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Autore: controcorrente    08/01/2011    4 recensioni
Serie nella quale alcuni personaggi del manga parlano della loro esperienza della maternità. E'un'esperimento, dato che alcuni dei personaggi sono solo accennati nella storia. Buona lettura!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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 Buona sera a tutti, cari lettori! Questo è l’ultimo capitolo della raccolta…aspetta un momento: ultimo? Sissignori. Questo è il capitolo conclusivo della raccolta “Maternalia”. Vorrei intanto ringraziare tutti coloro che hanno letto, le anime pie che hanno commentato, e quelle gentilissime persone che hanno ritenuto la mia prova degna di essere messa tra le storie da ricordare e tra le preferite. Cribbio non pensavo di avere tanto seguito!
Dunque passando alle altre storie che sto scrivendo, vorrei fare pubblicità a uno dei racconti storici che ho scritto. S’intitola “Le ceneri del focolare di Vesta”. Non mi sembra una vera e propria schifezza e se vi piace la storia, fateci pure un salto. Per le long-fic che sto scrivendo vi prego di avere pazienza se non aggiornerò con regolarità.
Adesso però vi lascio al prossimo e ultimo racconto.
Buona lettura!
 
                                                                                                        CHIMERA [?]
 
Quella mattina la villa del generale De Jarjayes era in pieno fermento. In ogni angolo della residenza risuonavano i rumori di mobili spostati, stoviglie pulite e messe a lucido, tappeti sbattuti vigorosamente alle finestre che creavano vere e proprie nuvole di polvere.
I servitori andavano avanti e indietro, portando vasi, casse, stoviglie e tappeti. I loro movimenti erano sempre più frenetici, al punto che non di rado capitava che si urtassero durante queste operazioni tra loro, rischiando di cadere a terra e  di portare al suolo gli oggetti che portavano in mano. I loro spostamenti erano rapidi, frettolosi e inarrestabili. La furia con cui si muovevano era tale da far passare in secondo piano qualsiasi cosa. Se qualcuno si fosse frapposto tra loro ed il tragitto che stavano percorrendo, sarebbe stato inevitabilmente travolto, come un viandante da una valanga.
Su questi movimenti, sulle voci e le imprecazioni dei servitori e delle cameriere, stava lei, la governante.
Marons Glacés si muoveva nella calca della servitù come un nocchiero in un mare in tempesta, dando nel frattempo ordini a destra e manca. La sua voce risuonava acuta e decisa nell’insieme privo di forma dei suoni della casa.
“Gilbert, Olivier, quei tavoli vanno spostati alla parete. Così…no, non in quel modo! Numi del cielo: quei mobili appartengono alla famiglia del padrone da generazioni, non sono pezzi di legna da ardere! E voi, Agnes e Marie! Sbrigatevi a portare quelle tende: gli ospiti arriveranno tra qualche ora!”diceva passando dall’esasperato, all’irritazione, al panico. Volteggiava in ogni angolo, spuntando come un fungo da ogni parte.
André osservava sua nonna allibito.
Era presente in ogni punto del palazzo, dalle scuderie, alle cucine, alle camere, ai corridoi. Sembrava avesse il dono dell’ubiquità. Istintivamente tremò: faceva paura e questo malgrado ormai avesse quasi venti anni e la nonna….bhé sua nonna era sempre la stessa, con la sua severa divisa da governante, la cuffietta bianca sulla testa e l’immancabile fazzoletto in bocca. La casa del generale sembrava sul piede di guerra, un vero e proprio campo di battaglia, ma non c’era da stupirsene.
Fra qualche ora sarebbe venuta a far visita la quinta figlia del generale, Ortense, insieme al suo consorte, il conte de Millet. André lo aveva visto poche volte ma da quel poco che aveva saputo era una persona dal buon carattere che trattava sua moglie con un certo rispetto. Una rarità, della quale la figlia del generale poteva considerarsi fortunata.
Il padrone di casa era un vero e proprio fascio di nervi. Camminava nervosamente da una parte all’altra, dando ordini e cambiandoli all’ultimo momento. Insieme a sua nonna erano capaci di far venire una crisi di nervi persino ad un santo.
In quel momento stava dando le ultime disposizioni ad Oscar, che era rimasta chiusa nel suo studio subito dopo aver fatto colazione.
André non poté fare a meno di sospirare.
