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Autore: RoxanneNO    13/01/2011    3 recensioni
Lei, la ragazza dai ricordi offuscati; lui, colui che glieli ha offuscati.
Eveline non vuole più essere la ragazza speciale di una volta, ha deciso di chiudere con il suo passato e con tutto ciò che ha rappresentato per lei in quei dieci anni. Almeno fino a che...
cit.: Il cuore mi saltò in gola quando vidi che c’era seduto qualcuno. Un ragazzo forse poco più grande di me, biondo e...bello. non saprei come definirlo altrimenti. “Scusami non volevo spaventarti.” Mi disse mentre mi alzavo per riprendere fiato e darmela a gambe levate “Tranquillo, stavo andando via.”
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sapete, Eveline era un’ottima disegnatrice da bambina” osservai mia madre con sguardo truce mentre intratteneva le sue ospiti del club di non so cosa. Avevo fatto l’errore di scendere per prendere una soda e ne pagavo le conseguenze. “Mamma, per favore.”
“Tesoro, ma è la verità. E sono convinta che saresti ugualmente brava se solo provassi a riprendere in mano una matita.”
“Cara, mi stai dicendo che non stai sfruttando il tuo talento?” mi rabbuiai all’istante alle parole della signora Finn. No, non disegnavo qualcosa, nemmeno un cuoricino, da quando avevo dieci anni. E non avevo intenzione di perseguire alcun sogno, tanto meno di sfruttare un mio talento. “Non ha più disegnato da quando è morta sua sorella Caroline. Le volevamo così bene povera piccola…”
“Oh mi dispiace. Che cosa le è successo?” perché le persone sanno essere tanto insensibili?
“Cancro.” Dissi “Aveva quindici anni.” Ascoltai il silenzio che mi circondava e dopo aver lanciato un altro sguardo greve a mia madre me ne tornai in camera mia sbattendo la porta.
La verità era che non disegnavo più da dieci anni per vari motivi che i miei non conoscevano affatto, e mio malgrado la morte di Carol non era il principale. L’anno in cui l’avevamo persa erano successe tante di quelle cose che dopo la sua morte volevo solo dimenticare tutto, senza capire cosa fosse successo realmente e cosa facesse parte di un’allucinazione. Ero solo una bambina, facevo ancora le elementari, ma ricordo tutto ancora e molto bene: il dolore, lo stupore, il senso di smarrimento.
Tutto è iniziato quel giorno che la mamma mi aveva portato al parco proprio dietro casa. Adoravo andare sull’altalena e quella era l’unica abitudine che non avevo perso in quei dieci lunghi anni. Mi dondolavo felicissima della lode che la maestra mi aveva fatto poco prima per il mio ultimo disegno e anche la mamma era fiera di me. Mi aveva lasciata sola a giocare con gli altri bambini mentre parlava con le altre mamme quando voltandomi mi accorsi che poco più giù dell’altalena c’era un bambino seduto a terra che giocava da solo con aria triste. Non lo avevo mai visto prima e sembrava che fosse solo, senza genitori intendo. Curiosa mi avvicinai e gli chiesi se potevo giocare con lui. Quando mi guardò per la prima volta ebbi un capogiro, ricordo bene quella sensazione e ricordo bene i suoi occhi verdi puntati su di me. Erano liquidi, veri e sinceri da far schifo, molto più di quanto sono veri e sinceri quelli di qualsiasi bambino perché non erano gli occhi di un ragazzino, ma gli occhi di un adulto su un corpo infantile. “Come ti chiami?” mi aveva chiesto ridestandomi dalla vertigine. “Eve. Io sono Eve.” Avevo risposto. “E tu come ti chiami?” beh, non ricordo più la risposta a quella domanda, e questo era ciò che più mi tormentava in assoluto. Comunque iniziammo a giocare insieme e diventammo amici come fanno i bambini, subito e intensamente. Il giorno dopo mi accorsi che quel bambino frequentava la mia stessa scuola e mi chiesi come avevo fatto a non notarlo prima bello come era. Confidai alle mie amichette che era il mio nuovo fidanzatino (anche se lui non lo sapeva) di modo che avessero un motivo in più per invidiarmi. Un giorno poi lo invitai a casa mia per giocare insieme, e quando si presentò alla porta da solo gli chiesi dove fosse la sua mamma, e lui mi disse che non aveva potuto accompagnarlo perché lavorava e che sarebbe tornato da solo. Ovviamente non mi preoccupai più di tanto, lo presentai alla mamma e a Carol e poi gli mostrai i miei disegni, il mio orgoglio, la mia vita. Come tutti disse che erano