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Autore: Miss Demy    15/01/2011    18 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 6: La triste realtà.

15 Novembre 2010
Moonlight – East Side

Mi svegliai tardi quella mattina, non so se per effetto dell’alcool che mi aveva letteralmente stordito o se per la stanchezza arretrata di quei giorni infernali.
So solo che una volta aperti gli occhi una strana sensazione mi pervase.
Inizialmente non ricordavo bene cosa fosse successo la sera precedente, la mia testa risentiva ancora dei drink bevuti con voracità.
Mi sedetti sul letto.
Adesso tutto mi sembrava diverso, mi appariva sotto una nuova ottica.
La stanza di Bunny era diversa alla luce del giorno rispetto a come la avevo vista io, di notte, al buio.
Adesso una nuova luce illuminava le pareti che apparivano di un beige pallido. I mobili bianchi in stile moderno, con le candele profumate e bastoncini di incenso, donavano alla camera un’aria seria e suggestiva, che contrastava con la semplicità e l’aspetto tenero di Bunny.
Ero certo che fosse stata arredata da lady Amy, pensata per i clienti e non per chi avrebbe dovuto viverci.
Ora ricordavo…
Ma certo!
Io che perso nella disperazione entravo al Pegasus, che bevevo, che trovavo quindi il coraggio per tornare da Lei con l’intenzione di portarla via con me.
Lei che mi diceva ti amo, che baciava le mie labbra, che si stringeva forte a me…
Ora appariva davvero tutto diverso, più bello, quasi irreale.
La realtà però era che finalmente anche lei si era abbandonata ai sentimenti provati per me.
Adesso avremmo superato gli ostacoli, le difficoltà, e costruito insieme la nostra felicità.
Guardai l’orologio a forma di luna sul comò di fronte il letto e mi accorsi che erano già le 9.00.
Ero abituato a svegliarmi alle 7.00 per poter scrivere o arrivare in orario ai miei appuntamenti di lavoro alla RoseEdition.
Quel giorno, però, sapevo che i miei impegni sarebbero passati in secondo piano, ma ciò non mi importava.
Adesso mi sentivo sollevato, come se niente e nessuno avrebbe potuto scalfire la gioia che provavo nel cuore.
Mi guardai attorno ma Bunny non c’era e così, alzandomi dal letto, mi diressi verso il piccolo bagno all’interno della stanza.
La porta era chiusa, bussai chiamando il suo nome ma nessuno rispose.
Aprii la porta e, niente, lei non c’era.
Solo quando tornai a sedermi sul bordo del letto per potermi rimettere le scarpe, notai un biglietto.
Era di Bunny:

Credo che se fosse stato un sogno, sarebbe stato il più bello di tutta la mia vita da cui non avrei mai voluto svegliarmi.
Ma la realtà è diversa e in questa vita è meglio che tu cerchi di dimenticarmi.
Ti amo, ma non posso.
Tu meriti la felicità, e io non posso renderti felice.
Ti prego, dimenticami, e se può aiutarti a farlo, allora odiami.
Chissà, magari in un’altra vita io sarò una principessa e tu il mio principe ed eroe, ma non in questa vita.
In questa vita sono soltanto una ragazza che cerca con tutte le sue forze di non perdere la cosa più preziosa che ha, anche sacrificando se stessa.
Ci ho provato, Marzio, a credere che insieme avremmo superato tutto, ma so che non funzionerebbe.
La vita è diversa dalle favole e questa non lo è, questa è solo la triste realtà.
Ti prego, odiami, dimenticami, ma per favore non cercarmi più.
Mi faresti, ci faremmo, solo del male. Ed io di sofferenza nel cuore, credimi, ne ho davvero troppa.
Spero un giorno tu potrai capire.
Addio, Marzio.
Tua per sempre
Bunny


