P.S.
A fondo pagina trovate una piccola sorpresa, ho postato un fotomontaggio di Cathrine e Peter nella loro spiaggia, spero che vi piaccia!
Ringraziamenti:
bex: Ciao! Grazie per la tua recensione, sono felicissima di sapere che il cappy scorso ti sia piaciuto così tanto e un grazie di cuore per tutti i tuoi complimenti *me felice con gli occhi a stellina*! Concordo, i ragazzi come Peter dovrebbero abbondare un po' di più, è semplicemente perfetto! (tranquilla, anche io mi farei chiudere da lui in una stanza, in cima ad una torre, in una baita in montagna, su un'isola deserta...ho reso il concetto? hihihihii!!!!!) Ci tenevo a dare il giusto spazio a Jadis, non mi piaceva che l'idea che Cathrine alla fine considerasse la madre solo una strega malvagia, e non mi sembrava minimamente giusto trattare un personaggio come Jadis al pari di un cattivo qualunque assetato di potere, la strega bianca meritava di essere analizzata meglio secondo me ed è uno dei motivi che mi ha fatto scrivere questa fan fiction :-) Telmar è tornata a combattere, però temo di doverti dire che nn sarà l'ultima difficoltà che i nostri due ragazzi dovranno affrontare per avere la loro felicità, un altro problema ancora più grave si affaccia all'orizzonte ma non aggiungo altro (lo so, sono cattiva, ma la suspance altrimenti dove sta?). Spero di leggere presto il tuo commento su questa capitolo e che ti piaccia! Un bacione grande grande!
sweetophelia: Ciao! Dopo molti rinvii sono riuscita a pubblicare questo cappy che come hai immaginato tratta della guerra contro Telmar! L'altro cappy effettivamente avevo interrotto il flusso narrativo, però mi sembrava doveroso concludere con una nota positiva la storia di Jadis, come ho detto anche a bex non era giusto ridurre il suo personaggio a quello di un cattivo qualunque con manie di grandezza, ho sempre pensato che nascondesse una psicologia più profonda e poi non potevo lasciare Cathy con la terribile consapevolezza di avere per madre una sadica pazza. L'arcano del papà di Cathy è finalmente svelato, però posso anticipare che non è l'ultimo dei segreti che la rossa scoprirà prima della parola fine :-) Per ora però ciò che principalmete occuperà i suoi pensieri sarà la guerra contro Telmar. Sono un po' timorosa riguardo alla scena della guerra, spero di non aver deluso nessuno volendo seguire il film, ci ho pensato e ripensato però alla fine credo chela fan fiction basandosi su le cronache di Narnia 2 doveva avere un collegamento stretto con il film per quanto l'introduzione di un nuovo personaggio lo consentisse. Cosa ne pensi? Aspetto ansiosa il tuo reponso! Grazie mille per la tua recensione che come ben sai apprezzo sempre tanto tanto tanto!!!!!!!! Ti mando un grande bacio!
Eve_Cla84: Ciao! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto tanto specie il ritratto del carattere di Jadis e grazie infinite per i tuoi complimenti, davvero grazie :-)! Concordo con te, anche secondo me vedere Jadis solo come la crudele strega è sbagliato, è un personaggio psicologico di grande spessore, non sarebbe giusto ridurla ad un semplice cattivo con il cuore di pietra, secondo me ha una personalità molto complessa e profonda dietro l'immagine che da di sé, e poi non volevo che Cathrine credesse che sua madre fosse solo la gelida strega conquistatrice! Il capitolo Ian non è ancora chiuso, si sentirà ancora parlare di lui, però purtroppo 1300 anni sono troppi anche per uno stregone, quindi temo che Cathy nn avrà mai il piacere di poterlo incontrare dal vivo :-(, Effettivamente hai ragione, finito il pericolo Jadis subito che ne arriva un altro a distruggere la quiete dei nostri protagonisti! Prima o poi però Telmar doveva tornare a farsi sentire, e per fortuna troverà i Pevensie pronti ad accoglierla! Mi auguro che anche questo capitolo ti piaccia nonostante sia rimasta molto fedele alla trama del film, spero di sapere presto cosa ne pensi! Un bacioneoneone e ancora mille grazie per la tua recensione!
Grazie infinite anche ovviamente a tutti coloro che mi hanno aggiunta tra seguite e/o preferite, thanks^^ e se avete il piacere di farmi sapere cosa ne pensate della storia sappiate che i commenti sono sempre accolti più che a braccia aperte!
Buona lettura
kisskisses
68Keira68
20_La speranza in un miracolo
Vedere le espressioni allibite dei
Pevensie, di
Caspian, di Ripicì, di Nikabrik e di alcuni degli ufficiali
per la nostra
improvvisa apparizione nella sala era uno spettacolo impagabile.
“Come
siete…?” balbettò Susan
all’indirizzo mio e di
Peter rompendo il silenzio stupito che era calato dopo
il nostro arrivo.
“Cathy ci ha
smaterializzato entrambi” spiegò il
biondo con semplicità.
Susan scosse leggermente la testa e
strabuzzò gli
occhi, ma si riprese subito. “Bene”
commentò “molto utile considerando la situazione
in cui vertiamo” concluse introducendo subito il motivo per
cui ci aveva fatti
convocare.
Vidi i lineamenti di Peter
indurirsi, la
spensieratezza, con la quale aveva risposto divertito dal viso sorpreso
della
sorella, del tutto svanita.
“Quanto è
grave?” domandò diretto.
“L’esercito
è qui fuori, con ben cinque catapulte.
Stanno sistemando l’accampamento”
illustrò Edmund con tono grave.
Le labbra di Peter si serrarono.
“Cinque?” chiese
conferma a denti stretti.
“Purtroppo. E ci saranno
almeno un migliaio di uomini”
proseguì Caspian tetro.
Il Re Supremo chiuse gli occhi,
come se cercasse di
assorbire la nefasta notizia. Quando li riaprì
però nelle sue iridi color
zaffiro scorsi solo un’assoluta determinazione.
“Ce lo aspettavamo.
Sapevamo che avevano delle
catapulte, che ci erano numericamente superiori e soprattutto che la
battaglia
sarebbe arrivata. Non dobbiamo farci prendere dal panico.”
Esclamò, con
un’evidente tentativo di risollevare gli animi dei narniani
presenti che si
stavano dando allo sconforto e dei suoi fratelli stessi.
“Si ma non
così tanto numericamente superiori”
commentò amara Susan.
“Nonostante il numero
dobbiamo combattere. Non abbiamo
altra scelta se vogliamo salvare Narnia” disse piccato il
ragazzo.
“Non ci resta che lottare
allora” concordò Edmund,
poggiando una mano sul pomo della spada come ad attingere forza da essa.
“E sperare in un
miracolo”
aggiunse caustica Lucy.
Noi tutti la guardammo,
colpiti dal suo insolito pessimismo, ma nessuno ribatté,
nemmeno Peter. Ognuno
sapeva fin troppo bene la critica situazione in cui ci trovavamo per
avere
obiezioni se non ostentando un falso e inutile ottimismo.
