… La
Risposta.
Si
ritrovò distesa, con la faccia sul tappeto dell’ufficio della
preside.
Sentì
dei passi veloci avvicinarsi e due mani la presero delicatamente.
«Hermione»
La voce preoccupata di Ron le arrivò alle orecchie
prima ancora di vederlo. La aiutò a mettersi seduta. «Stai
bene?»
Hermione aveva
ancora la mente annebbiata dal “viaggio”: sbatté un paio di
volte le palpebre, come per schiarirsi la mente. Fece un piccolo sorriso.
«Si» mormorò. «Credo di si».
Si alzò
in piedi, le mani di Ron a sostenerla. Gli fece un
sorriso di ringraziamento, ma Ron sembrò
accorgersi del fatto che le teneva ancora le mani sulle braccia e si
allontanò bruscamente, rischiando ancora di farla cadere visto che la
ragazza si era appoggiata a lui.
Le immagini di
quello che aveva visto all’interno del Pensatoio ritornarono tutte insieme, in un turbinio che quasi le fece girare la
testa. Posò ancora lo sguardo su Ron che guardava ogni cosa tranne lei.
Ron si mosse
verso il Pensatoio spingendolo nuovamente dentro l’armadio, richiudendo
poi le ante. Fece un sospiro, voltandosi poi verso di
lei.
«Torniamo
in Sala Comune».
Non era una
domanda, non era un ordine. Era solo un modo per muoversi, per non restare in
un solo posto, fermi, con l’imbarazzo che rischiava di allontanarli di
più.
Hermione
seguì Ron e, prima di lasciare l’ufficio, gettò
un’occhiata al ritratto del professor Silente: doveva essere appena
tornato visto che era in piedi accanto alla poltrona,
un piccolo sorriso gentile s’intravedeva sotto la lunga barba bianca.
Percorrevano
lentamente i corridoi, Hermione un passo dietro Ron. Seguendo l’istinto,
Hermione accelerò il passo, quel tanto che bastava
per affiancarlo e prendergli la mano con la propria. Ron quasi sobbalzò,
voltandosi verso di lei: sembrava sorpreso e intimorito da quel contatto.
Spostò
lo sguardo sul volto della ragazza: Hermione non sorrideva, non lo guardava con
pena o altro. Il suo sguardo era… intenso.
Riportò
l’attenzione a dove metteva i piedi, ma non lasciò la stretta: si
concesse questa debolezza, la voglia di poterla sentire vicina.
Felice
perché Ron non l’aveva allontanata, Hermione tornò a
riflettere: lo sapeva. Sapeva che la paura più grande di Ron era quella di essere messo in disparte… essere il
secondo… solo l’amico… solo un amico… L’aveva visto nel corso degli anni, a volte
ben mascherato, altre ben visibile…
Ma non poteva dimenticare il volto di Ron
pieno di dolore e sofferenza quando l’anima di Voldemort lo aveva
torturato mostrandogli le sue paure: avrebbe tanto voluto essere lì con
lui, nella realtà, scuoterlo e sorreggerlo.
Voleva fare
per Ron ciò che lui aveva fatto per lei.
Si ritrovarono davanti lo
scheletro del Basilisco. Hermione puntò la bacchetta verso la testa del
mostro e con un sonoro schiocco le zanne, imbevute di veleno, caddero a terra.
«Perfetto» disse Ron,
recuperando le zanne. «Vieni, spostiamoci»
I due ragazzi si portarono nella grande sala
che era stata la dimora del Basilisco. Hermione tirò fuori la coppa
dalla borsina di perline che aveva sempre con
sé. La pose a terra.
«E ora?»
«Tieni» Ron le porse una delle
zanne. «Uccidilo».
«COSA!?!»
Hermione spalancò gli occhi. «Perché?»
«E’ il tuo turno» rispose
Ron seriamente. «Harry ha distrutto il diario.
Io…» negli occhi di Ron passò il ricordo, «… io
ho distrutto il medaglione. Tocca a te. Devi essere tu a distruggere la coppa».