In quel momento non riuscii a dire, a pensare e a fare niente.
Non ci credevo, in realtà, non volevo crederci.
Speravo fosse solo parte dell’incubo che ci voleva separati e che in realtà non c’era nessuna lettera amara, ma soltanto noi due.
Felici. Come meritavamo, come lei meritava.
E invece no, era la triste realtà, come aveva scritto lei.
Il mio respiro, una volta realizzato cosa significasse realmente il contenuto di quella lettera, divenne affannato, il mio cuore per un attimo sembrò essersi fermato.
Con il foglio di carta ancora in mano, mi lasciai andare indietro, sdraiandomi così, su quel letto in cui, quella notte, avevamo dormito stretti l’uno all’altra, lontano da tutto e da tutti.
Portai entrambe le mani al viso.
Non sapevo se strappare quel foglio che conteneva la triste realtà, che infrangeva la nostra felicità, o se conservarlo, rileggendolo tutte le volte che, già sapevo, Lei mi sarebbe mancata.
C’era scritto ti amo e ciò mi avrebbe fatto sentire meno male, mi avrebbe fatto pensare a Bunny, a noi. A ciò che di bello avrebbe potuto esserci.
Mi avrebbe fatto rivivere il momento in cui me lo aveva detto, e avrei ricordato che lei si considerava mia per sempre.
Avrei voluto urlare, cacciare via il mio dolore. Ci avevo provato, ci avevo sperato, ma non ero riuscito a proteggerla, a salvarla da quel mondo sporco non adatto a lei e alla sua dolcezza e ingenuità.
Realizzai, quindi, che la avevo persa, prima di poterla avere.
Non potevo fare altro che rassegnarmi.
Non volevo, ma le avrei fatto altro male e io volevo soltanto vederla felice.
So che in fondo non lo sarebbe stata ma almeno non sarei stato io la causa dei suoi problemi, dei suoi conflitti interiori. Non sarebbe più stata costretta a combattere tra i sentimenti provati per me e il senso di dovere verso Usa.
Di certo, in ogni modo, io non la avrei mai abbandonata.
Le sarei rimasto accanto, di nascosto, per proteggerla e vegliare su di lei.
Come un angelo, sul mio angelo. Sperando che, prima o poi, avesse capito di potersi fidare tornando da me per rendermi felice.
Io la avrei aspettata per tutta l’eternità.
Sospirai e, piegando il foglio, lo conservai nella tasca dei pantaloni.
Sentivo la musica utilizzata per le esibizioni, probabilmente le ragazze stavano provando. Sicuramente Bunny era lì con loro.
Per un attimo ebbi un tuffo al cuore. Gelosia, rabbia.
Poi mi feci forza.
Non dovevo più pensarci.
La avrei aspettata per tutta la vita, ma non avrei più dovuto pensare a lei. Sempre se ciò fosse stato possibile.
Uscendo dalla stanza che, credevo non avrei più rivisto, mi appoggiai alla porta, credendo che quel contatto avesse potuto farmi sentire più vicino a lei, come se avesse potuto darmi un po’ più di forza e grinta per affrontare la vita senza colei che aveva cambiato il mio Mondo senza poterne fare parte.
Mi diressi verso la porta d’uscita del locale del primo piano, in fondo al corridoio.
Speravo non mi vedesse nessuno.
 
Era severamente vietato al Moonlight dormire insieme alle ragazze.
Le intrattenitrici dovevano mandare via i clienti una volta terminati i loro obblighi professionali.
Erano le regole di lady Amy e se qualcuna avesse disobbedito, sarebbe stata duramente punita.
La logica di tale regola?
Beh, da una parte si voleva evitare che le ragazze si ritrovassero dopo il lavoro con uomini non liberamente voluti, evitando quindi che questi potessero approfittare della situazione.
D’altra parte si cercava di evitare che le ragazze si innamorassero di ragazzi e dormissero assieme a loro.
 
Non volevo mettere nei guai Bunny, le avevo soltanto fatto del male da quando la avevo conosciuta.
E anche se entrambi sapevamo che in fondo non era così, i suoi occhi erano stati sempre pieni di lacrime, il suo cuore agitato da quando ero entrato nella sua vita.
Io non volevo questo ma, se per renderla felice, o meglio, serena, dovevo starle lontano, pur soffrendo disperatamente, lo avrei fatto.
 
Di nuovo sull’East Side, per le vie di Manhattan.
La City, come sempre, era super affollata da migliaia di persone che camminavano a passo svelto.
Io, invece, in contrasto con la frenesia della città, mi dirigevo lentamente lontano da quel posto in cui avevo trovato la vita e, allo stesso tempo, infranto la mia felicità.
Con la mente persa fra mille, confusi pensieri, mi avviai verso casa.
Il suono del mio telefono cellulare mi riportò, però, alla realtà.
Era mister Taiki, chiedeva notizie sul mio libro sperando che fossi già a buon punto.
Se solo avesse saputo!
Il mio libro era l’ultima cosa a cui pensavo, in quelle condizioni, però i tempi di consegna andavano rispettati.
Fu per questo che posticipai l’incontro, voluto da mister Taiki per quel pomeriggio, al giorno successivo.
Cercavo di guadagnare tempo e così, magari, non pensare a Lei a contatto col mio corpo, ai suoi occhi dolci e tristi, alle sue labbra morbide e calde sulle mie, alle sue carezze.
Oddio, lo stavo rifacendo! Stavo di nuovo pensando a lei!
 
