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Autore: AmaranthineMess    17/01/2011    0 recensioni
Salvo, un operaio siciliano, lavora a bordo di un traghetto, ma con la costruzione del ponte sullo stretto di Messina dovrà rivedere tutte le sue prospettive.
Questo racconto l'ho scritto un po' di anni fa ed è stato inserito nella raccolta "No ponte" edita da Città del Sole.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una nebbia finissima ti attraversa il petto

Mille goccioline ti bagnano il volto.
E tu che fai?
Corri.
E’ proprio l’ultima ora di lavoro, e a te sembra quasi sia l’ultima ora della tua vita.
Ti spingi oltre l’androne, percorri tutto il corridoio e arrivi in fondo, proprio dove c’è l’unica grande finestra che da’ sul mare. Il tuo mare, quello grande e agitato e profumato. E’ tutto tuo, è lì, ma non sarà più come prima.
L’atmosfera è grigia e cupa, proprio da temporale autunnale. Eppure non c’è freddo. Porti un cappello di lana grigio inzuppato d’acqua, ma non senti freddo. Intrecci le braccia sul petto, sospiri, e guardi fuori.
“Ehi, Riccoboni, ancora qui?”, ti chiede un collega facendo capolino dalla porta della stanzetta del caffè. Lui è fra quelli che restano. E non può capire, non vive ciò che tu vivi, e allora sorridi, e rispondi laconico e un po’ scherzoso: “Ora vado, ora vado…”.
Poi decidi di salire all’ultimo piano, per salutare il tuo capo.
Sali, piano dopo piano. Non hai preso l’ascensore perché hai bisogno di scaricare tutto ciò che stai vivendo.
E man mano che sali, dalle piccole finestre della scala un po’ sporca e buia, si intravede l’unico motivo per cui tu, domani, non sarai più lì.
E ti senti come se una nebbia finissima ti attraversasse il petto…

E’ iniziato tutto qualche anno fa.
Per come vanno le cose qua giù in Sicilia, eri convinto che ci sarebbero volute decine d’anni, e invece no. Un paio d’anni ed è tutto pronto, lì, presente, per distruggere le vite.
Ricordi il primo pilone, e i festeggiamenti e l’inaugurazione. Tante emozioni, tutta quella tensione verso il progresso, e ti sentivi parte di tutto quel tran tran, così inerme, fermo dentro la tua tuta blu scura spesso impiastricciata di nero. Eri assolutamente privo di alcuna forma di giudizio.
I giornali dicevano che sarebbe stato un bene. Tanto tempo in meno da spendere, per i viaggiatori e tanta fatica in meno per voi lavoratori.
Quando un tuo collega, durante un’assemblea sindacale domanda cosa ne sarà di voi, gli viene risposto che verrete “reimpiegati”; sulla terraferma, s’intende.
Ma a te va bene, sono vent’anni che fai avanti e indietro da Messina a Villa. Ed è sempre lo stesso mare,e sempre la stessa voce, lo stesso suono e lo stesso odore. Pensi che cambiare ti farà bene. Ti vedi già ripulito, sbarbato e riposato. Niente più tremende nottate. Niente più tute blu scuro impiastricciate di nero. Solo una camicia bianca, una cravatta scura. Già ti vedi dietro una scrivania, o dentro un ufficio mentre fai delle fotocopie.
E’ atroce come quel sogno di qualcosa di più ti svuoti, giorno dopo giorno,da qualsiasi opinione. Credi a ciò che ti si dice. Tutto ciò che ti si dice.
Il governo investe fondi per la costruzione.
Arrivano le elezioni, tu sei un po’ confuso ma credi che li sosterrai. Voti per quelli che già ci sono al governo, voti per chi sta costruendo, lì, proprio davanti ai tuoi occhi. Voti per tutti i tuoi incubi. Ma ancora non sai che lo sono.
Le elezioni le vincono quelli che c’erano già, e continuano nella loro opera di corruzione di quel poco che ancora non era marcito.
“Il ponte!” dicono.
E ponte sia.