Hermione spostò lo sguardo
sull’ultimo Horcrux, mordendosi il labbro.
«Io… io non sono sicura…»
Ron la prese per le spalle. «Devi esserlo. L’Horcrux
ti farà vedere delle cose… cose non
vere… tu non crederle, non credere a quello che vedrai o
sentirai…» Hermione sembrava ancora più impaurita e Ron
continuò. «Io non ti lascio» disse guardandola dritta negli
occhi. «Sono qui». E le prese una mano.
Hermione fece un respiro profondo prima di
voltarsi verso la coppa. Alzò la mano che reggeva la zanna del Basilisco
pronta a colpire quando all’interno della coppa apparve un liquido scuro
che traboccò oltre il bordo.
«Non puoi uccidermi»
La voce sibilante di Voldemort sembrò
uscire dalle pareti stesse della camera. Hermione urlò.
«Colpisci Hermione!»
«Non puoi» ripetè
la voce di Voldemort, «non hai il potere
necessario per uccidermi. Sai solo ripetere a memoria ciò che qualcun
altro ha già scritto. Non hai nessun potere particolare. Sei solo una
Mezzosangue… sei sola…»
Sotto lo sguardo impotente di Hermione il
liquido fuoriuscito dalla coppa formò una sorta di pozzanghera: i volti
di un uomo e una donna apparvero sotto la superficie, chiari nel loro distacco
nei confronti della figlia.
«Mamma» sussurrò Hermione
con occhi lucidi. «Papà».
L’immagine divenne più grande
mostrando i genitori di Hermione in una bella casa: sembravano felici. Poi la
porta si aprì e due figure mascherate entrarono, uccidendoli entrambi.
«NO!».
«Perché l’hai fatto, Hermione?» era la voce di un uomo, del padre di
Hermione. «Perché ci hai abbandonato?»
«No» ripetè
Hermione, «Vi ho salvato»
«Siamo morti» disse la voce
della madre di Hermione. «Siamo morti e tu non eri con noi a
proteggerci».
«Non credergli Hermione!» urlava
Ron, colpito anch’egli dalla visione.
L’immagine mutò: i corpi senza
vita dei genitori lasciarono il posto ad un'altra
persona, dagli occhi verdi e con una cicatrice sulla fronte.
«Quando ero in pericolo» stava
dicendo Harry, guardandola con odio e disprezzo. «tu
non c’eri. Sono stato io a uccidere il Basilisco… sono stato io a
sconfiggere i Dissennatori, io ho affrontato un drago. Ho combattuto con
Voldemort». Il volto di Harry si fece più
cattivo. «Tu dov’eri quando avevo bisogno di te?»
«Harry» sussurrò
Hermione, le lacrime che scendevano copiose.
«Non ascoltarlo» Ron non
riusciva a scuotere Hermione. E sotto il suo sguardo orripilato l’immagine
di Harry lasciò il posto a una copia di se stesso.
«Credevi davvero» disse il falso
Ron, un ghigno non suo sul volto, «che potevo
provare qualcosa per te? Tu mi servivi solo per i compiti, nulla più».
«Ron»
«Non sono io Hermione!»
«Lavanda
è la ragazza giusta per me. E’ più bella di te…
è più sensuale di te… ed è una Purosangue» continuò il falso Ron. «Pensavi davvero
che potessi essere innamorato di una Mezzosangue?»
«Hermione!» questa volta Ron
scrollò la mano di Hermione e la ragazza spostò lo sguardo pieno
di dolore su di lui. «Io sono qui. Sono qui. Con
te. Credi a me, non a lui».
Hermione sbattè
le palpebre. «Sei qui».
«Si» annuì con vigore
Ron. «Sono io. Mettiamo fine a questo. Puoi
farlo Hermione. Puoi farlo».
Hermione spostò ancora lo sguardo sul
falso Ron che continuava a guardarlo con arroganza. Alzò la zanna di
Basilisco sopra la testa. «Posso farlo» e colpì la coppa.
