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Autore: Akane    17/12/2005    1 recensioni
‘Cerco un posto per me, per la mia testa, per la mia anima’.
Una ragazzina orfana cresciuta sola, selvatica e indomabile arriva in una famiglia fuori dal comune che l'aiuterà. La sua vita, il suo buio e come ne esce. La sorpresa di un nuovo arrivo nella sua vita e scoperte che sconvolgerebbero chiunque ma non lei che la rafforzano.
(la sto rimettendo rivisitata e sistemata un po'...)
Genere: Drammatico, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4:
IL MIO POSTO


Gli occhi erano spalancati, le pupille rimpicciolite dalla sorpresa e le iridi ancor più dorate di sempre. Il sole le batteva in faccia eppure sembrava non infastidirla, sembrava nemmeno vederlo. Le labbra dimenticate aperte.
Una folata di vento le portò i capelli mossi, di tutte le tonalità dell’arancione e del rosso, sul volto che rimase come prima.
Colpita.
Non come lo si potrebbe essere superficialmente di qualcosa che non prevedevi, che non avevi mai pensato, che ad un certo punto della tua vita ti si piazza davanti e devi per forza far caso a lei, non puoi ignorarla.
Quel tipo di ‘colpo’ lo provi momentaneamente, ma diventa subito qualcos’altro, sorpresa, triste, felice…
Il ‘colpo’ che aveva preso Nike, in quel momento, era ben diverso.
Era profondo. Non sarebbe passato, non si sarebbe trasformato.
È il tipo di colpo che arriva allo stomaco, mozza il fiato, i battiti cessano, ti senti male fisicamente, non capisci più dove sei, lo spazio intorno a te sparisce e il tempo perde d’importanza.
Il colpo che si abbatte su di te, impedisce qualsiasi pensiero successivo, lascia imbambolati e senti un pugnale che si contorce.
Brividi la percorsero da capo a piedi rizzandole i peli sul corpo.
Come se il vento che scomponeva i lunghi capelli, fosse il soffio della morte.
Lei doveva essere morta.
Per tutti lo era.
La sua esistenza non aveva senso, per nessuno ormai aveva importanza, per nessuno l’aveva mai avuta.
Era stata in un orfanotrofio, il cognome l’aveva, però i genitori l’avevano abbandonata o magari erano morti.
Inesistente.
Si sentiva come se la sua nascita non avesse mai avuto motivo, se lei non ci fosse.
Ancor prima di scoprire che vita potesse avere, scopriva che era morta.
Cioè, che per tutti lo era.
Sparita. Il mondo non era più suo affare. Non aveva un posto dove stare se non, stando a quanto scoperto, sotto terra.
- C’è un errore… Si sarà trattato di omonimia, Astrid, hai sbagliato! -
Luca fu il primo a reagire sensatamente, come un ragazzo della sua età.
Incurante del vento sempre più forte che scombinava anche i suoi biondi capelli ricadenti così sugli occhi, il giovane lasciò sola Nike davanti a quella che doveva essere la sua tomba, per andare davanti alla seconda sorella e trattenersi dallo sconvolgersi più dell’interessata.
- Le palle di mia nonna! Non dire stronzate! Ha fatto le ricerche anche Elisa e non ci sono errori! Nike Polaski è lei! Era esattamente in questo orfanotrofio e all’anagrafe di questo posto ha quella data di nascita! E poi, rimbambito, non vedi che c’è anche la sua foto? Io non sbaglio! -
Alzò la voce la ragazza, arrabbiata per sentirsi dire quelle cose. Senza tener conto che, magari, era stata indelicata. Del resto indorare la pillola non serviva a nulla.
Luca cacciò il broncio arrabbiato per non riuscire ad essere d’aiuto all’amica, guardò Elisa implorante come a dire che facesse qualcosa.
Così, la castana, fece qualche passo avanti e disse dolcemente rivolta a Nike:
- Non devi preoccuparti… è solo un equivoco, probabilmente quella sera non ti hanno trovata e ti hanno messo nella lista dei deceduti. È semplice, basta andare da chi di dovere per sistemare le cose. -
Effettivamente era più semplice di quanto si pensasse, ma di fatto trovare la propria tomba con tanto di foto non era cosa di tutti i giorni, specie per una con una storia come quella della piccola selvatica ragazzina.
Non distolse ancora lo sguardo dalla croce.
- Si, infatti! La fate troppo tragica! C’è poco da fare, se qua c’è stato un incendio, vedi che è facile che tu sia finita, in qualche modo, lontano dagli altri a perdere la memoria. Se poi le ricerche non sono state fatte bene, non è colpa nostra! Non è un dramma, andiamo dalla polizia e denunciamo la cosa. Insomma, non può mica rimanere morta per lo stato! -
Logica inoppugnabile, peccato per il tono sbrigativo e poco carino. Nike si scosse e guardò le due ragazze, poi posò lo sguardo su Luca e improvvisamente capì che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Come se non solo le parole, ma anche lo sguardo sereno e finalmente disteso di Luca la calmasse, la riportasse alla realtà, l’aiutasse concretamente.