Quando si impegnava, il padrone era davvero impossibile: che diavolo doveva dire ad Oscar da tenerla confinata in quella stanza per ore intere? Certo che era sempre stato…come dire, bizzarro…però…
“ANDRE’!”urlò sua nonna, vedendolo immobile sulle scale “invece di stare lì, come un vaso di fiori, porta questi nelle stanze degli ospiti e, mi raccomando, assicurati che non abbiano una grinza!”Così dicendo, gli consegnò una pila di lenzuoli.
André prese i panni che sua nonna gli aveva dato, non senza perplessità. Quella colonna di stoffa era più alta di lui, come avrebbe potuto portarla? Marons tuttavia non sembrò fare caso alla sua espressione e, con un gesto spiccio lo spedì al piano superiore. Il nipote fu costretto ad obbedire, incoraggiato forse dal cipiglio minaccioso della nonna. Incerto salì le scale, portando una torre di stoffe davanti a sé. Non vedeva nulla di ciò che era di fronte e il corridoio, dal quale si accedeva alle stanze, era un percorso ad ostacoli non indifferente. Le statue,  le sedie intarsiate, le armature e i vasi orientali presenti lungo il tragitto erano presenze insidiose sulle quali non doveva in alcun modo incappare, pena l’ira congiunta del padrone e della nonna. A quel pensiero l’attendente rabbrividì: non era pronto ad affrontare una simile eventualità, pur sapendo che ogni singolo oggetto presente valeva sicuramente più di lui.
Improvvisamente una porta si aprì con un movimento brusco. André, che non vedeva niente, fu colpito in pieno da questa e solo per miracolo riuscì a non cadere a terra con le lenzuola fresche di bucato. Con non poca fatica, riprese il suo  equilibrio e lanciò un’occhiata alla persona che era uscita da quella stanza.
Indossava degli abiti informali e i suoi capelli, biondi come il grano, scendevano ribelli sulle spalle. Avrebbe riconosciuto quei tratti ovunque.
“André” disse, senza dare un tono particolare alla voce.
“Ah, Oscar” salutò quello, mentre tentava di non far cadere a terra la stoffa.
L’ultima figlia del generale lo osservò mentre con le gambe tentava di non perdere l’equilibrio. Sembrava una colonna pericolante, che rischiava di cadere al primo soffio di vento. Quando lo aveva visto, le era sembrato per un momento che fosse la pila di lenzuoli a parlare. Si dette della stupida per aver pensato una cosa simile. Non poteva permettersi più tali bambinate. Suo padre aveva riversato su di lei ogni aspettativa possibile ed inimmaginabile ed era anche per ripagare la presenza che aveva dimostrato durante la sua infanzia, che voleva svolgere al meglio l’incarico che si era conquistata a corte, a prezzo di notevoli sacrifici. Doveva essere una persona seria, adulta e responsabile.
Malgrado ciò,  non poteva negare che il suo amico era abbastanza ridicolo nelle mansioni di cameriere.
“Che stai facendo, André?” chiese inespressiva.
“Ordini della nonna” rispose l’altro, come se fosse ovvio.
“Ah” disse “quando hai fatto, vuoi venire con me in biblioteca? Ce ne staremo un po’tranquilli, almeno fino alla fine di questo delirio”
André non ci pensò molto. L’immagine della nonna, congiunta a quella del padrone si palesarono in un istante nella sua mente, in un insieme abbastanza inquietante. Inevitabilmente disse di sì.
Tutto pur di evitare quel girone dantesco.
 
La biblioteca della casa era grande e ben fornita. Le pareti erano interamente tappezzate di libri e busti dei sovrani francesi, a conferma della fedeltà atavica della famiglia alla Corona.
André amava quel posto.
Così silenzioso.
Ricco di pace.
Pieno di tomi interessanti.
Si guardò attorno perso nell’immensità dello studio, poi spostò la sua attenzione sulla sua amica. Oscar camminava avanti ed indietro con passo nervoso, borbottando parole incomprensibili. Era evidentemente turbata da qualcosa ma ancora non si era confidata con lui. André se ne rimase zitto vicino ad una delle poltrone. Prima o poi avrebbe sputato il rospo. Doveva solo attendere.
Improvvisamente Oscar si slanciò come una furia ad una delle pareti della libreria ed iniziò a cercare con impazienza febbrile qualcosa.
“Se avevi voglia di leggere, potevi farlo anche da sola” le fece notare.
“Ah stà zitto!” lo freddò furibonda la figlia del generale, mentre frugava tra i testi.
