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Autore: Shinalia    14/01/2011    9 recensioni
I passi dell'amore.
Fanfiction ispirata al libro di Nicolas Sparks e al film che ne hanno tratto.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Salveee! Eccomi qui con il nuovo capitolo di questa ff. Questa volta scritto dal punto di vista di Bella *O*
Spero vi piaccia.

Ecco a voi la bellissima cover di questa storia, realizzata da Betrayed_89   Grazie grazie grazie grazie ♥♥♥


CAPITOLO 2

Cit: “L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso... L'amore non è mai presuntuoso o pieno di se, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta.”

Isabella era non poco sorpresa da ciò che era accaduto. Quel giorno aveva ceduto alle richieste della professoressa Cronford, accettando il ruolo di protagonista nella rappresentazione teatrale, indetta dalla scuola. Le era capitato in passato di far parte dei cori della piccola chiesa di Forks, ma ormai erano anni che prediligeva l’anonimato.
A scuola era solita mantenere un certo riserbo, evitando qualsiasi situazione che potesse attirare su di sé l’attenzione più del necessario.
Ma non quel giorno.
Qualcosa era scattato in lei, inducendola ad accettare.
Non seppe darsi realmente una spiegazione. Forse la consapevolezza che presto non avrebbe avuto altrettante opportunità, che tutto sarebbe svanito da lì a pochi mesi, o solo per il bisogno di un cambiamento.
Non lo sapeva!
La sua vita, sospesa su di un filo, era un lento e monotono susseguirsi di giorni, ormai da tempo.
Nulla mutava.
Chiusa nel suo cantuccio fatto di poesie e racconti si crogiolava nelle sensazioni che il mondo della fantasia poteva donarle. Un mondo ben distinto da quello reale.
Meno crudele.
Pur nella sua giovane età aveva dovuto far fronte ad esperienze tutt’altro che liete. La prematura morte di sua madre l’aveva segnata più di quanto non mostrasse e ciò che affliggeva il suo corpo come una condanna, ben poco poteva farla gioire.
Era così giovane.
Comprendeva fosse inutile rimuginarvi, ma talvolta il peso della consapevolezza era troppo pensante per essere ignorato. Fingeva dinanzi al mondo un’indifferenza che non le era propria, una serenità inesistente ed una rassegnazione a dir poco improponibile.
Ma nulla avrebbe potuto mutare il corso degli eventi ed una pacata accettazione aveva lasciato spazio alla disperazione dei primi tempi. Arresa al suo destino trascinava il peso di quei giorni attendendo l’inevitabile.
Sperare sarebbe stato inutile e degradante.
La prognosi era stata chiara: ancora pochi mesi, forse un anno.
Nessuno poteva sospettare, pochi sapevano.
Non voleva arrecare dolori a chi la circondava, non voleva affliggere suo padre più di quanto non facesse. Aveva perduto sua moglie da tempo eppure la tristezza nei suoi occhi non lo aveva mai abbandonato. Ciò nonostante era stato un padre esemplare, sempre disponibile emotivamente ed affettuoso, ben attento alle esigenze della sua bambina.
Il sorriso aveva sempre increspato le sue labbra, benché occuparsi da solo di sua figlia non fosse un compito facile.
Non le aveva mai fatto pesare nulla.
Ma da quel giorno maledetto in cui le era stato comunicato della sua malattia, tutta quella serenità che si erano conquistati man mano si era infranta come il più fragile dei cristalli.
Suo padre era cambiato divenendo apprensivo e malinconico oltre misura.
Soffriva… e Bella taceva.
Si teneva lontana da chi avrebbe potuto penarsi quando l’inevitabile sarebbe accaduto, avrebbe tenuto a distanza tutti con i suoi silenzi e con i suoi muti pensieri sino all’ultimo dei suoi giorni.
La vita scorreva e lei osservava.
