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Autore: HopelessGirl    16/01/2011    10 recensioni
Questa storia è un gioco un po' confusionario che mi è stato ispirato da quel pozzo di saggezza che è mia sorella. Anche lei appassionata di Versailles no bara, in modo molto meno infuocato della sottoscritta ma comunque con un profondo debole per Andrè (vorrei ben vedere...). Ora lei, essendo anche un'artista, tende ad avere più fantasia di me, povera schiava dei numeri. Sono bastate poche semplici parole per far nascere in me il desiderio di imprimere nero su bianco quella che è stata la sua folgorante idea. A voi il giudizio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sentiva il calore di quel corpo a contatto con il proprio. Affondò il visino nel vestito morbido e caldo della madre mentre sentiva le braccia affusolate e longilinee di questa cingerli il corpicino nella sua stretta. Si aggrappò a quel corpo così famigliare con tutta la sua forza, con tutta la sua disperazione cercando di nascondere alle orecchie della sua amata mamma il brontolio continuo e lancinante del suo piccolo stomaco, a causa della fame che lo prendeva ormai da giorni. Camminavano lenti e placidi sul bordo della Senna, dove l'acqua nera scorreva rapida e violenta a causa della piena che le abbondanti e persistenti piogge avevano causato. La notte tendeva le sue tenebre su di loro che nuovamente senza un posto dove andare vagabondavano malamente per le vie di Parigi, illuminati da flebili lampioni che lanciavano ombre scure e inquietanti nei vicoli deserti.


-Piccolino hai fame?-


Chiese improvvisamente la voce soave ma incrinata della donna. La mano affusolata si posò con dolcezza sulla sua nuca mentre affondava fra quei ricci dolci e morbidi che erano i capelli del figlio. Andrè con un piccolo gemito alzò la testolina puntando i suoi vitrei occhi verdi nel viso della madre. Un viso dolce, bello e smunto dalla fame. La donna piangeva ma un dolce sorriso le dipingeva le labbra carnose e rosee.


Il silenzio della città era rotto solo dallo scroscio continuo e prepotente dell'acqua che devastava i margini a pochi passi da loro. La donna si mise in ginocchio accanto al figlio e puntò i suoi occhi liquidi in quelli dell'ingenuo bambino. Carezzò la sua nuca e gli posò un bacio sulle labbra con una struggente disperazione di una madre che, impotente, assiste giorno dopo giorno alla morte del figlio. Sembrava che con quel gesto di tenerezza volesse saziarlo. Se solo avesse potuto.


-Presto starai bene tesoro, non patirai più la fame.-


Il piccolino la guardò mentre i suoi occhietti liberavano due grossi lacrimoni. I singhiozzi sortivano l'effetto di colpi di pistola sul suo corpicino, non aveva nemmeno la forza di piangere. Lei si chinò e legò alla sua caviglia nuda, ferita e sporca una corda. Andrè non capiva quel gesto e nemmeno il motivo per cui dall'altro capo vi fosse legato un enorme masso. La donna gli carezzò una guancia e lo strinse a se, alzandosi con fatica e ergendosi in tutta la sua incrinata bellezza. Tenne in braccio Andrè e lo cullò un poco affondando il viso nell'incavo del suo piccolo collo. Una folata di vento scosse la veste della donna facendola frusciare con prepotenza.


-Mamma...-


Chiamò il bimbo chiudendo gli occhietti e stringendosi al petto della madre. L'ultimo suono che percepì furono un fruscio sempre più rapido delle vesti dell'abito di sua madre e la sua voce candida che gli sussurrava con una nota tetra nell'orecchio.