Era vero. I telmarini erano
più numerosi di quello che pensavamo come anche il numero
delle catapulte,
batterli sarebbe stato difficile. Noi eravamo in pochi e nonostante
l’idea di
Caspian, del grosso dei soldati nemici se ne sarebbe occupata la
fanteria, la
nostra piccola per quanto brava fanteria. Un miracolo, se mai fosse
stato
possibile, sarebbe stato opportuno.
Sospirai frustrata. Volevo
rendermi utile, poter fornire una soluzione, ma come? Purtroppo io ero
una
semplice strega alle prime armi, i miracoli erano fuori dalla mia
portata. Chi
mai avrebbe potuto compierne uno? Forse Jadis ci sarebbe riuscita. Con
semplicità aveva congelato tutta Telmar rendendola innocua,
per lei
probabilmente spazzare via il loro esercito sarebbe stato un gioco da
ragazzi.
Ma Jadis, anche se avessimo trovato il modo di convincerla a lottare
dalla
nostra parte, era morta. Oltre lei chi altri avrebbe potuto aiutarci?
Poi l’eco
di parole lontane e quasi dimenticate mi tornò alla mente.
Le uniche parole che
avrebbero potuto ridare una speranza non falsa ma tangibile,
appartenenti
all’unica persona che avrebbe realmente potuto operare un
miracolo.
“Forse il miracolo
potrebbe
non essere così impossibile da far avverare”
esordii.
Cinque paia di occhi
sorpresi si posarono su di me con un’implicita ma chiara
domanda.
“Non avevo ancora avuto
occasione di dirvelo, ma prima di andare a cercare la chiave sono
andata alle
rovine e a Telmar per rendermi conto dell’entità
del danno che avevo fatto”
iniziai. Peter aprì bocca per ribattere alla mia ultima
affermazione ma io lo
precedetti. Non volevo udire per l’ennesima volta che non
dovevo sentirmi
responsabile per i misfatti di mia madre, avevo la mia parte di colpa
nell’intera questione e non volevo che venisse sminuita o
persino cancellata.
“e lì ho incontrato Aslan” conclusi.
A Peter morì la sua
obiezione sulle labbra. Per un lungo e interminabile minuto tutti i
presenti
trattennero il respiro, increduli a ciò che avevano appena
udito. Susan iniziò
persino a scuotere con piccoli scatti la testa in segno di diniego,
incapace di
interiorizzare l’informazione appena sentita.
“Ne… sei
proprio sicura?”
sussurrò infine Peter, recuperando l’uso della
parola.
Gli regalai un sorriso
convincente e annuii con il capo. “Gli ho parlato, non posso
sbagliarmi”.
“E cosa vi siete
detti?”
volle sapere Susan. Il suo tono era cauto, circospetto, come se temesse
di
abbandonarsi alla speranza che una notizia come quella del ritorno di
Aslan
avrebbe potuto dare.
“Mi ha consigliato su
dove
potevo trovare la chiave per aprire le vostre celle e mi ha detto di
fidarsi di
me e di voi, che se fossimo rimasti uniti saremmo riusciti a battere la
strega”
raccontai ricordando con precisione la discussione avuta con il Grande
Felino.
“E infine mi ha detto che quando avreste avuto bisogno di
lui, quando lo
avreste cercato, vi avrebbe aiutati” rivelai.
“Cate perché
non ce lo hai
detto prima? Questo cambia tutto!” mi aggredì
Susan, improvvisamente
infervorata.
“Giusto, con tutta la
calma
che c’è stata in questi giorni non so proprio come
ho fatto a scordarlo”
ironizzai sibillina. Sapevo perfettamente anche io che avevo scordato
un’informazione di assoluta importanza, ma la regina avrebbe
dovuto capire che
la morte di Jadis per me aveva avuto la precedenza sul resto.
Peter cercò di camuffare
una
risata per la mia risposta con un colpo di tosse e lo stesso fecero
Edmund e
Caspian.
La regina si morse il labbro,
rendendosi conto dell’accusa che mi aveva rivolto.
“Scusa, hai
ragione.” ammise
“L’importante è che ora lo
sappiamo.” Si rivolse poi al fratello maggiore, gli
occhi brillanti di nuova energia, pieni di vita e, finalmente, di
speranza
“abbiamo una possibilità Peter”.
“Si”
concordò il re Supremo
con un sorriso trionfante. “Ora dobbiamo solo decidere chi
andrà a chiedere
l’aiuto di Aslan”.
“Andrò
io”. La voce pacata
ma risoluta di Lucy non esitò a proporsi.
“Come? Ma mia regina,
dovreste addentrarvi nella foresta e con i telmarini alle porte
sarà
pericoloso!”
L’obiezione veemente
giunse
da Trumpkin, rompendo il silenzio in cui si era tenuto finora.
Lucy gli si avvicinò e
gli
sorrise per tranquillizzarlo. “Lo so, ma è un mio
dovere. Non temere, sono
certa che non mi accadrà nulla.”
“Non potete esserne
certa.
Di noi non ne sono già morti abbastanza? Dovete per forza
rischiare anche la
vostra vita?” ribatté infervorato e sinceramente
preoccupato il nano.
“Riflettici bene Lucy.
NIkabrik
ha ragione.” si accodò Peter corrugando la fronte.
Gli occhi grandi e sicuri
della piccola regina si posarono sul fratello. “Ci ho pensato
attentamente.
Peter, trovare Aslan è la nostra unica speranza e io sono
l’unica che può
cercarlo senza far perdere all’esercito un valido membro.
Perfavore”. Inisté.
Come sempre, rimasi stupita
da quanta forza d’animo potesse risiedere in un corpo
così piccino. Lucy non
doveva avere più di unidici anni, eppure parlava con la
stessa fermezza e la
stessa coscienza di un’adulta. Era convinta di quello che
affermava, sapeva
quali responsabilità comportava il compito che stava per
prendersi ed era
pronta a farsene carico senza esitazioni.
Peter prese un gran respiro,
preda dell’indecisione. L’idea di lasciare alla
sorella più piccola un incarico
come quello, pericoloso quanto impegnativo, gli pesava come un macigno,
ma
sapeva che probabilmente se esisteva una persona in grado di trovare
Aslan,
quella era Lucy, la bimba che con il suo cuore dolce e ingenuo aveva il
più
stretto legame con il felino e che aveva avuto ben due contatti con lui
da
quando era tornata a Narnia.
Vidi il suo sguardo correre
verso Susan in cerca di aiuto e trovò negli occhi color
cioccolato della
sovrana la risolutezza che sperava. Sua sorella aveva già in
mente quale fosse
la decisione più giusta da prendere.
“Lucy è la
nostra unica
speranza” disse a Trumpkin.
Il nano spalancò gli
occhi, contrariato. “Almeno
permettetemimi di venire con voi” supplicò rivolto
alla piccola.
Lucy scosse la testa.
