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Autore: Exelle    16/01/2011    3 recensioni
La vita di Severus Piton è monotona e solitaria.
Quella di Luna Lovegood, incomprensibilmente folle.
E se venissero raccontate nella stessa storia?
_Finalmente il capitolo sedici_
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Luna Lovegood, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Più contesti
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Capitolo quindici
Grasse risate a Grimmauld Place


Di tutte le cose strane, curiose o inspiegabili che capitavano a Londra ultimamente, la caduta di un grosso fagotto umano in una piazzola di erba incolta in una delle zone più decadenti della città, rientrava quasi nella categoria del più che normale.
Rotolandosi tra l’erba secca, rimettendosi in piedi e cercando di recuperare i veli neri che le ornavano la testa, ridotti a ragnatele scure, la vecchia -perché così appariva quella figura derelitta e stracciona- cercò di camminare tra le pozze d’ombra che si allungavano sulla strada, là dove la luce fioca dei lampioni non arrivava.
Non che alle finestre fumose dei numeri undici e tredici ci fosse qualcuno intento ad osservarla, ma la prudenza, soprattutto in quegli ultimi giorni, era qualcosa di fondamentale a cui attenersi.
La vecchia si trascinò dall’altra parte della strada, attraversando un rigagnolo d’acqua sporca, scivolando nella nuvola di odore mefitico che aleggiava tra dei sacchi d’immondizia, addossati poco oltre il cancello sghembo del numero undici.
La strega strinse i pugni, e oltre il velo nero, strizzò le palpebre, concentrandosi su un pensiero.
Passarono lunghi secondi, apparentemente intervallati da qualche scoppio di risa o musica, che si levavano dalle case vicine. Ma nessuno si accorse di nulla.
Qualcuno cominciò a strimpellare una chitarra e fra le note distorte di quel suono improponibile, accadde ciò che la vecchia aspettava. Avvolta nei suoi veli neri e nei suoi stopposi capelli verdastri lunghi fino alla vita, non sembrò sorpresa nel vedere quella strana apparizione prendere forma sotto i suoi occhietti rossi.
Le due case cominciarono a spostarsi di lato, per far posto ad un’altra dimora che sembrò gonfiarsi tra le due, senza tuttavia alterare l’aspetto della strada stessa.
In perfetto accordo con lo stile della zona, anche la nuova facciata, benché  ridotta ad un ombra spoglia della vecchia signorile ricchezza, aveva muri sporchi e finestre annerite, ma a differenza delle altre case che apparivano almeno abitate, questa sembrava vuota da molto, molto tempo. Non aveva nemmeno una finestra rotta.
Guardandosi in giro in un ondeggiare di veli scuri, la vecchia guardò la via, scrutandone gli angoli più bui.
Tutto deserto, nessun’anima in giro. Solo stolti Babbani incapaci di pizzicare due corde, pensò.
La vecchia megera oltrepassò il cancello cigolante e rugginoso, salendo gli scalini polverosi e viscidi con passo claudicante, diretta verso la porta scrostata che si era appena materializzata.
La vecchia puntò una stecca di legno al batacchio a forma di serpente d’argento. Si udì una serie di gemiti ferrosi, antichi ingranaggi mettersi in moto e infine lo stridio di una catena.
Con un cigolio, la porta si aprì.


“Voleva uccidermi” esordì Mundungus in un rantolo.
Si passò una mano tra i capelli rossicci ed incrostati, alla ricerca delle forcine con cui aveva fissato la parrucca dai lunghi capelli verdi e i veli per nascondersi il volto graffiato.
Non si era mai troppo prudenti. Soprattutto con un Mangiamorte alle calcagna.
“Un minuto me ne sto tranquillo a fumare e quello dopo, quell’infame di un Ghoul, che il diavolo se lo porti, fa’ saltare la parete, Bam! E io mi ritrovo sotto le sedie per non finire sfigurato dal vetro!”
“Tutta la parete, Sir! Vetro spesso così! Ci fa’ una crepa e quello mi sorride, tutto contento… Non c’aveva il minimo problema a far saltare il muro davanti a trenta Babbani! Non gli fregava se lo vedevano, capisci? E sta’ tranquillo che il Ministero non ne ha saputo niente, perché sarà scappato, il bastardo… Se ne fregano loro della sicurezza dei cittadini come me1”
“Io, diamine, avrei potuto rispondergli, ma dannazione, eravamo in una stazione Babbana, ‘cidenti…” Mundungus scosse il capo, offeso al ricordo del nemico che lo derideva.
Sembrava seriamente provato, con i gomiti appoggiati sul duro ripiano della lunga tavola della cucina e lo sguardo vacuo.
Sirius Black lo guardò con un sorriso a metà tra il divertito e il dubbioso, prima di girarsi verso uno degli armadietti dalle ante cigolanti e recuperare una bottiglia di liquore, una di sciroppo di ribes ed un secchiello di alluminio recuperato nella ghiacciaia. Mentre Mundungus biascicava l’elenco delle sue innumerevoli disgrazie con il capo tra le mani, Sirius preparò due drink che si affrettò a far veleggiare verso il tavolo, davanti all’amico.
Alla vista del seltz galleggiante nel liquido rubino, gli occhi iniettati di sangue di Dung s’illuminarono. La sua figura curva sembrò riscuotersi, raddrizzandosi sulla sedia e assumendo un atteggiamento rilassato. Afferrò il bicchiere e ne ingurgitò un lungo sorso. Quando rimise il bicchiere sul tavolo, con il contenuto dimezzato, cominciò ad annuire, schioccando la lingua.
“Oh, mio Dio. Oh, mio Dio! Erano due giorni che me lo sognavo, Sirius. Due giorni.”
Sirius prese posto accanto a Mundungus sedendosi a capotavola, ancora sorridente. La sua faccia incavata sembrava leggermente più giovane quando lo faceva e vagamente triste.
Dung non se ne preoccupò. Ci aveva fatto l’abitudine aquella faccia e, dopotutto, Sirius era uno dei pochi che gli piaceva davvero, lì all’Ordine della Fenice. Era anche l’unico che non passava il tempo a guardarlo schifato o a giudicare su come si guadagnasse da vivere. Dung sospettava che ci fosse anche un sottofondo di stima, nella loro amicizia.
Si sfregò le mani ruvide, aggiustandosi la lunga gonna nera di pizzo. Era ancora vestito da strega, ma Sirius, abituato a quanto pareva a cose ben più strane di un vecchio amico vestito da megera, non aveva fatto commenti. Nemmeno sullo smalto che copriva lo sporco delle unghie, un dettaglio forse eccessivo, assieme al rossetto porpora con cui si era colorato le labbra secche.
Con un cenno del capo, Mundungus  indicò alcune sedie stipate in un angolo della lunga stanza cavernosa.
“C’è stata una riunione?” domandò, riafferrando il bicchiere.
Sirius guardò le sedie con sufficienza, scostandosi i capelli scuri dalla fronte aggrottata. “Se ci fosse stata saresti stato il primo ad essere chiamato, Dung. Probabilmente sei l’unica persona a cui è capitato qualcosa di interessante da qui a cinque mesi fa. Escluso Harry e i due Dissennatori, naturalmente.”
La pelle chiazzata di Mundungus si colorò di un vivace rossore: “Ah già, diamine Sir…”
Sirius lo interruppe con un cenno, e un altro ghignò solcò la sua faccia segnata: “Dovrei ancora essere arrabbiato con te per quell’incidente?Ti sei già scusato, no? E non essere sciocco, era fuor di dubbio che Harry se la sarebbe cavata.”
Sirius tamburellò le lunghe dita magre accanto al bicchiere, sollevando un po’ il capo, quasi parlando più a sé stesso che all’uomo accanto a lui.
“Tutti si preoccupano di Harry, Molly cerca persino di fargli da madre. Nessuno capisce che è perfettamente in grado di fare le cose da solo e può conoscere e sopportare quello che sappiamo noi… Che è relativamente poco.”
Sirius strinse gli occhi, lanciando uno sguardo obliquo alle sedie accatastate in attesa dell’arrivo di un’improbabile quanto inutile riunione.
“A volte penso che sarebbe meglio uscire e ad andare a stanare Voldemort e la sua allegra compagnia di mattacchioni, invece che starcene nella cucina di mia madre, a pensare a come sorvegliare al meglio il mio figlioccio.”
