Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: GaTTaRa PaZZa    09/01/2011    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se Ryou e Keiichiro avessero scelto altre ragazze con il DNA compatibile a quello degli animali codice rosso? Se invece di Ichigo, Minto, Zakuro, Purin e Retasu avvesero trovato altre candidate?
Questa fiction è un adattamento delle puntate dell' anime secondo il carattere di queste altre mew mew (vedrete moltissime similitudini e citazioni, le battute a volte sono anche le stesse, a volte con varianti). Noterete che le mew mew non saranno cinque, ma ben sette. Sono ispirate alle mie amiche più intime, non potevo tralasciarle!!
Spero vi piaccia, commentate negativamente o positivamente, voglio sincerità! :)
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In una dimensione azzurra come un mare tropicale, inquietante e vuota come un maniero medievale, una voce cristallina e raggelante spezzava quell' insolito silenzio, rendendo il tutto ancora più inquietante...
«Ci sono alcuni elementi di disturbo nei nostri piani la cui presenza non era prevista... hanno già eleminato due dei nostri Chimeri...»
«Così sembra» fu la risposta irritata ma rispettosa della seconda voce, più umana e calda, da ragazzo.
«Kisshu: scendi sulla Terra e scopri fino a che punto possono ostacolare le nostre mosse»
La nebbia bluacea si diradò un poco, mostrando un' ombra di un volto delicato e indefinito, sicuramente non Terrestre...
«Come desideri» mormorò quello, abbattutto ma deciso a svolgere il suo compito.
E poi, svanì nel nulla.

***


«Oh dannazione!!!!! Mi sono dimenticata di comprare il dizionario d' inglese!!!!! Fra un' ora inizia la scuola, ahimè, e non ho preso quel dannato vocabolario?!?! Ma dove ho la testa?!?!» borbottò la nostra Satō, mentre un centinaio di sguardi perplessi la squadravano da capo a piedi mentre correva come una scema per le vie. Ma se ne fregava della loro opinione: lei poteva parlare da sola come e quando le pareva, accidenti!
Era così distratta e infuriata dalla sua disattenzione, che non si accorse neppure che le sue gambe coperte da calze bianche tagliate al ginocchio avevano deciso di svoltare l' angolo... e KA-BUM!!!!!
«Ma porca miseria!!» gridò la ragazza con cui era andata a sbattere: era magra e secca come uno stecchino, aveva capelli biondi inusualissimi, a boccoli, così ben curati che sicuramente erano freschi di parrucchiere. Occhi verde prato con un tocco di giallo, agghindati da leggero ombretto verde acqua e rimmel nero.
Le labbra sottili, coperte di lucido perlaceo, erano strette dalla rabbia.
Indossava la stessa identica divisa scolastica di Satō.
Era andata a sbattere contro una... GAL!!!!!!!!!!!!
«Senti cocca: io mi sono tutta tirata a lucido per il mio primo giorno di scuola, e tu mi butti su questo lercio asfalto così?! Maddove?!» la rimproverò la Gal, anche se, notò l' orsetta, quella parlata non era affatto da gal: per prima cosa, il tono di voce era decisamente burino (nulla a che vedere con il tono stizzito e altezzoso delle truzze) e le parole erano troppo alla buona rispetto alle offese acide e indispettite della normale gal giapponese.
«Scusa, mica l' ho fatta apposta, ciccia! Stai calma, non ho architettato un attentato per ammazzarti!» replicò offesa la moretta, e senza dire una parola, l' aiutò ad alzarsi e le raccolse la cartella blu porgendogliela in silenzio.
«Oh. Ok. Grazie!» trillò l' altra, con un sorrisino affettuoso. Sembrava che l' incazzatura le fosse passata subito... "Questa è decisamente lunatica" pensò a sopracciglia inarcate Satō, mentre incrociava le braccia e l' osservava con attenzione: sulle dita portava uno smalto verde fosforescente, decisamente osceno.
«Di nulla figurati... non ti sei fatta niente vero? Tutto a posto? Non ti sei neanche sporcata...» domandò la mew mew con fare indagatorio, controllando la salute della tipa. Anche quella ragazza era stupenda: di più, una delle persone più belle che avesse mai incontrato.
Però era troppo complicata e... gal, per i suoi gusti.
E tutte le Gals sono pressochè identiche: egocentriche, eccentriche e superficiali.
