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Autore: AmaranthineMess    17/01/2011    0 recensioni
“Diciotto morti”, annuncia la radio. Il timer era stato puntato per le sette, come di consueto, e quella mattina il suo risveglio fu accompagnato da quella notizia di morte.
“Diciotto morti e altrettanti feriti”, annunciava lo speaker con una voce ipocritamente piagnucolante, con quell’atteggiamento di finta commozione che nasconde così male la soddisfazione di un giornalista nell’aver ottenuto il programma.
“Diciotto morti”, continuava a ripetere quell’uomo che, senza un volto, aveva risvegliato milioni di persone con la sua voce falsamente commossa. E mentre pronunciava quelle parole, in realtà, i suoi pensieri, erano rivolti altrove.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SALVI TUTTI!

“Diciotto morti”, annuncia la radio. Il timer era stato puntato per le sette, come di consueto, e quella mattina il suo risveglio fu accompagnato da quella notizia di morte.
“Diciotto morti e altrettanti feriti”, annunciava lo speaker con una voce ipocritamente piagnucolante, con quell’atteggiamento di finta commozione che nasconde così male la soddisfazione di un giornalista nell’aver ottenuto il programma. 
“Diciotto morti”, continuava a ripetere quell’uomo che, senza un volto, aveva risvegliato milioni di persone con la sua voce falsamente commossa. E mentre pronunciava quelle parole, in realtà, i suoi pensieri, erano rivolti altrove.
“E anche oggi sono andato in onda io. Domani col cazzo che Maria Adele mi chiama ‘fallito’.  La stronza. Vieni a vivere a casa mia, ti autoinviti, più che altro, vivi grazie allo stipendio che porta a casa il sottoscritto, per di più ti ritiri dall’università e inizi a fare la mantenuta a tempo pieno ed hai il coraggio di chiamarmi fallito. Stronza. Ma te lo do io il fallito. Che già mi vogliono in televisione. E poi te lo immagini ‘sto po’ po’ di bonazzone a mezzo busto? Eh? Te lo do io il fallito, stronza..”.
“Diciotto morti”, annuncia la radio, e Gianluca è già in cucina davanti una tazzina di caffè scuro.
“Cazzo, diciotto morti!” sussurra a se stesso mentre soffia sul caffè bollente. Poi lo tira giù con un sorso, si brucia la lingua, impreca, poi di nuovo in piedi e va a farsi la barba. Davanti lo specchio appannato, in bagno, pensa a quanto sarà meraviglioso il Natale quest’anno, che Giuliana torna da Londra e si sta tutto il ventitré spaparanzati sul divano a coccolarsi. Che poi, porca di una miseria, possono stare da soli solo per il ventitré, che gli altri giorni il parentame reclama presenze.
“Ma porco dio!”, grida dirigendosi verso l’armadietto. Lo apre, prende una salvietta disinfettante e se la passa sul taglio trasversale dal quale fa capolino una linea di sangue. Poi finisce di prepararsi e va in ufficio.
“Ma lo senti che hanno ammazzato diciotto persone?” lo accoglie quel barilotto della Giovanna con sette mesi di figlio in grembo. Gianluca annuisce, poi si chiude dentro la stanza e chiama Giuliana col telefono dell’azienda.
Giovanna rimane un po’ perplessa a guardare la porta chiusa, poi passa il suo sguardo sulla radio ancora accesa. “Diciotto morti”, continua la giornalista con voce profonda e commossa (oh, questa sembra vera!). “Ma va’ che poi m’angoscio e mi nasce sconsolato!”, dice il barilotto spegnendo la sua angoscia con un ‘tac’ sotto il dito. Poi torna ad archiviare le pratiche di “quella gran testa” del suo capo che non le paga i contributi, però la lascia lavorare sino ad un minuto prima del parto. Per “arrotondare”…. Com’è umano lei…
“Che appena mi nasce come me l’organizzo sto casino? No, to’, le archivio adesso ‘ste carpettine gialle che poi mi sa che mi rimangono sul groppone… Ohi, mi mangerei una iris fritta… ma mi farebbe male a quest’ora…?”, guarda l’ora e da’ una risposta ai propri pensieri. “Che sarebbero pure le nove e un quarto, mica presto presto..”, vede arrivare Viola col suo cappotto color cammello. “Vio’, andiamo al bar?”, le chiede.
“Giova’ sto arrivando adesso!”. Faccina pietosa da pre-mamma-afflitta-da-voglia-di-iris-fritta-alle-nove-del-mattino. 
Viola color cammello cede e ci si va a prendere una iris fritta e un cappuccino, va’.