Mundungus annuì alle parole di Sirius, apparentemente affascinato dall’ondeggiare del liquido rubino nel bicchiere luccicante.
“Cristallo di Boemia?” domandò Dung con l’occhio socchiuso dell’intenditore.
“No, Turingia. Quello che credo, Mundungus, è che dovremo fare qualcosa di serio. Quanta gente morta dobbiamo conteggiare ancora prima di capire che forse, questo non è il modo giusto?” sbottò Sirius irritato. Sapeva che impegnarsi in una conversazione del genere con Mundungus Fletcher era un po’ una faccenda a senso unico, ma chi altri aveva con cui parlare?
Non è che a Grimmauld Place la gente venisse a frotte per fare una o due chiacchiere ogni tanto, a parte qualcuno come Dung.
Anche le riunioni avevano iniziato a diradarsi con l’arrivo dell’inverno, quasi che con il freddo, pure le azioni dell’Ordine si congelassero nell’apatia. E definirle azioni, era già di per sé un complimento troppo grande per lo svolgere compiti assolutamente passivi come la sorveglianza di una palla profetica all’ufficio Misteri e di Harry.
Soprattutto l’accanimento con cui si tendeva a cercare di sorvegliare il ragazzo, rendeva Sirius Black astioso nei confronti di Silente e delle sue decisioni. A quanto ne sapeva Sirius, ogni volta che la sorveglianza si faceva stretta attorno ad Harry o gli si imponevano restrizioni varie, il figlio di James finiva sempre coinvolto in qualche situazione pericolosa, uscendone vivo grazie al cielo, ma deludendo le aspettative di chi s’imponeva di tenerlo sotto controllo.
Harry era come James ed era in grado di cavarsela anche meglio di tanti altri, pensò Sirius.
Non aveva bisogno di un comitato di baby-sitter, mascherato da associazione contro la lotta del male assoluto.
E Silente doveva farsene una ragione.
Per proteggere i loro piani segreti -inesistenti- e le loro astuzie anti Voldemort -indefinite-  non serviva a nulla segregare lui in casa o tenere all’oscuro l’unico che avrebbe dovuto sapere tutta la verità.
Il nuovo atteggiamento del Preside di Hogwarts, indifferente e sordo alle domande, sembrava davvero rispecchiare l’impotenza in cui l’Ordine si trovava.
“Sai Sir, credo che ultimamente Silente sia uscito di senno” gorgogliò Mundungus, quasi in risposta agli amari pensieri di Sirius. L’uomo spostò il suo sguardo vacuo sul sudicio ometto accanto a lui, d’improvviso interessato. “Cosa intendi dire?”
Mundungus allungò le mani davanti a sé, afferrando il bordo del tavolo, pensieroso. Dibattendosi nella possibilità di raccontare della commissione rifilatagli dal Preside. Forse a lui poteva dirlo, no?
“Ecco, dovrei cominciare un po’ dal principio…”
Sirius sembrò spazientirsi, sbuffando irritato: “Comincia allora.”
“Non sono stato solo seguito, mi hanno anche derubato…” borbottò Dung vergognoso.
“Un paio di settimane fa sono andato da Albus e…”
Sirius si era appena portato il bicchiere alle labbra, gli occhi fissi su Mundungus, che un urlo stridulo ed infinitamente acuto scosse la casa fin dalle sue fondamenta vecchie e pietrose.
“Stupido ritratto!” borbottò Sirius levandosi di scatto e dirigendosi verso l’ingresso, ancora con il bicchiere in mano. Spari oltre gli scalini, e Dung sospirò sentendo i passi dell’amico risuonare sulla pietra del corridoio. Risuonarono due voci maschili concitate, subito coperte da una stridula di vecchia che Mundungus già conosceva: “Feccia! Sudici esseri abbietti! Vergogne della razza magica fuori da casa mia!
Mundungus si frugò nel corsetto con fare sornione, recuperando la pipa. Si sfilò la bacchetta dalla manica e l’accese, cominciando a diffondere nell’aria quell’aroma di calzini bruciati che lui solo sembrava trovare così deliziosamente inebriante. Impegnato a fumare, contemplò i vari armadi e vetrine che affollavano le pareti della stanza, facendo un rapido inventario sui bicchieri di cristallo che Sirius poteva effettivamente possedere. Il numero sembrava aggirarsi sul centinaio; provò a convertirli in cifre, in quanti galeoni ne avrebbe ricavato se li avesse venduti. Con la testa affollata dai calcoli, avvicinò la sua sedia al camino, protendendo le mani verso le fiamme calde, aspettando che Sirius facesse ritorno.
Con un’ultima tirata sui: ‘Maledetti ibridi contaminatori!’ il ritratto all’ingresso tacque. Dung si riavvicinò con la sedia al suo posto, recuperando il bicchiere e cominciando a rigirarselo tra le mani.
Due voci, fra cui quella di Sirius, cominciarono a riecheggiare nel corridoio, sostituendo quella del ritratto ma  affievolendosi man mano che i passi si avvicinavano alla cucina.
Dung non riuscì a distinguere l’altra, e nemmeno di cosa stessero discutendo, finché non sollevò lo sguardo verso il basso ingresso di pietra, dove la magra figura di Sirius era apparsa, seguita da quella altrettanto smunta di Remus Lupin.
La prima considerazione di Mundungus nel vederli insieme, così cupi e affilati, fu che l’essere membri dell’Ordine della Fenice era meglio che seguire una dieta dimagrante.
Ringraziò il cielo per essere solo un membro part-time.
Mundungus levò una mano tozza in segno di saluto, il viso nascosto da una nuvola di fumo.
“Mundungus.” Lupin si accomodò di fronte a lui con un sorriso stiracchiato, mentre Sirius si risedette a capotavola, in mezzo ai due, il camino alle spalle e lo sguardo fisso. Sembrava molto contrariato.
Lupin si affrettò a posare il mantello sulla sedia accanto a lui, congiungendo le mani.
Sete, Remus?” disse Sirius sfoderando la bacchetta ma rimanendo rigido a fissare l’estremità vuota della tavola, dall’altra parte.
“No, grazie” replicò Lupin in tono gentile. Mundungus notò che gli occhi erano un po’ ansiosi. Che diavolo succedeva?
Sirius levò comunque la bacchetta verso una delle vetrinette smerigliate, che si aprì di scatto facendo uscire due panciute bottiglie che si affrettarono a volare verso di loro, con enorme soddisfazione di Dung.
Lupin, sempre con un sorriso cordiale in volto, non commentò, ma si rivolse a Mundungus, lo sguardo interessato. “Sei stato attaccato Dung?”
Mundungus lo guardò, confuso: “Chi te l’ha detto?”
Lupin lanciò uno sguardo obliquo a Sirius, come se fosse stata tutta colpa sua. “Kingsley, stamattina. Ha sentito un contatto all’ufficio del terzo piano, uno che lavora con lui, che l’ha informato riguardo una conversazione su di te, Mundungus."
"E chi sa quando l‘avremmo saputo se non avessimo avuto questo colpo di fortuna” aggiunse palesemente infastidito, nonostante il solito viso gentile.
Sirius portò un braccio oltre lo schienale della sedia, grattandosi la tempia e facendo una smorfia.
“Non puoi farmene una colpa se non ti ho detto subito che Dung era qui. Te l'avrei detto non appena ti saresti fatto vivo.”
Lupin evitò di guardarlo e quando parlò mantenne il tono gentile, ma dal suo volto sparì ogni traccia di cordialità.
“Rinfacciarsi le colpe è un problema da poco, ma celare informazioni importanti è un guaio ben più grave.”
Questa volta l’occhiataccia fu rivolta a Mundungus e a Sirius, entrambi con il bicchiere in mano. L’unica differenza era che tra gli occhi di Sirius si era formata una piega, mentre in quelli di Dung, nascosti dal fumo della pipa, c’era solo un crescente imbarazzo. Lupin continuò a parlare, la voce leggermente alterata.
“Un membro dell’Ordine della Fenice viene attaccato da un Mangiamorte che dovrebbe avere una copertura sicura al Ministero e noi lo veniamo a sapere dopo due, tre giorni?”
Mundungus si sentì dissolvere davanti allo sguardo, ora palesemente irritato, di Lupin.
“Volevo avvisarvi non appena l’avessi… ehm… seminato…” pigolò Dung accennando alla parrucca verde, abbandonata sul tavolo di rovere. “Io… insomma, eddai. Un esplosione, Remus!