Osservava. Le piaceva contemplare i colori del mondo, le vite altrui. Ammirava la spensieratezza di cui gli altri godevano, talvolta invidiandoli. Ascoltava quei progetti futuri a cui era stata costretta a rinunciare, impedendosi di fantasticare su ciò che non avrebbe mai potuto avere.
Ma quel giorno qualcosa aveva sconvolto la sua stasi.
Era stata sorpresa quando Edward Cullen le aveva rivolto la parola. Lei, insignificante ragazzina, tanto restia ai rapporti non comprendeva cosa, uno come lui, potesse volere da lei.
La sua fama lo aveva ampiamente preceduto. Tutte le ragazze erano a conoscenza dei suoi modi brutali e non poco indelicati nei confronti delle sue conquiste. Armato di avvenenza e carisma, con un sorriso, otteneva chiunque desiderava e, benché le sue prede fossero consapevoli che le sue attenzioni non sarebbero durate che poche ore, cedevano.
Cheerleader, studentesse modello, atlete della squadra di ginnastica… non erano pochi i nomi che Edward poteva vantare.
La stessa Isabella lo aveva osservato. E come avrebbe potuto evitarlo? La bellezza di quel ragazzo era impareggiabile. I suoi occhi color oro, caldi e profondi, l’avevano stregata al primo sguardo e se non fosse stata tanto coscienziosa forse lei stessa sarebbe potuta cadere vittima di quel suo fascino ammaliatore. Eppure di una cosa era più che certa, dietro quella perfetta facciata c’era ben altro.
Molto altro…
Qualcosa di buono!
Non sapeva spiegarsi il motivo di quella sua sensazione, che negli anni si era rafforzata sino a diventare quasi una convinzione.
I suoi occhi sempre velati di malizia celavano dietro di sé un tormento senza pari. Una disperazione che aveva avuto modo di mirare raramente ed una rassegnazione evidente nelle espressioni del suo viso.
Dietro quella maschera che si ostinava ad ostentare c’era un mondo di emozioni e sensazioni, che nessuno sembrava notare.
Forse un brutto passato, ricordi dolorosi.
Questo Bella non lo sapeva, ma la sua mente si era persa spesso ad immaginare cosa nascondesse quel suo strano quanto interessante compagno.
Almeno sino a quando lo stato avanzato della malattia aveva portato i suoi pensieri su ben altre direzioni. Le sue curiosità erano svanite, sotterrate dalle premure che era costretta ad usare per evitare che qualcuno scoprisse di ciò che soffriva. Tutte volte a porre distanza tra sé e il mondo, anche se in fin dei conti non era stato poi così difficile.
Nessuno aveva avuto la giusta pazienza per sopportare i suoi silenzi oppure i momenti in cui la sua mente si perdeva a fantasticare dinanzi ad un bel libro, nessuno era stato in grado di guardare oltre le apparente.
Nessuno si era domandato realmente cosa si celasse dietro quel suo riserbo, dietro quelle parole non dette. Si erano limitati a giudicare quello che la superficie mostrava loro, una ragazzetta troppo timida e decisamente poco interessata alle mode giovanili.
Nessuno!
________________________________
Quel giorno al termine delle lezioni recuperò il suo pickup dirigendosi verso l’ospedale di Seattle, dove spesso si dedicava ad attività di volontariato. Nel reparto neonatale trascorreva il suo tempo osservando i nuovi nati e dando come poteva il suo supporto.
Le ostetriche e le infermiere si erano sempre mostrate molto gentili con lei. Era difficile poter usufruire dell’aiuto di giovani volontari e benché quel reparto fosse di per sé il più allegro, i compiti non mancavano di certo.
Isabella dal canto suo riusciva a trarre da quell’esperienza e da quel luogo un senso di immenso benessere, quando si perdeva ad osservare quelle creature innocenti, le speranze che vorticavano su di loro e sul loro futuro, la beatitudine delle coppie di genitori che trascorrevano ore a vezzeggiare i propri piccoli.
