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Autore: nefert70    17/01/2011    2 recensioni
Il racconto della vita di Anna d'Este, duchessa di Guisa e di Nemours, che ha ispirato il personaggio della principessa di Cleves di M.me de La Fayette.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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- Questa storia fa parte della serie 'Anna'
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Pochi giorni dopo la cerimonia nuziale partimmo per l’Italia, Giacomo voleva avermi tutta per se e desiderava vedere i luoghi che mi avevano dato i natali.
La prima tappa fu Roma, dove fummo ricevuti dal Papa, poi fu la volta di Ferrara e Torino.
Il nostro viaggio durò circa due mesi.
Ai primi di luglio cominciammo i preparativi per raggiungere Annecy, lì ci attendevano i miei figli maggiori, Enrico e Caterina, mia suocera la duchessa vedova di Guisa e i miei cognati, i cardinali di Guisa e di Lorena.
Il duca di Savoia oltre a donarci 60000 scudi come regalo di nozze accordò ad Annecy il raro privilegio di esporre il sacro sudario per la venerazione dei fedeli.
Il 17 luglio il nostro corteo entrò in città tra due ali di folla che lanciavano fiori e ghirlande, la prima tappa fu naturalmente la cattedrale, dove era esposto il sacro lino e lì ci inginocchiammo a pregare, poi il corteo riprese la marcia verso il castello.
Al vecchio castello che dominava fieramente Annecy con la sua corona di fenditure e torri quadrate, il mio sposo aveva fatto aggiungere un’elegante costruzione con grandi finestre.
Quando entrammo nell’elegante palazzo, potei ammirare i bei soffitti a cassettoni, le tappezzerie preziose trapuntate d’argento, le alte sedie ricoperte di velluto nero o cuoio rosso, i grandi baldacchini e gli arredi delle camere in damasco grigio, velluto cremisi o tela d’oro, la sala da pranzo aveva il tappeto da tavolo e il baldacchino signorile di velluto nero ricamato in oro e la cappella privata era ornata di velluto rosso così come gli inginocchiatoi e i paramenti per officiare le funzioni.
Alla fine giungemmo nella sala delle feste, dove ci attendevano i vassalli e gli ufficiali di mio marito, li era tutto in velluto cremisi ricamato in oro.
Tra i tanti personaggi illustri lì riuniti la prima che il mio sposo volle presentarmi fu Madame de Sales, moglie del capitano delle guardie di Annecy, che in quel momento era gravida del suo primo figlio, Francesco futuro vescovo di Ginevra e grande predicatore.
Alcuni giorni dopo i Guisa ripartirono e finalmente potei riposarmi nella bella città di cui ero diventata sovrana.
Né Giacomo né io avevamo fretta di ritornare a corte, eravamo così felici, soli e innamorati.
Il matrimonio con Giacomo mi rendeva felice e appagata come non lo ero stata mai, tutti i dolori, le preoccupazioni erano cancellate dal suo amore e dalla sua devozione.
Già da giugno avevo scoperto di essere incinta, devo ammettere che fu una piacevole sorpresa sia per me sia per il mio sposo, vista la mia età nessuno di noi due credevamo che ci sarebbero stati altri figli, invece il nostro amore era così forte che il buon Dio si compiacque subito e prima del compimento del primo anno di matrimonio avrei tenuto fra le braccia il futuro duca di Nemours.
Verso il 15 settembre ricevemmo la visita dei duchi di Savoia.
Nel frattempo a Parigi era giunta notizia del mio stato e i pettegolezzi dilagavano, in molti si auguravano che mio figlio nascesse prima del tempo.
Nonostante il mio stato Giacomo ed io continuammo la visita dei nostri possedimenti e così potei costatare che  Giacomo era già da un paio di anni che organizzava tutto per me,  ogni residenza dove ci fermammo era più elegante e raffinata della precedente. Mai aveva dubitato che alla fine ci saremmo sposati.
Giungemmo anche nei territori di mia madre e qui finalmente ci fu una rappacificazione tra di noi.