Grossa così! Per tutta Vauxhall… Cioè, che vi frega a voi se non ve lo dico subito? Tanto ce li avete i contatti, no? Avreste fatto due più due e avreste capito che…”
“Al Ministero nessuno ha parlato di un esplosione. Anzi, non se ne è parlato proprio per nulla. Solo i giornali Babbani lo hanno definito di un cedimento strutturale” disse Lupin a voce bassa, controllata ma i suoi occhi brillavano guardinghi. Mundungus scrollò le spalle. “Quindi niente mago cattivo?”
“Esatto. Per questo continuo a insistere che dobbiamo tenerci sempre allerta, sempre…”
“Che ne sapevo io che cercavate Dung?” sbottò Sirius, schiaffando il bicchiere sul tavolo. “Sono due settimane che non facciamo una … riunione” disse, storcendo la bocca disgustato pronunciando l’ultima parola.
Lupin tossì, prima di replicare in tono vagamente saccente:
“Perché questi sono gli ordini. Se succede qualcosa…” Sirius lo interruppe, scrutandolo incattivito.
“Smettila Remus. Il ruolo del capo non fa per te. Questa faccenda dello spionaggio, delle coperture e della segretezza vi sta facendo saltare il cervello a tutti quanti… Non fate niente per mesi e all’improvviso, uno di voi viene attaccato e invece di essere felici perché è riuscito a scamparla, gli date ancora addossso?”
Sirius si versò del gin, alzando le sopracciglia: “…Questa sì, che è coerenza.”
Lupin abbassò un poco il viso, arrossendo. “Non sto giocando a fare il capo… Ma devi anche ammettere, Sirius che…”
“Che l’attacco a Dung è la cosa più importante capitata in quasi cinque mesi? Sì, lo ammetto, ma invece di venir qui e fare gli allarmisti, perché non cercate di capire cosa c‘è dietro, visto che siete così bravi?” continuò Sirius acidamente, di fronte allo sguardo perplesso di Mundungus e a quello stranito di Lupin.
“Sirius, tu sei uno di noi” gli rispose, senza essere minimamente convincente. Sirius non sprecò tempo a ringhiargli addosso, ma solo a rispondere in tutta calma:
“Piacevole sapere che tu voglia farmi sentire parte del gruppo, ma io non sono uno di voi.  A parte ricoprire il ruolo dell’ospite, o del tizio che serve da bere” disse sardonico, gli occhi levati al soffitto.
“Sirius, cerca di capire. Come possiamo coinvolgerti se sei un ricercato pluriomicida? E anche esserti fatto vedere a King’s Cross è stato un errore…”
“Un errore che sto pagando ancora adesso, grazie!”
Lupin posò un braccio sul tavolo, sospirando esasperato. Aveva abbandonato i modi da capo esigente e da quelli di ragazzetto intimorito. Sirius aveva ragione, non gli si addicevano, non erano da lui. Quando parlò lo fece nel suo tono amichevole e tranquillo, cercando di calmare le acque.
“Capisco quello che stai passando. Silente…”
“Silente è un mentecatto!” borbottò Sirius tra gli sguardi allarmati di Dung e Lupin.
“Sirius, zitto, lui è ovunque!” gli occhi iniettati di sangue di Dung puntarono alla porta, quasi si aspettasse di vedere la canuta figura del Preside di Hogwarts, entrare con solennità a punire chi l’aveva offeso.
Sirius incrociò le braccia, guardandoli con occhi di sfida. “Non vi aspetterete davvero che arrivi, vero?”
Un rumore di strascicati passi lungo il corridoio li fece trasalire. I tre ammutolirono, guardandosi in faccia e poi fissandosi sull‘ingresso della cucina in attesa, mentre i passi si facevano più distinti.
“Tutta colpa tua, Sirius!” bisbigliò Lupin a mezzabocca. Mundungus aveva già alzato l’indice e lo puntava preventivamente contro Sirius, pronto a smascherare il colpevole.
“Feccia!” ululò Kreacher apparendo nel vano d’ingresso, agitando i piccoli pugni e facendo una pernacchia.
Lupin e Mundungus urlarono, e quest’ultimo cadde addirittura dalla sedia. Sirius, l’unico a mantenere la calma, puntò annoiato la bacchetta verso l’elfo domestico.
Reducto.”
L’elfo allargò le braccia. Colpito in pieno petto dall’incantesimo, volò all’indietro, sparendo alla vista.
La porta della cucina si chiuse con un tonfo sordo.
Lupin, leggermente tremante, si risedette mentre Dung, afferrata la mano che Sirius gli porgeva, si risollevò da terra, raddrizzando gonne, veli e corsetto. Recuperò la pipa in fretta, aspirando velocemente delle rapide boccate, gli occhi vaganti come palle da biliardo.
Non appena furono di nuovo tutti seduti, Sirius scoppiò in una risata simile ad un latrato, ben presto seguito da Lupin e da Mundungus. Apparentemente, bastò quello per riconciliarli.
Fu Lupin a riprendere la parola, facendosi serio.
“Allora Dung, cos’è successo?”
Mundungus, la cui risata si era ormai trasformata in tosse, si battè la mano sul petto, cercando di ritrovare il respiro. “Sono… coff!… entrati in casa mia, e dopo tre minuti, mentre me ne vado in giro per la città per capirci qualcosa, mi trovo questo figlio di cane, scusa Sir…” Sirius gli fece cenno di continuare, “… A Vauxhall, che mi guarda e mi sorride tutto contento. E diavolo se non era un Mangiamorte!!Non era uno dei soliti tizi che mi danno la caccia o uno di quelli in …ehm.. Affari con me. Comunque. Avevo controllato di non essere seguito, sempre, eppure me lo sono beccato lì davanti, capite? Puff! Dal nulla!”
Mundungus si ricacciò la pipa in bocca, sbuffando fumo come un vecchio piroscafo.
Lupin annuì lentamente: “E hai aspettato due giorni per depistarlo? Dove sei stato?”
Nella mente di Mundungus si materializzò il cassonetto dove si era rintanato nelle ultime quarantotto ore.
“Un po’ qui, un po’ là… Quello che conto è che già il primo giorno non ce l’avevo più sotto al naso, però ho preferito aspettare. Insomma, sapevo di dover venire qui alla fine, ma con un Mangiamorte nel codazzo, non credo fosse il caso” rispose Dung.
“Buona mossa, Fletcher” disse Sirius allungandogli una pacca sulla schiena. Dung mostrò i suoi denti in un sorriso molto aureo e molto sporco, prima di farsi di nuovo triste e derelitto. In realtà, stava decidendo come dire ai due del furto, cercando di suonare il più possibile preoccupato.
“L’unico problema è che mi hanno rubato tutte le Promesse.”
Sirius tossicchiò, mentre un po’ del gin che stava bevendo gli andava di traverso.
 “Cosa? Te le hanno rubate?”
Lupin guardò entrambi, interrogativo. “Promesse? Che …”
Sirius scosse la testa, rassegnato. “Remus, sei troppo fuori dall’ambiente per conoscere certi dettagli. Diglielo tu Dung, per favore.”
“Gli ordini, le commissioni…” si affrettò a spiegare Dung, gesticolando con la pipa. “Ogni tanto qualcuno mi chiede qualche articolo particolare, che so,  il cuore di un drago, polvere di ossa d’oro, robette così, costose, un po‘ introvabili nei negozi, capisci?…”
Mundungus assottigliò gli occhi, cercando le parole con cui spiegare ad un profano le sottigliezze che rendevano il suo ‘lavoro’ così entusiasmante.
“Allora, il tale che vuole l’oggetto, mi scrive il nome di quello che vuole su una pergamena, ci fa un incanto, e se io non gli recupero l’oggetto… Bhè.” Mundungus si allungò verso Remus, sornione. “Non credo che alle tue orecchie da principessina mannara piacerebbe sentire una cosa del genere.”
Remus si portò una mano alla tempia, grattandosi là dove i suoi sottili capelli castani cominciavano ad ingrigire, dubbioso più che spaventato.
“Non mi sembra un grande affare per te! Se non recuperi l’oggetto ti dovrebbe colpire una maledizione, giusto?”
Mundungus si sfregò le mani, annuendo. “Sì, ma è anche una garanzia per me. In caso il tizio che mi ha affidato la Promessa non mi paghi, la maledizione si ritorcerà su di lui. Mica scemo.”