Giunto nel mio appartamento, mi spogliai ed andai a fare una doccia.
Ne avevo bisogno. Chissà, magari dopo mi sarei sentito meglio.
E così, sotto il getto della doccia, rigorosamente fredda tanto da tonificare il mio fisico statuario, mi ripulii del suo odore, ma non di Lei.
Non ci riuscivo, non sapevo se ce l’avrei mai fatta, sapevo soltanto che stare da solo era controproducente e così, indossati un maglione grigio e un paio di jeans, rimisi il mio cappotto e, con la valigetta del mio notebook in mano, mi diressi al Crown.
 
Il locale era molto affollato ma, nonostante ciò, riuscii ad accomodarmi al solito divanetto in pelle bianca, dove riuscivo a concentrarmi.
Il Crown non era il classico locale americano dove fermarsi a mangiare qualcosa di sbrigativo in pausa pranzo o a bere il solito caffè.
Era molto fine ed elegante, frequentato da gente di un certo rango sociale, per lo più scrittori e letterati, dove era anche possibile utilizzare la connessione internet del locale per poter svolgere il proprio lavoro anche durante i pasti, quando necessario.
Era sempre molto silenzioso e, in tal modo, io potevo dedicarmi a ciò che nella vita sapevo fare bene: scrivere.
 