Mia madre finalmente costatò il grande animo del mio sposo e soprattutto il grande amore che mi portava e a quel punto ci chiese perdono per l’ingiustizia compiuta al tempo del nostro matrimonio e da questo momento in poi, amò Giacomo come un figlio.
Ormai il tempo per me era giunto e quindi ci stabilimmo Nanteuil, vicino a Senlis, non c’è la facevo più ero stanca e anelavo solo di riposarmi. Giacomo mi rimase sempre accanto.
Il 9 febbraio finalmente nacque il nostro primogenito cui fu imposto il nome di Carlo Emanuele in onore del re di Francia e del duca di Savoia, il re Carlo e la regina madre Caterina vollero esserne i padrini.
Temevo che la nascita di questo bambino avrebbe provocato una rottura nei rapporti con la mia famiglia Guisa invece, con mio grande sollievo, il cardinale di Lorena fu uno fra i primi a rallegrarsi della nascita e a congratularsi con mio marito.
Rispetto a tutte le altre gravidanze quest’ultima, forse per i lunghi spostamenti e anche per l’avanzare degli anni, mi lasciò al quanto spossata e mi ci vollero molti mesi prima di ristabilirmi.
Purtroppo appena mi rimisi, il mio sposo fu colpito da una prima crisi di gotta che lo farà soffrire molto, gli venne anche una febbre quartana che lo debilitò a tal punto da non permettergli di alzarsi dal letto per molti giorni.
Purtroppo la regina Caterina continuava a inviarmi lettere, dove sollecitava un mio rientro a corte e fui costretta ad abbandonare momentaneamente mio marito per accorrere all’ennesimo invito.
A settembre la corte raggiunse Monceaux, vicino a Meaux, per la caccia. Mio marito per fortuna si era ristabilito e poté raggiungerci.
Le lotte tra cattolici e ugonotti purtroppo non si erano mai acquietate e proprio durante quel soggiorno la corte ricevette l’informazione che il principe di Condè e l’ammiraglio di Coligny stavano organizzando di rapire re Carlo IX per sottrarlo all’influenza cattolica.
Il consiglio reale di cui facevano parte mio marito, mio figlio Enrico di Guisa, il connestabile di Montmorency e Michel de l’Hospital decise di spostare l’intera corte a Meaux e di attendere nuove informazioni.
Il 28 settembre il consiglio si riunì nuovamente perché il principe di Condè aveva raggiunto le rive del lago di Lagny con le sue truppe, fu deciso che il connestabile di Montmorency con un drappello di soldati gli si sarebbe lanciato contro  e che il re sarebbe rimasto chiuso a Meaux.
Mio marito purtroppo non partecipò a questo consiglio a causa dell’ennesima ricaduta di febbre quartana che lo costringeva a letto.
Appena però apprese la notizia si alzò, nonostante tutte le mie suppliche per riguardo alla sua salute, e corse dal re consigliandogli di raggiungere al più presto il Louvre.
Il re fu subito d’accordo con Nemours e nonostante la scorta armata fosse al quanto esigua fu subito approntato il corteo.
Il mio sposo fece porre il re nel mezzo e fece schierare gli uomini armati lungo ambo i lati, poi nonostante i dolori, che sapevo lo attanagliavano, salì sorridente a cavallo.
Il corteo cominciò a muoversi ma l’esercito di Condè, che aveva sconfitto Montmorency, ci raggiunse immediatamente.
Il corteo si era fermato, gli uomini di scorta si erano schierati a protezione totale del re, nonostante gli si leggesse negli occhi il terrore,  poiché si resero subito conto della disparità dei loro mezzi rispetto a quelli ugonotti, fu a quel punto che vidi il mio sposo raggiungere i suoi uomini, sollevare il cappello piumato, salutare il re e scendere da cavallo.
Il mio cuore si fermò, avevo capito le sue intenzioni.
Nemours sguainò la spada e si pose davanti alla nostra scorta, che visto il coraggio del loro comandate si infervorarono e si prepararono all’attacco.
Non so se fu per il gesto di mio marito o per quale calcolo politico, ma l’esercito di Condè e Coligny non ci attaccò, anzi fecero ritirare le loro truppe, e ci lasciarono passare seguendoci fino a Parigi.