«Se dici che i miei vestiti sono a posto, sono a posto anche io! Beh, forse ci si becca a scuola!» esclamò la bionda, riprendendo il suo cammino saltellando in maniera simile ad Heidi. Roba che una truzza non farebbe mai.
«Ma guarda un po' che gente si incontra in giro...» sospirò Satō, stanca e decisamente nervosa. Notò una scritta sulla cartellina blu, scritta sicuramente con una cencellina liquida: Sakuranbo Chukonen.
E riprese a correre, una lotta contro il tempo per raggiungere una libreria e prendere un tram prima che suonasse la campanella della sua prima lezione di scuola...

***


Alla fine, Satō e Sakuranbo arrivarono giusto in tempo a scuola, e il caso volle che finissero addirittura nella stessa classe, insieme a Kurumi ovviamente.
Kurumi si era fiondata tra le braccia di Satō appena l' aveva vista, e si erano tenute per mano per tutto il tragitto fino alla classe, stritolandosele involontariamente.
«Forza e coraggio, amica mia» aveva detto lei, prima di entrare nella porta dell' ignoto...
C'erano 28 banchi, molti della quale occupati da ragazzi e ragazze dal volto sconosciuto e anonimo... ma ce n' era una, con degli sfavillanti capelli biondi sul penultimo banco in fondo a destra, che non poteva passare inosservata. Anche una ragazza dalle fosforescenti mechès fuxia e occhialoni dalla montatura nera era altrettanto appariscente, ma era chiaramente una emo, e a quella categoria di gente non si dava mai troppa importanza.
«Ehi!!! Ma tu sei la tizia di prima!» aveva esclamato Satō, indicando la bionda.
Kurumi era rimasta zitta, perplessa, mentre seguiva la migliore amica che si sedette sul banco dietro di questa.
«Oh sì, tu sei la calamità umana che mi si è buttata addosso poco fa» concordò questi annuendo.
In quel momento entrò l' insegnante, e il chiacchiericcio informale e amichevole era svenito nel nulla.
«Konbanwa, ragazzi. Io sono il professor Kakogan, vostro insegnante di giapponese, storia e geografia. Il programma di oggi prevede lo spostamento in aula magna per ascoltare il discorso del preside. Dopodiché ascolterete i vostri senpai cantare l' inno della scuola e una volta in classe, risponderò alle vostre domande. Infine, sarete liberi di scappare!» spiegò lui, sperando di scatenere risate che non arrivarono.
«Ehmmm... beh allora facciamo l' appello!» propose, e iniziò l' elenco, che Kurumi ascoltava con attenzione.
Adorava collezionare nomi strani, e lei e Satō erano quelli più buffi che aveva mai sentito.
«Aiko Anata... Honama Akane...» cominciò, andando avanti così per un minuto. «Namiko chinatsu... Sakuranbo Chukonen... » a quel punto la classe ridacchiò, e Kurumi si appuntò il nome della ragazza bionda davanti con un interesse sincero. "Ciliegia Matura" pensò con un sorriso, constatando che lei si colorò della stessa tonalità del suo nome.
«Kona Satō...Kurumi Sheru...» e giù altre risatine. "Eh sì, guscio di noce fa grande effetto, come sempre" aggiunse mentalmente l' interpellata, sorridendo in maniera imbarazzata, sistemandosi gli occhiali scivolati in fondo al naso.
Alla fine, ad appello finito, Satō iniziò a chiacchierare sottovoce con Kurumi, eccitata ed agitata.
«Oddio, ti rendi conto che siamo di già alle superiori?! E siamo sempre state insieme dall' asilo?! Cioè è impensabile!» esclamò, senza smettere di lanciare occhiate in giro per la stanza.
«Sì che me ne rendo conto. Però credo che non sarà difficile integrarsi qua dentro: ce l' abbiamo fatta alle medie e alle elementari... e ora... e ora anche al liceo. Tsk, lo vedranno, queste aragoste bollite, cosa può fare il nostro duo!!»rispose Kurumi tronfia, convinta delle proprie idee. Per lei non è mai stato un problema conoscere gente: era una calamita per le persone fuori dal comune e in due secondi poteva decidere di odiare o amare qualcuno.
