,
fissando il mio fratellino.
< Non è niente, piccola. Niente. non preoccuparti.
È colpa del parto. È stata dura.
Con te è stato più veloce. Non vedevi
l’ora di venire
al mondo.
C’è anche da dire che non ho più
diciannove anni… >
Sciolse la presa di Phil e, sempre cingendomi le
spalle con l’altro braccio, accarezzò il capo del
piccolo.
< I miei figli. Vi amo così tanto… >
< Oh, mamma… > le sussurrai baciandole la
guancia e trattenendomi dal piangere.
< Siete ciò che di più prezioso io abbia
al mondo.
>
Rimanemmo abbracciate per qualche minuto, in silenzio.
Quando ci separammo, Reneé sorrideva. Sembrava
così
felice.
Non potevo, non potevo dirle cosa era accaduto.
< Bella, forse è meglio se ora lasci tua madre
riposare. > la voce autoritaria di Phil ruppe il silenzio e mi
fece gelare.
Baciai mia madre sulle guance e accarezzai il mio
fratellino prima di lasciare la stanza.
Reneé mi saluto con un gran sorriso prima che Phil si
chinasse e la baciasse sulla bocca.
Ebbi un conato di vomito vedendolo. Vedendo cosa lui
avesse il coraggio di fare.
Mi diressi al parcheggio in silenzio ed entrai in auto
dove aspettai Phil a lungo. Sapevo che avrei dovuto scappare. Che avrei
dovuto
andarmene il più lontano possibile ma non ce la facevo. Ero
come incatenata,
avvinta a quell’inferno. Non riuscivo a fuggire.
Quando, circa un’ora
dopo, la portiera si aprì, io mi
ero quasi addormentata sul sedile posteriore, sebbene avessi fatto di
tutto per rimanere vigile. La notte precedente, dato ciò che
era successo, non ero riuscita a dormire. sentivo la stanchezza
pervadermi ma ero terrorizzata all'idea di dormire. avevo paura che
tutto succedesse di nuovo...
Phil non disse nulla. Non una parola per tutto il
tragitto.
Nel più completo silenzio parcheggiò e nel
più
completo silenzio io uscii dal veicolo dirigendomi a passo sostenuto in
casa. Una
volta dentro, corsi in camera mia. Mi chiusi dentro.
Osservai la stanza intorno a me.
Nulla lasciava pensare cosa fosse accaduto proprio lì
appena qualche ora prima.
Cercai di ignorare il bruciore che sentivo fra le
gambe e mi lasciai scivolare lungo il muro.
Piansi. Piansi a lungo fino a
farmi bruciare gli
occhi.
Il sole, che entrava dalla
finestra con l’angolazione
tipica del pomeriggio, mi
colpiva il
viso. Con la mano mi levai il trucco sciolto dal volto.
In silenzio mi diressi in bagno. Mi lavai, di nuovo. E
di nuovo fu inutile. Mi sentivo sporca e orribile. Una volta asciutta e
vestita, sgattaiolai al piano inferiore. Sentivo la televisione accesa
al piano
terra. Phil probabilmente non si era accorto che ero uscita dalla mia
camera.
Senza far rumore, entrai nel loro bagno privato. Cominciai a cercare.
Sospirai
quando vidi l’oggetto della mia ricerca. Una scatola di
pastiglie. Controllai
due volte per essere sicura di non prendere il medicinale sbagliato e
poi
assunsi la piccola pillola. Non volevo che ciò che era
successo la notte
precedente avesse delle ripercussioni per tutta la mia esistenza. Non
volevo
che ci fosse neanche la possibilità che restassi incinta di
Lui. Non avrei
potuto sopravvivere.
Con un sospiro, rimisi tutto al suo posto e lasciai il
bagno. A testa bassa, lasciai la stanza e, cercando di non fare alcun
rumore,
ritornai in camera mia. Controllai due volte di aver chiuso a chiave.
