Una
nebbia finissima ti
attraversa il petto
Mille goccioline ti bagnano il volto.
E tu che fai?
Corri.
E’ proprio l’ultima ora di lavoro, e a te sembra
quasi sia
l’ultima ora della tua vita.
Ti spingi oltre l’androne, percorri tutto il corridoio e
arrivi
in fondo, proprio dove c’è l’unica
grande finestra che da’ sul mare. Il tuo
mare, quello grande e agitato e profumato. E’ tutto tuo,
è lì, ma non sarà più
come prima.
L’atmosfera è grigia e cupa, proprio da temporale
autunnale.
Eppure non c’è freddo. Porti un cappello di lana
grigio inzuppato d’acqua, ma
non senti freddo. Intrecci le braccia sul petto, sospiri, e guardi
fuori.
“Ehi, Riccoboni, ancora qui?”, ti chiede un collega
facendo
capolino dalla porta della stanzetta del caffè. Lui
è fra quelli che restano. E
non può capire, non vive ciò che tu vivi, e
allora sorridi, e rispondi laconico
e un po’ scherzoso: “Ora vado, ora
vado…”.
Poi decidi di salire all’ultimo piano, per salutare il tuo
capo.
Sali, piano dopo piano. Non hai preso l’ascensore
perché hai
bisogno di scaricare tutto ciò che stai vivendo.
E man mano che sali, dalle piccole finestre della scala un
po’ sporca e buia, si intravede l’unico motivo per
cui tu, domani, non sarai
più lì.
E ti senti come se una
nebbia finissima ti attraversasse il petto…
Per come vanno le cose qua giù in Sicilia, eri convinto che
ci sarebbero volute decine d’anni, e invece no. Un paio
d’anni ed è tutto
pronto, lì, presente, per distruggere le vite.
Ricordi il primo pilone, e i festeggiamenti e
l’inaugurazione. Tante emozioni, tutta quella tensione verso
il progresso, e ti
sentivi parte di tutto quel tran tran, così inerme, fermo
dentro la tua tuta
blu scura spesso impiastricciata di nero. Eri assolutamente privo di
alcuna
forma di giudizio.
I giornali dicevano che sarebbe stato un bene. Tanto tempo
in meno da spendere, per i viaggiatori e tanta fatica in meno per voi
lavoratori.
Quando un tuo collega, durante un’assemblea sindacale
domanda cosa ne sarà di voi, gli viene risposto che verrete
“reimpiegati”; sulla
terraferma, s’intende.
Ma a te va bene, sono vent’anni che fai avanti e indietro da
Messina a Villa. Ed è sempre lo stesso mare,e sempre la
stessa voce, lo stesso
suono e lo stesso odore. Pensi che cambiare ti farà bene. Ti
vedi già ripulito,
sbarbato e riposato. Niente più tremende nottate. Niente
più tute blu scuro
impiastricciate di nero. Solo una camicia bianca, una cravatta scura.
Già ti
vedi dietro una scrivania, o dentro un ufficio mentre fai delle
fotocopie.
E’ atroce come quel sogno di qualcosa di più ti
svuoti,
giorno dopo giorno,da qualsiasi opinione. Credi a ciò che ti
si dice. Tutto ciò
che ti si dice.
Il governo investe fondi per la costruzione.
Arrivano le elezioni, tu sei un po’ confuso ma credi che li
sosterrai. Voti per quelli che già ci sono al governo, voti
per chi sta costruendo,
lì, proprio davanti ai tuoi occhi. Voti per tutti i tuoi
incubi. Ma ancora non
sai che lo sono.
Le elezioni le vincono quelli che c’erano già, e
continuano
nella loro opera di corruzione di quel poco che ancora non era marcito.
“Il ponte!” dicono.
E ponte sia.
Lo costruiscono, e siete tutti
contenti. Non c’è nessuno
contento più di te. Con quel ponte che ti cresce davanti
agli occhi, ti senti
già cittadino del mondo, così proteso verso il
continente, non più separato dal
“resto” da una sottile striscia di mare.
Poi, un giorno, arriva una lettera.