Doveva essere qualcosa che le stava particolarmente a cuore. Oscar non aveva un carattere facile, assolutamente, ma si comportava così solo con André, l’unico con il quale avesse una vera e propria confidenza. Il servitore, da parte sua, si sentiva privilegiato per avere un simile rapporto con quella ragazza così stravagante e avrebbe difeso questa amicizia in ogni modo, malgrado non riuscisse a prevedere i moti che agitavano il suo animo.
Era stata in fondo l’unica persona a farlo uscire dal guscio di odio e diffidenza a seguito della morte dei suoi cari.
Lei e la nonna lo avevano aiutato molto in questo.
“Trovato!”fece infine, estraendo un libro dalla libreria.
L’attendente fissò il tomo che aveva tra le mani e l’espressione di trionfo della sua amica. Stranamente quel sorriso ebbe il potere d’inquietarlo.
“Che cos’è?”chiese, tentando di mostrare sicurezza.
L’immagine di Asclepio però non lasciava adito a dubbi.
“Non si vede?” fece la ragazza guardandolo come se fosse tonto “E’un libro di medicina!”
Senza dargli il tempo di rispondere, iniziò a parlare a raffica.
“Vedi, poco prima delle nozze, mentre stavo tornando in camera mia ho sentito mia sorella confabulare con la mamma nel suo salottino privato.” Vedendo però lo sguardo ammonitore del suo amico, cercò di mettersi sulla difensiva “no, non stavo origliando ed è inutile che mi guardi così, perché non è vero!”
L’attendente sfoggiò allora una vera e propria faccia da poker ma dentro di sé non le credeva per nulla. Sapeva che la padrona, per volontà del consorte, doveva tenersi ai margini della vita dell’ultima nata e così dovevano comportarsi le sue sorelle. Oscar non si confidava mai con nessuno e se André ne era a conoscenza, ciò era dovuto alla grande capacità di osservazione del nipote della governante.
Solo lui coglieva l’espressione di pietra della giovane tutte le volte che vedeva la moglie del padrone.
Solo lui notava la tristezza che compariva come una lieve ombra, tutte le volte che vedeva sua madre giocare con le sue sorelle non ancora sposate.
Solo lui sapeva che spesso, quando la madre era nella casa del generale, Oscar si ritrovava a sbirciare, attraverso la serratura della porta del salottino privato di Margherite, la dama mentre conversava con le figlie più grandi. Sicuramente la sua amica non avrebbe mai rivelato in quale circostanza aveva avuto la brillante idea di tirare fuori quel libro. Come sempre però, il ragazzo stette zitto.
Era curioso di sapere cosa avesse reso la sua amica così intrattabile e nervosa.
“E che cosa è successo?” chiese, non potendo  trattenersi.
La figlia del generale iniziò a grattarsi la testa, un gesto che tradiva la sua frustrazione.
“Non lo so. Non ho capito” fece seccata, sotto lo sguardo basito del servitore.
“Che significa?” domandò l’altro, ormai incuriosito pure lui.
Oscar sospirò scocciata.
“Mia sorella piangeva e si lamentava del suo futuro marito. Diceva che non voleva sposare un dongiovanni come il conte Millet e temeva di dover dividere il letto nuziale con la continua consapevolezza di essere tradita. Per un po’ ha frignato sulla cosa, poi ha chiesto alla mamma come si sarebbe dovuta comportare con lui in ….in camera la prima notte” fece, con un filo di esitazione sul finire della frase.
Poi fissò il suo amico.
“Allora che cosa ne pensi?” disse, senza vedere lo sgomento che per un breve istante era comparso sul volto di André.
“T-tutto qui? Eri nervosa perché tua sorella era in crisi per via del matrimonio?”fece tentennando. Che fosse gelosa di Ortense? Impossibile, non si erano mai rivolte la parola. Osservò la sua espressione e notò tutte le emozioni che passavano sul suo volto: irritazione, stupore, frustrazione e perplessità. André non  sapeva cosa pensare. Ortense non era la prima delle figlie del generale a sposarsi e forse nemmeno l’ultima. Inavvertitamente il suo sguardo calò su Oscar: sarebbe mai stato possibile che un giorno la sua amica convolasse a nozze, come le altre figlie del padrone?
A quel pensiero l’attendente scosse la testa.