“E il Mangiamorte che ti ha seguito a Vauxhall te le ha prese, giusto?” disse Sirius, riportando la conversazione su quello di cui dovevano davvero parlare.
Mundungus si passò la lingua sui denti, versandosi un po’ di gin e mischiandolo con il fondo di sambuca ribes. “Esatto, o almeno credo. Insomma gente, un minuto prima mi frugano nel cassetto delle mutande e quello dopo mi attaccano. Non so voi ma credo che la gentaglia che mi sta dietro sia la stessa!” disse in tono pratico. “E no, non erano commissioni importanti, ma me le hanno rubate comunque e questo vuol dire che se non le recupero e non le porto a termine, potrei ritrovarmi con le budella un po‘ fuoriposto.”
Remus aveva posato il mento sulla mano, riflettendo. Anche Sirius, con le braccia incrociate sembrava essere preso a valutare le implicazioni di quel furto.
Fu lui a fare la domanda che Dung temeva e che prima, grazie al suo troppo fidarsi, aveva quasi spiattellato a Sirius, da bravo ladro pettegolo.
“Qualcuno dell’Ordine ti ha commissionato qualcosa? Qualcosa che è segnato tra le Promesse?”
Mundungus smise di fumare la pipa, ricacciandosela nel corsetto e parlando in un falsetto stentato:
“La mia etica professionale… No. E non hanno preso nient‘altro dall‘alloggio” gorgogliò Mundungus, vedendo che Remus aveva la bocca aperta, pronto a porgergli un’altra domanda.
“Abbiamo capito, Dung” replicò Sirius ridacchiando. Mundungus ridacchiò a sua volta, tirando un immaginario sospiro di sollievo. Forse avrebbe potuto dire loro della curiosa commissione di Albus, ma aveva il sospetto che trascinare i due uomini su una diatriba sul loro attuale capo, sarebbe stato controproducente.
Dung faceva parte -in parte- dell’Ordine, ma prima di fare gli affari dell’Ordine, faceva gli affari di Dung.
E se ora stavano anche cercando di ucciderlo, era molto meglio starsene zitti e quieti senza tirare di mezzo gli affari. Il pensiero che la commissione di Silente potesse avere a che fare con la lotta a Voldemort, l’aveva scartato già in partenza. Occultare quell’informazione ai membri dell’Ordine, non avrebbe portato certo altri problemi, oltre a quelli che avevano già.
“A me piacerebbe solo sapere chi è quel bastardo, Remus” biascicò Mundungus “E riavere le mie Promesse. Potrei anche farne a meno, ma…” Lupin lo interruppe, pensieroso.
“Quello che non mi è chiaro è perché quel Mangiamorte abbia deciso di seguire proprio te. Hai forse fatto qualcosa in particolare?”
Dung scrollò il capo: “Ti pare? Ho imparato la vostra lezione da setta segreta, grazie tante.”
“Remus, credi davvero che Voldemort si intestardisca a voler seguire Mundungus? Probabilmente non saprà nemmeno che fa’ parte dell’Ordine!”
Mundungus fece una smorfia offesa: “Grazie della considerazione, eh!”
“Credo solo che sia successo qualcosa perché Rawdon Yaxley segua Mundungus, al punto dallo scoprirsi” affermò Remus sollevando le mani, quasi volesse difendersi dalle congetture sbagliate.
“Ma allora sai il suo nome!” gorgogliò Dung sorpreso “Come…”
“Ve l‘ho detto, è stato Kingsley. Il suo contatto lo ha sentito parlare riguardo ad una ‘perquisizione’” rispose laconico Lupin, passandosi una mano tra i capelli. “Indovina con chi, Sirius?”
“Malfoy, immagino.”
“Esatto. Yaxley è come lui, un altro dei redenti dopo la caduta di Voldemort” disse Lupin pacato.
“A quanto sappiamo adesso, non ha solo mantenuto le vecchie amicizie, ma anche i vecchi compiti.”
“Che fa sto’ Yaxley al Ministero, di preciso?” borbottò Mundungus sempre meno interessato alla conversazione, data la brutta piega che stava prendendo. “Cuce ratti? Segretario del Ministro? Babbione?”
Lupin corrugò la fronte, parlando piano. “La cosa strana è questa. Non è a capo di nessun ufficio, è solo un vice sovrintendente dell’Ufficio per il Controllo Edilizio Magico che a sua volta è uno degli uffici minori del Reparto Catastrofi. Strana collocazione.”
“Mi sa di Babbanata” gorgheggiò Mundungus con il gin in gola. “Non so nemmeno se un tizio del genere sia autorizzato ad entrare in casa d’altri.”
“Oh, bè, è anche un Mangiamorte, un servo del male. Credo che quello lo autorizzi” replicò ironico Sirius, di fronte all’espressione accigliata di Mundungus.
Remus estrasse la bacchetta, si alzò e si diresse al camino, riattizzando le braci e facendo veleggiare verso di sé alcuni ciocchi di legna. Le fiamme sembravano essersi dissolte da tempo.
“Ora resta solo il decidere il da farsi. Se ho ragione, e spero proprio di no,” Lupin si grattò lo zigomo, riflettendo, mentre uno ad uno faceva saltare i pezzi di legna tra le braci con delle capriole entusiaste “Qualcuno potrebbe aver scoperto che Mundungus collabora con noi e potrebbero prenderlo per ricavarne informazioni.”
Mundungus sgranò gli occhi, intimorito: “Voi non lo permetterete, vero?”
“Certo che no” disse Lupin tranquillo. “Ma sarà bene organizzare una riunione per discuterne.”
Sul viso di Sirius si allargò un ghigno. Si sfregò le mani, contento e dicendo: “Giusto, una bella missione suicida! Dov’è la nostra spia preferita?”
Remus sospirò: “Ora ricomincia. Sirius, per l’amor del cielo… Non puoi pretendere che ogni volta che abbiamo un problema,  dobbiamo ritrovarci a coinvolgere Severus per risolverlo. Potrebbe compromettere la sua copertura.”
“E chi se ne frega?” sbottò Dung ridacchiando, battendo un cinque con Sirius. Nemmeno a lui piaceva quel tizio. Metteva i brividi, e non solo per il modo in cui teneva i capelli o il costume da pipistrello.
Sirius si accarezzò il mento, divertito: “Perché, tu credi davvero che ne abbia una?”
Lupin scrollò il capo, esasperato. Se ne uscì con una frase stupida quanto banale.
“Non puoi smetterla? A Natale dovremmo essere tutti più buoni.”
“Quello è un luogo comune” disse Mundungus, allungandosi e stiracchiandosi sulla sedia.
Sirius non si ammansì. “Quando lo capirete che quell’idiota di Piton è tutto, meno che uno di noi?”
Fu Remus ad inarcare un sopracciglio. “Ah. Ora siamo tornati noi? Questa storia di Severus che ci sta tradendo…”
“Oh, quello sì che è un luogo comune” disse loro Dung grattandosi freneticamente il collo.
Sirius sghignazzò, divertito. Non faceva certo mistero della sua avversione per quell’idiota di Mocciosus, con tutte le sue sciocche vanterie sul pericolo e sull’importanza della dissimulazione. Quanto lo disgustava, averlo sotto il suo stesso tetto. Sirius pregò che stesse patendo i tormenti dell’inferno, pagando il prezzo di essere libero. Qualcosa che a lui, decisamente ed obbiettivamente meglio come essere umano rispetto a quel piccolo e sudicio pozionista, era precluso. Sirius si segnò mentalmente di studiarsi un paio di battute con cui farlo svergognare alla prossima riunione. Ne aveva già pronte un paio sulla variazione di unticcio.
Sorprendente, era un vero mago con le parole. In un’altra vita, invece di diventare -almeno agli occhi di un intero paese-  un assassino alla gogna pubblica avrebbe potuto fare il poeta.
“E anche se Severus compromettesse la sua copertura, non credi che una morte da eroe lo riempirebbe di orgoglio?” rincarò Sirius con finta indifferenza. “Mocciosus il Salvatore. Pensa a come riderebbe James.”
Il suo sorriso sarcastico divenne una smorfia, a metà tra il triste e il rabbioso.