Quel clima di serenità rendeva quel reparto la sua piccola oasi felice, in cui i brutti pensieri venivano surclassati dalle emozioni positive che vi aleggiavano.
« Buongiorno Christin. » salutò educatamente, facendo il suo ingresso nell’ampia struttura e rivolgendosi all’infermiera della reception, intenta a scrivere qualcosa su di una cartella.
Quest’ultima la salutò con un ampio sorriso, ritornando immediatamente alle sue mansioni. In ospedale quasi tutto il personale conosceva Isabella, sebbene pochi fossero consapevoli della sua malattia.
Gli unici ad essere informati in merito erano il suo medico: Carlisle Cullen e alcune delle infermiere di quel reparto. Il dottore era stato ben attento a non far diffondere la notizie, come da richiesta di Isabella. Un compito tutt’altro che facile considerando le dimensioni della piccola città.
Bella si fidava ciecamente di lui, era un ottimo dottore, forse il migliore che l’aveva avuta in cura.
E non erano pochi.
Successivamente alla prognosi suo padre non si era arreso, decidendo di ricorrere al parere di moltissimi medici. Erano stati in Europa, a New York, in Canada, ma le analisi non erano mutate, così come la prognosi finale.
Pochi mesi.
L’ultimo medico che avevano contattato era stato il dottor Cullen, che si era proposto per seguire il progredire della malattia di Isabella, dandole il giusto supporto e i medicinali che avrebbero potuto in qualche modo limitare il dolore.
Un sospiro affranto si dipinse sul suo volto quando i suoi pensieri corsero al futuro. Sapeva ciò che l’attendeva, ma darsi pace era tutt’altra cosa. Per quanto avesse ormai accettato ciò che il fato aveva preposto per lei, i suoi pensieri spesso non potevano non divenire rabbiosi. A nulla erano valsi i suoi tentativi di trovare in ciò un significato profondo, una motivazione…
Non comprendeva.
« Isabella! » una voce squillante la ridestò dai suoi pensieri e notò la figura rotondetta, della segretaria del dottor Cullen, correrle in contro.
Sorrise arrestando il suo passo, attendendo che questa potesse raggiungerla.
« Signora Margaret, salve. - salutò educatamente. – Posso aiutarla? »
La donna annuì tirando dalla tasca una piccola ricetta medica. « Il dottor Cullen è partito per una piccola vacanza e mi ha incaricata di consegnarti questa ed il numero per rintracciarlo in caso di bisogno. Mi ha esortato a dirti di non crearti scrupoli e di chiamarlo in qualsiasi momento tu lo ritenga opportuno. »
Il sorriso sul volto di Isabella si distese ulteriormente. Il dottor Cullen era sempre estremamente premuroso. « La ringrazio. »
La donna, compiuta la sua missione, vezzeggiò affettuosamente la guancia di Bella, prima di scomparire dietro la porta del reparto. Le era difficile trattenere le lacrime in sua presenza, quando rammentava la sua sorte segnata ed Isabella, notando spesso i suoi occhi lucidi, tentava sempre di trattenerla il meno possibile.
Sospirando sommessamente si avviò verso la sua destinazione, ponendo da parte i suoi problemi, pronta a godersi i gorgoglii e i borbottii dei nuovi nati.
__________________________
Isabella tornò dall’ospedale in tempo per preparare la cena a suo padre, di ritorno dal lavoro. Come ogni sera, benché lui si opponesse desiderando evitarle ogni tipo di sforzo, Bella preparava il pasto onde evitare che suo padre desse fuoco alla casa.
Nei rari casi in cui aveva preso il suo posto in cucina i risultati erano stati a dir poco disastrosi e non era raro che Bella temesse il giorno in cui Charlie sarebbe stato da solo, ad occuparsi di sé stesso.
« Non dovresti affaticarti troppo! » sentenziò notando il volto cereo della sua bambina.