Un urlò si
liberò dalla coppa mentre il liquido si disperdeva attorno senza
più mostrare quelle immagini che avevano torturato Hermione.
La ragazza s’inginocchiò,
coprendosi il volto con le mani, piangendo. Ron recuperò ciò che
rimaneva dell’Horcrux e si avvicinò ad Hermione.
«Hermione» la chiamò
dolcemente.
Hermione si voltò verso di lui, gli
occhi colmi di lacrime. Si gettò fra le sue braccia, sfogandosi ancora
contro il suo petto. «I miei… i miei genitori…
Harry…» singhiozzò.
Ron le accarezzò i capelli,
dolcemente. «Sono vivi Hermione. Sono vivi. E
Harry sa benissimo che se non fosse stato per te sarebbe morto molto tempo fa»
Hermione alzò lo sguardo fino ad incontrare quelli del ragazzo. «E…
tu…»
«Non è vero niente
Hermione» rispose deciso Ron. «Niente di quello che ha detto
è vero».
Hermione annuì, asciugandosi gli
occhi. Fece un piccolo sorriso, ricambiato dal rosso.
«Andiamo» disse Ron aiutandola
ad alzarsi. «Dobbiamo trovare Harry».
Hermione lo
aveva seguito fuori dalla Camera ma, si ricordava, avrebbe voluto chiedergli se
anche lui aveva dovuto affrontare la stessa cosa quando aveva distrutto il
medaglione, se anche lui era stato torturato come lei.
Aveva avuto la
sua risposta.
Incrociando
alcuni studenti diretti in Sala Grande i due ragazzi si ritrovarono davanti al
ritratto della Signora Grassa.
«Come
mai siete qui?» chiese la Signora Grassa. «E’ ora di
cena».
«Sapientia»
disse Ron.
Il ritratto
scattò lasciando libero il passaggio. Nella Sala Comune non c’era
nessuno, erano tutti in Sala Grande.
Ron si
avvicinò al camino, trafficando con la bacchetta: non appena
riuscì ad accendere il fuoco, un tepore cominciò a riscaldare la
stanza.
Hermione,
rimasta in piedi vicino ad una delle poltrone, non
aveva smesso di tenere il proprio sguardo su Ron, ancora fermo in piedi vicino
al camino.
«Credo
di essere sempre stato invidioso di Harry» cominciò Ron, rompendo
il silenzio. «Mi ritenevo fortunato ad essergli
amico ma provavo anche una certa invidia nei suoi confronti. Lui era Harry
Potter, il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto, il Prescelto. Era famoso. E io lo invidiavo». Ron non si muoveva da quella
posizione ed Hermione voleva che buttasse fuori tutto
quanto. «Sapevo che era stupido: chi vuole
essere famoso perché ha perso i genitori? Forse era lui che doveva
invidiarmi perché almeno io ho vissuto con i miei genitori e con una
famiglia che mi voleva bene. Credevo che mi fosse passata… fino al quarto
anno quando il Calice ha sputato fuori il suo nome. E ci sono cascato ancora».
La voce di Ron
era piena di rabbia. Rabbia, capì Hermione, che era rivolta a se stesso.
«Era ancora al centro dell’attenzione, era
sempre e solo lui. Sembrava quasi che lo facesse apposta a mettersi in mostra.
Ancora una volta ho dimostrato quanto fossi stupido. Ho capito che Harry voleva
solo una vita normale, senza pericoli. E da quel momento non mi è pesato
essergli secondo, a scuola o nel Quidditch. Poi…»
il tono di Ron si fece doloroso. «…poi ho
capito quello che provavo per te. E sono tornato ad invidiarlo.
Gli invidiavo le attenzioni che avevi nei suoi riguardi, gli invidiavo i tuoi
sorrisi, i tuoi sguardi, il modo in cui lui riusciva a starti accanto senza
litigare».
Ron si
voltò verso di lei. «Potevo sopportare di essergli secondo in
tutto… ma non essergli secondo ai tuoi
occhi».