“Perché dobbiamo sempre volgere la conversazione intorno a questo punto, Sirius?” sbottò Lupin, “Silente…”
Sirius incrociò lo sguardo sornione di Mundungus e biascicò: “Gne gne gne. Mocciosus, se sei pronto, se sei in grado… bah, personalmente penso che nemmeno Voldemort sia tanto felice di averlo nella sua banda di accoliti. Brr, ma ci pensi Dung? Quell’idiota che non sa lavarsi nemmeno i capelli…”
Mundungus sghignazzò socchiudendo gli occhi languidi, prima che la frase di Lupin non costringesse lui e Sirius a doverlo guardare in cagnesco.
“Non credo sia corretto che voi ridiate dell’igiene personale di Severus.”
Mundungus fece dardeggiare i suoi occhietti verso Lupin, facendo ondeggiare mollemente la manica di pizzo in cui aveva riposto la bacchetta. “La mia è una scelta di vita, Remus. E poi quel lugubre tizio è adulto, non c’è mica bisogno che lo difenda tu, amico.”
Remus alzò dal cielo, e Sirius colse l’occasione per ricominciare a parlare con veemenza .
“Giusto, insomma è la personalità di Mundungus, diamine!” spiegò, indicandolo: “Lui  è quello rude e selvaggio, io il bello e dannato e tu, Remus, quello mannaro e liso.”
L’ennesimo scoppio di risa coinvolse, un seppur un poco riluttante Remus Lupin che ben presto, si ritrovò a fare da ammonitore. “Prima o poi dovremmo smetterla con questa faccenda di dare addosso a Moc… Severus. Ora è parte dell‘Ordine, dovremmo comunque…”
Sirius intrecciò e mani dietro la nuca, gli occhi brillanti per il bere e per il riso.
“Dove sta la tua lealtà, Remus? La lealtà verso James? Quanto ci ha fatto penare quel piccolo sudicio ficcanaso?”
“Non è mai stata in discussione la lealtà di nessuno” replicò Lupin a bassa voce, evitando di guardare Sirius.
“Come vuoi” replicò Sirius neutro. “Però Severus puzza.”
Un sorriso molto più rilassato degli altri increspò le labbra di Lupin. Mundungus battè la mano sul tavolo, preda di un’altra risata tossicchiante.
Sirius si passò una mano sugli occhi, poi si accarezzò il mento, improvvisamente inquieto.
“Prima era davvero tutto più semplice, non è vero?” Nonostante i suoi due amici ora fossero divertiti, lui si era fatto serio e si era alzato, avvicinandosi al camino, bicchiere alla mano.
“Prima era tutto più semplice” mormorò, mentre le fiamme si rispecchiavano nei suoi occhi scuri.
“Bastava alzare la bacchetta e chi ci dava fastidio aveva la sua bella punizione.”
Lupin affondò le mani nelle tasche sfilacciate dei pantaloni lisi, sospirando.
“Non eravamo proprio nel giusto, Sirius.”
Sirius contrasse gli occhi, fissando le braci pulsare, arancioni e brillanti, senza parole.
Mundungus, ancora seduto alla tavola ed intento a fissare la scarsa quantità di gin rimasta nella bottiglia, si voltò verso i due, per nulla toccato dall’amarezza della conversazione. Non gli faceva piacere vedere Sirius cupo, nonostante ultimamente lo fosse spesso. Così gli domandò, tanto per parlare:
“Che gli avete combinato a Piton, quando eravate a scuola, Sir?”
Sirius, che fino ad un momento prima era curvo di fronte al camino, si voltò di scatto, bevendo teatralmente un lungo sorso di gin. Qualche goccia d’alcool finì nel fuoco, facendolo crepitare.
“Intendi scherzi, Mundungus?” levò gli occhi al cielo, appoggiandosi il bicchiere  alla tempia.
“Difficile dirne uno. Gliene abbiamo fatti tanti, vedi, i migliori erano con James…” Sirius sorrise rievocando quei momenti in compagnia del suo migliore amico. “Non puoi immaginare cosa gli ha fatto passare.”
Remus annuì e sorrise suo malgrado. “James era un bravo ragazzo, ma quando ci si metteva… La cosa curiosa è che abbiamo sempre sospettato che lo facesse per Lily.”
Mundungus si allungò sul tavolo, recuperando l’altra bottiglia, ancora sigillata. “James non poteva essere peggio di te Sir” replicò Dung con l’ombra di sorriso. Aveva conosciuto James Potter una volta, ma quello aveva appena indossato la veste di padre amorevole e Dung, anche se non l’aveva provato sulla sua pellaccia, sapeva che non c’era niente come un figlio per far rivoltare le priorità di una persona.
Sirius soppesò il bicchiere, cupamente divertito.
“Forse non era peggio di me, ma era diverso nel modo di fare.”
All’improvviso gli occhi di Sirius baluginarono di una luce maligna e si rivolsero a Lupin.
“Quando lui e Piton sono diventati amici è stato davvero eccezionale.”

***

                                                                                
Di tutte le cose strane, curiose o inspiegabili che capitavano a Severus Piton ultimamente, il fatto di non riuscire ad avere la meglio su una studentella, apparentemente tocca e fuori dal mondo come Luna Lovegood, aveva dell’incredibile. Nonostante il suo giudizio su di lei, avesse subito innumerevoli scossoni, passando da epiteti quali ingenua, sciocca, incapace a spia manovrata da Silente a ragazza sensibile che sapeva cogliere verità che gli altri, lui compreso, non sarebbero mai riusciti nemmeno a concepire, l‘unica cosa certa era che quella ragazzina era totalmente imprevedibile.
E che gli aveva mentito.
Luna Lovegood, al di là dei suoi pazzi occhiali e di quei vacui occhi a bulbo, era in grado di vedere Lily Evans. Quella Lily che era germinata grazie alla sua immaginazione da…
Non sapeva nemmeno come definirsi. Un tempo amava dirsi innamorato, ma quale deviazione perversa aveva preso ora quel sentimento bello e sofferto?
C’era da aspettarselo, forse. Lui stesso aveva, fin dall’inizio, tentato di classificare Luna Lovegood, ricondurla in quello schema su cui si fondavano le personalità di tutti gli studenti che gli capitavano a tiro, ma no, lei no. Lei era l’unica che continuasse a sorprenderlo, apparentemente senza far nulla, a parte fargli notare quanto fossero belle ed insignificanti le stelle o riuscire a vedere qualcosa che nella realtà non avrebbe dovuto affatto esserci.
L’aveva pure colpito con un incantesimo e lui non aveva fatto nulla per impedirglielo. Non le aveva nemmeno affibbiato una punizione, a parte degli insignificanti venticinque punti.
Certo, forse quella non era stata una gran occasione per togliere punti e forse, ma solo forse, lui se l’era meritato. Non era stato forse lui, Severus, ad attaccare Luna Lovegood per primo?
Non aveva usato la bacchetta, non l’avrebbe mai fatto -escluso qualche raro caso di Potterccezione- su uno studente, ma aveva usato armi che a volte padroneggiava fin troppo bene e che spesso si rivelavano a doppio taglio. Parole, dannate parole. Quelle troppe parole spregevoli che Severus aveva il vizio di elargire con insolita facilità, l’avevano messo in situazioni orribili e dolorose ben più di una volta e ora, non dubitava che anche questa volta gli si sarebbero ritorte contro.
L’immagine della mano di Luna che si tendeva verso di lui per aiutarlo a sollevarsi dalla fanghiglia, mitigò un poco quel funesto presentimento. Era stata gentile.
E lui era stato così abietto.
Luna Lovegood era lo strumento di Silente per controllare lui, ma lei non aveva colpe, se non quella di riuscire a non farlo sentire del tutto fuori di sè.
E si trovato era così -suonava a orribile a dirsi- indifeso quando se l’era trovata vicino sulla riva, come se fosse capitata lì per caso, e allo stesso tempo come se dovesse essere lì con lui.
Severus aprì il cassetto della scrivania e vide la pergamena con il ritratto di Lily, arrotolata. Sembrava un osso. L’aveva accuratamente legata con un laccio nero e dal giorno sulla riva del lago, non l’aveva più aperta. Erano trascorsi quasi tre giorni.
In tutto quel tempo, il suo pensiero era stato fisso su Luna Lovegood, cercando di non pensare al fatto che la ragzzina fosse in grado di vedere Lily, ma a qualcosa di ben più ostico da affrontare.
Il Marchio Nero.
