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Autore: vul95    12/01/2011    2 recensioni
In poco meno di un anno, aveva trovato la sua professione, il suo mentore e la sua famiglia.
*
Aveva girato mezzo mondo. Forse era ora di tornare a casa.
*
La soluzione dell'enigma è semplice. La soluzione dell'enigma è lui.
... Ma quanto tempo si dovrebbe impiegare, per capirlo?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 2- Why YOU? Why HERE? Why NOW?

.Around Him

Chapter Two: Why YOU? Why HERE? Why NOW?.

 

Thalassa quella mattina era andata a fare la spesa.

Avendo passato una vita intera su un palcoscenico, non era molto abituata a quel tipo di commissioni, ma in ogni caso se la cavava egregiamente.

E poi, ora, aveva due figli di cui occuparsi.
Non era stato poi così complicato rivelare a quei due ragazzi di essere loro madre.

Per quanto riguarda Trucy.

Thalassa ricordava benissimo la sensazione di ansia, gioia e trepidazione che l’aveva afferrata poco prima di entrare nell’ufficio di quella stramba agenzia. Ricordava anche il calore della mano di Phoenix che si posava sulla sua spalla, per farle coraggio, ed il suo sorriso un po’ malinconico.

Poi era entrata ed aveva detto tutto. Come una diga che si spezzava sotto la potenza della corrente.

La piccola Gramarye, dopo qualche secondo di mutismo (durante il quale Thalassa aveva temuto di non riuscir ad essere accettata come ciò che si stava mostrando), le era saltata al collo come se avesse sempre saputo che lei fosse la sua mamma, in silenzio. Ma la donna aveva potuto percepire il sorriso della ragazza sul suo collo, trasformatosi poi in una risata, oltre alla stretta soffocante che gli cingeva il collo.

Con Apollo era stata un po’ più… Burrascosa, come cosa.

Mentre lei raccontava, l’aveva visto strabuzzare gli occhi, diventare rosso, poi viola, avere un principio di infarto e infine era quasi svenuto. Era rimasto zitto anche dopo che la sorellastra era partita di slancio per strangolare la donna, come stesse a rimuginare su qualcosa di complicatissimo; lo sguardo fisso dritto davanti a sé.

-Ahah.- aveva deglutito una falsa risatina nervosa, portandosi una mano dietro il capo. Poi si era stropicciato i pantaloni rossi, mentre gli occhi di Thalassa si posavano dolci sui suoi.
Cinque minuti dopo, i pantaloni erano da buttare, Trucy aveva smesso di ridere e fissava Apollo con un mezzo sorrisetto e gli occhi lucidi, e come Thalassa tentava di incitarlo a… fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

Allora Apollo aveva deciso di rimandare tutti i pensieri logici a più tardi, aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime, e come la sorella, si era buttato al collo di Thalassa, che tutto si aspettava tranne una reazione così… calorosa (si era figurata urla, dita puntate e robe del genere). E, semplicemente, aveva preso a singhiozzare come un bambino.

I chiarimenti li avrebbe avuti più tardi.
Trucy aveva ricominciato a ridere, ma piano piano, non riuscendo più a trattenersi, aveva preso l’esempio del fratello come buono e misto alla risata era arrivato anche il pianto.

E Thalassa, per non fare la terza incomoda, aveva seguito a ruota i figli, sorridendo ed accarezzandoli in mezzo alle lacrime, felice più che mai.

Quelle sensazioni non le avrebbe dimenticate mai. Mai.

Per strada aveva incontrato Phoenix che tornava verso l’ufficio, il solito cappellino azzurro in testa, la solita barba ispida ed incolta sul mento, la solita tuta scura e le solite infradito che, Thalassa ed Apollo avevano concordato, stonavano in maniera indicibile col resto.

Camminava lento, un passo dopo l’altro, e fissava la strada sotto i suoi piedi, le labbra contratte come se dovesse fischiare, dalle quali però non usciva alcun suono.