- Si… -
Disse incolore.
Il vento cessò e i capelli si tornarono a posare sulla schiena e un po’ sul viso.
Quando si girò per guardare i suoi compagni di viaggio e avventura, con un aria tirata che si sforzava di convincersi di quanto fosse stupida a rimaner male per una simile sottigliezza, vide qualcosa che attirò la sua attenzione.
Qualche metro dietro di loro, che li fissava stordita, c’era una ragazza poco più piccola di lei, accompagnata da un adulto.
Era bassa e mingherlina, lineamenti delicati e molto infantili, boccoli biondi le incorniciavano il viso un po’ scomposti per il vento appena passato.
Stringeva fra le mani una rosa bianca.
Aveva un espressione facciale pressoché sconvolta.
In quel momento un telefono squillò spaventando un po’ tutti per il silenzio che era calato.
Astrid rispose al cellulare e mentre accadeva, qualcosa si accese in Nike.
Conosceva quella ragazza.
Ne era certa.
La voce di Astrid parlò seccata come suo solito e disse:
- Lene, che vuoi?-
Lene era Selene, la loro sorella rimasta a casa, con mille borbottii e contrarietà.
Lene.
Lene.
Quel volto.
Non quello della sorellastra a casa.
Lene le aveva sempre richiamato un mal di testa eccessivo, un volto diverso da quello di Selene.
Un ricordo lontano, la sua voce che diceva ‘Lene‘ affettuosamente, come se si rivolgesse ad una specie di sorellina minore.
Fece qualche passo in avanti e finalmente anche gli altri notarono le altre due persone.
Chiesero qualcosa, salutarono, forse. Nike non avrebbe saputo dirlo.
Il volto di quella figura fine e magra che le stava davanti ora, Lene nelle orecchie, in continuo.
E un rimbombo lontano, una risonanza, un ‘è vero, è così, è lei, la conosco. È Lene…’ che si faceva strada.
Lei chi?
Confusione, caos, la testa si sforzava, ma non rispondeva alle sue domande ed un dolore acuto le assordò i timpani, si premette le mani alle tempie e con una smorfia di dolore attese che passasse… e fu quando la piccola disse con voce sottile e stupita:
- Oh mio Dio… Nike… -
Nella sua lingua, in tedesco, che il botto violento che sentiva in sé, sparì.
Lasciandole i ricordi tanto agognati.
- Lene… Marlene… sei tu… -
Sospesa fra il sogno e la realtà, mossero entrambi dei passi incerti, quando furono di fronte fu Nike ad alzare la mano per prima e posarla sulla guancia della bionda.
La toccò e fu certa di sapere chi fosse e di avere un posto di appartenenza, ricordò ogni cosa, la sua lingua madre, gli episodi passati in orfanotrofio con l’amica, i suoi malumori continui, il bene che aveva voluto a quella piccola personcina che aveva protetto fino all’ultimo, l’unica che mai fosse stata veramente sua amica.
Fu grazie al rapporto che c’era stato fra loro due, solido, forte, indissolubile, grazie alla rivelazione che quel sentimento perenne che lega, esiste, non è una banalità, e che si chiama amicizia, che fu permesso libero accesso alla sua memoria.
Poteva un amicizia arrivare e ridonare i ricordi perduti? A ricucire lo strappo che lo shock le aveva fatto subire?
Quanto forte poteva essere un rapporto umano?
Così tanto?
Si.
Lacrime scorsero lungo le guance di Nike, lacrime candide, di liberazione, come se l’oppressione che le schiacciava il petto da sempre fosse fumata, evaporata.
Come se fosse finalmente libera.
Si piegò sulle ginocchia, piangendo, vergognandosi di quello, ma stando infinitamente meglio.
Marlene rimase di sasso anche lei, per tutto, per la reazione di Nike, per averla ritrovata, per aver scoperto che non era morta… che poteva riaverla, ringraziarla della vita salvata, aiutarla concretamente, restituire il bene che le aveva dimostrato, essere sua sorella veramente, almeno per un pezzo di carta scritto da qualche parte.
L’abbracciò forte con un esplosione di emozioni troppo violente per una delicata come lei, e pianse accompagnando le lacrime dell’amica ritrovata.
Non mille domande di rito, normali. Non cercare di riprendersi, comporsi, capire, sapere i perché, i come, i se, i ma, i dove… nulla… solo una frase dettata dal profondo affetto e desiderio che aveva provato dalla notizia della morte dell’amica.