Severus flettè il braccio sinistro, sospirando. Forse non era così grave. Dopotutto la sua carriera di ex-Mangiamorte non era certo un segreto: maghi con il peso di meno di una generazione sulle spalle, potevano  ancora associare la sua faccia agli ex-seguaci del Signore Oscuro, con un po‘ di sforzo.
Si era salvato dai processi grazie a Silente, ma se il suo nome era lentamente caduto nel dimenticatoio era stato grazie anche alla sua stessa discrezione e al rintanarsi in fretta e furia a Hogwarts, cominciando a dare sfoggio della sua abilità di insegnante.
Ricordare a Cornelius Caramell quel dettaglio - e alla famiglia Weasley, e a Potter, e a mezza infermeria- non era stato uno dei suoi colpi migliori, ma che importava?
Almeno finché il Signore Oscuro non si fosse davvero mostrato, lui avrebbe potuto continuare ad agire indisturbato. Nessuno si sarebbe preoccupato di un ex-Mangiamorte che insegnava Pozioni ai loro figli e non avrebbero cominciato ad accorgersene, se Severus, all’improvviso non avesse iniziato a mettersi t-shirt o canotte mettendo a nudo le sue braccia rachitiche e quel tatuaggio infamante.
E lui era ben lungi dal farlo.
Tra i Serpeverde la cosa era certo risaputa. L’arroganza di Draco l’aveva certo spinto a rivelare dettagli abbastanza scomodi sulla scena pubblica ma determinati nella Casa verde e argento.
Sciocco ragazzino, pensò Severus, passandosi una mano sulla fronte aggrottata.
E poi c’era Potter, naturalmente, con i suoi amichetti. E a voler essere proprio precisi c’erano tutti i figli dei maghi a Hogwarts, e gli insegnanti stessi… tutti loro dovevano essere a conoscenza del passato di Severus, anche se Severus stesso, con la sua idea di essere un uomo che doveva mantenersi in ombra, o almeno sotto quella di Albus Silente, era dell’idea che se ne fossero dimenticati.
Come se lui non fosse rilevante nel grande schema delle cose, se mai ve ne era uno.
Lei è uno di loro?
Quella domanda gli tornò alla memoria e distrusse tutte le accurate spiegazioni di Severus.
Luna Lovegood non aveva mai saputo che lui era - perché per certi aspetti doveva esserlo ancora- un Mangiamorte.
Anzi, forse non l’aveva nemmeno mai sospettato, persa nel suo mondo popolato da animali inesistenti e visto attraverso lenti caleidoscopiche.
Severus allungò la mano verso la pergamena, afferrandola lentamente e soppesandola tra le dita, senza il coraggio di aprirla.
Anche se Luna Lovegood avesse parlato del Marchio, non sarebbe cambiato nulla. Non doveva preoccuparsi.
Molta gente ne era già a conoscenza e anche chi non lo fosse stato, avrebbe potuto tirare in ballo altri esempi che di certo non si nascondevano in ruoli di terza fila.
Lucius Malfoy era uno di loro e sicuramente non se ne stava in un’aula umida, attorniato da mocciosi a spiegare i poteri del salnitro pestato.
Però erano tre giorni che lui stava attento ad ogni singola chioma biondo platino che passava per i corridoi o che spiccava tra le teste dei Corvonero, nel tentativo di beccare Luna Lovegood.
Aveva avuto ben due lezioni con il quarto anno e con la classe di Luna, ma l’unica cosa che era riuscito a fare, era stato avvicinarsi con circospezione al tavolo dove la ragazzina lavorava in solitudine, senza riuscire a trovare nemmeno una scusa per punirla e costringerla a venire nel suo ufficio per chiarire quello spiacevole equivoco che pesava sullo stomaco di Severus come un vero e proprio malessere fisico.
Non gli piacevano i malintesi, le situazioni incerte. Non quando era lui a subirne le complicazioni. Dal malinteso si genera l’errore e la natura perfezionista e precisa di Severus, così prevedibile, così razionale, non li tollerava. Passò un dito sul nodo che teneva chiuso il rotolo di pergamena, ma ancora non lo disfò.
Voleva davvero chiarire la sua posizione con Luna Lovegood. La sentiva quasi come una disperata necessità.
Severus si alzò dalla sedia e andò verso la finestra. Il tardo pomeriggio aveva portato altri fiocchi di neve, preceduti da una pioggia leggera.
Novembre scivolava in dicembre, in modo tanto impercettibile che presto sarebbe ricominciata l’estate e lui nemmeno se ne sarebbe accorto…
Da quella finestra non riusciva a vedere la riva dove si era trovato con Luna, ma solo una piccola porzione di lago color ferro e grumi scuri di vegetazione.
Le era davvero corso dietro? Il pensiero lo imbarazzò. Come gli era venuto in mente?
Rivide gli occhi di Luna e la delusione che le aveva offuscato le iridi. Severus sapeva che adesso, poteva giudicare quell’inseguimento forsennato come un errore deplorevole, ma nello sguardo amareggiato di Luna Lovegood c’erano tutte le giustificazioni del mondo e se avesse voluto avrebbe potuto riconoscersi dalla parte giusta. Qualunque essa fosse.
Severus strinse la presa attorno alla pergamena disegnata. Era meglio metterla al sicuro, non stare a contemplarla. Si avvicinò ad uno degli armadietti bassi dove aveva riposto le cose di Luna, come in una speranzosa attesa che la loro proprietaria tornasse a prenderli. Non aveva nemmeno restituito  Vedere quello che non c’è. La molteplice multiforme essenza dell’arte illusoria in biblioteca. Severus cominciò a scostare il libro di Trasfigurazione di Luna e la copia datata del Cavillo, recuperando i fogli svolazzanti del blocco da disegno.
Per puro sfizio, riprese a sfogliarli, studiandone particolari di ognuno. Era rimasto colpito da quello in cui Luna si era ritratta con gli occhi di una grandezza normale, come se sapesse che in qualche modo quegli occhi lunari e nebulosi la rendessero più svitata o quantomeno diversa.
Forse anche lui avrebbe potuto provare a disegnarsi con un naso diverso, invece che con quell’imbarazzante appendice adunca. Forse sarebbe apparso meno arcigno, meno brutto. Più normale.
Prese i due disegni del suo nuovo alloggio, osservandoli minuziosamente. Benchè Luna si fosse limitata ad usare acquarelli tenui ed inchiostri, era riuscita a rendere in pochi tratti tutto quello che si trovava nell’ufficio di Piton, persino le ombre degli oggetti e le crepe nei muri. Aveva anche rappresentato correttamente i disegni a filo di piombo alle finestre, notò Severus ammirato suo malgrado.
I contorni di quei due scorci sfumavano in un bianco azzurro che man mano si diradava verso i bordi del foglio. Severus Piton non era mai stato in grado di apprezzare molto la bellezza.
Aveva uno spettro molto limitato in quel campo, ma la precisione di quel disegno non era solo degna di ammirazione, ma anche di sinceri complimenti.
Desiderò che Luna Lovegood fosse lì per complimentarsi, solo per quello. E al diavolo Silente.
Erano giorni che il Preside non si faceva vedere a scuola, impegnato chissà dove. Piton era quasi sicuro che lo facesse apposta, ad evitarlo, il maledetto.
Non che adesso gli dispiacesse. Stava cominciando ad abbandonare, almeno per un po', il progetto di dire al lungimirante Albus che lui rinunciava al progetto di custodia di Luna Lovegood - anche perché cominciava ad avere sempre più il sospetto che in realtà fosse il contrario-.
La sensazione di essere diventato un mistero da svelare per gli occhi bulbosi della platinata, metteva Severus al centro di dubbi e congetture. Da un lato era lieto perché, oltre ad aver fatto ritrovare un po’ di lucidità a lui stesso, Luna dimostrava di essere umana e non solo quando l’aveva vista maltrattata da quella orrida Umbridge.
Per contro, Luna Lovegood non poteva giocare al detective di spiriti o chi sa cosa sarebbe successo. Non aveva idee precise in merito, ma data la stella sfortunata sotto cui era nato, non poteva certo trattarsi di nulla di buono.
Severus Piton si rialzò, ma non mise il disegno di Lily nello stipetto. Cominciò a rigirarselo tra le mani, misurando a grandi passi la stanza, gli occhi cupi rivolti a terra.