Lei scrollò le spalle con indifferenza poggiando sul tavolo la ciotola dell’insalata. « Non preoccuparti. » mormorò tentando di essere rassicurante, ma con scarso risultato.
Il suo corpo diceva molto più di quello che le sue parole potevano affermare. Aveva perso peso nell’ultimo periodo ed il suo incarnato mancava di quel roseo colore del passato.
Suo padre sospirò sommessamente, fingendo di crederle per non impensierirla ulteriormente.
Anni prima avevano scoperto il male che l’affliggeva. Charlie rammentava perfettamente il vuoto percepito in quell’istante, un incolmabile senso di vuoto che lo avevo pervaso annullando la sua lucidità per svariati istanti. Attorno a sé non percepiva nulla, come avvolto dal torpore del sonno non pareva comprendere realmente il significato delle parole che gli venivano rivolte.
Leucemia.
Non era mai stato un uomo particolarmente religioso, ma era sempre stato certo che ci fosse un Dio, nella sua trascendenza, a decidere del destino dei mortali sulla terra. Aveva sempre creduto che per tutti ci fosse un destino, un compito da adempiere. Quando sua moglie era morta dando alla luce la loro bambina aveva sofferto, il dolore era stato atroce, eppure aveva visto in quel frugoletto tra le sue braccia il motivo per il quale Renée aveva donato la sua vita.
Una motivazione.
L’aveva reso un padre, aveva dato tutto ciò che aveva solo per lei.
Per loro.
Ma Isabella? Così giovane ed ingenua, come poteva essere tanto infausto il destino per accanirsi su una creatura che della vita sapeva tanto poco? Che della vita non aveva gustato se non i più acerbi frutti?
Quale Dio poteva aver deciso per lei una simile sorte?
Per tanto i suoi pensieri erano stati contornati dalle preghiere più svariate, alle imprecazioni, dai rimorsi, dai rimpianti . La rassegnazione non era mai sopraggiunta a donargli la pace di cui necessitava. Fingeva una tranquillità che non possedeva per non impensierire ulteriormente la sua bambina, per non far gravare su di lei anche il suo dolore.
Troppo fragili erano le sue spalle per poter sopportare ancora.
« Papà, io non ho molta fame, credo andrò a dormire. » annunciò, riponendo il piatto nel lavabo.
L’uomo annuì stancamente. « Notte. »
Bella si allontanò, salendo le scale che l’avrebbero condotta alla sua stanza. Avvertiva il senso di spossatezza divenire sempre più pressante, ma nonostante ciò quella sera l’ora del sonno sarebbe stata ritardata.
Si sedette alla scrivania tirando fuori un piccolo blocchetto ed una penna consumata, imprimendo su quei fogli i suoi ultimi desideri. Quelle piccole cose che avrebbe voluto realizzare prima del sopraggiungere della morte, sperando forse di riuscire ad accettare l’inevitabile se fosse riuscita ad ottenere da quella vita almeno parte di ciò che agognava.
In realtà gran parte di esse non erano che futili e talvolta stravaganti esperienze, dettate più dal divertimento che ne avrebbe tratto per realizzarle, che da un reale desiderio. Rise di sé stessa più volte durante la sua piccola impresa.
Così trascorse tutta la notte, immersa nei suoi pensieri, fino a quando Morfeo non reclamò la sua piccola creatura ed Isabella, ancora seduta alla sua scrivania, si addormentò, senza sapere che qualcuno, poco distante, aveva osservato incuriosito ogni sua mossa.
Quando il visitatore notturno fu certo che la ragazza fosse ormai assopita fece il suo ingresso nella stanza, tentando di leggere ciò che aveva canalizzato completamente l’attenzione della ragazza. Purtroppo per lui l’intero foglio era coperto dall’esile corpo e non avrebbe avuto modo di recuperarlo senza svegliarla.
Una sola parola era visibile, tracciata con una goffa calligrafia:
  1. Innamorarsi.
   
 
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