«Speriamo. Però io sono molto più perplessa riguardo alla difficoltà di questo istituto; non so se potrò farcela. Sai, lavoro part-time in un caffè vicino a scuola e mi stanco in una maniera assurda! Potrei dormire per una settimana di fila! Ed è tutta colpa loro, di quei gestori! Certo, la gentilezza di Keiichiro è così disarmante che non riesco ad arrabbiarmi, ma quel Ryou Shirogane è odioso! Mi sento proprio sfruttata! Mi stanno sfruttando, altrochè! Ma per chi mi hanno preso?! Per la loro schiava? Mi scaricano addosso tutto il lavoro senza darsi il minimo scrupolo! Ma se pensano di aver trovato un' allocca si sbagliano di grosso, oggi gliene dirò talmente tante che se lo ricorderanno per la vita! E nessuno di loro potrà zittirmi!» confessò l' amica, in preda a un improvviso istinto omicida non troppo credibile, se pronunciato sottovoce.
«Ma tu sei alle sue dipendenze. E' ovvio che ti sfruttino» ribadì l' occhialuta, obiettiva.
«Silenzio, silenzio ragazzi! Ci trasferiamo in aula magna. Mettevi in fila senza precipitarvi fuori come una mandria di buoi impazziti, ok?» interruppe Kakogan, e la classe si dispose ordinatamente uno dietro l' altro.
Una volta in aula magna, le matricole si sedettero su delle sedie, e Kurumi notò che quella Sakuranbo Chukonen si accomodò di fianco a Satō.
Arrivò il coro della scuola, che intonò l'inno della Akamura.
«Porca paletta questi qui non sanno mica comporre musica!!» bisbigliò Chukonen, con approvazione delle altre due.
«Veramente! Sarebbe meglio anche una canzone sugli ornitorinchi, a questo punto... chissà poi perché nessuno l'ha mai composta...»osservò Kurumi gentilmente e un po' pensierosa.
Da quei commenti, le tre iniziarono a borbottare ininterrottamente per tutto il tempo che rimasero sedute: parlarono delle loro medie, dei loro gusti, della nuova scuola e diversi annedoti divertenti sulle loro vacanze.
Sakurabo non era affatto una Gal, come aveve invece ipotizzato Satō, ma semplicemente una ragazza a cui piaceva andare in ghingheri. Amava la moda e le piaceva spettegolare sui ragazzi, ma era davvero simpatica.
Un po' troppo diretta forse, ma decisamente buffa.

***


La giornata alla fine terminò; Satō salutò Kurumi, che veniva sempre accompagnata dal padre, e si incamminò con Sakurabo a prendere il tram, che scoprirono essere lo stesso.
«Mamma che giornata!! Cioè ma ti immagini?! Dovremo prendere questo tram per altri tre anni!! Impensabile!» esclamò la bionda, la mano con le unghie fosforescenti strette a un palo.
«Veramente. E dovremo indossare questa divisa per tre anni! Che schifo!» mugugnò Satō, ancora in shock per il fioccone rosso sul petto e la gonna a sbuffo.
«A me piace!! Mi sembra di essere una bomboniera!» commentò Sakuranbo estasiata, battendo le mani per la contentezza.
«Satō!Satō!». Quella vocetta stridula... altri non poteva essere che Mash!
«E questo cos'è?» chiese Chukonen, evidentemente incuriosita da quel suono buffo. Tutti i passeggeri del tram continuavano a parlare tra loro: chi leggeva un giornale, chi stava al computer, chi messaggiava... tutti erano distratti, tranne, ovviamente, la biondina che ora guardava Satō con gli occhi verdi tutti scintillanti.
«E'.. ehm... la suoneria del cellulare personalizzata!» si inventò, tirando un pugno nella tasca della giacchetta, dove stava il robottino.
«C'è una mew mew! Una mew mew!» insistette Mash, che cominciò a vibrare furiosamente.
«Beh? Non rispondi?».
Satō non sapeva più che fare. Tirò un' altro pugnetto nella tasca e si guardò intorno. C' erano miliardi di ragazze della sua età, là dentro. Era impossibile sapere qual' era quella giusta! «Tanto è sicuramente mia mamma e preferirei non parlarle adesso...» improvvisò, arrampicandosi sugli specchi; specchi appena lucidati, scivolosissimi.
«Un alieno! Un alieno! Guarda fuori!» continuò la creaturina rosa, ignorando i cazzotti della padrona. Tanto era un robot: mica poteva star male.
«Che suoneria strana!» trillò Sakuranbo, interessata, ma la bruna non l' ascoltava. Si spiaccicò al vetro del mezzo, ma era troppo veloce. Tutto quello che era riuscita a vedere era una macchia verde e rossa in cielo.