bellissimi, che sembravano veri ed io mi gonfiai come un pavone. Nessuna bambina di dieci anni disegna a quel modo, e ora non lo dico per vantarmi, ma perché è una cosa che mi spaventa. Sembrava quasi che le figure che disegnavo volessero uscire fuori dal foglio e lui mi aiutò a farlo accadere. Mi disse che voleva farmi vedere un gioco e mi chiese di disegnare qualcosa; ci pensai su un secondo poi decisi di disegnare una farfalla e mentre creavo le sue ali lui toccava la mia mano e ne seguiva il movimento. Appena terminai di disegnarla la farfalla uscì dal foglio e cominciò a ruotarci intorno facendomi ridere e gioire di quel piccolo miracolo.
Sì, un miracolo, ma di lì a poco me ne sarebbe servito un altro ancora più grande perché il dottore diagnosticò il cancro a Carol e le diedero sei mesi di vita. Vidi Carol ammalarsi sempre di più e cambiare totalmente il suo aspetto. Perse i morbidissimi boccoli castani, sostituiti da una bandana a volte colorata e a volte nera, quando sentiva di non poter più combattere e perdeva la fiducia in se stessa, e il suo sorriso solitamente limpido e pieno di vitalità lasciò spazio ad uno appena accennato e stanco che si posizionava agli angoli della bocca ogni volta che mi guardava. Eravamo così unite e ci capivamo talmente tanto al volo che certe volte mi sembrava di avere la sua stessa malattia, e a volte avrei voluto sapere cosa provava veramente. Quel bambino mi stette molto vicino; mi ascoltava quando non volevo parlare con nessuno e mi faceva il dono del suo sorriso ogni volta che volevo. Ma il regalo più grande che mi fece più darmi la capacità di animare qualunque mio disegno. Gli chiesi come ci fosse riuscito, se fosse un mago o qualcosa di simile ma non mi diede mai una vera e propria risposta, disse solo che sapeva che era giusto ciò che aveva fatto, e che quello valeva più di qualunque altra cosa. Passarono i mesi e il tempo scorreva troppo velocemente per i gusti di tutti noi, perché sapevamo che presto avremmo dovuto dire addio al nostro angelo, che sarebbe volata nel cielo più alto e più puro senza che qualcuno l’avesse potuta fermare. Mi ricordo di un periodo in cui ebbe una forte ripresa che i medici non seppero spiegarsi, le ricrebbero i capelli e la sua pelle non era più così grigia come lo era stata in passato, ma dopo poche settimane che era stata dimessa dall’ospedale per i controlli di routine la trovammo morta, nel suo letto, come se stesse facendo un lungo sonno. Ero sconvolta, era successo tutto troppo in fretta e troppo bruscamente, e il dolore crebbe ancora di più quando suonò il campanello e trovai il bambino alla porta che mi diceva che sarebbe andato via con i suoi genitori in una città lontana e che non lo avrei mai più rivisto.
Di lì a una settimana sarebbero passati esattamente dieci anni da quel brutto giorno.
L’unica persona che sapeva della mia capacità di dar vita ai disegni era mia sorella. Le avevo svelato quel segreto in un giorno in cui stava particolarmente male e la cosa le aveva risollevato il morale senza problemi. Mi disse che sapeva che in me c’era qualcosa di speciale e mi promise di intrattenerla con piccoli spettacolini con i miei personaggi preferiti. Ma quando morì giurai a me stessa che non lo avrei più fatto, per lei e per quel bambino che mi aveva abbandonata e che non avrei mai più rivisto. Poi col passare del tempo ero cresciuta e mi ero resa conto che quella non era una capacità normale e poteva essere anche vista come negativa specialmente perché non sapevo controllarla. Non avevo mai creduto nella magia e non ero un tipo religioso quindi per me i miracoli non esistevano, motivo in più per avere paura di ciò che mi era successo. E come se non bastasse possiamo aggiungere il fatto che mia madre sosteneva che io avessi avuto una grossa allucinazione, perché lei quel bambino non se lo ricordava proprio.
Ma com’era possibile se passava con me gran parte della giornata quasi tutti i giorni?




ANGOLO DELLE CHIACCHIERE:
Sì, è la prima storia che ho avuto il coraggio di pubblicare e devo dire che le aspettative sono più alte di quello che pensassi. è una storia un pò particolare nata da un sogno e spero piaccia almeno a qualcuno di voi :). Fatemi sapere la vostra opinione, a presto.

   
 
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