- Nike… rimani con me, ti accoglieranno, sarai finalmente mia sorella, ti prego… come sognavamo; essere adottate dalla stessa famiglia. Per me lo faranno, non hanno problemi… sono speciali, vedrai. Rimani con me… -
Non per egoismo, non perché non ci arrivava da sola, ma perché, semplicemente, le voleva così bene che non voleva perderla di nuovo.
Elisa, Astrid ma soprattutto Luca fecero molta attenzione a quanto sarebbe successo dopo, stupite e contente (compreso Luca), per quanto stavano vedendo, si trovarono subito a storcere il naso e ad incupirsi a quelle richieste.
Ma se il volere di Nike sarebbe stato quello, non avrebbero obiettato.
Nike si fermò di colpo e si staccò, la guardò profondamente negli occhi con ancora molto stupore per tutto, soprattutto per quell’ultima frase.
Non riusciva a riflettere, era stato un momento troppo intenso per lei. Non era sicura, non sapeva, non capiva; fragile come mai lo era stata si chiese cosa dovesse fare e rimanendo a terra guardò di scatto le due sorelle, senza osare guardare Luca.
Fu Astrid a parlare per prima, risparmiandolo ad Elisa, che sapeva quanto teneva a quella piccola bambina.
Fu dura, come solo riusciva ad essere quando qualcosa le premeva veramente.
- Se lo desideri… -
- Come? -
Mormorò insicura Nike.
Luca la guardò sperando che non lo facesse, che non lo dicesse… Elisa chiuse gli occhi preparandosi:
- SE LO DESIDERI! -
Urlò arrabbiata. Nei suoi piani doveva controllarsi e non far capire la sua contrarietà, per legarla a sé il meno possibile, per lasciarla più libera, però sapeva che sarebbe finita così.
Elisa si inginocchiò davanti alle due e parlò come lei sapeva fare, dolce e paziente, con un dispiacere nello sguardo:
- Tesoro, non devi sentirti in obbligo, tu devi fare le scelte che vuoi, hai sofferto tanto ed è giusto che vai nel posto che senti tuo… -
Luca non seppe dire o fare nulla, lo shock per la possibilità di perdere una persona come Nike, nuova sorella, nuova amica, lo lasciò inebetito, indietreggiò e non riuscì nemmeno lui a nascondere ciò che aveva dentro.
Troppo limpido come il suo azzurro sguardo cristallino.
Una preghiera continua… ’non andartene, non andartene, non andartene…’
L’occhiata successiva su cui si posò Nike, fu proprio per lui.
Non importava nulla, se lui le avesse chiesto di rimanere sarebbe rimasta.
Fu una verità appresa in un secondo, un lampo.
Era questo che voleva.
Non far star male lui che l’aveva aiutata più degli altri, vero era però che tutti avevano fatto molto per lei.
Che dopo la fatica di essersi esposta, ambientata ed aver accettato quella strana ma affettuosa famiglia, aveva anche imparato a viverci.
Cosa significava?
Starci anche bene, al suo interno.
Sentirsi a posto… a posto.
Era questo il punto, si sentiva parte di un famiglia, ormai Udine era la sua casa, se sarebbe tornata da qualche parte, sarebbe stato quel posto, da quei genitori, da quelle sorellastre e da quel fratellastro, amico, compagno.
Quel punto di riferimento fermo e sicuro che ora indietreggiava impaurito da qualcosa, da lei, dalla sua risposta.
Ecco cosa voleva lui.
Che lei rimanesse nella sua famiglia, con lui.
Lo sentiva, ne era certa, ormai lo conosceva.
Così le lacrime furono asciugate dal suo dorso, si alzò in piedi alzando anche Marlene, le tenne le mani stringendole forte e parlò sicura, non più sconvolta, con una grande forza interiore, una volontà di ferro, un’anima incrollabile.
- Lene, ti ringrazio per quello che mi hai detto, vorrei accettare, è il desiderio più grande che ho avuto da sempre. Lo sai il bene che ti voglio, specie ora, dopo tutto quanto… ma non è giusto, sai? Nei confronti di chi mi ha aiutato ora, mi hanno tolto dalla strada, hanno impedito che morissi di fame e malattie, mi hanno dato la salute, la vita, una memoria, un affetto… qualcosa da tenere per me e me solo, di cui andarne fiera, mi hanno dato una famiglia, qualcosa a cui tutti agogniamo. Il mio posto è con loro. -
Le lasciò un attimo per incassare il colpo, poi si sollevò sentendo la sua risposta.
Un abbraccio spontaneo e stretto.
- Non importa, va bene lo stesso, sono contenta per te… possiamo vederci lo stesso. -
E lei ricambiò l’abbraccio.
Sorrise leggera.
Stava bene.
Aveva trovato il suo posto.
   
 
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