Lo aveva chiamato con la mano alzata, e lo aveva raggiunto.

I soliti saluti, le solite risatine di circostanza.

-Passi in ufficio?-

-Ah-ah.-

Phoenix gli prese dalle mani le buste della spesa.

Avevano cominciato a darsi del tu da poco tempo.

Il loro rapporto era molto buono, e non solo perché erano la madre ed il padre della stessa ragazza; Thalassa doveva molto a quell’uomo che l’aveva ricongiunta alla sua famiglia, e Phoenix era felice di aver ritrovato la madre di sua figlia. E la madre del suo allievo.

Avevano fatto la strada del ritorno insieme, chiacchierando del più e del meno.

-Trucy ha preso un bel voto, a scuola.- sorrise Thalassa –Va sempre meglio, i professori ne sono entusiasti.-

Phoenix sorrise, alzando lo sguardo, socchiudendo gli occhi per il troppo sole –Apollo comincia a farsi conoscere. Ha sempre più richieste di difesa.- non lo dava a vedere, ma era parecchio orgoglioso.
La donna prese a legarsi i capelli, e con il laccio tra i denti, sorrise –E tu?- chiese.

-Mmh. Io cosa?- vagheggiò l’altro, facendo vagare lo sguardo per la strada. Erano quasi arrivati.

Imboccarono la porta del palazzo dove si trovava l’ufficio.
Thalassa ci mise un po’ a rispondere.

-Tu quando ricomincerai a ricevere richieste di difesa?-

Phoenix la fissò, lievemente sorpreso, ma poi tornò al solito atteggiamento di sempre, sbottando in una lieve risata delle sue.
Aveva imparato a parlare con quella donna come se la conoscesse da una vita. La considerava una sorta di “mamma” anche lui, e spesso si rendeva conto di provare stima nei suoi confronti, per la sua forza d’animo e la sua voglia di ricominciare.

E non discuteva mai, con lei. Mai. Si era ripromesso di non farlo da quell’incidente.
Si fece largo nel corridoio che conduceva fino alla porta dell’ufficio, e con le buste ancora in mano poggiò una mano sul pomello della porta.

Indugiò qualche secondo.

-Spero presto.- sussurrò. Thalassa udì quel suono impercettibile e sorrise. Lui si voltò e increspò le labbra in un altro sorriso. Poi, aprì la porta.

-... Papà!- la voce di Trucy mentre faceva capolino dalla porta.

Apollo.

E qualcun altro.

Un nuovo talento.

No.

Qualcuno di familiare. Un vestito rosso. Dei capelli scuri. Un paio di occhi grigi.

Le buste della spesa gli scivolarono dalle mani, e con un tonfo caddero a terra.

 

*

 

Il telefono squillava da un quarto d’ora a vuoto.
Non era concepibile.
Attaccò con veemenza l’apparecchio, cominciando a battere ritmicamente il piede a terra, aspettando la chiamata.

Dopo qualche secondo rialzò la cornetta e ricompose il numero.

Nessuna risposta.

Perfetto.

Controllò l’orologio. Quasi le due di notte. In America dovevano essere circa le cinque e mezzo del pomeriggio, l’ora del suo arrivo. Eppure, non rispondeva nessuno.
Alzò gli occhi al cielo e si sistemò la vestaglia, picchiettando con le dita il ripiano scuro della scrivania.
Non avrebbe lasciato messaggi, ma avrebbe direttamente rimproverato quell’idiota non appena l’avesse richiamata.
Aveva urgentemente bisogno di quei Dossier, e se quel buono a nulla non glieli avesse mandati entro un paio di giorni, sarebbe andata a prenderli di persona.

-Herr Miles Edgeworth, giuro che non la passerai liscia, per questo.- Franziska Von Karma strinse tra le mani la sua adorata frusta, pregustando già il momento in cui l’avrebbe utilizzata.

*

Nella stanza il silenzio regnava sovrano.