No, era impossibile, non riusciva a vederla in alcun modo in abito da sposa e con lo sguardo timoroso e sognante nei confronti del marito. In quel momento la sua immaginazione aveva seri problemi, a cominciare dal fatto che il carattere dell’ultima del casato non era stato educato all’obbedienza come le sue sorelle. Probabilmente, pensò non senza trattenere un ghigno, sarebbe stata capacissima di passare a fil di spada chiunque le avesse mancato di rispetto. Era quindi impensabile che potesse diventare una brava mogliettina, almeno secondo la mentalità comune e questo malgrado sua nonna non smettesse di cucire di nascosto per lei abiti da donna.
A cosa servissero poi, non riusciva a capirlo.
Nel frattempo fissava l’oggetto dei suoi pensieri in attesa di una risposta.
Oscar si mordicchiò leggermente il labbro, incerta se rispondere alla sua domanda. Da un lato avrebbe voluto picchiarlo per la sua mancanza di rispetto, dall’altro desiderava liberarsi di quel peso che la infastidiva senza capire perché. Che cosa poteva dirgli? E, soprattutto, il suo dubbio era qualcosa che potesse essere confidato senza essere presa in giro?
“Allora?”incalzò il servitore, spronandola a proseguire.
La figlia del generale, irritata per il fatto di essere messa alle strette dal nipote della governante, aprì il libro e per la seconda volta in tutta la giornata, il giovane Grandier sgranò gli occhi.
“Visto che le parole di mia madre e di Ortense erano abbastanza strane, ho pensato bene di informarmi. Sul piano teorico mi è chiaro che cosa dovrebbe essere successo la prima notte di nozze, anche se mi lascia perplessa la parte pratica. Vabbé, non mi interessa molto, anche se mi sembra un po’strana…”iniziò, elencando tutte le perplessità che la stavano assillando.
André era decisamente imbarazzato e non sapeva di cosa stupirsi maggiormente, se del fatto che Oscar avesse simili curiosità incoffessabili o che stesse parlando di simili argomenti proprio con lui. In quel momento sembrava aver perso la bussola. Il suo atteggiamento era abbastanza contraddittorio: cercava di comportarsi come un uomo ma le sue perplessità erano tipicamente femminili.
I miei complimenti, caro generale: avete creato un vero e proprio ibrido.
Questi erano a grandi linee i suoi pensieri.
Certo, avrebbe potuto risponderle tranquillamente, spiegandogli che cosa succedeva. Alcuni mesi prima, era stato trascinato dallo stalliere Gilbert in uno dei bordelli più vicini alla villa del padrone ed era stato, a detta dell’accompagnatore, svezzato e pronto a vivere come un adulto. Era perfettamente in grado di dirgli che cosa avevano fatto il conte Millet e sua sorella in camera da letto, senza scendere in inutili tecnicismi e giri di parole. Trovava tuttavia molto imbarazzante cadere in simili particolari e temeva che una volta saputa la verità, Oscar potesse inavvertitamente lasciarsi sfuggire qualcosa, con la conseguente ira della governante.
Quello era sicuramente uno dei momenti in cui la trovata del padrone faceva cilecca.
André si chiedeva spesso come potesse sua nonna pretendere che la sua bambina potesse rimanere candida e innocente, dovendo avere a che fare tutti i giorni con i soldati della guardia personale della regina, uomini di sangue blu e assidui frequentatori di cortigiane.
Era come se casanova fosse illibato. Un paradosso.
Il problema in quel momento comunque era come liberare Oscar dalle paranoie che la assillavano.
Provò quindi a eludere il tema scottante della prima notte di nozze. Non dubitava che Oscar conoscesse teoricamente come dovesse avvenire un incontro tra amanti. Doveva esserci perciò qualcos’altro sotto.
Fissò allora le immagini e l’argomento della pagina mostrata dalla donna soldato. Non ci aveva prestato molta attenzione prima e quasi si pentì di non averlo fatto a tempo debito. Era un capitolo sulla maternità.
Si grattò nervosamente la testa e maledì la superficialità che prima lo aveva preso nei suoi confronti. Ben presto, infatti si ritrovò nuovamente impacciato, dal momento che nessun uomo si occupava di un momento tipicamente femminile come la nascita. Non sapeva come esserle d’aiuto. Per un momento si era sentito più adulto della sua amica, avendo avuto quell’esperienza, ma la scoperta del vero motivo per cui Oscar era così in difficoltà, gli fece capire che non avrebbe potuto risolvere i suoi problemi come invece aveva creduto fino a pochi istanti prima.