“No, tu sei più utile qui”.
“E poi non
sarà sola. Io andrò con lei” propose
Susan,
sorprendendoci.
Sentii i muscoli di Peter
rilassarsi, evidentemente
felice della decisione presa dalla ragazza.
“Perfetto. Insieme
dovreste avere più probabilità di
successo” constatò il re. La sua fronte non era
più corrucciata, eppure nella
sua voce non potei non notare ugualmente una sfumatura di
preoccupazione.
Certo, sapere che Lucy non sarebbe andata da Aslan da sola lo
tranquillizzava
in parte, ma sarebbe stato impossibile per la sua indole lasciare
andare le sue
sorelle senza avere un minimo di timore.
“Quindi ora il nostro
principale problema è quello di
intrattenere l’esercito di Miraz finché Lucy e
Susan non trovano Aslan?” chiese
retoricamente Edmund, cambiando la direzione del discorso.
Peter annuì,
l’espressione di nuovo grave. “E temo che
l’unico modo per far ciò sia resistere il
più a lungo possibile combattendo”
commentò amaro.
Dalla tavola di pietra, Caspian si
schiarì la voce,
catturando su di sé l’attenzione. “Forse
c’è un altro modo per prendere tempo”
rivelò.
“Quale?”
domandò interessato Peter.
“Miraz sarà
pure un tiranno, ma come re di Telmar deve
attenersi alle tradizioni del suo popolo, e ce n’è
una in particolare che
farebbe al caso nostro” ci informò “Il
re di un esercito può sfidare a duello
il re dell’esercito avversario risparmiando ai loro uomini di
guerreggiare. Il
vincitore, vince la guerra. Il perdente” si interruppe,
fissando intensamente
Peter prima di concludere con tono nefasto “muore”.
Il respiro mi si bloccò
al suono di quella macabra
parola. I miei occhi cercarono quelli di Peter ansiosi di scorgere in
essi una
risposta negativa a quella proposta. Ma la fermezza che scorsi in
quelle iridi
zaffiro mi fece sprofondare il cuore.
“No, troveremo
un’altra maniera” mi opposi con fervore.
Non potevo nemmeno pensare che Peter corresse un rischio simile.
“Temo non ce ne
siano” si inserì Edmund fissandomi
serio. “Anche io non sono entusiasta dell’idea, ma
è l’unico modo che abbiamo
per dare a Lucy e Susan il tempo per svolgere la loro
missione” ragionò.
Mi morsi forte il labbro, frustrata
dalla verità che
quelle parole avevano.
“è una
decisione rischiosa.” Disse Susan, dandomi
ragione. “Peter non può correre un pericolo
simile. Se… Peter dovesse perdere,
il popolo di Narnia perderebbe il suo re e a quel punto sarebbe futile
anche
tutto il tempo di questo mondo” osservò piccata.
“Concordo. Dobbiamo
trovare un’altra via” la
appoggiai, guardando Peter supplichevole di non compiere un gesto tanto
avventato.
Purtroppo però
l’espressione decisa del viso del re mi
informò di quanto inutili fossero le obiezioni mie e della
sorella prima che
parlasse.
“Non
c’è un’altra via”
obiettò riprendendo la frase
del fratello. Peter prese un bel respiro prima di rivelare la sua
decisione.
“Se questa tradizione ci darà il tempo necessario
per contattare Aslan, sfiderò
Miraz a duello. In quanto re è mio dovere fare tutto
ciò che posso per il mio
popolo, e data la vostra scarsa fiducia nelle mie capacità
vi ricordo che sono
uscito da più di uno scontro vincitore, non è il
caso quindi di disperarsi già
per la mia sconfitta.” Aggiunse poi diretto a me e a Susan.
Mi sentii avvampare, offesa
dall’insinuazione, ma
prima che potessi aprire bocca, la regina ribatté.
“Nessuno mette in dubbio le
tue abilità Peter. Sei probabilmente il più abile
combattente di Narnia e lo
sappiamo. Ma Miraz non è uno dei soldati semplici che
abbatti come niente in
battaglia, è un membro della famiglia reale, è
stato educato a vincere nei
duelli da quando è nato. Lo scontro non sarà
semplice.”
Peter la fulminò con lo
sguardo, risentito dalle
osservazioni corrette della sorella. “Ciò
nonostante” disse gelido
“combatterò”. Sentii il cuore perdere un
battito a quella decisione. Avrebbe di
nuovo rischiato la vita per il suo popolo, e questa volta in una sfida
ancor
più pericolosa delle precedenti.
“Bene. Edmund, prendi
carta e penna per favore.
Scriverò a Miraz la mia intenzione di sfidarlo e tu andrai
in ambasciata con
due soldati come scorta per consegnargli la lettera.”
Proclamò risoluto, senza
ulteriore indugio.
Edmund annuì e si
adoperò immediatamente per esaudire
la richiesta del fratello.
Sentivo un senso di disperazione
crescermi nel petto e
cercai nei visi dei ragazzi presenti segni della mia stessa angoscia.
Caspian
era serio ma, almeno in apparenza, calmo. Susan aveva il viso di
pietra, solo
gli occhi lasciavano intravedere la preoccupazione e la rabbia per la
testardaggine del fratello. I lineamenti di Lucy invece erano contratti
quanto
i miei dalla paura per la sorte di Peter.
Accidenti a lui, ma
perché doveva essere così eroico
in qualsiasi situazione? Perché aveva un senso
dell’onore e del dovere così
grandi? Non poteva per una volta essere egoista e pensare prima di
tutto alla
sua vita? Era così complicato avere un briciolo di istinto
di
autoconservazione?
Sentii la pressione calda di una
mano accarezzarmi la
guancia. Mi voltai verso destra e vidi il volto della fonte della mia
preoccupazione più vicino di quanto mi aspettassi. Aprii
bocca per cercare di
dissuaderlo dal suo intento in un ultimo tentativo, ma rimasi bloccata
quando
scorsi nelle sue iridi zaffiro un altro sentimento oltre la sicurezza
di quali
erano i suoi obblighi. In quel cielo azzurro albergava
l’inquietudine. Ciò fece
capitolare le mie accuse. Peter possedeva uno spirito di
autoconservazione e
non era stato avventato nella sua scelta. Sapeva con esattezza a cosa
andava in
contro duellando con Miraz, ai pericoli in cui poteva incorrere e aveva
paura.
Paura di lasciare il suo regno privo di una guida, i suoi fratelli da
soli, la
sua vita tra le braccia della morte. Eppure era disposto a pagare
quell’alto
prezzo, a correre il rischio per il bene di Narnia.
Con riluttanza, a quel punto mi
rassegnai. “Fa
attenzione, ti prego” bisbigliai a suo solo beneficio.
“Tornerò
vincitore” mi promise in un dolce sussurro e
io sperai che avesse ragione con tutte le mie forze, supplicando
l’entità
divina che proteggeva quel magico mondo, chiunque essa fosse.
