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Memories of a Ginger W
i z a r d.
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Just
trust ‘em.
Ron aveva girovagato per
Londra per diversi giorni, dopo quell’insolito
incontro.
Siamo
maghi, Ron!
Non aveva la minima idea di che fare. Si crogiolava nel fastidioso
dubbio che ti divora davanti ad un bivio: credere a quei due, e a quel punto dare una svolta alla propria esistenza, o non credere a quei due, come qualunque
persona sana di mente avrebbe fatto.
Ma Ron,
pur non ricordando assolutamente nulla, sentiva di non essere nella
norma.
Siamo
maghi, Ron!
Miseriaccia, tutte le
persone normali portavano con sé strani oggetti dalla dubbia origine innocua,
che si suonavano, si illuminavano. A volte li portavano all’orecchio e
iniziavano a parlare da soli. Ron li guardava perplesso. Sembrava quasi parlassero con quegli affari!
Altri ancora presentavano degli strani prolungamenti che si infilavano nelle orecchie. Miseriaccia, sono contento di non averne uno. Sembra che da un momento
all’altro possano prendere vita e dare inizio ad un’invasione aliena!, pensò terrorizzato.
Lui non aveva niente, NIENTE in
comune con loro, eppure cercava disperatamente di mescolarsi tra quella gente,
di non essere un emarginato.
Perché se
non poteva stare da quella parte, dalla parte dei comuni, l’altra possibilità
era l’essere mago. E questa scelta lo spaventava.
Siamo
maghi, Ron!
Quello che per lui era uno strano e surreale scherzo, ma
che in realtà era la pura verità, gli si era rovesciato addosso come un secchio
d’acqua ghiacciata e sì, l’aveva intimorito.
In quel momento vagabondava per un largo viale della
periferia di Londra.
Ai lati c’erano negozi su negozi,
di tre o quattro piani, che riversavano gente da tutti i fori.
Alzò appena gli occhi alla sua destra e lo vide. Non fu una
coincidenza e Ron lo percepì.
Lui sapeva che il rosso si sarebbe trovato lì, quel giorno.
Da una piccola finestra dalla cornice di legno e
dall’aspetto sgangherato, sbucava il viso magro del ragazzo con gli occhiali
che aveva visto qualche giorno prima.
Gli occhi verdi lo scrutarono con uno sguardo amichevole e
ansioso. Intercettò un leggerissimo movimento delle labbra: diceva un qualcosa ad un qualcuno. Poi, scomparve.
Ron sentì premere su di
lui un’atmosfera familiare, innocua.
Mentre il
suo cervello lavorava febbrilmente per opporsi a quella magnifica aria, di cui
non si fidava neanche un po’, ogni singola cellula del suo corpo sembrava
volerlo spingere verso quel locale dall’aspetto antico. Si chiamava il Paiolo Magico. Ronald
non credeva ai propri occhi.
Fermò un passante a caso, e poi un altro, e un altro
ancora, e a tutti rivolgeva la stessa domanda:
-Mi scusi, mi sa dire come si chiama quel locale?-
-Figliolo- gli rispose un signore anziano, dalla barba
fitta –Non c’è nessun locale!-
-Ma non è possibile!-
sbottò. –Io lo vedo!-
-Sicuro di sentirti bene, ragazzo?-
Le orecchie di Ron diventarono
più rosse che mai.
-Non proprio.- ammise in un sussurro.
Dopodichè,
successero tre cose in contemporanea.
Due tizi dall’aspetto insolito, con mantelli e cappelli di
colori sgargianti, entrarono nel Paiolo Magico. Parlavano del Ministero della Magia.
Si scontrarono con due ragazze, ma tirarono dritto.
Una di loro era quella che aveva detto di chiamarsi Hermione. Uscì dalla locanda con un’aria mortificata.
Davanti a lei, con aria imperiosa e occhi che saettavano
sulla folla, c’era un’altra ragazza.
Aveva i capelli rossi fiammeggianti, come quelli di Ron, e lentiggini sulle guance lattee.
I suoi occhi si posarono su di lui. Boccheggiò.
Hermione la
portò via di corsa e Ron capì.
Le
persone normali non possono vederlo.
La verità lo ghiacciò dal primo capello rosso ai piedi.
Sono
un mago. Provò a mormorarlo. –Sono un
ma-go.-
Suonava ridicolo. E improbabile.
Entrò al Paiolo senza curarsi di non farsi vedere dai
passanti.
Al suo ingresso, qualche faccia curiosa si voltò a guardare
il nuovo cliente. Qualcuno gli sorrise affabile.
I due uomini vestiti in modo
particolare ciarlavano allegri con il barista. La tunica azzurra fluorescente
di uno faceva a pugni con il cappello dorato dell’altro.
Ron si sedette accanto a
loro e comprese troppo tardi il suo errore.
Non che fosse grave, certo, ma dimenticarsi di Dedalus Lux, membro dell’Ordine insieme ai suoi genitori,
beh, era una bella fregatura.
-Ron Weasley!-
esclamò Dedalus, del quale Ron
non ricordava neanche l’iniziale. –Ciao, ragazzo, come procede?-
Ron sgranò gli occhi.
Impallidì e arrossì ad alternanza almeno quattro volte. –T-tutto
bene…?- disse, accennando appena il tono
interrogativo.
Chi è
questo tizio?!
-Oh, egregio, Ron!- Lux gli
dedicò una poderosa, amichevole pacca sulla spalla. –Il
buon vecchio Arthur, eh? E
tua madre, come sta? La Tana è la solita deliziosa casetta?-
Se Ron
avesse saputo come fare sarebbe scomparso, polverizzato, smaterializzato
all’istante.