“Continuo a non capire” borbottava nel frattempo la sua amica, mentre leggeva le pagine di medicina. Quei fogli macchiati d’inchiostro spiegavano il fenomeno della gravidanza da un punto di vista puramente tecnico, senza tuttavia parlare dei sentimenti delle interessate. Che cosa si provava ad essere madri? Quali potevano essere i pensieri che una donna poteva avere in proposito?
Alzò un momento la testa. André aveva un’aria indecifrabile. Ogni tanto spostava lo sguardo da una parte all’altra della stanza, cercando di evitarla.
Oscar aggrottò la fronte e l’attendente ebbe quasi un sussulto, non sapendo che cosa sarebbe avvenuto di lì a poco.
A passo di marcia gli si avvicinò, fino a pararsi a pochi centimetri dal suo viso. O, meglio, queste erano le intenzioni di Oscar. Il problema era che André, nel corso degli anni, l’aveva superata in altezza e ciò le impediva di fissarlo dritto negli occhi come avrebbe voluto.
Malgrado questa limitazione, non esitò ad affrontarlo.
“Sai che ti dico, André? Questi luminari non mi sono di grande aiuto, quindi dovrò cercare altre fonti!”esclamò con una luce battagliera nello sguardo, la stessa che la caratterizzava durante i duelli. Poi senza dire altro si lanciò fuori dalla stanza, alla ricerca dell’unica persona che potesse davvero darle una mano.
L’attendente rimase immobile nella biblioteca, fermo come un baccalà. Aveva visto la sua amica lanciarsi fuori dalla stanza come se avesse il diavolo alle calcagna. Mille pensieri si affastellavano intanto nella sua testa. La mente analitica di André cercava di mettere insieme i pezzi che era riuscito a cogliere da quella stranissima conversazione. Era diventato piuttosto bravo a decifrare la complicatissima mente dell’ultimogenita del casato e dopo pochi istanti riuscì a trovare la risposta che cercava.
Sul suo viso si dipinse allora il panico.
No.
Non era possibile.
Doveva assolutamente fermarla.
Con la presenza del generale in casa poi, era una vera e propria pazzia.
Con un gesto fulmineo il nipote della governante si fiondò fuori dalla libreria, alla disperata ricerca della ragazza: come accidenti era venuto in mente ad Oscar di andare proprio in quel momento a cercare sua madre per fare una chiacchierata?
 
Nel frattempo, la contessa Marguerite era nei suoi appartamenti. Stava bevendo la sua tisana giornaliera, un’abitudine che aveva preso da qualche tempo, dalla nascita della sua ultima figlia.
Le stravaganze del consorte erano in parte alla base di questa usanza. Per anni aveva dovuto sopportare le sue fisime e le continue delusioni che ogni figlia gli arrecava con la sua nascita. Certo, la donna comprendeva lo stato d’animo del consorte, abituato ad essere obbedito senza ricevere offesa, ma non poteva pretendere che partorisse un maschio a comando. Lei aveva fatto la sua parte, sopportando le gravidanze e rischiando la vita per assolvere a tale compito, ma non si era mai lamentata in proposito. Anche perché il grande generale non avrebbe mai sperimentato i dolori del parto e quindi non poteva capire come si era sentita.
Quella mattina avrebbe fatto loro visita la sua piccola Orthense, insieme al marito. In una lettera le aveva comunicato di essere in attesa del loro primo figlio, una notizia che la dama aveva accolto con immensa gioia. Non vedeva l’ora quindi di vedere la sua amata bambina, per poter parlare con lei, con la dovuta complicità di un tempo.
Mai si sarebbe aspettata di ricevere la visita anche dell’ultima nata.
Oscar piombò nella sua stanza, senza bussare e senza salutarla.
Marguerite aggrottò la fronte, non molto contenta dei modi della sua ultimogenita, ma lo sguardo di quest’ultima la convinse a sorvolare sulla questione.
“Vieni pure. Tuo padre si trova in questo momento a discutere con la servitù e non ci farà caso. Lo conosci anche tu come è fatto.” Disse alzando, non vista, gli occhi al cielo.
L’interessata allora chiuse la porta, leggermente più rilassata di pochi istanti prima, ma le sue pose rimanevano comunque molto rigide, come se il suo corpo fosse fatto di gesso. La madre si prese un momento di tempo per fissarla.