*
“Destriero mi ha sempre
servito fedelmente. Siete in
buone mani” assicurò Caspian finendo di stringere
i lacci delle staffe della
sella di Susan e Lucy, già montate sulla schiena del cavallo
nero.
“O zoccoli”
disse Lucy, in un blando tentativo di
alleggerire l’atmosfera che aleggiava tra i tre ragazzi, resa
grave
dall’importanza del compito che le due sorelle Pevensie si
apprestavano a
eseguire.
“Oh, a
proposito” esclamò il principe. “Questo
credo
sia tuo.” Il ragazzo trafficò con la cinghia alla
quale era appesa la spada,
sciogliendo il cordino che legava ad essa un corno bianco con ghirigori
dorati
sul bordo. “è giusto che te lo
restituisca” concluse porgendo l’oggetto a
Susan.
“Il mio corno
magico” osservò sorpresa la regina. Lo
prese tra le mani, accarezzando la superificie linea, affatto intaccata
dallo
scorrere dei secoli. Un accenno di sorriso le curvò le
labbra vedendo l’oggetto
che in più di un’occasione l’aveva
aiutata in passato. Poi però lo riconsegnò
al giovane. “tienilo tu. Potrebbe servirti per
chiamarmi.” Gli rispose
ammiccante.
Una luce di malizia si accese negli
occhi scuri di
Caspian. “Con un tale invito, rischi che potrei usarlo molto
spesso.” Ribatté
stando al gioco.
Lucy si schiarì la voce,
facendo notare la sua
presenza del tutto dimenticata dai due giovani. “Ragazzi, tic
tac, il tempo
scorre. Potreste continuare a tubare come due colombe dopo che avremo
vinto la
guerra?”.
“Lucy!” Susan
riprese la sorella, le guancie che si
imporporarono celeri.
“B…bene. In
bocca al lupo ragazze” balbettò
imbarazzato Caspian allontanandosi di un passo.
La piccola scoppiò a
ridere divertita. Susan borbottò
qualcosa di poco carino nei confronti della sorella, ma
l’invettiva si perse
nel rumore degli zoccoli di Destriero, spronato con forza dalla regina.
Quando il sole investì
le due figure però il riso si
spense. La loro missione era iniziata, una missione dalla quale
dipendeva
Narnai intera. Lucy chiuse gli occhi e pregò con tutta se
stessa di non
deludere i suoi fratelli e chi credeva in lei. Doveva assolutamente
trovare
Aslan, non poteva permettersi errori, e sapeva che per trovarlo
esisteva un
unico modo. Doveva credere che ciò fosse possibile.
*
Alla fioca luce delle candele, il
leone dorato,
simbolo di forza e onore, brillava come il resto della lama di metallo
lucido.
La strinsi al petto come fosse un amuleto e la scongiurai di aiutare il
suo
possessore come sempre aveva fatto.
“Ecco
l’elmo” Edmund passò l’ultimo
pezzo
dell’armatura al fratello maggiore che lo prese sotto il
braccio.
“La spada”
dissi io, porgendogli la nobile arma che
venne prontamente infilata nella fodera.
Un’ora fa Edmund era
tornato con la risposta di Miraz
alla sfida lanciata da Peter, una risposta, purtroppo per me, positiva.
Edmund
aveva dovuto sfoderare le sue migliori doti di diplomatico, ma alla
fine il
sovrano di Telmar aveva accettato di duellare con il re di Narnia. Ed
ora
Peter, scintillante nella sua armatura, si apprestava a combattere come
annunciato.
Il biondo mi si avvicinò
e prese una ciocca dei miei
capelli tra le sue dita coperte dal guanto in pelle.
“Vi aspetto fuori. Peter,
cinque minuti” si congedò
Edmund, intuendo il desiderio mio e del fratello di essere lasciati
soli.
“Peter, ti prego, se ti
succedesse qualcosa io…”
iniziai con tono più petulante di quello che avrei voluto.
Probabilmente stavo
facendo la figura della sciocca, ma non mi interessava. Al momento le
mie
energie erano troppo concentrate a sperare nella vittoria di Peter per
preoccuparsi di mantenere un certo contegno.
“Shh” mi
zittì il ragazzo, poggiando un dito sulle mie
labbra. “Non mi accadrà niente. Te l’ho
già detto. Sono troppo egoista per
permettere a qualcuno di privarmi del piacere di tornare da
te.”
La serietà e la
convinzione nel suo sguardo erano tali
da riuscire quasi a convincermi. Quasi. Perché nonostante i
suoi sforzi,
l’ombra di inquietudine che avevo scorto prima
c’era ancora.
Volevo aggiungere qualcosa, la mia
mente mi urlava di
fargli sapere quanto tenessi a lui e di come non poteva assolutamente
permettersi di rimanere ucciso in quel duello, ma ogni frase che
pensavo mi
sembrava banale e ripetitiva. Così mi sollevai sulle punte
dei piedi e lo
baciai con passione e preoccupazione, optando per un gesto che a
differenza
delle parole non sarebbe mai stato banale.
Quando ci separammo, Peter aveva un
sorriso malizioso
dipinto in volto. “Se volevi darmi un ulteriore incentevo per
tornare, ci sei
riuscita” scherzò.
Mi permisi di ridacchiare,
finché Peter non si diresse
all’uscita, portandomi con sé.
La breve salita che
dall’ingresso dell’edificio
conduceva al cortile mi parve infinita. Ad attenderci c’era
tutto l’esercito di
Narnia sparso lungo il muro delle rovine e alla vista del suo sovrano
proruppe
in urla e incitamenti. Par contro, un centinaio di metri prima
dell’arena dove
si sarebbe svolto l’incontro, gli uomini di Telmar
sostenevano il loro re in silenzio,
impettiti nelle file ordinate del loro battaglione, emanando
solennità e
compattezza.
Dal lato più vicino
dell’arena, dove ancora il resto
di un trilitico stava in piedi, ci attendevano Edmund, anche lui con
indosso
l’armatura, Warwik, il centauro ufficiale
dell’esercito, Ripicì e Trumpkin.
Notai che mancava Caspian. Lo cercai con lo sguardo, ma senza successo.
Dov’era
finito il principe di Telmar?
“Sei pronto
fratello?”
La voce di Edmund era tesa,
specchio della sua
apprensione. Peter annuì con un cenno del capo, apparendo
esattamente come
voleva apparire, forte, determinato, invincibile. Infilò
l’elmo, celando il suo
viso da ragazzo per divenire un combattente la cui identità
si fondeva con
quella della sua spada.
Con un movimento elegante,
sfoderò quest’ultima
recante l’effigie di Aslan, facendola scintillare al sole,
poi avanzò verso il
centro dell’arena.
Dalla parte opposta, re Miraz lo
imitò, indossando
l’elmo che gli nascose completamente il volto e impugnando la
sua spada,
lasciandosi alle spalle il generale Glozelle e due Lord del consiglio
di
Telmar.
I due avversari iniziarono a
camminare in cerchio,
studiandosi a vicenda.