"Un... alieno?!?! Ma... ma... non ne ho ancora affrontato uno!" pensò, spaventata.
«Ouuu, Kona? Non darai mica ascolto alla tua suoneria!!» sbottò l' altra, offesa e irritata. A quanto pare, non le piaceva essee ignorata.
"Non posso trasformarmi sotto gli occhi di tutti... dovrei scendere alla prima fermata? Ma ormai è troppo distante per raggiungerlo..." continuò la moretta con il suo ragionamento, non ascoltando minimimamente la conoscente. «No, no» rispose distrattamente, e si rigirò a fissare un faccino scocciato come questo: -.-^
«Ah ecco.. senti, hai un elastico? Non sono abituata ad avere i boccoli che si sbatacchiano qua e là mentre mi muovo!» domandò, rigirandoseli tra le dita sottili e affusolate.
«Sì,sì». Ormai si esprimeva solo a monosillabi. Le passò un elastico blu banalissimo, mentre rimuginava sulla strana vita che stava conducendo. Poteva trasformarsi. Poteva affrontare chimeri. Doveva trovare le altri componenti della squadra. Doveva andare bene a scuola. Doveva tenere tutto nascosto. Che vita difficile!!!!!!
Sakura si legò i capelli in una coda bassa lasciando un boccolo a penderle a lato del viso.
E Satō la fissò. La fissò con un' espressione sollevata e felice.
«Chukonen, te lo sei fatta tu quel tatuaggio sotto l' orecchio?» chiese con indifferenza, tanto per esserne sicura.
«TATUAGGIO?!?!?! Aaaaaaaaaaaaah! Parli di questo coso qua?! Ah no io credo che mi abbia sporcato quell' idiota di mio fratello con un pennarello indelebile mentre dormivo, a dir la verità» raccontò l' interpellata scuotendo la testa con fare rassegnato.
«Questo è quello che credi tu», affermò l' orsacchiotta con un sorrisino colpevole: il segno che la bionda aveva sulla pelle non era pennarello, ma il simbolo di riconiscimento delle mew mew. A forma di code intrecciate.
«Che intendi dire?!» protestò Sakuranbo con le sopracciglia inarcate, confusa.
«Beh, dovremmo tornare indietro... vicino a scuola c' è un Caffè e...»
«Il caffé di cui parlavi con Sheru? Cosa c' entra?»replicò scettica e sospettosa l' altra, assotigliando lo sguardo.
«Sì quello. Beh, capirai in seguito. Vieni, scendiamo qui» decise , prenotandosi la fermata. Nel frattempo, inviò un messaggino a Kanzō: "Vieni subito al Caffè".
Sakuranbo, sotto schok, venne prelevata bruscamente dalla bruna, e presero un autobus senza prendere nemmeno il biglietto -e via rimproveri da parte della bionda- e, ignorando i continui strilli della compagna, Satō riuscì a trascinarla al Caffé Mew Mew.
«Smettila!! Adesso la pianti di manovrarmi come una bambola! Devo tornare a casa, mica posso perdere tutto 'sto tempo!! Okasa mi ucciderà!» si ribellò Chukonen scontrosa e piuttosto diffedente.
«Il destino del mondo è molto più importante di un ritardo» commentò lugubre l' orsetta. Adorava dire frasi del genere. «Mew Satō Metamorphosis!» esclamò, subendo la solita trasformazione sotto lo sguardo sbarrato della ragazza.
Siccome la mew mew bianca era tutta presa dalla metamorfosi e Sakuranbo era troppo allibita, nessuno delle due si accorse di una presenza che levitava nei pressi del tetto del Caffè...
Aveva occhi gialli che scintillavano come oro liquido, pelle bianca e capelli verde scuro legati in due code basse laterali al volto.
Teneva le braccia incrociate, e osservava la scena davanti ai suoi occhi con sospetto e interesse. Poi, a sorpresa, rise di gusto, divertito. E svanì, senza che nessuno l' avesse visto...
«Come diamine hai fatto?!?!» urlava la bionda, a bocca aperta, indicando i vestiti e i tratti animaleschi.