Aveva sicuramente generato una bellissima figlia, forse assai più graziosa delle sue sorelle, ma il suo giudizio si fermava lì. Il resto era per lei un mistero. Le voleva bene, ovviamente, ma i suoi comportamenti erano quanto mai stravaganti per i suoi gusti, a cominciare dal nome. Si era pentita di non aver sollevato obiezioni di fronte alla trovata del marito, convinta forse che era meglio assecondarlo. Non era stata in grado di dargli il maschio che desiderava e non voleva in alcun modo alimentare i possibili sensi di colpa per qualcosa che non si poteva controllare.
Aveva naturalmente obbedito ai desideri del consorte e aveva finto d’ignorare gli sguardi di quella bambina cresciuta come un uomo, non senza provare un continuo senso di colpa per il non poter avere uno stretto rapporto con quest’ultima.
“Vuoi una tazza di tisana?” chiese, vedendola tesa.
Oscar annuì meccanicamente e si mise a sedere. Marguerite le diede gentilmente uno dei pezzi del servizio di porcellana di Chantilly, che aveva ricevuto dal consorte in occasione di un loro anniversario. Era molto bello e la dama tendeva e preferirlo agli altri doni che aveva avuto nel corso degli anni. Per questo motivo osservava con un filo di preoccupazione la sua ultimogenita mentre lo prendeva in mano titubante e sempre più a disagio.
Timore fondato, perché Oscar con un gesto nervoso, fece cadere un po’della tisana rovente sulle gambe. Scottata, fece cadere a terra la tazzina che si frantumò in mille pezzi.
Marguerite fece appello a tutta la sua pazienza, imponendosi di non esplodere in una di quelle crisi isteriche, tipiche di molte donne del suo rango e che l’interessata considerava poco edificanti.
Eppure, fissando i frammenti di ceramica, sparsi a terra come tanti fiocchi di neve, non poté fare a meno di pensare che era un vero peccato che quel servizio fosse rovinato.
Era come una torta senza la sua guarnizione,
Come una casa senza il tetto.
Come il suo matrimonio in fondo.
“C’è qualche problema, cara?”chiese, scacciando da sé quei paragoni ingombranti e fastidiosi.
Oscar fece vagare per alcuni istanti lo sguardo sulla stanza in cui si trovava, poi tornò ad osservare sua madre che non aveva smesso di fissarla, con quegli occhi gentili e sottomessi.
“Ecco…”iniziò non sapendo cosa dire. Il problema che la stava assillando era tipicamente femminile ed era convinta che la donna che l’aveva messa al mondo, fosse l’unica persona capace di risolvere le sue paturnie.
Il problema era: da dove iniziare?
Come se le avesse letto nel pensiero, sua madre le venne in aiuto. “Sarà meglio che ti affretti a dirmi che cosa ti affligge, bambina mia, perché tuo padre terminerà a breve di dare ordini alla servitù.” Le ricordò.
“Giusto. Sono venuta per chiedervi di Ortense.”rispose a scatti l’altra, sempre più a disagio, non abituata a sentire così da vicino la voce carezzevole della genitrice. Aveva agito come al solito d’impulso, cercando sua madre, a differenza di quanto suo padre aveva deciso. Eppure non poteva fare diversamente.
“Capisco, cara.” Disse l’altra, sorseggiando la bevanda, con un autocontrollo non indifferente “Che cosa ti preoccupa di tua sorella? Suo marito è una brava persona e, come sai, è innamorato di lei. Un fenomeno inconsueto e quanto mai fortunato.” Chiese, perplessa e curiosa di sapere che cosa avesse spinto la sua piccola Oscar a venire fin lì.
Il suo sesto senso le diceva che il problema della sua bambina aveva a che fare con quella corazza maschile che il padre le aveva cucito addosso. Non doveva fare altro che verificarlo, con una domanda a tradimento.
“Ah, sai che è incinta?” aggiunse, sperando di scuoterla.
Lentamente la ragazza posò lo sguardo a terra e sul viso di Marguerite, per un brevissimo istante, comparve il sorriso di chi aveva svelato il mistero. Subito però riprese la solita espressione composta, come una brava damina.
Calò quindi un profondo silenzio, nel quale la moglie del generale osservava la figlia, mentre quest’ultima fissava nervosamente dappertutto, tranne la madre.
I minuti passavano, diventando mezz’ora. Alla fine, Marguerite perse la pazienza.