“Oh, Giova’, son morte diciotto persone, sai?” col suo accento toscanaccio da Viola color cammello.
“Sì, l’ho sentito stamattina mentre preparavo colazione al piccolo…”
“Uh, il piccolo! E com’è? E’ emozionato per il fratellino nuovo?”
“Emozionato, oddio, non sembra gliene freghi poi tanto…”
“Ma no, sarà sicuramente emozionato! Lo sono io che non è nemmeno mio fratello!”, con la sua voce da bambina un po’ troppo cresciuta e un po’ troppo ingenua da Viola color cammello.
Entrano al bar e ritrovano la notizia.
“Diciotto morti”, dice una radio che non si sa dov’è nascosta da quando hanno provato a rubargliela, a quel gran pezzo d’uomo di Marietto.
“Ohi, Mario, ce ne hai più iris fritte?”
“Macché, tutto finito…”
“Ah! Ora nasce con una voglia a forma di iris fritta!”. Stupidaggine delle nove e mezza da Viola color cammello. Poi continua: “Allora Giova’, che pigli?”
“Ma magari un cornettino alla crema e un caffè..”
“Allora due caffè e il cornetto…”. Ordinazione soddisfatta da Viola color cammello.
Poi Giovanna si gira e saluta Luigi.
“La mia collega preferita!”, esplode, lui, in un sorriso.
“Luigi smettila di farmi la corte che c’ho un figlio e tre quarti a carico! Non ti conviene!”
“Il “tre quarti” è simpaticissimo!”, ride ancora, Luigi. Poi tossisce un po’ e torna dentro il giornale. “Diciotto morti”, legge. Chiude quei fogli e pensa: “Cazzo, diciotto morti”. Poi esce dal bar, fingendo di andare a sbattere per caso con la mano sul culo di Giovanna.
“Diciotto morti”, riprende a pensare in strada quel Luigi un po’ stempiato che le fa la corte, a Giovanna, da quando andavano al liceo.
“E poi uno pensa cattiverie… Ti sei fatta mettere incinta due volte da due stronzi che poi sono scomparsi ed io che ti sbavo dietro da più di dieci anni non mi caghi di striscio… che stronza che sei, mia piccola Giovanna…”, poi si infila dentro il portone dell’ufficio. La portiera lo saluta da dietro il vetro della guardiola. I centotré chili di mamma acquisita sorridono a quel Luigi stempiato, innamorato.
“Olà, mamma Rosa, che mi dici?”
“Figlio mio che ti devo dire? Ma lo hai sentito che sono morte diciotto persone?”
“Eh, lo so mammina… che cucini per pranzo?”
“Faccio la trippa.. apparecchio pure per te?”
“No, mammì. Che l’altra volta mi sono schizzato tutto di sugo…”
“E io ci metto un bavaglino a questo qui!”, ridacchia la mamma. Poi si salutano e Luigi innamorato sale le due rampe che lo portano allo stanzone dei computer.
E la “mamma” rimane lì, ferma. Lo guarda con i suoi centotré chili di amore pseudo-materno salire quelle due rampe. Poi pensa ai diciotto morti, poi di nuovo al suo “figliolo” che sbava dietro a quella zoccola di Giovanna almeno da dieci anni.