Una volta chiusami dentro, vidi
il telefonino
lampeggiare.
“Edward” pensai e corsi al piccolo apparecchio.
Le mie speranze svanirono non appena lessi il nome di
chi mi stava chiamando.
Era Alice.
Smise di vibrare. Non avevo risposto. Non ne avevo
avuto il coraggio. Notai che vi erano altre 9 chiamate senza risposta.
Mentre
piangevo non mi ero accorta che il mio cellulare stesse vibrando.
Stavo per riporlo nuovamente sul comodino quando
riprese a lampeggiare e vibrare.
Con un gesto automatico e, non so quanto, inconscio,
risposi.
Sentii la voce di Alice
all’altro capo del telefono e,
impaurita, stavo per chiuderle la conversazione ma la sua voce mi fece
desistere.
< Bella? Bella, ti prego, non riattaccare. >
< Alice? > La mia voce era roca. Si sentiva che
avevo pianto?
< Bella, per favore, non riattaccare. >
< Va bene, ok. >
Ci fu un attimo di silenzio e poi lei disse: <
Bella, senti… >
Sembrava mi volesse dire qualcosa ma, allo stesso
tempo, sembrava non ci riuscisse o non potesse.
< Ti ascolto. > la mia voce era quella di una
morta.
< Senti, io ed Esme stiamo pensando di venire a
trovare Reneé.
Ci ha detto che è nato il bambino… >
sembrava che
stesse cercando una scusa.
< Oh, sarebbe molto bello… se veniste.
Reneé
sarebbe molto felice di vedervi. Verreste solo voi?
< Sì. Edward e gli altri non possono lasciare la
scuola ma i miei corsi non sono ancora iniziati. Forse Carlisle riesce
a
prendere un paio di giorni di permesso, magari ci raggiunge…
> Di punto in
bianco mi chiese: < Bella, come stai? Perché prima
stavi piangendo? >
< Non stavo… come fai a saperlo? >
Sulla difensiva, lei mi rispose: < si sentiva.
Dalla voce. Come stai? Tutto bene? > Era preoccupata.
Di sicuro non poteva neanche immaginare cosa stesse
succedendo nella mia vita. Né era mia intenzione renderla
partecipe. Nessuno
doveva e poteva saperlo.
< E allora perché piangevi? >
< Perché… perché…
sai, è nato il bambino. Sono
emozionata. È tutto così strano. Però
va tutto bene. Davvero. >
Lei non mi sembrava affatto tranquilla ma, per
fortuna, non volle approfondire ulteriormente il discorso.
Non so perché lo feci però, senza preavviso, le
dissi:
< Ho chiamato Edward, gli anche mandato un messaggio. Lui non mi
ha
risposto. Avevo bisogno di parlargli ma non si è neanche
degnato di rispondere.
È stato lui a dirmi che ci sarebbe stato, se avessi avuto
bisogno di lui. È un
bugiardo. Io avevo bisogno di lui e lui non c’era. >
Lei tacque per un istante e poi, con voce incerta mi
disse: < Ci sono io. E c’è anche Esme,
Carlisle. Potevi chiamare noi… > Sembrava
affranta.
< Io non avevo bisogno di voi. Avevo bisogno di
lui. > ribattei con voce tagliente. Più aspra di
quanto non avrei voluto. Mi
affrettai ad aggiungere: < Scusami. Non volevo essere scortese.
>
< No… no. Non preoccuparti. Senti, il nostro parte
domani sera. Noi arriveremo dopodomani, di mattina. Su tutti i voli
precedenti
non c’erano più posti liberi.
Reneé ha insistito per ospitarci a casa tua. Ha detto
che Esme e Carlisle possono dormire nella stanza degli ospiti ma io
dovrei
dormire in camera con te. È un problema? Se vuoi, possiamo
prendere una stanza
in albergo… >
< Ma no, non c’è alcun problema. Possiamo
usare la
poltrona letto. >
Mi sembrò molto sollevata dalla mia risposta e il tono
della conversazione si fece più leggero.