«Tsk. Ce la puoi fare benissimo anche tu... Mash!» chiamò la moretta, e il robottino cominciò a svolazzare attorno a Sakurabo, che se ne stava impalata e impacciata a guardarlo: il cosino le fece cadere in mano il solito ciondolo dorato con uno strano simbolino sopra finemente intagliato. «Beh, cosa devo fare?» chiese, scettica.
«Secondo me dovresti provare qualcosa come: Mew Sakuranbo Metamorphosis. Dovrebbe funzionare» optò Satō cautamente.
Pensava che, dato che anche Kanzō diceva la stessa cosa, bastava cambiare solamente il nome.
«Mew Sakuranbo metamorphosis!» provò, e subito si trasformò: nascosta in un fascio di luce rosso sangue, alla ragazza spuntò una coda affusolata arancione a strisce nere, mentre al posto della gonna a sbuffo apparirono dei cortissimi shorts bordeaux. La camicia scomparve e si materializzò un corpetto che lasciava scoperta tutta la pancia (dello stesso colore dei pantaloncini) e quei bellissimi capelli dorati si colorarono di un rosso intenso, tramonto, e un paio di orecchie feline le apparvero sulla testa. «Grrrr!» si ritrovò ad esclamare, facendo un gesto con le mani che sembrava una specie di graffiare.
«ODDIOOOOOOO! Sono una tigreeeeeee!» strillò, toccandosi le orecchie imbarazzata, e notando con piacere che il designe del costume però le piaceva parecchio (a parte gli sbuffi sulle maniche). La fascia sulla gamba destra dava un tocco di originalità al tutto, come il ciondolo ora appeso al collo.
«Visto? L'ho detto che anche tu ce l' avresti fatta! Sei speciale. Come me. Vieni, entra al Caffè, Ryou e Keiichiro ti spiegheranno tutto con calma. Non scandalizzarti»

***


Ed è così che Sakuranbo Chukonen venne a sapere del progetto mew: scoprì che doveva combattere strani esseri col nome di "chimero", creature parassite inviate dagli alieni, che ogni pomeriggio alle due doveva venire al Caffé per lavorare come cameriera e indossare una divisa sfarzosa color lampone del tutto identica a quella bianca di Satō.
Conobbe il gentile proprietario Keiichiro e il biondo Ryou, che con lei non era poi così antipatico, e l' altra componente della squadra, Kanzō Jundo, una ragazza dai lunghi capelli neri con il DNA mischiato a quello del pipistrello vampiro carina e gentile, nonchè riservata ed introversa che scoprì essere la stessa che le aveva aizzato contro il Dobermann bavoso.
Capì che doveva tenere nascosto a tutti il fatto di essere una mewmew, una ragazza capace di trasformarsi in animale (anche alla sua grande amica Dai Uikyo e a Itsuki Funsui, il ragazzo che tanto le piaceva) e che la sua vita sarebbe presto diventata un inferno per colpa della Tigre della Malesia che aleggiava nelle sue vene.
Sua madre la chiamò diecimila volte, e alla fine Sakuranbo le dovette spiegare che non poteva tornare a casa perché aveva trovato un lavoro part-time in un bar vicino a scuola e insistette per ore a convincerla che era la verità: data l' enorme pigrizia della figlia, la donna non credeva affatto alle sue parole. Cedette solo quando la bionda le passò il mite e gentile proprietario Keiichiro, che con un tono suadente e convincente le assicurò che la sua pargoletta lavorava da lui.
Beh, "lavorare" è una parola grossa: se ingozzarsi di dolcetti gratuiti (il moro l' aveva avvertita del fatto che le sue cameriere mangiavano i suoi dolci gratis) guardando le altre due sgobbare significa "lavoro", avvertitemi!
La ragazza scoprì che la strana suoneria della sua amica orsetta non era una vera suoneria, ma la voce di un delizioso robottino rosa di nome Mash che le aiutava nella missione e che ogni giorno veniva scambiato tra Satō, Jundo e lei.
A proposito di Mash: la tasca del giubbottino scolastico di Sakuranbo stava iniziando a vibrare furiosamente, e altri non poteva essere che la creaturina rosa che teneva nascosta là. «Sakuranbo, Sakuranbo! C'è un alieno!» squittì appunto.
«Mabbella! Per me ti stai sbagliando: le ordinarie persone di fianco a me sono tutte normalissime» ribadì scettica la padrona, fiera del fatto di essere diversa dalla massa.
«Invece c'è! Devi credermi!» protestò la tasca, offesa e cocciuta.