“Nonna, vado a scuola…”, e Amanda è già schizzata sul motorino. E la nonna-mamma Rosa-portiera esce dalla guardiola con balzo felino.
“E a quest’ora sicci va’ a scuola?”
“Nonnì, c’è okkupazione…”, e lo dice col cappa.
La nonna-mamma Rosa-portiera torna a sedersi dietro il vetro. Riaccende la radio e i diciotto morti sono ancora lì, ma lei cambia e mette su “Radio Maria”, che a quest’ora si dice il rosario.
“Ave Maria, piena di grazia..” e già la prima pallina è fatta. “..il Signore… sì, ma se scopro che a questa occupazione si bacia con i ragazzi gliela faccio passare io la voglia.. l’okkupazione..”, e questa volta lo dice anche lei col cappa.

E Amanda col motorino ci arriva subito a scuola, che ci sono già Aurelio e Mattia che squagliano il pezzo di fumo.
“Che te ne fumi una con noi, Ama’?”
“Ma sei scemo che non sono manco le dieci..! Dov’è Stefi?”
“Ma forse è dentro col Capo..”
Amanda saluta i due fumanti ed entra dentro. Che c’è una puzza di rinchiuso che non si respira. Vuole vedere Stefi, poi pensa che magari lei sta sbavando dietro al Capo e lascia stare. Amanda va’ a zonzo, poi vede Stefi che è col Capo e un altro po’ di gente.
“Che si fa, qua?”, chiede allora all’amica sbavante.
“Maurizio sta commentando la notizia dei diciotto morti…” risponde Stefi, si sorridono, poi lei torna a sbavare.
“.. e sono morti per che cosa? Che questi cazzo di governanti fascisti del cazzo ce li mandano a migliaia a morire, cazzo, e poi dicono che erano in missione di pace… peccato che lo sanno solo loro che è una cazzo di missione di pace…”, poi il “Maurizio-Capo” viene “cazzo” interrotto, perché “cazzo” uno si è ubriacato e adesso, “cazzo” vero, sta distruggendo una “cazzo” di aula.
Stefi abbraccia Amanda e le dice in un orecchio che si sono baciati, lei e il Capo. Amanda le sorride, poi vede con la coda dell’occhio il Capo che ci prova con la sorella dell’ubriaco. Lo vede pure Stefi e il sorriso le scompare dalla faccia. Si va a chiudere in bagno e Amanda la segue.
“Ma cosa cazzo mi aspetto? Lui è così meraviglioso e stupendo.. ed io per un bacio già mi immagino chissàcchè!”. Stefi piange seduta accanto a quel cesso sporco di una settimana di occupazione.
“Ma che ci piangi, Stè? Che è uno stronzo, Maurizio non lo sapevamo? ..Che ha pure preso qualche chilo e sembra un ippopotamo!”. Amanda sorride all’amica in lacrime. Stefi ricambia il sorriso, si asciuga le lacrime. Poi ride, ma le viene ancora da piangere.