“C’è
ancora tempo per ritirarsi” sentii pronunciare a
Miraz.
Stupido, pensai, non
ha
idea di con chi ha a che fare.
“Fate pure”
rispose Peter mordace.
“Quanti ancora dovranno
morire per il trono?” lo
provocò il sovrano.
“Soltanto uno”
e detto questo, Peter partì con il
primo affondo. Miraz parò con più
agilità di quello che ci si poteva aspettare
da una persona della sua età, e ricambiò con una
serie di colpi dall’alto. Gli
attacchi di Miraz puntavano sulla forza, sperava di piegare Peter sotto
i suoi
poderosi affondi contando su una superiorità fisica che
doveva essere certo di
possedere. Lo stile di combattimento del biondo invece era totalmente
diverso.
Peter mirava a sopraffare l’avversario con
l’agilità e la precisione dei colpi.
I due contendenti per diversi
minuti parvero
uguagliarsi. Riparandosi dietro lo scudo, Miraz riusciva a schermirsi
dagli
attacchi di Peter mentre quest’ultimo riusciva a schivare
quelli avversari. Un
colpo violento al viso da parte di Miraz fece arretrare Peter che
reclinò il
capo facendo cadere a terra l’elmo e sfilare il cappuccio
della maglia in
ferro. Subito dopo però un affondo di Peter andò
a segno, ferendo la gamba del
sovrano poco sopra il ginocchio.
Esultai. Uno a zero per Peter.
Purtroppo però questo
attacco parve dare nuovo vigore
a Miraz che iniziò ad incalzare una serie di affondi furiosi
e possenti. Peter
schivò a più riprese, ma l’ultimo
attacco, diretto al fianco destro, fu troppo
veloce e per pararlo il ragazzo fu costretto a sbilanciarsi usando lo
scudo sul
lato opposto rispetto a dove lo portava. Peter, in equilibrio precario,
non
riuscì a sostenere il colpo violento e cadde a terra.
Miraz colse l’occasione
per caricare un colpo
dall’alto ma il biondo, rotolando sul fianco,
riuscì ad evitarlo. Purtroppo
però non riuscì a schivare anche il calcio che il
sovrano di Telmar diede ad un
lato dello scudo concavo. Un urlo di dolore si propagò
nell’aria e il mio cuore
si strinse quando si rese conto che proveniva da Peter. Lo scudo,
abbassato dal
calcio da un lato, si era con un colpo secco alzato
all’altezza
dell’avambraccio del ragazzo, slogandogli la spalla.
Trattenni il respiro portandomi le
mani al petto, gli
occhi pieni di orrore. Senza pensare, feci due passi in avanti, in
direzione di
Peter. Dovevo andare da lui. Avrei interrotto il duello se necessario
ma doveva
raggiungiungere il ragazzo e guarirlo.
Ma due forti braccia mi trattennero
afferrandomi per
la vita.
“Cate, cos’hai
intenzione di fare?” la voce di Edmund
mi giunse allarmata all’orecchio.
“Lasciami. Ha bisogno di
aiuto, sta male, io posso
aiutarlo” gli risposi, il tono trapelante panico e ansia,
cercando di
svincolare dalla sua presa che per tenermi ferma aumentò.
“Se piombassi
lì con la pretesa di aiutarlo non ti
rivolgerebbe mai più la parola. È un re e un
ottimo combattente. È
sopravvissuto a ferite peggiori, ma quella che tu faresti al suo
orgoglio
soccorrendolo come fosse un bambino davanti all’esercito suo
e avversario non
guarirebbe mai. Credimi.” Affermò con risolutezza.
“Ma…”
provai ad obiettare ma Edmund non me lo permise
parlandomi sopra. “Lo so. Anche io sono preoccupato, cosa
credi? Ma dobbiamo
fidarci di lui e lasciarlo fare.”
Mi morsi il labbro e presi un bel
respiro, cercando di
calmarmi per ammettere con me stessa che il moro aveva ragione. Peter
non
avrebbe mai perdonato un’intromissione da parte mia. Era
difficile da
accettare, ma purtroppo l’unica cosa che potevo fare era
restare a guardare e
sperare.
“Lucy tieniti
forte!”
La bimba cinse con più
forza la vita di Susan mentre
quest’ultima con un colpo di redini aumentò
l’andatura della corsa.
“Quanti sono?”
domandò Lucy intimorita.
“Credo cinque”
Cinque. Cinque soldati erano loro
alle calcagna. Erano
apparsi dal nulla, appena si erano inoltrate al galoppo nella foresta.
Simili
ad ombre si erano buttati al loro inseguimento, come se non stessero
aspettando
altro.
“Riusciamo a
seminarli?”
Alla richiesta della piccola non
giunse alcuna
risposta. Lucy cominciò a temere il peggio. Erano in cinque
contro due, di cui
solo una capace di difendersi con un’arma inutilizzabile in
groppa ad un
cavallo in corsa. L’unica possibilità era riuscire
a staccarli, ma i destrieri
di Telmar si stavano rivelando più veloci del previsto,
rendendo l’impresa
difficile.
Susan tirò le redini a
sorpresa, fermando il cavallo.
Con un balzo scese giù e consegnò le briglie alla
sorella minore, prendendo al
loro posto arco e faretra.
“Susan!” la
richiamò allarmata la piccola. “Cosa
intendi fare?”.
La regina guardò Lucy
dritta negli occhi castani,
divenuti grandi e spauriti.
“Mi dispiace Lucy ma temo
di non poterti più
accompagnare” la informò cercando di sorriderle
nonostante la serietà del
momento.
“No Susan, sali a
cavallo. Li semineremo” tentò la
bimba. Si fidava ciecamente della abilità di arciera di
Susan, ma cinque
avversari erano troppi per una sola persona. Non poteva abbandonare la
sorella
in una situazione tanto critica.
“Non temere. Tu trova
Aslan, questo ha la precedenza
su tutto” decretò la sovrana. Lucy
tentennò, aprì bocca per ribattere, ma prima
che potesse aggiungere altro un rumore di zoccoli annunciò
quanto i loro nemici
fossero vicini. Susan urlò “Vai!” e
diede un colpo a Destriero per farlo
partire. Lucy si aggrappò alle redini e il cavallo corse fin
sopra un’altura.
La piccola si girò all’indietro, il cuore pesante
al pensiero del pericolo che
Susan stava per correre. La sorella maggiore si voltò
incrociando lo sguardo
della piccola regina. Le sorrise, cercando di tranquillizzarla e di non
far
trapelare quanto invece lei per prima sapesse come la missione che
l’attendeva
fosse difficile se non impossibile. Gli occhi color nocciola della
bimba si
riempirono di lacrime, ma trovò la forza per dare un colpo
di redini a
Destriero e proseguire la corsa come Susan voleva.
