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Autore: AmaranthineMess    17/01/2011    0 recensioni
"Così, nella tua morte la sua morte"
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo
- a volte le strade finiscono…-


Perso, dentro un attimo di vita irreale, ti ritrovi nel sorriso che porgi spontaneamente alla gattina rannicchiata accanto la porta. La strada lastricata luccica di bagliori notturni e stellati, lucida di pioggia e scura di sporco.
La tua vita, quella, te la ritrovi tutta davanti in un solo attimo,
 il tempo di un respiro; sa di strani odori dimenticati, sa di incertezza, di ipocrisia e paura. E sa di una strana melodia lontana, persa nella notte di chissà quale tempo. Quel foglio bianco non ti serve più adesso. Lo pieghi con cura e lo riponi nella tasca della giacca, quella più grande, così che possa perdersi, quel foglio, così che possa perdersi…
La gattina decide tutt’a un tratto di guidarti verso un posto oscuro e lontano e tu la segui, sentendo in lei la voglia di stupirti.
Nei vicoli di notte i gatti sanno muoversi, ma tu sei goffo e impacciato nelle tue movenze da ricco e giovane laureato ottimista. Non più tanto ottimista, in effetti.
Mentre la segui ti fai beffe di te. Come una strana forma di schizofrenia allegra c’è una parte di te che deride quell’altra. C’è un uomo grigio dentro una giacca in tweed che irride un giovinetto pallido e impaurito, quello con i capelli spettinati e la camicia sbottonata sul colletto.
A volte la vita è proprio strana, pensi, e subito ti vergogni, perché è un pensiero dozzinale, che almeno una volta nella vita fanno tutti.
Ma la tua è proprio strana. Non ultima stranezza questo pedinamento di una gattina bianca per quei sobborghi malfamati e lerci.
Poi si ferma.
La porta è verde, grande, sporca, con la vernice tutta scrostata. Si apre.
« Vuoi entrare?», ti chiede una voce un po’ assonnata ma presente.
Tu sei imbarazzato e dapprima non capisci.
«..io…», ti viene fuori un farfugliamento senza senso che culmina in un sorrisetto sbuffato.
Però è bellissima. E’ la venere di un mondo sommerso e sporco. E’ scura e misteriosa come i vicoli a cui appartiene. E’ l’espressione di una realtà che è lontana. Abissalmente differente da tutto ciò che hai vissuto sino ad adesso.
Sposta i suoi occhi profondi alla gattina inopportunamente candida, poi sorride e si abbassa ad accarezzarla.
«Allora me l’hai portato tu?», chiede sorridente alla gattina grattandole il collo, e nel piegarsi la sottile canottiera lilla si dischiude, lasciando intravedere la curva del seno bruno. Alza la testa verso di lui, con rispetto quasi riverenziale, poi chiede: « Allora entri?.. non offenderti non voglio farti fretta è che ha piovuto e a star qui sto sentendo un po’ di freddo..» sorride impacciata anche lei adesso, si rialza e si passa le mani sulle braccia. Guardi quelle sottili dita bronzee strisciare contro la pelle dorata, respiri quell’attimo che sembra esser fatto apposta per te.
« E tua la gattina?», chiedi allora.
«No, no. Ogni tanto le do da mangiare.. – sorride - …e lei mi ricambia portandomi i clienti fin sotto casa..».
Il suo sguardo si spegne ed è ora triste. Spalanca le braccia, poi si stringe ancora una volta in sé. Ti saluta con lo sguardo e fa per entrare.
Guardi l’orologio, è passata soltanto mezz’ora.
«Aspetta..», e lei si ferma a metà di un passo.
Le sorridi. «Voglio entrare con te…»