Se la Lovegood non avesse visto il Marchio sarebbe stato tutto a posto. Avrebbe potuto sfruttare il suo…
Bhè, per qualche ragione contorta e noto solo a lei, Luna Lovegood all’inizio non l’aveva giudicato come patetico o odioso, quindi sarebbe stato facile scoprire cosa vedeva e sentiva quando Lily appariva. Forse l'aveva pure trovato simpatico, pensò Severus con un vago, dolceamaro ribrezzo.
Il guaio era che la Lovegood era anche caduta nei suoi ricordi… e se si fosse accorta che la piccola ragazza dai capelli rossi che aveva visto all’ora era quell’adolescente che seguiva lui come un’ombra?
Improbabile, ma non da escludere.
Severus si passò una mano sul viso. La testa stava cominciando a fargli male.
Perché non poteva correre alla torre dei Corvonero e prelevare Luna Lovegood di peso? O imporgli una punizione seria?
Perché sarebbe controproducente.
Luna Lovegood non ha bisogno di un altro Malfoy, di una Umbridge o di qualcun altro che la maltratti…
Lo sguardo di Piton cadde sulla pergamena che stringeva tra le dita nodose e magre.
Aveva l’impressione di essere a pochi passi dalla soluzione che avrebbe portato Luna a fidarsi di lui o almeno a parlargli.
Gli bastava solo riaverla saltellate per la stanza, anche per una sera, pensò. Qualunque cosa, purché lei gli rivelasse da quanto tempo vedeva Lily.
Qualunque cosa perché lo distraesse dalla sua stupida mania di pensare.
La parola fiducia gli lampeggiò nella mente, e lui si attaccò a quella come se fosse l’unica certezza per arrivare ad una soluzione. Come si faceva ad ottenere, a riottenere la fiducia  di qualcuno?
Severus  Piton aveva zero esperienza in quel campo, purtroppo per lui.
Si era bloccato in mezzo alla stanza, la fronte aggrottata e gli occhi infossati. Poteva farle un regalo.
Non era forse quello che fanno le persone per accompagnare le scuse, pur di non farle sembrare vuote o prolisse? Un dono. Una soluzione così semplice.
Lui era dalla parte del torto, lui avrebbe usato un dono per convincere Luna Lovegood ad ascoltarlo. Si sarebbe riguadagnato la sua fiducia e lei gli avrebbe raccontato per filo e per segno quanto reale fosse lo spirito di Lily. Perché se Luna riusciva a vederla, voleva dire che lei era reale.
Severus Piton, non si stava accorgendo che ogni progresso fatto tre giorni prima, quando Luna l’aveva buttato a terra costringendolo a realizzare che esistono cose ben più importanti che il continuare a vivere nelle illusioni, si stava sciogliendo come neve al sole.
Tornò verso l’armadietto di Luna frugando tra le sue cose con maggior cura. Forse restituirle le sue cose non era proprio un gran dono però…
Emise qualcosa di vagamente simile ad un ringhio, rimettendo libri e fogli da disegno su una delle mensole. Sarebbe stato davvero da ipocriti.
D’altra parte non poteva certo andare ad Hogsmeade o a Diagon Alley a comprare robe strane da regalare ad una quattordicenne. Avrebbe fatto una ben magra figura e la visione di sé stesso, in un negozio che non vedesse roba da pozionisti o schifezze oscure, lo metteva a disagio.
L’oscuro professor Piton non poteva certo destreggiarsi nelle compere prenatalizie come un mago capofamiglia qualunque.
Tanto più che non era capo di nessuno, e che di certo non aveva una famiglia.
Era talmente preso da queste considerazioni che si ritrovò ad allungarsi sotto all’armadietto per recuperare il disegno di Lily, rotolato là sotto e raccogliendo polvere.
Non poteva certo permettere che Luna Lovegood perdesse un altro disegno…

Disegno. Aggressione. Malfoy.
Severus si rimise in piedi ansante, le mani sulle ginocchia, il disegno di Lily ora posato al sicuro sul ripiano davanti a lui, un sorriso trionfante a distorcergli i lineamenti.
Avrebbe fatto in modo di ridare il disegno a Luna Lovegood. Il disegno a cui lei teneva tanto, talmente tanto da sfidarlo davanti alla sua porta, pensò, ricordando quella sera in cui se l’era ritrovata davanti, con i capelli colorati di rosa e turchese e lo sguardo deciso, offesa ma non piegata dall’arroganza del figlio di Lucius.
Il fatto che anche quella volta lui si fosse comportato proprio con cortesia lo fece vergognare un poco.
“Non dirmelo, limitati a sparire. Non ho proprio voglia di giocare a fare il pazzo con te….
Non ho tempo per te, Lovegood, ho molto da fare e se non sai tenere testa al signor Malfoy…”
…“Il signor Malfoy e i suoi oranghi, ma non è questo il punto. So tenergli testa da sola, grazie. A me interessa riavere il disegno…”
“Allora vattelo a riprendere, sciocca ragazzina. Non venire a piangere da me perché ti rubano le cose”
“Io non piango, ma Malfoy è uno studente della sua casa e mi chiedevo se lei avrebbe potuto aiutarmi. Tengo in particolare a quel disegno….”
“Non ne so niente, Lovegood. Torna alla tua Sala Comune. I tuoi problemi non sono affari miei.”

Ora erano affari suoi davvero. Avrebbe fatto a Luna Lovegood un dono, restituendole qualcosa a cui lei teneva. Sarebbe stato gentile e cortese.
Severus Piton sapeva quanta ipocrisia c’era in quel gesto, ma accantonò quel pensiero in un angolo. Ultimamente era stato fin troppo severo con sé stesso. Nascondere una meschinità in più, non avrebbe fatto nessuna differenza. Si meritava un po’ di tregua, un po’ di rispetto.
Tamburellandosi sul palmo della mano con la pergamena, si diresse verso l’armadio in cui aveva chiuso il Pensatoio. Girò la chiave con un groppo in gola. Non l’avrebbe usato, questa volta…  Avrebbe riposto solo accanto al bacile il disegno di Lily cosicché potesse starsene al sicuro, senza guardarlo.
La chiave scattò e le vetrinette color vetro pervinca smerigliato, si aprirono.
Lo sguardo dell’insegnante corse subito alla placida superficie lucida che baluginava nel vano scuro dell’armadio. Severus si costrinse a non tendere la mano, né a prendere la bacchetta, nonostante parte dei suoi ricordi riposasse ancora oltre quella sostanza argentea. Posò il disegno accanto al bacile e arretrò di un passo. Doveva andare a cercare Malfoy… sarebbe stato così grave tardare di un ora o due?
Aveva tutto il tempo del mondo, no? …
Ma la Lovegood forse possiede la soluzione, che senso ha aspettare?
“Fossi in te mi ci butterei dentro di corsa, Sev. Sembri una falena intorpidita dalle fiamme.”
Severus Piton non si voltò, ma rimase a braccia incrociate davanti al bacile di pietra. “Lily.”
“Non è educato dare la schiena alle persone, Sev. Fossi in te mi girerei quando ti parlano. Soprattutto se sono io a farlo” disse lei con voce velata.
Severus, con un brutto nervo pulsante sulla tempia, si voltò lentamente. Nella grande stanza circolare non c’era nessuno. Tantomeno Lily. Fece due passi verso il centro, verso gli scalini del rialzo in pietra, ma solo il suono dei suoi passi echeggiò tra le pareti e sul soffitto.
“Dove sei?” disse voltandosi di scatto, il mantello ondeggiante. “Lily, dove sei?”
Si udì un fruscio vicino al caminetto e Severus vide le fiamme, rosse e vive attaccare i ciocchi di legna secca. Si accorse anche di aver la bacchetta in mano, puntata verso quel rettangolo annerito dove ora germogliava il fuoco. “Sei stata tu?” domandò con calma alla stanza, apparentemente deserta.
“Oh, hai fatto tutto da solo, non allarmarti. Avevo un po’ di freddo, tutto qui.”
Severus si girò di nuovo, verso l’armadio dove aveva stipato il Pensatoio. Lily era lì, appoggiata ad una delle ante, tra le mani la pergamena con il disegno di Luna, quella che la ritraeva, intenta ad osservarla.
Il suo sguardo era freddo e distaccato. Non sembrava particolarmente colpita nel vedersi ritratta o nel venire a sapere che qualcun altro, oltre a Severus, aveva la facoltà di vederla.
“Questi occhi sono troppo cattivi per essere i miei. Non trovi, Sev?” Lily gli lanciò un‘occhiata carica di perfidia, esattamente come  quella con cui Luna l’aveva disegnata.