«Secondo me non funzioni mica tanto bene... alla fine sei solo un pupazzo parlante,no? Non credo che tu sia così esperto...» rifletté ad alta voce la tigrotta, gli occhi luccicanti all' idea di giocherellare con il povero Mash.
Aveva deciso che appena lo portava al sicuro in camera, lo avrebbe torturato a non finire. Ecco che si spiega il perché la ragazza non aveva animali domestici...
«Eccoti qui» constatò una voce maliziosa. Maliziosa e stranamente inquietante: la classica voce di un ragazzaccio malintenzionato dei quartieri poveri di Tokyo.
Sakuranbo si paralizzò un secondo: era finita in una via deserta, e si guardò intorno per capire a chi appartenesse quella voce. Ma non vedeva nessuno.
Il cuore cominciò a rimbombarle nel petto, agitata e pentita di non aver preso la fermata dell' autobus più vicina.
«Ero curioso di vedere chi stava mettendo i bastoni tra le ruote, e la mia curiosità è stata appagata.Ti confesso che mi piaci» aggiunse la voce, diventanto sempre più maliziosa e di conseguenza sempre più angosciante.
E Sakuranbo finalmente lo vide: una figura esile e distante che svolazzava sul tetto di un alto palazzo di uffici.
L' istinto le diceva di correre, correre via più velocemente possibile da quel tipo. Ma le gambe, e tutti i muscoli del suo corpo si erano congelati all' istante.
In un secondo, vide quello precipitarsi in picchiata verso di lei.
Tum. Tum. Tum-tum-tum-tum! I battiti cardiaci aumentavano a dismisura, convinti che presto si sarebbero bloccati definitivamente per mano di quell' essere.
Stava per morire? ...no.
Stava venendo baciata: un bacio lungo e lieve, incredibilmente delicato e freddo, per nulla irruento o aggressivo.
La bionda era paralizzata dall stupore: il suo primo bacio... era stato rubato da... da un' elfo con i capelli verdi?!?!
Subito si sentì montare la rabbia: quel dannato, odioso, sfrontato essere aveva bruscamente distrutto le sue fantasie amorose con Itsuki Funsui. Non ci sarebbe più stato un romantico tramonto in spiaggia, non ci sarebbe più stato un tenue chiaro di luna a incorniciare il momento... non ci sarebbe mai più stato un primo bacio...
Furiosa, stava proprio per tirargli una pesante cinquina, quando lui si separò.
Un sorrisetto compiaciuto accompagnava lo sguardo scaltro e soddisfato che traspariva da magnetici occhi color dell' ambra.
Il ragazzo aveva capelli verde muschio legati in due code ai lati del viso e pelle bianco latte, e possedeva strane e anormali orecchie a punta, da elfo.
Aveva un corpo molto magro, quasi anoressico, e la maglietta corta a scollo V marrone lasciava scoperta una pancia esile e un ventre piatto: si potevano intravedere gli ossi del bacino.
Indossava dei pantaloncini a sbuffo verdi coperti da una stoffa dello stesso colore della maglietta, e sulle braccia e sulle gambe portava fasce rosso bordeaux.
«ciao» disse quello, in tono lascivo e irritante.
«M-ma... tu... chi diamine sei???????» urlò allibita Sakuranbo, in un comico miscuglio di odio, stupore e paura.
«Mi presento! Il mio nome è Kisshu» disse, e si leccò le labbra pallide, gesto che innervosì la mew mew ancora più del dovuto. «ah, grazie per il bacio,konenko-chan» buttò lì, ironico e decisamente divertito. (N.B= koneko vuol dire "gattino").
«MA COME TI PERMETTI!!» strillò la ragazza, arrossendo da capo a piedi, adirata e imbarazzata come mai in tutta la sua vita.
Aveva voglia di ucciderlo: farlo a pezzettini, quell' infame!!!!!
Kisshu ghignò, mostrando i canini appuntiti, indifferente all' isteria della biondina. «Per oggi è tutto. Sono passato solo a salutarti»concluse, cominciando a levitare nuovamente per aria, facendosi beffe della legge di gravità di Newton. E poi, come una goccia che cade su uno specchio d' acqua, svanì del nulla.
«Visto? Te l' avevo detto che c' era un alieno!» le rinfacciò Mash dalla tasca, mentre Sakuranbo, rossa come una ciliegia appunto, combatteva l' istinto di mettersi a piangere in mezzo alla strada...

  
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