 Mariano sapeva tutto sin dal primo momento.
Non te l’ha detto, sì, ha temporeggiato, e tui te la sei presa.
Ma è un bravo ragazzo ed è un buon amico.
«Qual è il problema Ma’?» gli avevi chiesto dal lettino dell’ospedale, e lui, con gli occhi fissi sul foglio candido che stava leggendo e poi fissi su di te, assorto e leale ti aveva risposto: «Stai morendo».
Lì per lì ti eri spaventato, ti eri incazzato, neppure tu sapevi bene cosa provassi. Poi ti eri fatto spiegare cosa stava accadendo.
«I tuoi neuroni periranno piano, ad uno ad uno, e si spegneranno altrettanto lentamente. E noi non possiamo fare assolutamente nulla per salvarli».
Era stato chiaro e netto. Insopportabilmente corretto con te, anche in quel frangente, in cui avresti preferito un amico ottimista e ipocrita.
Ma lui no, lui non era di certo ipocrita, lui ti voleva bene davvero. E ti aveva detto la verità così com’era. Dolorosa e cruda.
«Per quanto tempo andrò avanti senza problemi?»
Lui aveva sorriso. «Come vedi i problemi ce li hai già.. non mi dire che per te è normale svenire al centro di un campo da tennis..» aveva esordito, poi, guardando i tuoi occhi sordi e dolorosi aveva continuato: «Sei mesi, nove al massimo. Poi perderai l’uso degli arti, non potrai più muoverti, poi non potrai più parlare. E nel giro di un anno morirai».
«Morte cerebrale, immagino …» avevi aggiunto assorto. Poi senza aspettar risposta: «Non voglio diventare un vegetale, Mariano …».
Lui aveva fissato per un istante quel tuo sguardo intransigente. Aveva infine fissato a lungo le piastrelle celesti del pavimento.
«Mi dispiace» aveva poi sussurrato prima di andar via.

 «Puoi accomodarti qua.. se aspetti un attimo do del latte alla gattina…» sorride dolcemente.
Ti guardi attorno spaesato. E’ un grande ambiente, quasi un loft da poveracci, pensi. Con cuscini sparsi per terra, un po’ ovunque. C’è un forte odore di incenso e cera bruciata. Delle tende trasparenti e scure pendono sopra le poche porte che danno sull’enorme ambiente.
Lei torna.
«Allora cosa vuoi fare?»
Tu la guardi attonito, stupito.
Sorridi. «Quanti anni hai?», le chiedi.
Lei sorride, sposta un ciuffo di capelli scuri dalla fronte.
«Venti», risponde cauta.
«E da quanto fai questo mestiere?» continui tu.
Adesso ti sorride e risponde.
«Boh.. da un po’ di anni ormai credo dall’età di tredici, quattordici anni…»
Fa silenzio, poi riprende divertita e un po’ imbarazzata: «Sai, in pratica dall’età in cui si inizia a piacere ad un uomo…».
Abbassa lo sguardo e ti sembra quasi di vederla arrossire.
Ma parla della sua vita con una naturalezza e una noncuranza disarmanti.
Le sorridi.
Pensi a tutto quel mondo che ti sei lasciato dietro. Pensi a tutta la tua vita, e a tutta la sua vita e a quando siano abissalmente diverse. A quanto quella sua piccola esistenza possa essere importante e luminosa, e a quanto la tua possa essere soltanto fumo perso in una folata di vento.

«Lascio a te carta bianca…voglio solo star bene..», dici chiudendo per un attimo gli occhi e respirando profondamente quell’aria pregna di desideri nascosti.
Ventinove anni.
La tua vita è un vortice di impegni e gratificazioni.
La tua agenda trabocca di numeri e appuntamenti. Il tuo telefono squilla incessantemente.
Poi arrivi a casa e finalmente il silenzio.
La tua vita è così dall’età di diciotto anni.
Unico figlio, maschio.
Sei abile nel parlare alla gente, sei bravo a sorridere e vendere fumo.
Allora tuo padre ti affida l’azienda. “L’importante è che non mi mandi in bancarotta, poi puoi far ciò che ti pare” aveva detto un giorno chiudendo il suo rolex dentro la cassaforte a muro.
Poi era andato via.
Non sai neppure dove di preciso. Ha comprato una caletta, un giorno, un spiaggia per pochi intimi e una casa colossale ed era andato via. Chissà dove. Chissà con chi. Lontano dalla tua vita e assente.
Come un buon padre. Come un padre che si rispetti.
E tu a diciotto anni eri troppo libero per chiuderti dentro quel palazzone a vetri, ma ciò nonostante ci sei entrato, hai chiuso tutto fuori.
Hai studiato e lavorato, ti sei laureato.
Hai vissuto la tua vita a metà, hai fatto in modo che accanto a te ci fosse gente talmente dipendente dai tuoi affari da poter anche camuffare il vostro rapporto da amicizia.
E poi c’era stato Mariano.
Lui era un po’ strano. Sin da piccolo, credeva che la gente buona esistesse davvero.
Odiava gli ipocriti e quella cerchia di ‘amici fidati’ che ti eri creato.
La sua vita girava tutta attorno la sua medicina, il suo ospedale, i suoi malati.
Vi eravate persi di vista, per questo. E poi dopo dieci anni te lo ritrovavi lì, in quel suo candido camice da giovane medico a dirti che la tua vita è finita e che tu non l’hai vissuta.
Ed è stato come se te lo fossi perso soltanto un attimo. Come se lo avessi lasciato indietro soltanto pochi istanti. O meglio, come se lui avesse lasciato indietro te.
Tanta gente sorridente, accanto a te. Tanta gente disposta a far di tutto per avvicinarsi al tuo piccolo impero dorato. Tanta gente che ti invidia e non sa, invece, che la tua morte è un processo inesorabile, iniziato un po’ di tempo fa.
In fondo, adesso si spegnerà soltanto l’ultima spia.
Il tuo cuore cesserà di battere, ma tu non vivi già più.

