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Autore: Ruri    12/01/2011    4 recensioni
Non c'è poi tanta differenza fra i vicoli malfamati di una città e gli spazi oscuri dell'Inferno: entrambi i luoghi possono ardere di fiamma imperitura. L'unica cosa realmente diversa sono le stelle: nel cielo del Meikai sono solo centootto, che brillano di una luce malefica e crudele. Questa è la storia di uno di loro e delle fiamme che porta con sé.
{Spectre-Centric; Nuovo Personaggio}
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In Flames

 

Capitolo I

 

 

Il piede scivolò di qualche centimetro e il ragazzino si fece sfuggire un grido d’irritazione dalle labbra, abbarbicandosi al costone roccioso per non cadere più in basso.

Una volta ritrovato l’equilibrio riprese a respirare, togliendosi i capelli resi umidi dal sudore dalla faccia. 

Camminare per le vecchie rovine era sempre pericoloso, ma Soheil non si faceva troppi problemi al riguardo. L’aria mistica, magica, che poteva respirare fra quelle vecchie costruzioni era motivo sufficiente per fargli correre qualche rischio. 

 

“Te ne torni fra i ruderi?” 

Amin lo prendeva in giro regolarmente per questo, piantandosi sulla faccia un sorrisetto strafottente. Lo stesso sorriso che ad ogni gara di corsa Soheil provvedeva a strappargli senza alcuna difficoltà.

Per quanto provassero, nessuno era più rapido di lui. Il che, oltre a divertirlo con i suoi coetanei, era anche comodo dal punto di vista professionale.

Quando passi le giornate a rubacchiare il possibile, devi mettere in conto di saper correre velocemente.

 

Il ragazzino riprese a camminare, quasi arrampicandosi fra le mura crollate, mentre i grandi rilievi di calcare venivano levigati dal vento che limava le espressioni di Re e generali e grandi sacerdoti di migliaia d’anni fa.

Soheil non si sentiva mai solo da quelle parti. Era sempre circondato da una folla silenziosa, una folla di dignitari, geni fantastici con quattro o sei ali, donne bellissime che mostravano pudicamente solo le caviglie alle occhiate invadenti di tutti gli altri.

E poi c’erano le scene di guerra.

Una guerra silenziosa.

Bellissima e ordinata come una danza.

Gli unici gemiti che Soheil udiva guardando quelle immagini erano provocati dal vento.

Si accucciò, sfiorando con le dita un rilievo rappresentante un carro da guerra. Chissà chi era l’uomo che correva così spavaldo alla battaglia.

La sua immagine era rimasta, ma il nome?

Sarebbe rimasto il nome?

No, certo che no.

Soheil ghignò. Che cosa stupida pensare di riuscire a guadagnarsi l’immortalità solo facendosi incidere nel calcare.

Come se l’immortalità servisse davvero a qualcosa, poi.

 

Gli ultimi raggi del sole illuminavano di rosso i ruderi di Susa, la Città dei Gigli. Sembrava un cimitero in fiamme. 

Con entrambe le mani Soheil spinse indietro i capelli, mugugnando. Era l’ora che preferiva quella: quando Susa si ammantava di vermiglio; ma non poteva rimanere a lungo. Farsi sorprendere dalla notte sarebbe stato quando meno sciocco, meglio tornare verso l’altra Susa, quella ancora viva.

Ridiscese agilmente e si mise a correre, evitando con un sorriso di sfida i vari ostacoli che la città in fiamme gli poneva davanti. Una svolta, un salto: facile.

Soheil gridò, mentre cadeva nel buio.


 

L’impatto con l’acqua fu qualcosa di devastante. Soheil percepì chiaramente il fiato che gli veniva aspirato fuori dai polmoni mentre tutto diventava tenebra. Per un istante perse completamente il senso dell’orientamento, intrappolato in un vortice d’acqua e bolle d’aria.

Cominciò a scalciare con furia, annaspando per riuscire a riconquistare la superficie malgrado i vestiti bagnati lo trascinassero verso il basso.