Hermione, che
aveva un nodo in gola e gli occhi lucidi, dovette impiegare qualche istante
prima di riuscire a parlare con calma. Si avvicinò a lui
«Ron».
Ron sembrava
avere troppa paura per guardarla ancora in volto. Sobbalzò quando
sentì Hermione prendergli la mano: sul suo volto c’era un piccolo
sorriso e questo lo rasserenò almeno in parte.
«Quello che hai visto non è vero. Lo
sai» disse dolcemente. «Non ero io»
aggiunse. Vide Ron guardarla attentamente: sembrava rassicurato da quella
constatazione.
«Per
Harry non ho mai provato altro che una forte amicizia» riprese Hermione.
«E’ come un fratello» disse lei, ricordandosi delle parole di
Harry. «Non puoi impedirmi di provare affetto per lui, lo
sai vero?».
Il ragazzo annuì
e lei continuò. «Solo affetto Ron, non di
più. Lo stesso affetto che provi tu per Ginny…»
ripensò a ciò che aveva visto nel Pensatoio e un piccolo sorriso
ironico fece capolino sul volto. «… e non credere a quello che hai
sentito: lo sappiamo entrambi che sei il preferito di tua madre».
Anche Ron si
lasciò scappare un piccolo sorriso. «Ginny non sarebbe contenta se
ti sentisse».
Hermione
ridacchiò. «Guarda che sono parole sue».
Ron
annuì. Alzò la mano, ancora intrecciata con quella di Hermione,
posando un piccolo bacio sul dorso della mano di lei.
«Puoi perdonarmi» Il viso di Ron si era fatto ancora pieno
d’insicurezza. «Puoi perdonarmi per aver creduto a delle menzogne e
non a te?»
Hermione lo
guardò con tanta tenerezza che non riuscì a non sorridere.
«Solo ad una condizione».
«Qualunque
cosa» rispose subito Ron.
«Baciami».
Le orecchie di
Ron si tinsero leggermente, ma non si fece pregare: si chinò su di lei,
baciandola, stringendola a sé mentre lei si aggrappava alle sue spalle. Il
bacio, dapprima leggero, si fece via via sempre
più deciso e profondo; era da tempo che i due
non si scambiavano un bacio del genere ed era come se volessero recuperare il
tempo perduto. Si staccarono solo quando si rese necessario
respirare. Rimasero vicini, fronte contro fronte, ad
occhi chiusi.
«Ti
amo».
Hermione
spalancò gli occhi e si ritrovò ad affrontare la serietà
degli occhi di Ron. Le guancie si arrossarono mentre un sorriso lacrimoso
spuntava sul suo volto.
«Anche io ti amo, Ron»
Finalmente sembrava
che anche Ron avesse ritrovato la serenità; si chinò ancora su di
lei, posando le labbra sulle sue in un altro bacio leggero…
Un gorgoglio
li fece allontanare.
Come rovinare un momento romantico.
Le orecchie di
Ron divennero rosse mentre Hermione scoppiava a ridere… ed era bello
poterlo fare, ridere… vivere… assaporare anche momenti come quelli…
insieme…
Hermione lo prese per mano. «Vieni. Dev’essere rimasto ancora qualcosa in Sala Grande».
Ron sorrise,
passandosi una mano sulla nuca… ma l’altra mano
era stretta a quella di Hermione e niente al mondo l’avrebbe allontanato
ancora da lei.
**
E qui si conclude questa storiella.
Spero davvero che vi sia piaciuta.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, che hanno letto la storia e chi l’ha messa tra i preferiti / storie da ricordare.
Spero che continuerete a seguire le mie storie: è in fase di sviluppo Ritornare a Vivere…Capitolo 3, con la partecipazione di EDVIGE86.
Stiamo lavorando alacremente per poter postare la storia il prima possibile ed anche in modo da non dovervi far aspettare troppo tempo fra un capitolo e l’altro.
Quindi un saluto a tutti voi e a presto.