Moran era impegnato a servire dei pancakes ad alcuni clienti seduti al bancone.
Mi notò entrare, al suono del campanello sopra la porta d’ingresso, e mi fece l’occhiolino sorridendo.
Ricambiai il sorriso e mi diressi al divanetto.
Iniziai a scrivere il terzo capitolo, parlando del grave problema e comune malattia incurabile in una città come NYC. E cioè l’amore.
Le donne dicevano di non trovare l’uomo giusto, quello che sapesse renderle felici e farle sentire delle principesse in un regno chiamato Manhattan.
Tutte balle.
Non erano gli uomini ad essere sbagliati, ma le donne ad essere troppo emancipate e frivole per la mentalità maschilista di tutti i tempi.
E quando incontravi una donna che in meno di quarant’otto ore riuscisse a sconvolgere la tua esistenza, a far venire meno le tue certezze e renderti un uomo migliore…
Bang! Era la fine.
Si impossessava di te, della tua anima e della tua speranza di essere un uomo migliore per lei, solo grazie a lei.
Chi era a questo punto il problema?
L’uomo della City che illudeva le donne e le rendeva incapaci di amare, o certe donne maledettamente dolci e perfette tanto da cambiarti l’esistenza e poi dirti che non potevano renderti felici per come meritavi?
Ma loro che cosa ne sapevano se erano, o no, in grado di rendere felice un uomo? Un uomo che voleva solo stare con loro? Disposto a cambiare la propria vita per loro?
Mi fermai un attimo, capendo che la fonte della mia ispirazione e riflessione era lei, Bunny.
Ed io? Forse ero troppo cattivo con lei, la stavo considerando da un punto di vista sbagliato.
Lei non era come le altre che liquidano gli uomini con la scusa del non essere in grado di renderli felici.
No. Era lei, la mia Bunny, a non essere felice, a portare un dolore nel cuore che nessuno avrebbe mai potuto toglierle, nemmeno l’amore di un uomo pazzo di lei come me.
Aveva perso i genitori il 30 Giugno del 2009, giorno del suo diciottesimo compleanno.
Dopo qualche tempo, sua sorella Usa di soli quattro anni si era ammalata di leucemia al midollo spinale, costringendola a vivere in un reparto oncologico del Memorial Sloan Kettering Center *, sull’Upper East Side.
Bunny aveva dovuto rinunciare alla propria vita e alla spensieratezza tipica di una teen ager per accudirla, per farle da mamma. Lei che aveva pure bisogno del conforto e dell’amore della mamma.
Chi si prendeva cura di lei? Chi la coccolava di notte quando piangeva ripensando alla morte dei suoi? Quando cercava una soluzione per poter aiutare sua sorella e pagare le grosse spese mediche, temendo che la piccola non riuscisse a sconfiggere quel maledetto male?
Aveva dovuto sacrificare se stessa, i propri sentimenti, lavorando al Moonlight, pur di poter pagare l’assicurazione medica e le spese costose per le varie terapie. Viveva in quel luogo, spaventata, sola, temendo che di notte, prima o poi, l’inevitabile fosse toccato anche a lei.
Ed io, come potevo paragonarla alle altre? Come potevo scaricare la mia rabbia su di lei?
Io che avevo sempre avuto tutto? Io che ero il classico ragazzo viziato? Ero ingiusto.
Feci una pausa, era necessaria o sarei andato in tilt.
Mi diressi al bancone dove Moran mi servì una tazza di caffè amaro.
“Hai una brutta cera, che ti è successo? Hai dormito poco stanotte?”
Ecco di nuovo il suo solito sorrisino malizioso.
Seduto al bancone, dopo aver sorseggiato il mio caffè risposi:
“Stanotte ho dormito come non mai nella mia vita, credo sia proprio questo il problema…”
“Sei rimasto al Moonlight ieri notte? È così?”
Mi guardava curioso e incredulo. Quasi non credesse fosse possibile.
“Marzio, che ti succede? Sei diverso, non sembri il Marzio di sempre. Noi siamo amici, ci confidiamo tutto, perché non mi racconti cosa ti preoccupa?”
Era sincero, un caro amico di cui sapevo potevo fidarmi.
Avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno e sfogarmi, altrimenti sarei impazzito.
Finii il mio caffè e, con i gomiti sul bancone, portai le mani a sorreggermi la testa.
“È per Bunny, non è vero?”
Mi stupii, non credevo l’avrebbe mai capito.
“Come lo hai capito?!”
Rise, dandomi una pacca sulla spalla, venendosi a sedere su uno sgabello accanto a me.
“Ti conosco da quindici anni, sei il fratello che non ho mai avuto e ho visto la tua espressione durante le sue esibizioni…
 Per non parlare di come hai colpito Seiya e per come ti sei allontanato ieri notte durante il suo balletto. Non è da te.”
“Non sono più io, Moran, da quando la conosco…”
Aggrottò la fronte: “Che vuoi dire?”
“Mi sento diverso. Da quando l’ho conosciuta non mi importa più di nulla, solo di lei. Lei è diversa, è speciale, ha reso un playboy come me in uno che ha occhi solo per lei. La amo, Moran.”
“E lei? Ti ama?”
Il suo tono era quasi ironico, come se volesse prendersi gioco di me.
“Non credi di essere esagerato? In fondo come fai a dirlo? La conosci da due giorni, e se consideri che non siete stati assieme tutta la giornata, amico mio, la conosci da qualche ora!”
Mi alzai dallo sgabello dirigendomi verso il divanetto dove avevo lasciato il mio Apple: “Lascia perdere, Moran.”
Si sedette di fronte a me:
“Marzio, non volevo prenderti in giro ma, dai, sii obiettivo. Noi con le donne ci giochiamo, le facciamo divertire. Sai cos’è l’amore? Niente di tutto ciò che abbiamo provato con le ragazze. L’amore è tutt’altra cosa. Non so neanche se esista e, sinceramente, non mi pongo nemmeno il problema.”
“Bunny è l’amore. Bunny è il motivo per cui, come dici tu, mi sono spinto a fare cose mai minimamente pensate prima.
 È bastato un suo triste sguardo, la sua dolce voce, il suo stringersi a me in cerca di protezione ad aprirmi gli occhi e a farmi innamorare di lei.”
Sapevo di aver detto quelle parole come un bambino che fantastica sui propri sogni e le proprie speranze.
“Caspita! Ti ha ridotto proprio male! Scusa ma, allora, qual è il problema? Perché non glielo dici?”
“Lo sa già e mi ama anche lei.” La mia voce era piena di sconforto.
Aggrottò la fronte e portandosi una mano sotto il mento: “E questo è tutto il tuo entusiasmo?”
Scossi la testa e spiegai: “No, non sono entusiasta perché non possiamo stare assieme. Stanotte, dormendo assieme a lei mi ero illuso e invece…”
Moran non capiva, la colpa era mia che parlavo senza considerare il fatto che lui non sapesse nulla, in fondo non gli avevo mai accennato nulla in quei  giorni.
E così, iniziai a confidargli tutto, partendo dal mio primo incontro con Bunny davanti al Crown e finendo con la lettera scritta da Lei.
“Che cosa posso fare, Moran?” Speravo che lui potesse aiutarmi a trovare una soluzione.
“Cosa puoi fare, Marzio… non lo so proprio. È una situazione troppo delicata.”
Adesso era serio, diverso dal ragazzo che allegro e spiritoso che conoscevo e di cui sapevo potermi fidare.
Moran era il classico ragazzo bello e dannato ma c’era sempre nel momento del bisogno. Diventava saggio e maturo e io lo apprezzavo e stimavo tanto.
“Si dice che solo quando si rischia di perdere qualcuno si capisce davvero quanto questo sia importante.”
Non capivo: “Che vuoi dire?”
“Falle capire che può realmente perderti, che non la aspetterai per sempre.”
Solo dopo il suono del campanello, che preannunciava l’ingresso di nuovi clienti, Moran continuò facendo cenno con la testa verso la cliente appena arrivata:
“Falla ingelosire con quella lì!”
 Si alzò sorridendo avviandosi al bancone.
Solo allora notai la ragazza appena entrata. La conoscevo già.
Eccome se la conoscevo!
Sidia. Un’intrattenitrice del Moonlight, nonché ballerina.
 
