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Autore: Yuril    15/01/2011    0 recensioni
La notte, risveglia nell'uomo i pensieri più remoti e nascosti, riportando alla mente ciò che si cerca di celare durante la normale attività diurna.
La notte all'improvviso ti ritrovi solo, con accanto solo una sagoma nascosta nella penombra lunare.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ancora fermo oltre le sue spalle poggiato contro il muro le iridi si soffermavano a lungo sulla lucentezza di quei capelli tanto chiari, chiedendosi ancora a cosa guardasse il ragazzo, questo era il suo tormento da quando tutto aveva avuto inizio.

-Ne…Gokudera…Vorrei tanto sapere una cosa…- Irruppe coraggiosamente quel silenzio prese un ampio respiro poi riprese a parlare.

L’altro non si mosse, tenendo probabilmente lo sguardo fisso dinanzi a se. Ancora una volta forse fingeva che l’altro non esistesse.
- A cosa guardi?- Deglutì pesantemente dopo avere posto questa domanda, poteva sembrare senza senso come richiesta, ma l’altro probabilmente doveva capire a cosa si riferiva, era da un bel po’ che andavano avanti i suoi strani comportamenti.
Si sentiva dannatamente nervoso, il cuore quasi in gola, si riprometteva di restare calmo, ma una terribile sensazione lo attanagliava.


- Che domanda idiota. – Sbottò l’altro con un tono palesemente seccato. Ma come? Davvero voleva fare finta di niente? Yamamoto aveva cominciato già da tempo a capirlo, possibile che lui dopo tutto quel tempo ancora non fosse disposto ad accettarlo?
Lo spadaccino strinse i denti, si sentiva dannatamente frustrato, perché fare finta di niente, aveva decisamente un grosso rompicapo stavolta, non era il solito stupido litigio, gelosia o quant’altro.



- Per…favore, rispondimi. – Insistette con la voce più roca forse affaticata.
 


Silenzio.                         
 
Allora aveva capito. Eppure quel silenzio non faceva altro che logorare maggiormente l’animo di Yamamoto, quel silenzio accordava i suoi timori più profondi. Si passò una mano tra i capelli poi sul volto, coprendo la vista dalla sagoma di Hayato.
 
Si fece nuovamente coraggio e decise di avvicinarsi, era stanco di aspettare risposte che probabilmente se non avesse insistito non sarebbero mai arrivate da un tipo come lui.


Gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla, strinse e con forza l’obbligò a voltarsi verso di se.
-Hayato!- Disse insolitamente chiamandolo con il nome che usava solo in occasioni speciali. 


Le sopraciglia di Gokudera non erano corrugate come si sarebbe aspettato data la sua mossa azzardata,  la fronte era distesa e nel suo sguardo vide qualcosa di totalmente inaspettato.
La sua espressione era di totale rassegnazione.
 


Perché?


 
Si chiese lo spadaccino che vide in quelle chiare e amate iridi color smeraldo l’odiata risposta al suo timore più grande.

 
-Lasciami. – Disse semplicemente l’altro, abbassando lo sguardo di lato, senza aggiungere altro.


Faceva male. Un male cane.
 
Lentamente, restio Yamamoto lasciò la presa sulla sua spalla indietreggiando, gli tremavano le mani.
Abbassò lo sguardo a fissare quelle callose mani, così ruvide e piene di cicatrici, forti di innumerevoli allenamenti e combattimenti estenuanti, sanguinosi, tremendamente violenti,che però non bastavano a tenere stretto quello che per lui era più importante e  vitale, prezioso.
 
Sorrise amaramente, dopo tutto era troppo folle pretendere di fare sua l’agognata Luna. Essa irradiava in lui la luce di un’ astro ben maggiore. Non era luce propria o spontanea, e lo aveva sempre saputo, ma perché un giorno non avrebbe potuto crescere qualcosa di spontaneo anche su un’inospitale satellite come quello?

Gokudera lo fissò per qualche istante osservando la sua espressione, finalmente pensò che si sarebbe liberato di quell’idiota.

Già, era giusto così, era decisamente una liberazione.

Tornò a voltarsi in direzione della finestra, tenendo stavolta lo sguardo basso, la schiena era alquanto rigida ma l’altro al momento non poteva fare caso anche a quello.
 

  • Va bene…Ho capito. Non preoccuparti… Ora…io..- Non ce la fece a finire e si volse andando a gran passi verso il corridoio, andò nella camera da letto, e si chiuse dentro.
 
Gokudera trasse un respiro, era come se per quegli istanti non avesse respirato. Si sentiva stranamente una merda.
 