L’aria gli riempì di nuovo i polmoni e Soheil si guardò attorno, confuso. La schiena gli doleva a causa dell’impatto con l’acqua e sentiva in bocca e nelle narici uno sgradevolissimo sentore di marcio. Alzò lo sguardo, imprecando a mezza voce con respiro affannoso.

Riusciva a scorgere il cielo color porpora attraverso l’apertura da dove era caduto: una bocca circolare e frastagliata dalla quale era stato inghiottito senza pietà. Non era così lontano, il bordo. Ma due metri erano più che sufficienti.

Sguazzò fino alle pareti, percorrendole con le dita senza riuscire a trovare altro che viscido muschio. 

“Dannazione, dannazione, dannazione…” ripeteva la parola fra sé come un mantra, mentre sfregava con le unghie le pareti umide alla ricerca di un qualsiasi, dannato, appiglio. 

Per un istante la paura gli chiuse lo stomaco e percepì l’impellente desiderio di vomitare. 

Non sarebbe uscito di lì. Non da solo.

Sarebbe morto e avrebbero trovato il suo cadavere verdastro e gonfio d’acqua solo dopo molti giorni, sicuramente nessuno l’avrebbe neanche riconosciuto a quel punto.

Graffiò disperatamente il muro di quella che era stata un tempo, probabilmente, una cisterna, senza neanche accorgersi delle imperfezioni della roccia che gli scavavano rivoli sanguigni sui polpastrelli.

“Aiuto! AIUTO! QUALCUNO MI TIRI FUORI DI QUI!” gridò, prendendo a calci e pugni l’acqua.   La voce rimbalzò fra le pareti, rimbombando e stordendolo, ma all’esterno non arrivò che un flebile sussurro.

Fuori, il cielo color porpora virava al violetto.

 

Quando cadi, precipiti nel buio; quando ti abbatti sul fondo, sei nel buio; quando qualcuno copre l’ingresso, neanche guardando in alto riesci a vedere la luce.

Soheil vuol dire stella. Il ragazzino lo trovò ironico, visto che in quel momento le stelle non lo stavano aiutando per niente.

La poca luce che producevano non era sufficiente a fargli vedere alcunché. Non che ci fosse poi molto da vedere, ma Soheil aveva la brutta impressione di trovarsi immerso nella tenebra. Una tenebra viscida, appiccicosa, con mostri che gli sfioravano le gambe pronti ad afferrarlo subito sotto la superficie.

Freddo, fame, sete: tutto era passato in secondo piano. L’unica cosa che Soheil provava in quel momento era paura.

Fra i ragazzi che, come lui, avevano eletto a casa i vicoli di Shush lui sicuro era uno dei meno paurosi. Non lo spaventava correre qualche rischio per fregare due soldi in più ad un incauto turista, né giocare d’azzardo davanti alla polizia. Neanche infilarsi nei vicoli meno raccomandabili lo aveva mai spaventato, anche se certo c’erano persone dalle quali era meglio stare alla larga.

Eppure in quel momento provava un terrore folle.

Non riusciva a spiegarselo razionalmente, non ci provava nemmeno. Si era arrochito la gola urlando e strappato due unghie nel tentativo di scavare quella pietra millenaria, con l’unico risultato di provare un dolore lancinante alle mani ed essere riuscito a staccare un po’ di muschio.

Sarebbe morto lì. Ma non era l’idea della morte in sé a spaventarlo.

Non riusciva a temere la morte.

Era il prima che lo terrorizzava. Essere rinchiuso in quella tenebra lo stava facendo lentamente impazzire.

Per quello non si stupì più di tanto quando vide il demone.

 

 

 

 


Welcome to Hell

***

Piccolo angolino dell'autrice. Questa è una storia su un personaggio originale e per un bel po' non appariranno personaggi canonici, siate dunque clementi. Sì, è uno Spectre. Si accettano supposizioni sul suo totem anche se molti lo conoscono già (*C*! Vi amo tanto voi-sapete-chi! *C*). Un esperimento, in qualche modo, che però mi ha divertita molto e mi divertirà ancora.

Spero che possa risultare gradito anche a chi non milita nel Lato Viola della Forza :P

   
 
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