Perlomeno, così viveva Apollo la cosa.

Al contrario, a Miles sembrava di sentire miliardi di vocine che si moltiplicavano nella sua testa.

Wright era di fronte a lui.

E oltre a lui c’era una donna.

E Little Houdini aveva chiamato qualcuno “Papà”.

Le possibilità erano due: o quel “papà”  era indirizzato all’uomo, cosa molto probabile; o quella donna era in realtà un travestito.

La logica di Edgeworth lo condusse senza dubbio a considerare la prima ipotesi, che, necessariamente, fece nascere nuovi quesiti nella sua mente.

Possibile mai che all’età di circa diciotto anni, quel cretino fosse andato a letto con una donna mettendola incinta, e che quella donna si fosse ripresentata anni dopo con una pargoletta, un delizioso sorriso e un “Ora te ne prendi cura anche tu”…?

Forse non era la sua unica figlia.
Fissò l’altro ragazzo.
Sembrava troppo grande.

Lo sguardo guizzò nuovamente su Wright.

Decisamente più alto di come lo ricordava, aveva della barba lasciata volutamente incolta sul mento, una tuta inguardabile un paio di infradito sotto di essa, peggio del cappellino azzurro che calzava in testa.

Possibile che avesse mollato la sua carriera di avvocato per recuperare il tempo perduto, e di conseguenza essersi ridotto a quel modo?

Non riuscì nemmeno a stupirsi dell’effetto che aveva avuto su di lui la cosa, visto che i suoi ragionamenti si erano prepotentemente accalcati uno sopra l’altro in pochissimi secondi.

E i suoi stessi ragionamenti furono, per fortuna della sua sanità mentale, stroncati dalla voce di Trucy, che aveva capito che qualcosa non stava andando per il verso giusto.

Quel Miles era bianco come un cencio e boccheggiava come un pesce fuor d’acqua.
-Papà, questo signore ti cercava.- disse ovvia, fissando suo padre, che, dal canto suo, era rimasto immobile come una statua sulla soglia della porta, gli occhi spalancati e le labbra contratte.

Thalassa cominciava a chiedersi chi fosse quello strano individuo nella stanza per far stare Phoenix a quel modo.

La situazione sembrava non volersi sbloccare, e, fosse stato per Miles, sarebbe anche andato bene, perché discutere con qualsiasi persona presente in quell’ufficio, che iniziava a sembrare decisamente stretto, era fuori discussione.

Poi, Phoenix parlò, come se si fosse risvegliato da un sonnellino pomeridiano, riprendendo possesso di sé –Ah, si?- si schiarì la voce, raccolse da terra le buste della spesa ed entrò nella stanza, seguito da Thalassa, che ad un cenno interrogativo dei figli rispose con un’alzata di spalle.

Compassato, l’ex avvocato difensore passò oltre Miles e poggiò le buste da qualche parte in mezzo al marasma della stanza, poi si voltò e sorrise, come se avesse visto il procuratore solo il giorno prima –Edgeworth.- salutò, per nulla imbarazzato.

Anzi, sembrava quasi infastidito, di vederlo.

Gli occhi di tutti erano puntati su di lui, ma non sembrava curarsene, anzi, con un cenno indicò la porta a Thalassa e agli altri, che eseguirono senza fare domande.

Quando la porta dell’ufficio si chiuse, il silenzio tornò simpaticamente ad aleggiare nella stanza, tanto per far sentire ancora più imbecille il povero Miles, che non aveva idea di cosa fare.

Qualche cambiamento si, se l’era aspettato, ma... Non così.

La prima cosa che riuscì a dire fu –… Perché porti delle infradito sotto una tuta?-

E Phoenix scoppiò a ridere, buttando indietro la testa, le mani saggiamente infilate nelle tasche della felpa –Sono comode.- rispose poi, fissando Miles dritto negli occhi.

Quest’ultimo era nel panico più totale. Lui, solitamente calmo e ragionevole, si trovava in una situazione assurda.