“Cara, ti ricordo che fra poco verrà tua sorella e, se posso esserti di aiuto, non esitare a chiederlo. Non ho potuto starti vicino come era mio dovere, eppure vorrei poterti dare il mio appoggio. Sei molto tesa e non penso che sia per via del lavoro. Parla pure liberamente.” La esortò.
“Ecco, non capisco che cosa possano provare le mie sorelle ad avere una famiglia. Non ho mai avuto la possibilità di parlare con voi e con loro, senza essere biasimata da mio padre. Che cosa significa avere un figlio da una persona che nessuna di loro, voi compresa, ha scelto? Non posso smettere di ricordare le espressioni afflitte di tutte loro il giorno del matrimonio e quelle, tutt’altro che liete, delle altre dame di Versailles, quando si univano in chiesa, giovanissime, con i loro anziani consorti. Per questo vi chiedo, madre, come si può provare qualcosa per un bambino che sai non essere nato da altro se non dall’esecuzione di un ordine? Questo pensiero non fa che tormentarmi da diverso tempo ed io non so a chi chiedere consiglio.” Disse infine, non senza lanciarle di tanto in tanto degli sguardi nervosi. Temeva di ricevere critiche e biasimi per la sua mancanza di ritegno nel farle una simile domanda, ma Marguerite non fece niente di tutto ciò.
L’ascoltò con attenzione, poi rifletté su cosa dirle.
“La domanda che mi hai posto non è molto semplice perché vedi, cara, neppure il mio matrimonio è nato perché io amavo tuo padre, anzi, se devo essere onesta, ci eravamo rivolti a stento la parola. Ho dato dei figli perché era mio dovere come moglie farlo, ma non posso dire di aver odiato nessuna di voi. Tuo padre è una bravissima persona anche se, come avrai notato, non è esente da difetti. Con il tempo mi sono affezionata a lui e la cosa non mi dispiace. Parlo per esperienza personale, ma non ho avuto un cattivo marito e non ho vissuto con molta sofferenza il fatto di dover portare in grembo la sua stirpe. In qualche modo, ho avuto le cose facili. Non tutte hanno questa fortuna. Mio marito, con i suoi difetti, non mi ha mai mancato di rispetto, anche se le sue decisioni non sono sempre esemplari.” Rispose, sorridendole gentile. “A volte la maternità è una chimera per una donna e se non avviene, è motivo di grande dolore. Io e le tue sorelle abbiamo avuto la fortuna di essere esentate da questa sciagura ma questo non significa che non vi possano essere dei problemi.”
Oscar abbassò la testa, fissando il pavimento.
La luce penetrava dalla finestra, bianca e cristallina, creando un lieve chiaroscuro sui loro volti.
“Su una cosa però sono sempre stata in disaccordo con tuo padre.” Disse allora la dama, posando la tazza, ormai vuota, sul tavolino intarsiato.
“Quale, madre?” chiese Oscar.
Marguerite la osservò. La sua ultima bambina era decisamente più tranquilla, rispetto a pochi minuti prima ma non era ancora stanca di parlare con lei. La dama non poté che apprezzare quella strana situazione che si era creata. Mai avrebbe creduto di poter conversare con la sua figlia più giovane senza la presenza ingombrante del marito. Si chiese allora che cosa avrebbe potuto dirle e se era giusto rivelarle la preoccupazione per il suo futuro, dato che il generale non era più molto giovane. Avrebbe preferito riferirle che pensava fosse opportuno per lei sposarsi con una persona rispettabile.
I problemi però sorgevano spontanei.
Il primo era l’inevitabile fine del progetto balzano di suo marito, ammesso che fosse possibile per una donna conciliare matrimonio e carriera militare.
Il secondo era quale sarebbe stato il partito più opportuno per la sua bambina. Oscar era una persona particolare e Marguerite era convinta che la scelta del consorte dovesse essere adeguata ad una buona dose di compatibilità di caratteri, allo scopo di evitare scandali coniugali nel miglior modo possibile. Su questo, lei è il generale erano pienamente d’accordo: non bastava la ricchezza per rendere solida un’unione. L’amore era una rarità, ma la coppia voleva la serenità matrimoniale per le loro figlie, unita ovviamente alla convenienza.
La donna era immersa nei suoi pensieri e nei progetti di combinare un’unione opportuna. Una chimera, dal momento che il marito si opponeva ad un simile progetto. Marguerite scosse la testa: il generale stava andando contro il normale corso degli eventi e lei non poteva fare altro che guardare inerme il loro svolgersi.