Solo il sorriso cortese costituiva una variazione a ciò che la Corvonero aveva tracciato sulla pergamena.
Lily arrotolò la pergamena con malagrazia, stropicciandone i bordi. Con quella stessa mano si scostò le lunghe ciocche rosse oltre le spalle, prima di rimettersi appoggiata alla vetrinetta a braccia incrociate e il volto cupo.
“Faresti bene ad andartene un po’ nel Pensatoio, Sev” sibilò. “Ti vedo alquanto deperito. Startene troppo nel mondo reale ad annoiarti, ti ucciderà.”
Piton distolse lo sguardo. Per la prima volta riuscì a vedere quanto quella creatura fosse ripugnante. Aveva perso ogni tratto della personalità di Lily e persino l’attrazione che aveva provato per lei,
le altre volte che gli era apparsa, anche nel sogno del funerale, sembrava essersi volatilizzata. Pregò che non fosse solo una cosa temporanea; voleva sbarazzarsi di lei e ora non aveva tempo per stare lì a farsi umiliare, doveva andare da Draco a prendere il disegno.
“Ti conviene ascoltare le mie parole, invece che sentirti disgustato.”
Lily ora era davanti a lui, le braccia lungo ai fianchi.
“Per favore, non comportarti così” gli disse in tono di supplica, gli occhi imploranti. Severus fece un passo indietro, molto lentamente, distogliendo di nuovo lo sguardo da lei.
“Oggi non ho voglia di stare con te” disse a voce bassa.
“Eppure fino ad un po’ di tempo fa’ gongolavi all’idea di potermi chiamare a tuo piacimento, non è così? Perché non ti va mai bene nulla Severus? Sei un vecchio sciocco e sentimentale.”
Lily gli sorrise con indulgenza. “Hai trovato qualcuno che è meglio di me?”
Severus la squadrò con i suoi occhi color pece. “Può darsi” rispose vago.
“Non mentirmi. Sai che non ti credo e che non ti crederei mai.” Lily fece un passo nella sua direzione, abbattendo la distanza tra loro. “Adesso mi troverai anche repellente e fastidiosa, ma presto ti accorgerai che non hai  nessun’altra ragione di vita all’infuori di me. E che tornerai strisciando” disse Lily in tono soave.
“Fossi in te non ne sarei tanto sicura” ringhiò Piton lanciandole uno sguardo obliquo.
Lily rimase sorridente, in silenzio. Una leggera piega sulla fronte, suggeriva che non era poi così dolce come voleva fargli credere.
“Presto scoprirò come farti tornare da dove sei venuta. E potrai lasciare in pace me e la memoria di Lily” disse Piton con lo sguardo colmo di risentimento. Perchè ogni volta che si impegnava a fare qualcosa lei si metteva in mezzo?
"Vattene" le disse, con la vana speranza che accadesse. Almeno quel giorno.
Lily fece una smorfia rabbiosa e si scagliò contro di lui, battendogli i piccoli pugni sul petto.
“Idiota! Idiota! Quando lo capirai? Io sono Lily! Io sono te, non puoi …”
Severus la prese per i polsi e l’allontanò da sé con fermezza. I capelli le erano ricaduti sul viso, ma non abbastanza da nascondere l’espressione d’odio che le animava i lineamenti.
“Sei solo un volgare traditore, Piton.”
Severus le lanciò uno sguardo beffardo. “E tu una seccatura.”
Lily inspirò, ma con sorpresa di Severus si limitò a riordinarsi i capelli e riordinarsi i vestiti, un poco spiegazzati. “Va’ a fare quello che devi fare Severus” gli disse, arretrando verso la vetrinetta e guardandolo fisso con i suoi occhi color smeraldo. Teneva il disegno ancora in mano, e lo stropicciava lungo i bordi con le lunghe dita eleganti. “Questo però lo tengo io.”
"Fa pure" replicò Piton sollevato. Aveva vinto?
Lily si mise davanti al Pensatoio, sempre sorridente e Piton dovette riconoscerlo, di nuovo, che era sempre bellissima.
Ma ricordò a sè stesso che fuori era Lily ma dentro era marcia. Come lui.
“Sei proprio sicuro di non volermi più Sev?” gli chiese a voce bassa. “Per te è inutile cercare di fare qualcosa, all’infuori della tua missione di espiazione. Lo sai, vero?”
Gli occhi di Lily divennero neri, luccicando come braci ardenti. Puntò il dito verso l’armadio dove Severus aveva riposto le cose di Luna, e senza accorgersene Severus ripeté lo stesso gesto.
Solo, con la mano che teneva la bacchetta. Severus sgranò gli occhi.
Incendio!” sibilò Lily, trionfante.
“Incendio” disse attonito Severus.
L’armadio con le cose di Luna Lovegood prese fuoco. I suoi disegni, la sua borsa che Severus aveva in parte riparato, i suoi disegni. Tutte le prove, dell’insolita capacità di Luna di vedere quell’allucinazione altera che ora era, per l’ennesima volta, davanti a lui, furono inghiottite dalle fiamme.
Severus avrebbe dovuto capire che ai fini di ciò che voleva chiedere alla Corvonero, quelle cose non erano poi così fondamentali.
Ma si sentì male lo stesso nel vedere le fiamme crepitare e avvolgere il mobiletto. Si accorse di non poter muoversi e di non poter nemmeno usare la bacchetta, perché Lily non lo voleva.
Solo quando al posto dell’armadietto rimase un cumulo di ceneri, Severus si accorse di poter tornare a muoversi. Allora non perse tempo. Doveva salvare l’unica prova rimasta.
L'unica che gli avrebbe ricordato che non si stava sognando tutto, che Luna sapeva.
Il ritratto di Lily, che Lily stessa tormentava tra le mani. Che cosa sciocca.
Severus Piton si lanciò contro di lei, ancora in piedi davanti alla vetrinetta, nel tentativo di bloccarla.
Ma non si scontrò affatto con il corpo caldo e rassicurante di lei, quello che aveva abbracciato in ben più di un’occasione negli ultimi giorni.
Non ci fu nessun impatto perché, questa volta, l’allucinazione di Lily era incorporea e lui si ritrovò a schiantarsi nel vano dell’armadio, proprio sopra il Pensatoio.
Il suo gomito sfiorò la superficie argentea e per la prima volta si ritrovò a scivolare nel baratro gridando e la consapevolezza che nonostante tutte le sue paranoie morali, non avrebbe voluto uscirne tanto presto, ora che aveva avuto il ‘coraggio’ di entrarci.
La risata di Lily echeggiò ancora attorno a lui, quando Severus cadde, senza provare alcun dolore, su un selciato innevato, fra un gruppo di studenti in una gelida mattina di Hogwarts.





Ciao a voi, lettori del Dono!
Brr… un ‘altra faticaccia, come direbbe Mundungus.
Ecco un paio di veloci delucidazioni e domande:
-Non trovate simpatico Sirius? ^__^
-Originariamente questo capitolo doveva essere un po’ più lungo, ma per coerenza, ho deciso di dividerlo in due parti. Volevo rendere un po’ di giustizia al ricordo di Piton invece che liquidarlo in tre righe (Questa settimana la trascorrerò tra piano carriera, birra e il suo passato probabilmente)
-Trovo la parte con Lily un po’ fiacca, ma forse è perché sta un po’ perdendo colpi. A quanto pare Severus si sta rendendo conto che c’è qualcun’altra attorno a lui … -non pensate male, mi raccomando!-
-Ho deciso di modificare il finale del ricordo in ‘Orgoglio Gorgoglio’. Era infatti un po’ improbabile che già al terzo anno i malandrini fossero già Animagi. Grazie a due o tre controlli su HP3 e HP Wikia ho visto che il tentato Pitoncidio può essere collocato sul finale del giugno del (75 o 76?) insomma, l’anno a cui risale il Peggior ricordo di Piton. Non temete, l’ho fatto per dare maggiore coerenza alla storia e non sarebbe relativamente importante ai fini della trama stessa del Dono. Anzi, al massimo giustificherà un paio di cose che all’inizio mi sembravano alquanto campate per aria.
Allora, grazie come sempre ai recensori e a coloro che mi inviano spesso e volentieri graziosi messaggi di commento!
Ci sentiamo settimana prossima -Domenica-, con il sedicesimo capitolo del Dono!

Exelle
  
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