Lo costruiscono, e siete tutti contenti. Non c’è nessuno contento più di te. Con quel ponte che ti cresce davanti agli occhi, ti senti già cittadino del mondo, così proteso verso il continente, non più separato dal “resto” da una sottile striscia di mare.
Poi, un giorno, arriva una lettera.
“Cassa integrazione”, leggi.
Rimani un po’ lì, fermo, al centro della cucina. Sbatti un po’ le palpebre, poi ti siedi e leggi meglio. Arriva Maria, alle tue spalle. Ti poggia due mani piccole e un po’ rovinate sulle spalle e aspetta.
“Cos’è Salvo?”, ti chiede, già preoccupata. “Cos’è Salvo? Cosa vogliono da noi?”, chiede ancora con quella sua voce cantilenante e un po’ roca che già si fa disperata e più insistente.
Tu sollevi lo sguardo da quel foglio così candido e pulito. Quasi luminoso.
Guardi lei e perdi nei suoi occhi tutte le tue parole.
“Marì, m’hanno messo in cassa integrazione…”, dici come imbambolato.
“In cassa integrazione?”, chiede lei sottilmente, poi riprende, dopo aver pensato appena un attimo: “E’ per il ponte, Salvo?”, ti chiede.
“Già..”.
E tutto si conclude con un “già”, quella sera.
Di lì a poche settimane la tua vita viene stravolta. Ti diradano i turni, inizi a lavorare solo di notte, poi solo un paio di volte a settimana e poi più nulla.
Già.
…Marì, m’hanno messo in cassa integrazione…

 E’ tutto lì, davanti a te. E’ freddo, grigio, apatico, senza alcun sentimento intrappolato dentro. E’ il ponte più maestoso che tu abbia mai visto. Si estende da te all’infinito…
Pensi a cosa farai adesso. Uno come te non lo vuole nessuno. Hai quarantasette anni e nessuna qualifica. Neppure ricordi come hai fatto a farti assumere. Eri solo un bravo meccanico, e lì, forse,c’era solo bisogno di un bravo meccanico.
Pensi a tuo figlio, Marco, che fra un po’ compirà nove anni.
Cosa regalerai a tuo figlio, Salvo?
Un po’ di polvere, pensi. E’ tutto ciò che possiedi.
Per prima cosa toglierai il telefono: le bollette portano via un sacco di soldi. L’auto puoi venderla, andrai in autobus. Non sai come farai con l’affitto, ma decidi di pensarci più tardi.
Maria sta chiedendo in giro, nel quartiere, se qualcuno ha bisogno di una donna delle pulizie.
La stai mandando a pulire scale, Salvo!
Ti copri per un attimo gli occhi con le mani ruvide e paonazze. Poi ritorni a guardare.
Uno come me non lo vuole nessuno. Ho quarantasette anni e nessuna qualifica…

 Arrivi all’ultimo piano.
Attraversi uffici riscaldati e luminosi e arrivi davanti la porta a vetri. Bussi.
“Avanti!”, risponde qualcuno dall’interno.
Apri la porta e sorridi.
“Ciao capo”, dici sommesso.
“Ciao Salvu’. Come stai? Oggi è l’ultimo?”
Annuisci, poi rispondi: “Sono venuto a salutarti”
“Oh, Salvo, se hai bisogno di qualsiasi cosa, lo sai che puoi rivolgerti a me?”.
Il tuo capo ti ha appena offerto dei soldi, in pratica, pur sapendo che preferiresti morir di fame piuttosto che chiedere dei soldi a qualcun altro, fosse anche il tuo migliore amico.
“Sì, sì, non ti preoccupare..” rispondi con un leggero sorriso triste stampato sul volto.
Gli stringi la mano, sussurri un “arrivederci” stentato, poi volti le spalle alla scrivania alla quale lui è seduto e fai per andar via.
“Salvo?”, ti richiama lui.
Tu ti volti e lui riprende: “Cosa farai adesso?”, ti chiede.
E il tuo sorriso diventa ancora più doloroso e lacerante. Il tuo volto diventa una smorfia, i tuoi occhi fingono un sentimento ironico che tu, in realtà, non puoi provare. Non adesso.
“Cercherò di non morirne, capo”. Ti giri e vai via.
Chiudi la porta dietro di te. Continui a sorridere in quell’espressione drammatica che ti sei stampato sul volto. Poi cammini verso casa.
Marì, aspettami che arrivo. Non mi lasciare indietro, Marì, non mi lasciare mai.

   
 
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