«Non è possibile che io svenga ad una riunione così importante!.. ma ti immagini? Sono svenuto fra le braccia del giapponese!!», ridevi… poi ti eri fatto serio e avevi perso il tuo sguardo in vuoto non troppo lontano. «Di questo passo col cazzo che mio padre mi lascia l’azienda..», avevi sospirato, poi eri rientrato nei gangheri, così come eri stato educato a fare ogni volta la tua imperfezione umana fosse affiorata e avesse annebbiato la lucentezza dei tuoi gemelli d’oro.
Poi avevi ricominciato a ridere, col tuo brandy fiondato in una mano.
Allora Mariano ti aveva fissato intensamente.
«Che ti importa dell’azienda?»
Eri diventato molto serio. Avevi posato allora il bicchiere sul tavolino in vetro.
«Non lo so Ma’…credo sia solo vigliaccheria…voglio credere  che tutto questo durerà ancora per molto…»
«Già…», aveva risposto lui pensieroso.
«Mariano…» avevi poi continuato, rompendo il silenzio. «Mariano ecco… non puoi darmi nulla per farla finita prima di diventare un maledetto rincoglionito?»avevi sorriso impacciato.
Lui ti aveva guardato sorpreso. «Ma non avevi paura fino a tre secondi fa?» aveva risposto beffardo.
«Vedo cosa posso trovare. Ma non mi assillare» aveva detto poi andando via.

Ti gira un po’ la testa. Sarà forse l’intenso odore di incenso.
«Oh, stai bene?» ti chiede lei preoccupata.
Siete ancora al centro della stanza.
«Si.. si…sta tranquilla…ora mi riprendo..»
«No, vieni», ti dice guidandoti verso la cucina.
Attraversate la porta custodita da quei veli scuri e arrivate in un ambiente più luminoso e arieggiato.
E’ una cucina carina. Piccola, con poche cose indispensabili.
Ti porge un bicchiere d’acqua, sorridendo.
«Grazie..» dici mandando giù un sorso.
Lei ti guarda con dolcezza. E’ forse la prima donna del mondo ad essersi interessata alla tua salute. Forse perché adesso non stai correndo su un viale alberato attorniato da avvoltoi in giacca  cravatta. Forse perché adesso non le stai soltanto toccando il culo mentre parli di politica con i tuoi presunti amici. Forse perché adesso non siete dentro un night affollato e chiassoso, pieno di facce da ricchi, pieno di anelli e bracciali di valore. Pieno di alcol e cocaina. Pieno di vuoto.
Ti sorride. Ti sorride ancora.
«Stai meglio?», ti chiede.
«Sì, grazie…»
Tornate nell’ampio salone.
Le sue mani ti cingono la vita.
Ti trascina sorridente verso una zona di quel suo loft da quattro soldi.
C’è un baldacchino scassato, celato da veli rossi e scuri. Lei sorride, sorride sempre.
«Perché ridi?», le chiedi adesso.
«Perché sono fortunata..»
«E perché saresti fortunata?»chiedi ancora.
«Perché sei carino e pulito… qualcosa mi dice che oggi al lavoro potrei anche divertirmi…» continua a ridere lei, in quella sua paradossale purezza puerile. Poi si scioglie i capelli.
Ti porta dentro quel suo baldacchino, che è come un mondo incantato. Un mondo dove nulla esiste se non voi due. Un  mondo dove nulla può più far male.
Le sue mani si muovono leggere e i suoi occhi sorridono sinceri.
Ma non sei altro che il suo primo affare di questa nuova giornata. Non sei altro che una faccia come un’altra una vita come un’altra. Ti toglie la giacca, con cura. E tu menti a te stesso, ancora una volta. Fingi che quella sia la tua vera vita. Fingi che quella cucina piccola e luminosa sia anche un po’ tua. Fingi che i suoi occhi siano davvero persi dentro i tuoi.
Comincia a sbottonare la camicia poi si ferma a metà.
«Sdraiati..», ti dice, e tu lo fai.
Allora inizia ad abbassare le due bretelle sottili, facendole scivolare sulle sue spalle brune.
Mette via la canottiera e sbottona, adesso, la gonna a pareo.
E tu la guardi estasiato perché lei è l’ultima delle donne. Lei è per la tua vita, ciò che il punto è per una frase. E’ la tua tappa ultima. E’ il tuo ultimo pensiero e il tuo ultimo sospiro.
E’ nuda e bella e quello sguardo impacciato che aveva qualche istante fa, la fuori nella stanza, sembra ora paradossalmente dissolto in quest’ambiente di lussuria densa.
La tua camicia è tolta.
Passa le sue mani si di te e sente il tuo cuore che batte forte come non mai, quasi fosse il tuo primo incontro d’amore.
La sua danza garbata continua attorno al tuo corpo inerme, che rimane ben presto nudo, preda di quelle sue mani veloci e leggere.