“Cassa integrazione”, leggi.
Rimani un po’ lì, fermo, al centro della cucina.
Sbatti un
po’ le palpebre, poi ti siedi e leggi meglio. Arriva Maria,
alle tue spalle. Ti
poggia due mani piccole e un po’ rovinate sulle spalle e
aspetta.
“Cos’è Salvo?”, ti chiede,
già preoccupata. “Cos’è
Salvo?
Cosa vogliono da noi?”, chiede ancora con quella sua voce
cantilenante e un po’
roca che già si fa disperata e più insistente.
Tu sollevi lo sguardo da quel foglio così candido e pulito.
Quasi luminoso.
Guardi lei e perdi nei suoi occhi tutte le tue parole.
“Marì, m’hanno messo in cassa
integrazione…”, dici come
imbambolato.
“In cassa integrazione?”, chiede lei sottilmente,
poi
riprende, dopo aver pensato appena un attimo: “E’
per il ponte, Salvo?”, ti
chiede.
“Già..”.
E tutto si conclude con un “già”, quella
sera.
Di lì a poche settimane la tua vita viene stravolta. Ti
diradano i turni, inizi a lavorare solo di notte, poi solo un paio di
volte a
settimana e poi più nulla.
Già.
…Marì, m’hanno
messo
in cassa integrazione…
Pensi a cosa farai adesso. Uno come te non lo vuole nessuno.
Hai quarantasette anni e nessuna qualifica. Neppure ricordi come hai
fatto a
farti assumere. Eri solo un bravo meccanico, e lì,
forse,c’era solo bisogno di
un bravo meccanico.
Pensi a tuo figlio, Marco, che fra un po’ compirà
nove anni.
Cosa regalerai a tuo figlio, Salvo?
Un po’ di polvere, pensi. E’ tutto ciò
che possiedi.
Per prima cosa toglierai il telefono: le bollette portano
via un sacco di soldi. L’auto puoi venderla, andrai in
autobus. Non sai come
farai con l’affitto, ma decidi di pensarci più
tardi.
Maria sta chiedendo in giro, nel quartiere, se qualcuno ha
bisogno di una donna delle pulizie.
La stai mandando a pulire scale, Salvo!
Ti copri per un attimo gli occhi con le mani ruvide e
paonazze. Poi ritorni a guardare.
Uno come me non lo
vuole nessuno. Ho quarantasette anni e nessuna qualifica…
Attraversi uffici riscaldati e luminosi e arrivi davanti la
porta a vetri. Bussi.
“Avanti!”, risponde qualcuno dall’interno.
Apri la porta e sorridi.
“Ciao capo”, dici sommesso.
“Ciao Salvu’. Come stai? Oggi è
l’ultimo?”
Annuisci, poi rispondi: “Sono venuto a salutarti”
“Oh, Salvo, se hai bisogno di qualsiasi cosa, lo sai che
puoi rivolgerti a me?”.
Il tuo capo ti ha appena offerto dei soldi, in pratica, pur
sapendo che preferiresti morir di fame piuttosto che chiedere dei soldi
a
qualcun altro, fosse anche il tuo migliore amico.
“Sì, sì, non ti
preoccupare..” rispondi con un leggero sorriso
triste stampato sul volto.
Gli stringi la mano, sussurri un “arrivederci”
stentato, poi
volti le spalle alla scrivania alla quale lui è seduto e fai
per andar via.
“Salvo?”, ti richiama lui.
Tu ti volti e lui riprende: “Cosa farai adesso?”,
ti chiede.
E il tuo sorriso diventa ancora più doloroso e lacerante. Il
tuo volto diventa una smorfia, i tuoi occhi fingono un sentimento
ironico che
tu, in realtà, non puoi provare. Non adesso.
“Cercherò di non morirne, capo”. Ti giri
e vai via.
Chiudi la porta dietro di te. Continui a sorridere in
quell’espressione drammatica che ti sei stampato sul volto.
Poi cammini verso
casa.
Marì, aspettami che
arrivo. Non mi lasciare indietro, Marì, non mi lasciare mai.