Quando Lucy si
allontanò, la regina sospirò di
sollievo pensando che la sorella sarebbe senz’altro riuscita
a raggiungere
Aslan, salvando Narnia. Se lei fosse riuscita nel compito di difendere
lei e il
suo viaggio. Era conscia di essere in svantaggio numerico e di
rischiare la sua
stessa vita, ma era consapevole anche del fatto che affrontare i nemici
frapponendosi tra loro e Lucy era l’unica cosa fattibile per
dare a
quest’ultima una possibilità di trovare il Grande
Felino. E poi non avrebbe mai
permesso a degli ignobili soldati di torcere un capello a sua sorella.
Sarebbero dovuti passare sopra lei e il suo arco prima di riuscirci.
Con un respiro profondo prese una
freccia rossa dalla
faretra alle sue spalle. Alzò l’arco dinanzi a
sé e posizionò la freccia.
Lentamente tese la corda, sfiorando il piumaggio delicato che decorava
il
dardo, e attese.
Il rumore si faceva sempre
più vicino. Ora si poteva
udire anche il suono delle voci concitate e del cozzare delle spade
contro le
armature. Tese ulteriormente l’arco, iniziando a puntarlo
verso la fonte del
rumore.
L’espressione era
concentrata, priva della paura che
le batteva nel cuore. Non si sarebbe mai mostrata terrorizzata davanti
al
nemico. Li avrebbe affrontati a testa alta. Dritta, impavida, perfetta
quanto
temibile nella sua posa da arciera, si sarebbe fatta vedere altera e
pericolosa
come una dea della caccia.
Quando un raggio di sole
illuminò l’elmo del primo
soldato, il dardo partì sibillando centrando in pieno il
bersaglio, letale come
sempre. L’uomo non era ancora caduto a terra quando una
seconda freccia era già
stata incoccata e scagliata, conficcandosi nel collo del secondo
soldato.
I tre rimasti avevano sguainato la
spada. Il più
vicino si diresse con la lama alzata, pronta a sferrare un colpo
mortale
dall’alto diretto alla regina di Narnia, ma Susan era pronta
e una terza
freccia venne lanciata con precisione uccidendo il telmarino. Peccato
che concetrata
nel tiro non aveva scorto il quarto soldato avvicinarsi.
All’ultimo riuscì ad
abbassarsi per evitare la lama, ma con un calcio l’uomo la
fece cadere.
Nell’impatto con il terreno alla giovane sfuggì di
mano l’arco. Tentò di
alzarsi, ma prima che potesse far qualsiasi cosa, i due cavalieri le si
avvicinarono a spada tratta. Susan sentì il cuore
sprofondare. Serrò gli occhi
preparandosi all’affondo letale che presto sarebbe
inevitabilmente giunto.
È finita.
Un paio di occhi neri, ma ardenti
come brace, occuparono
il suo ultimo pensiero insieme alla consapevolezza che non vi ci
sarebbe mai
più specchiata al loro interno, prima che il rumore
metallico di due lame che
si scontravano le riempisse le orecchie.
Alzò le palpebre di
scatto, sorpresa di non provare
dolore alcuno. Sorpresa di poter scorgere ancora il mondo reale e non
il
paradiso. Sorpresa di vedere la persona, che all’ultimo aveva
impegnato la sua
mente, combattere contro il quinto soldato dopo aver abbattuto il
quarto.
Caspian, in groppa ad un cavallo
nero, con indosso
l’armatura e la spada sguainata, l’aveva salvata.
Un movimento di polso e la lama del
telmarino fu
strappata dalla mano del suo proprietario. Un affondo, rapido e deciso,
e il
duello finì.
Caspian si voltò
rivolgendole un sorriso solo
leggermente incrinato dalla fatica appena compiuta.
“Sicura di non rivolere
il corno?” la provocò ilare
porgendole una mano per aiutarla a salire sul dorso del destriero.
Bello, vittorioso, sereno,
illuminato dal sole,
sembrava più che mai un’apparizione. Un angelo
custode comparso unicamente per
lei, quasi lo avesse evocato.
Susan si alzò,
recuperò l’arco e si aggrappò alla mano
del ragazzo per salire sul cavallo. Gli cinse la vita e
poggiò il suo capo
nell’incavo della spalla del giovane.
“Grazie”
sussurrò al suo orecchio, depositandogli un
bacio sulla guancia.
“Dovere. Potevo
permettere a due insignificanti
soldati di privare Narnia della regina più bella che avesse
mai visto?”.
Susan rise, il cuore
improvvisamente alleggerito
dall’angoscia provata poco fa. Non riusciva ancora a credere
di essere scampata
ai telmarini. Più o meno quanto non riusciva a credere che
il principe fosse lì
con lei.
Riassumendo, era viva, era con
Caspian e Lucy era al
sicuro, diretta verso Aslan. Aveva assolto il suo incarico. Grazie
all’aiuto
del principe che in quel momento più di qualsiasi altro
sentì di amare come non
aveva mai amato nessun’altro. Quella piccola saggia di sua
sorella aveva visto
davvero giusto. Caspian era un ragazzo d’oro e non si sarebbe
mai pentita di aver
fatto cadere le palizzate attorno al suo cuore per consentirgli
l’accesso. Per
una volta, l’aver agito seguendo i sentimenti e
l’istinto l’aveva condotta
sulla via più difficile da trovare, la via della
felicità.
Peter rotolò sul braccio
sano e cercò di alzarsi in
piedi. I lineamenti erano contratti dal dolore, ma gli occhi brillavano
di
rabbia e sfida, desiderosi di rivalsa. Si portò la mano al
petto, per non
sostenere a peso morto lo scudo e con la destra caricò un
colpo dall’alto. Dopo
qualche affondo però i duellanti si bloccarono. Peter era
voltato di schiena,
ma vidi che la testa non era rivolta a Miraz, bensì ad un
punto alla sua
sinistra.
“Sua altezza ha bisogno
di una tregua?” chiese il
telmarino mellifluo.
“Cinque
minuti?” propose Peter, cogliendo l’occasione.
“Tre!”
decretò Miraz, agitando la spada.
Sospirai di sollievo. Una tregua
avrebbe permesso a
Peter di venire da noi, in modo che potessi soccorrerlo con la magia.
Il biondo abbassò la sua
lama e si volse nella nostra
direzione. La sua espressione malcelava il dolore che provava alla
spalla, il
che incrementò a dismisura la mia apprensione.
Resistetti all’impulso di
corrergli incontro, memore
delle osservazioni di Edmund, ma quando finalmente Peter ci raggiunse,
non
riuscii ad impedirmi di accarezzargli il viso sudato e di scostargli
una ciocca
di capelli da davanti gli occhi.
“Sto bene,
tranquilla” mentì spudoratamente.
Scossi la testa ma non lo
contraddii. Peter rivolse
l’attenzione a qualcuno dietro di me e io seguii la direzione
del suo sguardo.
Con mia sorpresa alle nostre spalle
erano comparsi
Susan e Caspian. Una lampadina mi si accese in testa e compresi
perché Peter
poco prima non stava guardando il suo avversario e aveva chiesto una
tregua.
“Lucy?”
domandò con tono allarmato, chiamando l’unica
assente.