E l’ubriaco in realtà si chiama Marco e va in seconda, che tutti ancora lo prendono un po’ per il culo.
E ci pensa Marco che sono morte diciotto persone, però la grappa alle dieci e mezzo è pesante e si mette a vomitare dappertutto. Ora si che lo prenderanno per il culo! Vede con la coda dell’occhio quel mezzo barilotto del Capo che ci prova con sua sorella e si incazza, poi si siede per terra e non capisce più niente.
E le ore all’occupazione trascorrono velocemente, che già è ora di pranzo, e Amanda vede di andare a recuperare il motorino. Uscendo si scontra con Matilde, che più brutte non ce n’è. L’occhialuta brufolosa chiede scusa ad Amanda che però è già andata via, poi raccoglie i libri che le erano cascati e raccoglie anche un po’ di prese per il culo perché lei è una di quelle che si porta i libri all’occupazione. Trattiene le lacrime sino all’angolo della strada, poi scoppia.
“Ma non potevo morire io al posto di uno di quei diciotto?”, pensa Matilde. Poi entra a casa e finge di essere felice.
“Com’è andata a scuola, tesoro?”
“Mamma c’è occupazione, te l’ho detto ieri..”
“Ah, e ti diverti a questa occupazione, tesoro? Con i tuoi amici immagino combinerai un sacco di ragazzate! Però vedi di studiare un po’, eh?”.
Matilde annuisce. E sua madre non sa che lei non ha amici, che non fa altro che studiare pur di non pensare a quant’è merdosa la sua vita, e che la parola “ragazzate” non si usa più da un migliaio di anni.
A tavola il dottor padre di Matilde commenta le diciotto morti con assurde difese al governo di destra che è al potere, parlando sopra il telegiornale. Poi dice che va via di corsa perché ha una riunione in ospedale. Ma Matilde sa che si incontra con Patrizia. E lo sa anche sua madre.
 Il dottor padre bacia la madre sulle labbra. Poi Matilde in fronte. Esce dalla porta e va via sino a domani mattina sul presto.
Il dottor padre entra in auto e guida fino all’appartamento di Patrizia che lo aspetta con un grembiule a fiori e la tavola apparecchiata.
“Ti ho preparato il pranzo…”, fingendo di essere una moglie. “Hai sentito di quei diciotto morti?”, vorrebbe, Patrizia, intavolare una tipica discussione da “famiglia a tavola”, ma il dottor padre di Matilde non ha fame e le sta già togliendo gli slip da sotto il grembiule a fiori.
E quando sono le quattro di pomeriggio il dottor padre prende e va via. “Ma non dovevi rimanere questa notte?”
“Sì, ma non vorrei che mia moglie…”, ed è già fuori dalla porta. Passa da un fioraio e compra delle rose per sua moglie.
E Patrizia rimane sul letto mezza nuda. Si copre col lenzuolo, poi scoppia in lacrime. Va a farsi una doccia, si infila dentro un tutone felpatone da meccanico infreddolito e si accende la tv.
“Diciotto morti”, e lei pensa che le piacerebbe fare la moglie. “Sotto le macerie c’è ancora qualcuno”, ma il dottor padre non lascerebbe mai la famiglia per sposare lei. Sarebbe uno scandalo. Però lei ne è innamorata, e allora va bene così. Continuerà a non fare la moglie. Poi si affaccia al balcone e vede che Mauro sta entrando al panificio.
“Mauro!”, grida con la sua voce squillante da “non-moglie”.
Lui si gira e la guarda, e la trova infinitamente bella.
“Mi prendi un panino che poi ti do i soldi?”
Mauro annuisce, poi si infila dentro il negozio. Quando esce lei non è più al balcone e allora lui capisce che lo sta aspettando sul divano di fronte la tv. Apre il portone del palazzo, sale le scale e apre la porta del proprio appartamento. Lascia il pane sul tavolo della cucina, porta con se solo il pacchetto del panino di Patrizia. Chiude la porta e sale da lei.
Bussa, ma la porta è accostata e così lui entra e la trova sul divano. Lei sorride e gli prende il pane dalle mani. Lo invita a sedersi e gli racconta tutto del dottor padre. Entrambi concordano sul fatto che è uno stronzo, ma lei conclude con la solita affermazione: “Ma io lo amo!”. Poi sono già le sette e mezza e inizia il telegiornale della sera.
“Diciotto morti”, e Mauro le sorride, le dice che se potesse essere una donna vorrebbe essere come lei, poi torna al suo appartamento dove lo aspetta Francesco con la pasta già impiattata.
“Dov’è che sei stato?”, indaga Francesco sorridendo.
“Dalla piccola Patrizia che non si rende conto che dovrebbe posarlo a quello stronzo di dottore!”. Poi si posano un bacio sulle labbra e cominciano a mangiare.

Diciotto morti. E poi un’altra serie di vite. E nessuno se ne importa se sono morti in diciotto, perché tanto, gli altri, siamo ancora tutti vivi.

Le espressioni gergali utilizzate in questo racconto sono volute, non sono errori di copiatura o altro


   
 
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