< Allora ci vediamo dopodomani mattina. Veniamo
direttamente a casa tua. >
< Non volete che vi passi a prendere Phil?avrete i
bagagli… > domandai incerta. Non volevo assolutamente
coinvolgerlo ma volevo
che tutto sembrasse normale. Una normale famiglia.
La sua risposta, fin troppo tempestiva, mi fece per un
attimo pensare che lei sapesse o sospettasse qualcosa. < No, No.
Non
preoccuparti. Non vogliamo disturbare più del necessario.
Noleggeremo un’auto.
Allora, ci vediamo domani mattina. >
< Va bene. A presto, allora. > e la telefonata
si concluse in quel modo.
Rimasi a guardare il telefonino
nella mia mano per
qualche minuto prima di decidermi a scendere le scale e andare a
parlarne con
Phil.
Lo trovai in salotto, sprofondato nella poltrona.
Appena mi vide appoggiò la lattina di birra per terra e si
mise seduto meglio.
Mi fece segno di sedermi sulle sue ginocchia.
Lo guardai sprezzante. < Penso che Reneé ti abbia
detto che alcuni dei Cullen verranno a farci visita dopodomani. I
signori
Cullen dormiranno nella camera degli ospiti e Alice starà in
camera mia. >
Si era alzato in piedi e si era messo davanti a me. Mi
squadrava minaccioso.
< Te lo dico a puro titolo informativo. Sai, non
vorrei che ti venisse qualche strana idea in mente e ti presentassi in
camera
nel cuore della notte. Alice potrebbe non gradire i tuoi modi. Se la
toccassi anche
solo con un dito, sono certa che ti denuncerebbe. Chissà che
non lo faccia
anche io. >
Un secondo dopo sentii la sua mano colpire il mio
viso. Mi fece cadere a terra, contro il divano. Restai immobile.
< Non permetterti di parlarmi in questo modo. Non
azzardarti a dire
nulla a chicchessia
altrimenti la prossima volta ti troverai qualcosa di peggio che un
labbro
rotto. > mi sibilò lui.
Mi afferrò il polso sinistro con forza. Tanto da farmi
male. Mi strattonò violentemente, ordinandomi di dire che
avevo capito. Mi
impediva di ripararmi il volto e temevo mi colpisse di nuovo. Per
questo gli
risposi di sì, che avevo capito e che avrei obbedito.
Soddisfatto, mi lasciò
andare il polso dolorante, tornando a sedersi alla sua poltrona.
In silenzio, ingoiando le
lacrime, mi rimisi in piedi
e, ondeggiando, tornai in camera. Mi ci chiusi dentro e, raggomitolata
tra le
coperte, mi addormentai piangendo.
Non ero riuscita a tenergli testa. Ero troppo debole
per contrastarlo.
< Edward! Edward! > sussurrai tra le lacrime
mentre cercavo di non pensare ai crampi della fame e al terribile senso
di
sporco che mi attanagliava, al bruciore che sentivo…
Edward… Edward…
Nonostante lo odiassi per avermi abbandonata, non
potevo fare a meno che pensare a lui. Era lui l’unico che
volessi vicino in
quel momento così doloroso. L’unico di cui mi
potessi fidare.
La testa mi pulsava, mi doleva
tutto il corpo. Non
dormivo da più di ventiquattro ore e, nonostante il terrore
che provavo
all’idea di chiudere gli occhi, non riuscivo più a
sopportare l’orrore della
consapevolezza. Inoltre, sentivo il bisogno fisico di dormire.
Immaginai di
coricarmi vicino ad Edward, di abbracciarlo, di sentire le sue braccia
intorno
al mio corpo.
E fu pensando a lui che mi
addormentai, stremata e
sconvolta.