Chi
miseriaccia è Arthur? Cos’è la Tana? E CHI E’ MIA MADRE?
Si disse che tanto valeva
improvvisare. –Tutto benone,
certo, tutto okay.- disse, poco convinto.
Dedalus Lux
montò uno strano sorriso.
-Ma perché non sei a Hogwarts?- chiese a bruciapelo.
Ron era sul punto di
fingere un malore –e non era poi tanto sicuro di
dover fingere- o di svenire sul pavimento.
SALVATEMI!
pensò
con tanta foga che, per un momento, dati gli occhi e la bocca spalancata
dell’uomo al suo fianco, arrivò alla terrorizzante idea che i maghi potessero
leggere nel pensiero.
-Per la barba di Merlino, come si è fatto tardi!-
Strinse la spalla di Ron
per un momento a mò di saluto, si allontanò dagli
altri verso il centro della sala. Alzò il cappello in un ultimo congedo e dopo
un ‘crac’,
diventò una cosa informe di
colore e massa prima di sparire del tutto.
Ron si scandalizzò non
poco. –Ma
che cazz…!- si lasciò sfuggire.
Il barista tossicchiò per riportare l’ordine.
-Signor Weasley- disse il barista
in tono professionale. –Se cerca il signor Potter, mi ha incaricato di dirle
che l’ha preceduta a Diagon Alley.-
-Oh, bene, bene! Devo proprio fermarmi al
Ghirigoro.- esclamò contento l’uomo panciuto con la tunica azzurra. Si
chinò verso di Ron e gli disse, in tono di chi se ne
intende –Mi è arrivata la voce che c’è lo sconto di dieci galeoni su un certo libro sulle
Creature Magiche. Voglio proprio saperne di più sugli Schiopodi Sparacoda, sai?-
terminò con un sorriso mancante di un canino.
Ron si trovò a dover
improvvisare una seconda volta. –Ah…sì… Gli Schiopodi Sparacoda!-
ripetè con voce tremula. –Creature
molto…molto affascinanti!- continuò
mettendo enfasi.
Il barista ed il signore lo guardarono
in silenzio: Ron capì di aver appena fatto un’epica
Gaffe.
-Sì, bene, vogliamo andare, giovanotto? Ti faccio strada io!-
In un solo movimento fluido –che Ron non si sarebbe mai aspettato da un uomo con una pancia
del genere-, si alzò e procedé verso la porta dietro il bancone. Il rosso lo
seguì incerto.
Lo vide picchiettare una particolare stecca di legno chiaro
su determinate mattonelle del muro che gli sbarrava il cammino. Come l’ostacolo
si aprì –letteralmente-, Ron indietreggiò di qualche passo. Il chè fece stranire
il suo accompagnatore. –Cosa c’è?- chiese
sospettoso.
-Nulla, mi ha sempre fatto u-n certo effetto questo… questo… quest’incantesimo!-
-Mio caro ragazzo!- ridacchiò il panzone. –Non è certo un incantesimo questo…
vedi…-
Entrarono a Diagon Alley mentre il signore spiegava a
Ron cosa fosse quella cosa a cui avevano appena assistito, ma lui non ascoltava.
Si guardava attorno ammaliato, c’erano posti di ogni tipo, d’abbigliamento, ma no di certo con vestiti
normali come quelli che indossava lui ora –si chiese
però, cosa fosse veramente normale in
quella situazione-, biblioteche con libri che svolazzavano qua e là come se
avessero vita propria, negozi di scope, che sospettava non si utilizzassero per
togliere la polvere, e, alla fine della strada, un’enorme costruzione di marmo
bianco.
Creaturine alte
poco più del suo stinco andavano avanti e indietro da quel posto, con aria
indaffarata e professionale.
-Le dispiace se vado a farmi un giro? Devo cercare Harry Fett… Lott… sì, beh, Harry!-
Senza aspettare risposta, si rintanò in un vicolo poco
frequentato. Non aveva la minima, minima idea di come
poter rintracciare quel ragazzo. E la sua amica.
Forse avrebbe dovuto credergli che…
credeva a quanto gli avevano detto. Che
si era sbagliato a dargli degli strambi e trattarli così freddamente perché, se
era tutto vero, allora era vero
anche che quelli erano i suoi migliori amici. Ma,
per il momento, era meglio trattenersi solo sulla questione della magia.
Miseriaccia,
Ron Weasley non chiede
scusa per i suoi comportamenti!
Ignorò la vocina remota che, nella sua mente, chiese: Ma…chi è Ronald Weasley?
Poi, tirò fuori
quello specchio che gli aveva dato giorni prima quel ragazzo.
Glielo aveva donato, aveva insistito perché lo accettasse.
A qualcosa doveva pur servire.
Ron decise che quello, era
il momento adatto a scoprirlo.
Spazio
per la Sbilfia. –che no, non è una
malattia, ma il mio soprannome.
Mi ero detta che avrei postato ogni due giorni… e quindi sono in un ritardo bestiale.
Chiedo venia, signore!
Vi prego di leggere quanto segue, perché importante per la storia.
Bene, a quanto pare Ron ha capito la faccendaccia
e presto intuirà l’utilità dello specchio di Sirius.
Per questa storia purtroppo ho dovuto modificare questo
particolare:
Siamo al quinto anno, perché l’Esercito di Silente c’è ancora nel suo massimo
splendore, però Harry riceve lo specchio solo alla
fine dell’anno. Per questa mia longfic ho dovuto
cambiare proprio questo, cioè che Sirius
gli da il suo dono all’inizio del libro.
Scusatemi per la modifica… ma mi era
necessaria per rendere possibile la storia!
OrangeBubbles.