«Devi prendere il contenuto di queste due boccette»
«Il nome è scritto lì?» avevi chiesto premuroso.
«Sì, ho scritto tutto qua. Sono farmaci che si trovano normalmente in commercio, ma combinati fanno decelerare piano piano il tuo cuore, sino a farlo spegnere»
Tu lo avevi guardato riconoscente. «Appena le compro brucio il foglietto, Mariano, sta tranquillo… quanto tempo..?» avevi lasciato la domanda in sospeso.
«Dipende dalla frequenza cardiaca… se ti fai una corsetta potresti morire anche in mezz’ora. Se te la prendi comoda un’ora, due al massimo..»
«Sverrò come al solito?» avevi chiesto un po’ impaurito.
Mariano ti aveva guardato con quei suoi occhi buoni e severi, aveva poi sospirato. «Sì, non sentirai nulla, sverrai come al solito».
Silenzio.
Stava fermo e zitto Mariano. Immobile e severo.
Poi aveva aggiunto: «…sei sicuro? Non possono esserci ripensamenti ragazzino…»
«Lo so dottore, lo so..».

Quel suo sguardo adesso ammalia tutti i tuoi sensi.
Ti senti vivo, eccitato eppure calmo, quasi assuefatto da quella sua bellezza scura e a te estranea.
Il suo corpo si muove lento e sensuale su di te.
Le tue mani sono voracemente avvinghiate ai suoi fianchi, e quel movimento ipnotico e dolce ti fa socchiudere gli occhi, quasi fossi in tranche, quasi non fossi già più qui.
Pensi a quel foglio candido perso dentro la tua tasca. Pensi a  lei, che ti sta sopra e quasi ti guida, e poi pensi ancora a quel foglio e al suo messaggio di morte. Il tuo referto, scritto su un foglio così insopportabilmente candido.
E poi infine, pensi a quelle due boccette di vetro, perse, abbandonate per terra, all’angolo di chissà quale dei vicoli percorsi per arrivare sin qui, al piacere più puro.
Guardi quei suoi occhi così misteriosi e teneri, che ti fissano come se ormai fossi parte di lei.
Come se ormai le vostre vite fossero una sola e i vostri cuori avessero lo stesso ritmo incalzante.
Ti piace pensare di esser speciale, per lei. Non uno dei tanti, quasi un amore.
Così arriva il momento in cui la senti proprio come parte di te.
Lei si muove lentamente e il tuo corpo reagisce, lento, al suo essere così adorabilmente coinvolta i tutto ciò stia accadendo sotto quei veli oscuri.
Arriva piano, lento, silenzioso e leggero.
E’ il culmine del tuo piacere e il silenzio dei tuoi sensi. E’ l’attimo dell’amore più puro, forse l’unico della tua vita, eppure l’inizio della tua assenza.
Arriva leggero e si posa sulla tua testa, che inizia a girare. Non riesci più a tenere gli occhi aperti, così li chiudi, in attesa della tua ricompensa. Del tuo premio o della tua sconfitta. Non sai cosa aspettarti dal tuo corpo, adesso, sai solo che vorresti finire di far l’amore con lei anche solo un istante prima di morire. Vorresti solo che, prima di morire, il suo corpo si agitasse ancora un po’, e spasimasse per te.

Così, nella tua morte la sua morte.
E mentre i tuoi sensi si spengono lenti., i suoi si accendono di una luce abbagliante.
Così, come nella sua morte c’è poi la rinascita, nella tua c’è solo il buio, il silenzio, la paura di non esser più nulla.


E’ finito.
Lei si stende accanto a te e chiude gli occhi e in quell’istante tu muori.
La bianca gattina entra in quel mondo proibito e, quasi a voler rivendicare il lavoro compiuto, si accovaccia su quel tuo petto spento.
E li, dove un attimo prima i sospiri incendiavano l’aria, tutto tace.

   
 
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