Le prime volte che ero andato in quel locale, era stata molto carina e socievole con me, mettendomi subito a mio agio.
Avevo passato alcune notti insieme a lei.
Era bella, sensuale, insomma, la classica intrattenitrice che piace tanto agli uomini.
Sapeva come rendere soddisfatti i clienti e io approfittavo del fatto che lei era, realmente, attratta da me.
Chi, che mi conoscesse, non lo era!
Poi però, dopo un paio di volte, notando il modo in cui mi guardava, capendo che per lei non era più, al contrario di me, solo ed esclusivamente un gioco di qualche ora notturna, avevo preferito cambiare ragazza. Vedevo, però, che mi guardava, che mi mangiava con gli occhi, invidiando le mie nuove intrattenitrici.
Sì, in parte accresceva la mia autostima, ma poi iniziava a darmi fastidio.
Ce ne erano state altre al Moonlight dopo di lei, fino a quando conobbi Bunny. Da quel momento in poi volevo essere suo, soltanto suo, con il cuore e con il corpo.
Anche se non fossimo stati  mai assieme, io avevo deciso di esserle fedele.
 
Sidia mi notò e, sorridendo, avanzò verso di me.
“Ciao Marzio!” la sua voce era sensuale. Aveva dei lunghi capelli neri con dei riflessi più chiari e gli occhi marroni.
“Ciao Sidia, prego accomodati pure” dissi, non appena mi accorsi che sperava la invitassi a sedersi.
Sorrise e accettò. Ovviamente.
“Ti ho visto stamattina uscire dalla stanza di Bunny.”
Entrai nel panico.
 
Sapevo che all’interno del Moonlight albergava una spietata rivalità fra le ragazze. Non vi era amicizia, nemmeno in apparenza.
Era una sorta di gara fra loro.
A chi si aggiudicava il maggior numero di esibizioni, a chi riusciva ad intrattenere più clienti, insomma, a chi riusciva ad incrementare la clientela del locale.
Lady Amy le premiava, o meglio, le incentivava con un bonus, cioè uno stipendio più alto, molto più alto, nonostante gli stipendi delle dancers fossero già veramente alti.
 