-Staremo sempre insieme.-


Poi i suoni scomparvero e l'aria cambiò consistenza opprimendolo. Fredda gli pungeva la pelle come spilli, penetrava nella sua gola e gli impregnava i vestiti. Aprì gli occhi con orrore mentre le braccia di sua madre lo trattenevano con prepotenza. Intorno a se tutto era completamente buio e gli occhi iniziavano a pizzicargli. Iniziò ad agitare i piccoli arti anche se il freddo dell'acqua della Senna andava via via intorpidendoli. La presa di sua madre si fece più forte e mentre sentiva che una forza oscura lo trascinava con una prepotenza immane verso il letto del fiume alzò lo sguardo e le luci delle strade di Parigi sembravano affievolirsi lentamente. Aprì la bocca per urlare e l'aria gli sfuggì risalendo in ampie e caotiche bolle verso la libertà. Tese le braccine verso quelle bolle e continuò ad agitarsi e a dimenarsi. La presa prepotente di sua madre non era più calda e rassicurante, era una trappola, una gabbia di morte. Allora l'istinto di sopravvivenza prevalse e il bambino mosso dalle ultime energie e dalla disperazione assestò una serie di continui calci a quel corpo che lo aveva sempre cullato, protetto, tenuto al caldo, mentre con le mani graffiava e colpiva il viso che pochi istanti prima aveva amato con tutto se stesso. La presa su di lui si tolse mentre un urlo muto e sofferente gli inondava le orecchie. Aprì nuovamente gli occhietti ormai mentre l'incoscienza iniziava a prenderlo e l'ultima cosa che vide fu il viso sanguinante e iroso di sua madre che veniva inghiottito dall'oscurità. Si dimenò con forza ma la corrente era troppo forte, spalancò la bocca in cerca d'aria quello che però fu solo acqua, acqua che lo appesantiva, acqua che lo trascinava, acqua che lo soffocava.


Si mise seduto con un gesto rapido cercando di tranquillizzare il proprio respiro affannoso. Nella sua mente il viso bellissimo e deturpato dai suoi graffi della madre era stampato con espressione furiosa. Quegli occhi come i suoi brillavano di una rabbia traboccante e di un dolore lancinante. Gli occhi che lo perseguitavano da quella fatidica notte.

Negli anni aveva cominciato a capire il gesto della madre e dentro di se si malediva di essersi salvato. Sarebbe stato meglio morire con lei quella notte, accogliere la fine della sua inutile e sbagliata esistenza stretto fra le braccia dell'unica donna che, a idea sua, aveva cercato di salvarlo dalla durezza della vita. La morte paragonata alla sua vita era un qualcosa di misterioso e allettante, dall'aspetto intrigante del riposo eterno dei sensi, privati da ogni genere di emozione.


Si passò una mano sulla fronte detergendosi il sudore. Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra dove le nuvole nere riversavano su Parigi la pioggia con una forza e una furia che non si vedeva da tempo. Si alzò con un gesto rapido e rimasto seduto sul bordo del letto per qualche minuto senza dire, pensare o fare nulla, finalmente trovò le energie per infilarsi la camicia e gli stivali sopra ai pantaloni di un verde scuro e trasandato.


Con passo silenzioso e misurato si diresse fuori dalla sua stanza ritrovandosi proiettato nel corridoio. In pochi passi raggiunse la cucina dove entrò con passo felpato avvicinandosi ad una cesta al centro del tavolo di legno, vi pescò una mela rossa e con un'espressione finalmente rilassata se la portò alle labbra annusandone prima l'odore intenso e dolce. Nel silenzio della casa scorse il russare continuo e ritmico di Alain a poche stanze di distanza. Sorrise appena e addentò la mela mentre il succo gli impregnava le labbra screpolate scivolando lento sulla lingua e poi giù per la gola.


Si poggiò contro il tavolo sospirando e contemplando la pioggia fuori dalla finestra. Avvertì dei passi e un piccolo sorriso gli dipinse le labbra, erano troppo delicati per essere quelli di Alain e poi non gli risultava che fosse sonnambulo. Sulla soglia della porta una luce arancione si gettò all'interno della cucina e la illuminò. Una ragazza dai lunghi capelli neri come la pece e la carnagione olivastra scottata dal sole comparve sulla soglia scrutando il ragazzo con i suoi occhi grigi come perle.


-Andrè sei tu...-


Esalò con voce rincuorata lasciandosi sfuggire un sospiro sollevato.


-Perdonami Carole non avevo intenzione di svegliarti.-


La ragazza sorrise rassicurante e gli si avvicinò poggiando la candela sul tavolo così da tenere la stanza illuminata. Lo guardò mentre un candido rossore le imporporava le guance e, torturandosi le mani, chiese con voce preoccupata e un espressione leggermente ansiosa.


-Ancora incubi?-


Andrè sospirò e con la mano libera si portò la mela alle labbra addentandola nuovamente prima di puntare lo sguardo vuoto verso l'esterno.


-No, semplicemente non ho sonno.-


Mentì con indifferenza prima di rivolgere un sorriso rassicurante alla sorella di Alain.





  
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