“è riuscita a
passare” lo rassicurò Susan. “Con un
piccolo aiuto” e indicò Caspian con
l’estremità del suo arco che stringeva tra
le mani, segno che doveva essere da poco uscita da uno scontro, aiutata
dal
giovane principe.
“Grazie” la
voce di Peter era impregnata di
gratitudine.
“Bhè, tu eri
impegnato” minimizzò Caspian.
“Ascolta” disse
poi il re rivolto alla sorella “vai dagli
arcieri, in ogni caso non credo che quelli di Telmar manterranno la
parola. E
vai anche tu, mettiti al sicuro” concluse al mio indirizzo.
Scossi la testa. “No,
resto qui finché il duello non è
finito. Dopo andrò dove vorrai” mi impuntai.
Peter sospirò ma non
tentò di persuadermi, capendo che
sarebbe stata fatica sprecata.
“Fa attenzione”
Susan gli si avvicinò per
abbracciarlo, ma appeno lo cinse, un’esclamazione di dolore
fuoriuscì dalle
labbra di Peter.
“Scusa”
“Non importa”
Susan corse via mentre il biondo si
sedette, lasciando
spada e scudo ad Edmund.
“Credo sia
slogata” ci informò Peter sfiorando la
spalla con la mano.
“Aspetta, ci penso
io” mi proposi immediatamente,
sentendo già la magia formicolare nelle mie mani.
“No!” si oppose
il ragazzo con inaspettata veemenza.
Mi bloccai, incredula.
“Possibile che ogni volta
che cerco di curarti hai
qualche obiezione?” mi infervorai.
Peter addolcì
l’espressione. “Scusa, ma farmi curare
dalla tua magia sarebbe come imbrogliare”.
Lo squadrai con aria interrogativa.
“Perché? Anche
Miraz si starà facendo curare” obiettai.
“Certo, ma con i metodi
normali che possono solo
alleviare il dolore e non farlo sparire. Se tu mi curassi tornerei come
nuovo,
e questo non sarebbe corretto poiché costituirebbe un
vantaggio che non dovrei
avere.” Mi spiegò con convinzione.
Sbuffai, incredula a ciò
che sentivo. “Oh ti prego!
Riesci a mettere da parte il tuo smisurato senso dell’onore
per cinque minuti e
comportarti in maniera ragionevole? Ti assicuro che al tuo popolo fa
più comodo
un re con l’onore leggermente intaccato ma vivo, che morto ma
senza macchia!”
gli feci notare piccata.
“Vorresti veramente farmi
scrivere la storia del mio
popolo su di un imbroglio? Mi spiace, ma non posso farlo”
ribatté imperturbabile
dinanzi al mio fervore.
Sospirai sconsolata. “Sei
impossibile” borbottai,
arrendendomi. Cercare di far andare Peter contro il suo senso del
giusto era
come chiedere al sole di non tramontare, un battaglia persa.
“Se vincerò,
sarà alla mia maniera, Cathy.” Concluse
Peter, stringendomi dolcemente la mano.
Capiva il mio desiderio di aiutarlo
e non deplorava la
mia proposta, ma non sarebbe mai sceso a patti con ciò che
riteneva giusto e
sbagliato.
Stupido re
senza macchia e senza paura. Neanche l’Orlando di Ariosto
rispettava così
fedelmente l’ideale dell’eroe perfetto.
“Pensi che se Miraz fosse
stato al tuo posto si
sarebbe comportato come te?” osservai retorica.
Peter mi guardò di
sbieco. “Certo che no. Ma io non
sono Miraz” sottolineò.
“E poi ci sono io. Non
sarò un mago ma qualcosa posso
fare.” Si intromise Edmund poggiando una mano sulla spalla
dolente del
fratello. “Sei pronto?”
Peter annuì,
preparandosi psicologicamente a ciò che
il moro stava per fare. Edmund tirò il braccio di
quest’ultimo con la mano
libera.
Si udì un
“crack” e Peter soffocò un grido di
dolore.
“Meglio?” si
informò il giovane re.
“Più o
meno”
Peter si rialzò e
riprese spada e scudo, roteando
lentamente la spalla rimessa a posto.
Dall’altra parte
dell’arena, anche Miraz si era
alzato. Si stava rivolgendo al suo generale mentre
quest’ultimo gli rendeva la
sua spada.
“Peter, sorridi”
La richesta di Edmund mi colse di
sorpresa. Era del
tutto fuori luogo, come poteva chiedere al fratello di sorridere in un
momento
come quello. Il biondo corrucciò le sopraciglia ma il
ragazzo per tutta
risposta indicò con il capo i narniani alle nostre spalle.
Mi voltai lentamente. Quello che
vidi mi atterrì. Il
popolo di Narnia, prima energico e fiducioso, pareva aver abbandonato
ogni
speranza. I loro visi erano sconsolati, pronti ad arrendersi, certi
della
sconfitta.
Compresi il perché della
frase di Edmund. Il popolo
era sfiduciato perché vedeva il suo sovrano in
difficoltà. Se Peter avesse
sorriso, li avrebbe rassicurato, ridando loro la speranza.
E così il biondo fece.
Ostentando un falso ottimismo,
puntò la sua lama al cielo, in segno di una vittoria che
poteva essere prossima.
Il gesto parve funzionare. Le creature esultarono, rincuorate dalla
visione del
loro re tornato forte, affatto provato dal duello. Solo quando Peter si
voltò
verso Miraz fece scomparire il sorriso cedendo il passo ad
un’espressione seria
e concentrata, visibile solo da me, Edmund, Caspian e, purtroppo, Miraz.
Rifiutando l’elmo appena
recuperato che il fratello
gli porgeva, Peter si avviò di nuovo verso il centro
dell’arena.
Un singhiozzo strozzato
fuoriuscì dalle mie labbra
prima che potessi fermarlo. Mi sentivo impotente a causa della mia
impossibilità di aiutarlo e questo aumentava la mia
sensazione di aver lasciato
il ragazzo da solo ad affrontare uno scontro che avrebbe potuto
costargli la
vita.
Un braccio mi avvolse le spalle, in
un gesto di conforto.
Caspian mi si era avvicinato. I suoi lineamenti erano tesi, ma
attraverso i
suoi due pozzi scuri cercava di trasmettermi speranza e sicurezza.
Il duello non
è ancora finito e Peter ha tutte le possibilità
di vincere. Mi
dissi e continuai a ripetermelo come un mantra
quando le due lame avversarie si scontrarono, mettendo ufficialmente
fine alla
tregua.
Affando, parata, affondo, parata.
Poi, Miraz disarmò
Peter. Sobbalzai, trattenendo il fiato. Il biondo era rimasto solo con
lo
scudo, dietro il quale cominciò a ripararsi disperatamente.
Uno, due, tre
colpi. Al quarto però riuscì a contrattaccare.