  • Ora io vado. – Takeshi si ripresentò alle sue spalle vestito e con la borsa pronta. Gli occhi castani erano lucidi e la voce era stabile a fatica, la mano era stretta contro la maniglia.
L’altro ancora non parlava o si muoveva, era impalato nella posizione in cui l’avva lasciato poco prima.
  • Sai, nonostante il tuo silenzio lo so cosa stai facendo, ma non ti dirò che è uno sbaglio o altro, ti dirò solo che ti amerò sempre, comunque vada, qualunque cosa tu possa fare. – Si volse avviandosi verso l’uscita dell’appartamento. Qualcosa si stava incrinando dentro di lui, si disse ancora una volta di stringere i denti, ma non era quello che faceva da 10 anni oramai? Ora forse era arrivato al limite.
Gettò un’ultima occhiata alle sue spalle, posando la mano libera sulla maniglia della porta, stringendola forte.
  • So anche che stai piangendo, Hayato.-
Richiuse la porta alle sue spalle restando un’attimo immobile. Fissando davanti a se, gli passarono davanti tutti i momenti trascorsi con Gokudera, i più preziosi spezzoni della sua vita ora dovevano restare sigillati oltre la porta che si era appena richiuso alle spalle.
Lasciò la borsa cadere a terra, e scivolando con la schiena lungo la porta si ritrovo seduto a terra mentre calde lacrime gli rigavano il viso.
Si portò le mani al volto stropicciandosi le guance e gli occhi, rimproverandosi mentalmente per essere stato così dannatamente idiota e ingenuo, rimproverandosi per amare così follemente qualcuno che probabilmente, anzi ora ne aveva la certezza, non lo avrebbe amato mai allo stesso modo.
 
Hayato se ne stava ancora seduto lì, dinanzi la finestra, le parole dell’altro anche se non l’aveva dato a vedere avevano risuonato parecchio nella sua mente, e ancora prima che l’altro uscisse dalla stanza pronto per andare via per sempre dalla sua vita, lui già stava piangendo proprio come quel dannato aveva detto prima di uscire.
 
-Yama..Yamamoto…-Seguì un’attimo di silenzio mentre nella sua mente ripercorreva i pensieri decisamente troppo contorti che l’avevano portato a quella rigida soluzione, poi esplose. -IO TI ODIO!- Improvvisamente si alzò scaraventando la sedia sulla quale era seduto contro la finestra, il rumore dei vetri che si infrangevano al suolo riecheggiarono per la casa, ora vuota, terribilmente vuota, ma doveva essere vuota, non poteva essere altrimenti secondo il braccio destro del boss.
Così doveva essere.
Si passò una mano sul volto cercando di asciugarsi le lacrime, ma era pressocchè inutile, continuavano inesorabilmente ad uscire, sembrava non volessero smettere di annebbiargli la vista. Ma si chiese cosa davvero gli annebbiasse la vista, perché proprio lui…
-Perché non riesco proprio a vederti…nel mio futuro, tu non ci puoi essere, e non ci sarai. – Disse con la voce rotta dalle lacrime, oramai era al suo limite.
Osservando i cocci per terra si faceva largo in lui la consapevolezza che non era andata in frantumi solo la finestra, ma anche parte del suo cuore assieme a quel desiderio accantonato per le sue ragioni validissime di passare tutta la vita assieme allo spadaccino.
Un sogno che non poteva decisamente perseguire data la sua posizione.

Meglio così, e poi due uomini insieme è comunque sbagliato, si era tolto tutti i sassi dalle scarpe in questo modo.
 

Pensare quelle cose lo fece sentire solo peggio e senza rendersene conto aveva preso a singhiozzare più forte, tremando e odiandosi per quello, si strinse tra le braccia cercando di soffocare i gemiti di dolore. Mai avrebbe pensato di poter stare così male per quell’imbecille.
 
Alzò lo sguardo affogato nelle lacrime verso il paesaggio oltre la finestra in frantumi, senza vetro faceva decisamente più freddo nella stanza e quel cielo stellato non sembrava più tanto accogliente, ma raggelante e terribilmente vasto, per lui, vuoto.
 
Aveva forse fatto davvero la scelta sbagliata?
 


 
Yamamoto restò oltre la porta seduto, ascoltando per tutto il tempo il singhiozzare del compagno oltre l’ingresso. Ancora silenziose lacrime gli rigavano il volto, ma non poteva ancora andarsene.



Passò qualche ora, quando non sentì più l’altro piangere o fa
re altri rumori, si rialzò da terra, recuperando la borsa.

Ora poteva andare.
   
 
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