E ora? Sapevo che Bunny non era ben vista dalle colleghe per la sua bellezza, per il suo riuscire, allo stesso tempo, ad essere dolce e molto sensuale. Un mix del tutto spontaneo e ingenuo che faceva letteralmente impazzire gli uomini, compreso me; tanto da farle aggiudicare, nonostante fosse solo una New entry, un’esibizione a sera e gli intrattenimenti notturni, per non considerare il contratto dal quale, recedere significava dover pagare un risarcimento a quattro zeri.
Non volevo che l’invidia e la gelosia di Sidia la mettessero nei guai.
Non risposi, abbassai la testa verso il monitor del mio notebook, come a sperare di trovare lì una risposta.
“Ti è piaciuto con lei? È stata brava o sono meglio io?”
Avrei tanto voluto dirle che rispettavo troppo Bunny e la amavo, e che il paragone non si poneva: lei era una come tante, Bunny era l’Amore.
Cercai di cambiare discorso per evitare di rispondere, sperando che non ci facesse caso:
“Sidia, sei bella senz’anima!”
Scosse la testa e il suo sguardo ironico e provocante sparì, la sua voce divenne seria:
“Tutti credono che le Moonlight dancers siano senz’anima. La verità è un’altra.
 Certe ragazze hanno un’anima, provano dei sentimenti e delle emozioni, ma gli uomini sono troppo concentrati a mangiarle con gli occhi per accorgersene.”
Divenni serio anche io, mostrandomi interessato alle sue parole.
In realtà io le disprezzavo tutte, le consideravo tutte uguali, interessate solo ai soldi. Egoiste, non curanti delle amicizie e dei rapporti umani. Sempre pronte a fare la spia e mettere le altre in cattiva luce.
Non lavoravano per necessità come Bunny ma per avere la vita facile. Per loro il Moonlight era un divertimento, un modo per accrescere la loro stupida autostima.
Rimasi in silenzio. Non sapevo che dire e non volevo che, se le avessi rivelato le mie impressioni su di loro, Bunny ne avrebbe pagato le conseguenze.
“Stasera sono libera al Moonlight… se ti va, ti faccio compagnia. Così, essendo impegnata non avrò tempo di raccontare a lady Amy di te nella camera della mocciosa stamattina.”
Sembrava una sfida, uno sporco ricatto.
Non potevo mettere Bunny nei guai, così fui costretto ad accettare.
La avrei usata solo per fare ingelosire Bunny durante la sua esibizione. Chissà se avrebbe sofferto vedendomi con Sidia. Se pensavo al suo sguardo durante la mia presentazione con Morea, credevo di sì.
In ogni caso, era l’unico modo per sperare che si rendesse conto che non voleva realmente rinunciare a me, a noi due assieme.
Presi coraggio:
“Stasera durante lo spettacolo ti voglio accanto a me.”
Sorrise, credendo di essere una vincitrice.
Sapeva che non mi interessava più e che se avevo accettato era perché non potevo permettere che mettesse nei guai Bunny.
Si alzò e, avviandosi verso l’uscita, mi disse:
“Sarò tutta tua.”
Dopo aver sentito il campanello suonare alla sua uscita, sospirai portando le mani alla testa e riflettendo:
Marzio Chiba, playboy, colui che, ricattato da un’intrattenitrice ha ceduto al ricatto per una donna.
Assurdo! Fino a tre giorni prima sarebbe stato assurdo.
Ma Bunny non era una donna qualunque. Bunny era l’Amore. Il mio, intoccabile, amore.
E così, riprendendo a scrivere ben due capitoli, aspettai che giungesse la notte e si riaccendessero le luci del Moonlight.
 