Si ridiede un contegno, e prese una bella boccata d’aria. Aveva molte domande che gli si affollavano in testa, ma non riusciva a domandare nulla.

-Come mai da queste parti?- lo precedette allora Phoenix, fissando il soffitto e dondolandosi avanti ed indietro, come se avesse voluto terminare quella discussione in fretta.

-…- mi ci hanno portato i piedi, era tentato di rispondere il procuratore, ma si limitò ad una scrollata di spalle.

-Devi esserti divertito, in questi anni.- sorrise nuovamente l’altro bloccandosi di botto.

-Wright, tu hai una figlia?-

-Si.-

Ok. Miles cominciava seriamente a temere che le sue supposizioni fossero vere.

-Però…- cominciò Phoenix, ma venne bruscamente interrotto da un’alzata di mano di Edgeworth –Non voglio saperlo. La vita è tua e io non c’entro nulla.- borbottò –Ero solo venuto a trovare un vecchio amico.- ammise, spostando lo sguardo su un piatto di spaghetti di plastica –E l’ho fatto. Me ne vado, devo ancora sistemare le valige.- in quel momento si ricordò che le chiavi di casa sua erano ancora attaccate alla porta e che le sue valige si trovavano ancora sul pianerottolo, sommerse da quintali di pacchetti regalo.

Imprecò mentalmente.

Wright rimase interdetto, ma poi si aprì in un altro sorriso –Bene, allora. E’ stato veramente un piacere rincontrarti. Ci si vede in…-

-Una domanda sola.-

Lo sguardo interrogativo del suo interlocutore spinse Miles a continuare.

-Sei ancora avvocato?-

Silenzio.

-No.-
Miles se ne andò dall’ufficio pochi secondi dopo, sbattendo la porta.

 

 

*

All right!

Ecco a voi svelata l’identità della donna misteriosa xD!
Ed è apparsa anche Franziska, oh yeah!

Ora, la reazione di Miles. Si, forse l’ho un po’ esagerata, me ne rendo conto.

Ma me lo immagino troppo a farsi seghe mentali per capire come possa Phoenix avere effettivamente una figlia.

L’eventualità che l’abbia presa in affidamento manco l’ha sfiorato, poverino xD *patta*

Comunque sia, i due non hanno avuto tempo di chiarirsi, e forse nemmeno vogliono.

Bah, chi lo sa *vagheggia*
Anyway xD Ringrazio moltissimo cicacica per aver aggiunto la fic alle preferite e ginnyx e Lusty per averla inserita tra le seguite!
Grazie!

Lusty: Mmh, l’idea di avere un orso gigante in casa mi piace. Però penso che poi mia sorella si nasconderebbe sotto il letto e non ne uscirebbe più xD
La storia doveva ovviamente essere ambientata ai tempi di Pollo! Sennò come la facevo la Apollo X Phoe... *tossisce* Uhm.

Trucy, ti anticipo, avrà un bel ruolo, ed anche Apollo. Klavier sinceramente non so ancora come inserirlo per benino, ma ho già qualche idea *si strofina le manine*

... Vogliamo parlare di Investigations? Ne vogliamo parlare VERAMENTE? *rabbrividisce* Voglio Apollo Justice 2, eccheccavolo >_>

Bhè, la reazione di Edgey non è stata proprio quella che avevi predetto ma dai, più o meno ci siamo, no xD!?

Grazie per i complimenti, spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Irene Kirsh: Grazie! Eheh, come vedi, Thalassa è la donna misteriosa! Mi spiace per tutti i fan di Maya *rotola*

Eggià, povero Edgey, è sempre così stressato… xDD!!
Grazie per la recensione, spero che questo capitolo ti sia piaciuto!!

Bien bien!
Alla prossima!
E ricordate... Il Samurai d’Acciaio combatte per voi! *fugge*

.Thanks For Reading

Greta.

  
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