Oscar era ormai prossima a superare l’età che era solitamente adatta ad un’unione. Anche Orthense si era sposata tardi, ma la dama temeva che la sua ultimogenita avrebbe superato ogni sua più nera aspettativa.
D’altro canto, però, non poteva lamentarsi. La sua vita coniugale era sempre stata abbastanza piatta, come avveniva per ogni matrimonio combinato, e vedere Oscar in casa, nei momenti in cui non era impegnata a fare la dama da compagnia di Maria Antonietta, insieme al marito, le procurava una profonda gioia. Le sembrava di aver davanti l’immagine di una famiglia unita, come invece non era avvenuto con le sue figlie, quasi tutte lasciate alle cure prima delle fantesche e poi dei precettori. Era in qualche modo felice di avere la sua ultima bambina in casa, anche se sapeva che ciò che stava avvenendo era sbagliato.
Un giorno il generale si sarebbe pentito di quella decisione.
Un giorno avrebbe versato lacrime amare al pensiero di quello che aveva fatto a quella bambina.
Un giorno avrebbe sicuramente provato a recuperare il danno scatenato.
Marguerite avrebbe voluto dire a sua figlia tante cose su come poteva essere la maternità e, per estensione, la vita di una donna sposata, che il generale le aveva tolto, per inseguire la sua chimera ma alla fine non lo fece.
“Nulla cara” disse tornando composta come pochi istanti prima“Raggiungi pure tuo padre. Non vorrei che si arrabbiasse per averti trattenuto.”
Oscar la fissò, perplessa da quell’improvviso cambio d’umore, tuttavia obbedì.
Marguerite sfoggiò un sorriso rassicurante che spinse la figlia ad allontanarsi.
Quando la porta si chiuse, la dama smise di sorridere.
Chissà perché aveva deciso di tacere.
Per rispetto alla volontà del marito?
Per timore della sua ira o di arrecargli dispiacere?
No, la verità era un’altra.
La donna sapeva che era meglio per quella ragazza essere all’oscuro di questa verità. Suo marito era responsabile del danno e sarebbe stato lui a risolvere il guaio combinato.
Oscar era come una palla lasciata andare lungo una discesa, diretta a velocità sempre maggiore, contro un muro lontano inizialmente, ma sempre più vicino con lo scorrere del tempo. Suo marito e lei, con il suo silenzio, l’avevano spinta verso quel percorso distruttivo e adesso non potevano fare altro che fissarla impotenti.
Marguerite era certa che il generale avrebbe reagito, non appena avesse recuperato il senno ovviamente, in modo impulsivo come al suo solito, distruggendo quella ragazza.
Lei avrebbe dovuto rimanere nelle quinte come al solito, in attesa.
Aspettando che sua figlia le chiedesse aiuto.
Solo allora avrebbe potuto fare qualcosa.
Perché una madre è anche questo.
 
Ragazzi, voi non avete idea di quanto sia stato impegnativo questo capitolo. Ho lasciato il punto interrogativo perché come avrete visto i personaggi di questa shot sono più di uno. Spero che vi sia piaciuto. Mi dispiace non aver postato prima, ma spero che l’attesa sia valsa la pena. Il titolo “chimera” indica un miraggio che si tenta invano di raggiungere. La storia non riguarda la maternità di Oscar e se devo dire la verità, pensavo che fosse troppo scontato.
Il nome della sorella è inventato (licenza letteraria…) ma spero che la lettura vi sia piaciuta. Il tono è meno pesante dei capitoli riservati a Maria Antonietta, giusto per smorzare il pathos dei capitoli precedenti.
Allora vorrei ringraziarvi per avermi seguito fino a questo momento.
Un grazie a coloro che hanno messo la storia tra le preferite :
 
1 - bra92 [Contatta]
2 - EllyBelly [Contatta]

 
Grazie a chi ha messo la storia tra le seguite:
1 - kikkisan [Contatta]
 
Grazie a chi ha messo la storia tra le ricordate:
1 - Beatrix_ [Contatta]
2 - Lisanechan [Contatta]

 
Grazie a coloro che hanno recensito:
JuilletEnRose
 pry
lady in blue
Ninfea Blu
Beatrix_
Zapotec
 fighterdory
kikkisan
 
A tutti, faccio i miei più sentiti ringraziamenti per aver letto la mia storia, la prima di una certa lunghezza che ho pubblicato e alla quale tengo particolarmente. Grazie ancora
cicina

   
 
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