 
Erano le 23.45 quando giunsi al Moonlight.
Il calore all’interno del locale contrastava col freddo pungente della città.
L’accoglienza, poi, era eccellente.
Sidia mi vide e, facendo cenno a Rea e Marta di non avvicinarsi, coperta solo da un completo intimo di pizzo e raso nero, mi venne incontro.
Mi prese sottobraccio e mi fece accomodare in prima fila.
Appena il tempo di sederci, io sulla poltroncina sotto il palco e lei sulle mie gambe, che lo spettacolo iniziò.
Alcune dancers si esibirono, ma io non vi facevo caso.
La voglia di vedere Lei era tanta, la paura di farla soffrire facendomi vedere con Sidia pure.
Ordinai una bottiglia di Principe di Corleone ** per rallentare un po’ la tensione e l’ansia. Dovevo farmi coraggio a ciò che sarebbe accaduto appena Lei fosse salita sul palco. Dovevo farlo per lei, per noi.
Finalmente arrivò il suo turno e con esso aumentarono i battiti  del mio cuore.
Era bellissima. Indossava un nastro rosa che le fasciava e metteva in risalto le forme prosperose dei seni e, sotto, un gonnellino inguinale dello stesso colore.
Era un incanto. Sensuale ma dolce. O forse ero solo io che, al contrario degli altri, riuscivo a scorgere la sua tenerezza.
Sidia notò subito il mio sguardo perso nella bellezza di Bunny. Avvertiva la differenza rispetto a come ero solito guardare le altre.
Adesso nei miei occhi era evidente una luce piena d’amore, ammirazione, voglia di averla tutta per me e tanta, tantissima gelosia.
Sulle note di Only girl in the World di Rihanna, Bunny iniziò a ballare, sensualmente, piena di grinta.
Stava diventando sempre più brava e i clienti erano tutti pazzi di lei, bramosi del suo corpo.
I commenti e gli applausi erano molto calorosi.
Io invece ero immobile, perso nel mio mondo in cui esisteva solo lei con la sua dolcezza.
Sidia cercò di distrarmi, iniziando a baciarmi il collo, sotto l’orecchio.
Cercai di non farci caso, nonostante mi desse fastidio e nonostante sapessi che Bunny non avrebbe capito che lo stavo permettendo per proteggerla e allo stesso tempo per sperare che tornasse da me.
Fra i tanti movimenti a ritmo di musica, mi notò.
Il suo sguardo mutò radicalmente.
Adesso, il suo finto sorriso, che era costretta a mostrare al pubblico, era scomparso del tutto.
Era sorpresa, non si aspettava di trovarmi lì a guardarla con Sidia in braccio, che la scrutava con cattiveria e mi baciava il collo accarezzandomi l’orecchio.
Divenne subito molto triste e dispiaciuta. Sono certo che in quel momento si sentì ferita e amareggiata.
Era stata Lei a dirmi di dimenticarla ma quella sera, il suo sguardo e i suoi occhi malinconici mi svelarono che lei non voleva essere dimenticata, solo amata.
Voleva essere amata da me e voleva essere l’unica a potermi baciare, toccare, accarezzare.
Avvertivo la gelosia nei suoi occhi, il dolore nel suo cuore.
I nostri occhi rimasero attratti per qualche secondo, momenti in cui le chiedevo perdono e di tornare da me.
Attimi in cui anche lei chiedeva perdono per quella mattina.
Mi aveva chiesto di dimenticarla magari odiandola.
Dai miei occhi pieni d’amore capì, però, che non l’avrei mai fatto, non avrei mai potuto.
Il mio cuore batteva a più non posso, quella situazione assurda non mi piaceva per niente.
Perché non potevo togliermi Sidia da dosso, salire sul palco, prendere Bunny e portarla via con me al sicuro?
Si voltò dalla parte opposta, mostrandosi a me di profilo.
Cercava di non far trasparire le sue emozioni e i suoi stati d’animo ma soffriva in silenzio come me, dovendo far finta di nulla.
Solo due persone sensibili come noi potevano però scorgere i sentimenti provati dall’uno per l’altra. E li avvertivamo, quella notte, tra le molte persone interessate solo al suo corpo.
Come da disposizione di lady Amy, scese dal palco iniziando a ballare sensualmente davanti ai clienti accomodati nelle prime file.
Seppure io sapessi che era severamente vietato toccare le dancers durante le esibizioni, bruciavo dalla gelosia.
Sidia continuava ad accarezzarmi, cercando di attirare la mia attenzione,  e io, dopo aver finito la prima e bevuto metà della seconda bottiglia di vino, non sentivo più il suo tocco su di me.
Il mio Mondo si era ovattato. Solo Bunny possedeva la chiave per potervi accedere. La guardavo e la desideravo come non avevo mai desiderato nessun’altra.
Fu costretta ad avvicinarsi nella mia direzione, ballando davanti ad alcuni uomini seduti alla mia sinistra.
Poi, continuando a ballare, si avviò verso la mia destra, non considerandomi.
“Siediti Sidia!” le ordinai sgarbatamente, obbligandola ad accomodarsi sulla poltroncina accanto alla mia.
Non voleva ma ubbidì.
Nonostante il volume alto, riuscii a farmi ascoltare da Bunny:
“Ti prego, balla per me.”
Il tono della mia voce faceva notare che l’alcool era già entrato in circolo nelle mie vene.