Rividi il mio sposo solo quando raggiungemmo il Louvre, Giacomo era allo stremo delle forze poiché aveva fatto tutto il lungo cammino a piedi ma ora che i suoi sovrani erano al sicuro, lo costrinsi ad andare a riposarsi.
Riuscii a tenerlo a letto solo per pochi giorni, purtroppo non servirono né i miei pianti né le mie suppliche, Giacomo volle prendere parte alla battaglia di Saint-Denis.
L’esercito cattolico purtroppo fu sconfitto e il connestabile catturato e ucciso.
Tutti a corte si aspettavano che il titolo fosse consegnato a Nemours invece la regina Caterina sorprese tutti sopprimendo la carica di connestabile e dando il titolo di luogotenente generale a suo figlio minore il duca d’Angiò di appena sedici anni.
Naturalmente il giovane principe non aveva esperienza militare e fu affiancato dal mio sposo, insieme inseguirono i nemici e li spinsero a ritirarsi in Champagne e in Lorena.
Fu un periodo terribile, ero in angoscia sia per il mio sposo sia per i miei figli Guisa, entrambi impegnati sul campo di battaglia.
Dal fronte ricevevo lettere amareggiate, mio marito non era ascoltato e non riusciva a ottenere risultati concreti.
Decisi di parlarne con la regina che immediatamente inviò una lettera al figlio invitandolo nuovamente ad ascoltare i consigli del duca di Nemours.
Purtroppo d’Angiò fingeva di sottomettersi ma contrastava sempre i piani di mio marito che alla fine fu obbligato a ritirarsi anche a causa di una nuova manifestazione di gotta.
Lo vidi rientrare ad Annecy demoralizzato e afflitto, a trentasei anni non poteva e voleva rassegnarsi a vivere da vecchio.
Ogni giorno tentavamo un nuovo trattamento ma purtroppo la guarigione era lenta aumentando così la sua disperazione.
Oltre a queste preoccupazioni ai primi di febbraio del 1568 ricevetti una lettera da parte del cardinale di Lorena che mi annunciava la morte di mio figlio Massimiliano, aveva appena cinque anni.
Mi accusavo di averlo abbandonato e vedevo la sua morte come una punizione alla mia felicità con Nemours, solo l’affetto del mio sposo e il nuovo bambino che stringevo fra le braccia mi permisero di non impazzire di dolore.
Il 23 marzo 1568 la regina Caterina firmava la pace di Longjumeau, finalmente ci attendeva un periodo di tranquillità.
Trascorremmo l’estate ad Annecy, dove ci raggiunse il cardinale di Lorena per battezzare il piccolo Carlo Emanuele.
Giacomo per fortuna si era ristabilito e insieme partimmo alla volta di Lione, dove mio marito aveva degli affari urgenti da risolvere.
Anche se non ero più vicina ai miei figli Guisa, li seguivo tramite i miei cognati e ora ero in estrema pena per Enrico e Carlo che sapevo essere ancora sul campo di battaglia.
A novembre mio marito ricevette una lettera del re che ne richiedeva la presenza, il principe d’Orange era entrato in Piccardia e il duca di Deux Ponts era penetrato in Champagne.
Con mia grande pena Nemours obbedì e raggiunse il duca d’Aumale. La salute sempre precaria del mio sposo e i continui alterchi con Aumale fecero in modo che Giacomo subisse una nuova manifestazione di gotta e fu costretto a tornare a casa.
Il duca d’Aumale fu sconfitto e accusò mio marito di esserne la causa facendogli perdere, momentaneamente, il favore del re e della regina.
L’essere sospettato di aver abbandonato il campo di battaglia fu per il mio sposo una vera tortura che acuì il suo precario stato di salute.
Alla fine però sia la regina sia il re gli dimostrarono il loro affetto inviandogli lunghe lettere dove lo invitavano a preoccuparsi solo della sua guarigione.
Durante tutti questi avvenimenti io mi accorsi di essere nuovamente incinta e poco prima del Santo Natale del 1568 detti alla luce mia figlia Margherita. 
  
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