La spiazzai, non avrebbe mai immaginato quella mia richiesta e, non potendo dire di no, iniziò a muoversi sensualmente e in maniera divina ad un passo da me.
Perché non potevo prenderla per un braccio e farla sedere sulle mie ginocchia, stringendola a me?
La guardai ballare, mantenendo in viso uno sguardo serio e sconfortato, bevendo il vino rimasto nella bottiglia.
Nel frattempo la fissavo, facendole capire che era di nuovo per lei che mi stavo riducendo così. Solo per lei.
Chiuse gli occhi mentre si muoveva davanti a me, per me.
In quel momento anche lei immaginava di essere in un luogo diverso, in una situazione diversa, senza doversi vergognare per come si stava mostrando a me.
Sì, anche se stava prendendo confidenza con quel luogo e con il ruolo di dancer, verso di me provava sempre quell’imbarazzo che la faceva apparire ai miei occhi dolce e speciale.
Alcuni momenti che desiderai non finissero mai e poi, quando la canzone stava per terminare, salì di nuovo sul palco e, col desiderio di essere per me l’unica ragazza nel Mondo ***, andò via.
Dal palco, dai clienti affamati di lei. Da me.
“Bunny…” sospirai malinconicamente ormai ubriaco fradicio.
Sidia notò il mio essere sofferente, essere pazzo di Lei.
Si alzò in piedi e, nonostante lo spettacolo non fosse ancora terminato, mi prese le mani e mi aiutò a mettermi in piedi.
Non riuscivo a reggermi, la testa mi girava e il mio equilibrio ne risentiva.
Mi fece appoggiare alla sua spalla, sostenendomi per il busto, mentre mi conduceva verso la sua stanza.
“Bunny…” ripetevo con le poche forze che avevo.
Più lo dicevo, più pronunciavo quel nome, e più Sidia si indispettiva.
Il suo orgoglio femminile veniva colpito e lei non amava essere considerata inferiore a nessuno. Soprattutto da me.
Una volta dentro la sua camera mi fece sdraiare sul suo letto.
Non ricordo bene cosa fece lei perché per qualche minuto rimasi solo nella stanza mentre non riuscivo più a sollevare la testa dal cuscino.
Stavo male, sia per l’alcool che per la mia droga. Bunny era la mia droga.
Mi creava dipendenza e senza il suo sguardo su di me, senza poter sentire la sua dolce voce, io entravo in astinenza e impazzivo.
La volevo. Stretta a me e senza lasciarla uscire dal mio abbraccio.
La porta si aprì e io sperai:
“Bunny, sei tu?”
Non udii la porta chiudersi, solo una donna che, sedendosi a cavalcioni su di me, iniziò a sbottonarmi la camicia e a baciarmi i pettorali:
“Non sono Bunny…”
Era Sidia ma io non riuscivo neppure a sentirla.
Il mio corpo non riusciva più a provare sensazioni. L’alcool mi aveva letteralmente stordito.
“Bunny…” invocavo, immaginando che fosse lei a baciarmi, a desiderarmi…
“Eccomi Sidia, dimmi pure!”
Una voce che tanto amavo entrò nella stanza, lasciata volutamente aperta.
Ci vide e, portando istintivamente la mano alla bocca per evitare di lasciar uscire le emozioni provate in quel momento, spalancò gli occhi.
Sidia la guardò con un sorriso pieno di cattiveria. Si sentiva come se avesse appena vinto, come se farle del male fosse l’unica cosa che desiderava. Perchè Sidia sapeva che Bunny, vedendomi con lei, avrebbe sofferto.
Dagli occhi di Bunny, istintivamente, uscirono delle lacrime. Amare, piene di dolore, di sofferenza per quel cuore così puro che le si stava frantumando.
“Bunny!” urlai spingendo Sidia lontano da me e portandomi seduto, non appena mi resi conto che Lei era veramente lì, sulla soglia della porta, immobile.
Ci guardammo, sconvolti, increduli. Fu un attimo.
Chiuse gli occhi, facendo cadere sulle guance le lacrime che cercava disperatamente di trattenere e, dopo, corse via entrando nella sua stanza.
In quel mio Mondo ancora ovattato, riuscii a sentire soltanto il rumore della porta della sua stanza che veniva sbattuta con rabbia fino a chiudersi.
Quel rumore mi riportò alla realtà.
Una triste realtà in cui, ancora una volta senza volerlo, le avevo fatto del male.
E adesso? Che fare? Andare da lei o smettere per sempre di farla soffrire?   
 
Note:
*: Memorial Sloan Kettering Center è un ospedale oncologico situato sull’Upper East Side di Manhattan.
**: Principe di Corleone è un vino pregiato, confezionato nelle cantine di Corleone (Palermo).
***: titolo della canzone di Rihanna: Only girl in the World.


Il punto dell'autrice


Cari lettori, spero che dopo aver letto non organizzerete una spedizione a Siracusa per uccidermi o che non chiuderete la pagina facebook ‘Moonlight fan club’ (che vi invito a visitare) nata proprio in onore della fan fiction Moonlight.
Detto ciò, mi auguro veramente che questo capitolo sia piaciuto, nonostante sia da shock!
Ho messo anima e corpo per scriverlo e dedicarvi tante emozioni, quindi spero che non vi abbia deluso e che continuerete a seguirmi!
Nel frattempo, fatemi sapere cose ne pensate, anche se negativa, una vostra recensione fa sempre piacere!
Un bacio e a presto!
 Demy


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