Mentre Miraz stava per caricare
dall’alto, Peter colpì l’avversario al
viso con lo scudo. Il telmarino arretrò
tramortito, perdendo la spada. Peter incalzò colpendolo di
nuovo, ma al secondo
attacco Miraz afferrò lo scudo, creando una situazione di
stallo. La forza dei
due contendendi sembrava equivalersi mentre si impegnavano per
sovrastare
l’altro, finché il re di Narnia non
riuscì a girare lo scudo fino a portarlo
alle spalle di Miraz e bloccargli le mani, ancora ancorate al clipeo,
dietro la
schiena. Ripresi a respirare, purtroppo però subito dopo il
sovrano di Telmar
si liberò e sferò un pugno al viso di Peter. Il
giovane indietreggiò di un
passo, ma si riprese in fretta e con un grido di carica
cominciò a colpire a
suo volta con il guanto ferrato. Presto Miraz si trovò in
difficoltà. Inciampò
andando all’indietro e cadde. Alzò entrambe le
mani per coprirsi il viso, ma
mentre tutti noi ci aspettavamo che Peter proseguisse
nell’attacco, questi
gridò forte “Tregua!”.
“Non è il
momento di essere magnanimi Peter!” urlò
Edmund, contrariato dalla generosità del fratello.
Fui d’accordo con lui.
Come poteva interrompersi?
Andava bene essere giusti e onesti, ma rinunciare ad una situazione
favorevole
fornendo al nemico la possibilità di ucciderti sfiorava
l’assurdo. Specie se la
posta in gioco era la vita.
Eppure Peter si rialzò
e, dando le spalle al sovrano,
si diresse verso di noi. Era visibilmente stanco, aveva il fiato
pesante e il
naso sanguinava. Avrebbe retto difficilmente ad un altro round.
Perché aveva
dovuto fermarsi quando avrebbe potuto porre fine al duello con la sua
vittoria?
Ma forse se lo avesse fatto non sarebbe stato Peter, il Magnifico Re
che aveva
donato al suo popolo trent’anni di pace e
prosperità.
Un rumore di sfregamento, il
tintinnare metallico di
un’armatura. L’azione si svolse fulminea. Miraz
raccolse la spada, si alzò e
correndo si diresse con la lama alzata alle spalle di Peter.
Urlai di terrore e istintivamente
mi strinsi a
Caspian, chiudendo gli occhi contro la sua spalla nell’esatto
istante in cui
Edmund urlò il nome del fratello.
Suoni di colluttazione, un grido di
sforzo poi un
tonfo, a cui fece eco il mio cuore che sprofondò sotto terra.
Tremai, presa da una paura cieca,
incapace di
sollevare le palpebre e controllare cosa fosse successo. Se quello che
temevo
era accaduto, non avevo la forza per guardare, non l’avevo
nemmeno per pensare.
“Cosa
c’è? È troppo per te togliere la vita
ragazzo?”
Una frase pronunciata con tono
affaticato. Una frase
pronunciata da una voce che sarebbe dovuta risuonare vittoriosa e che
avrebbe
dovuto lanciare ben altro messaggio.
Con il cuore ancora fermo, non
osante riprendere a
battere per una falsa speranza, trovai la forza per osservare la scena.
I miei occhi quasi faticarono a
mettere a fuoco la
scena che gli si presentava davanti. Peter era in piedi, ansante ma in
piedi, e
soprattutto era vivo. Aveva la spada appoggiata alla spalla, il braccio
piegato
pronto a sferrare il colpo che avrebbe tolto la vita all’uomo
inginocchiato
dinanzi a lui. Sbattei le palpebre più volte, incredula. La
situazione si era
capovolta. Miraz, ormai sconfitto, guardava Peter negli occhi con
sguardo di
sfida per difendere un orgoglio che non voleva venire meno neanche ad
un passo
dalla morte. In qualche modo il re di Narnia era riuscito ad evitare
l’assalto
a tradimento di Miraz, a togliergli la spada e a costringerlo alla
resa. Ed ora
passata l’ansia, non mi restava che ammirare la figura
slanciata di Peter che
si ergeva vittorioso nell’arena. Vittorioso ma incerto. Miraz
gli aveva
lanciato una provocazione che Peter non coglieva. Tentennava stringendo
l’elsa
della spada sempre più forte, le spalle che si abbassavano e
alzavano per gli
sforzi compiuti. L’odio lampeggiava nelle iridi azzurre,
mostrando una rabbia
che veniva a stento tenuta sotto controllo, eppure non sferrava
l’attacco.
“Non sta a me
togliertela” disse in un ringhio infine.
Si voltò e porse la
spada a Caspian. Sentii i muscoli
del principe tendersi sorpresi. Il suo sguardo saettò
confuso dal biondo a
Miraz per tre volte, poi parve prendere coscienza della sua posizione e
della
richiesta che gli veniva fatta. Tolse il braccio da attorno alle mie
spalle e
si incamminò verso Peter, il volto serio e più
pallido di quello che
probabilmente avrebbe voluto che fosse.
Capii l’esitazione di
Peter. Il ragazzo si era fermato
chiedendosi se era suo il compito di decidere della vita di
quell’uomo e aveva
pensato che Miraz, pur essendo un suo nemico, era prima di tutto lo zio
di
Caspian, nonché l’assassino del padre del ragazzo.
La decisione spettava quindi
al giovane principe. Un principe che con un’inaspettata mano
ferma aveva
afferrato la spada che Peter gli aveva porto.
Caspian alzò il gomito e
tirò indietro il braccio,
trascinando la spada in alto con sé nel movimento, facendo
scivolare la lama
sotto l’altra mano. La punta tagliente e letale
dell’arma era puntata contro
Miraz come il suo sguardo. Due occhi neri che, a discapito della
freddezza che
il corpo cercava di mantenere, rivelavano il tumulto che lo dominava
internamente. Si scorgeva l’avversione per i crimini che il
re di Telmar aveva
commesso, la voglia di vendicare i soprusi subiti e la morte del padre,
il
desiderio di mettere la parola fine a quella battaglia. Ma anche la
repulsione
per compiere un gesto come un omicidio a sangue freddo. Caspian in quel
momento
aveva il potere di condannare Miraz, suo zio, a morte, poteva decidere
se
l’uomo davanti a lui doveva vivere o morire e se avesse
optato per la seconda
si sarebbe automaticamente eletto a boia. Un gesto la cui sola idea lo
ripugnava.
Caspian era un cavaliere, un
soldato, e come tale per
difendere i suoi ideali, le persone a cui teneva e se stesso, aveva
già dovuto
macchiarsi del sangue dei suoi nemici, aveva già tolto la
vita a persone
sconosciute, individui senza volto per lui ma che avevano parenti,
sogni,
speranze e soprattutto un futuro prima che venissero trapassati dalla
spada del
principe. Ma quando si uccide in battaglia, quando si è in
mezzo alla mischia,
quando non si ha il tempo per riflettere sulle proprie azioni
perché ogni
secondo speso senza attaccare potrebbe portare alla propria morte, non
si deve
scegliere se dare la vita o la morte alle persone che si affrontano. La
scelta
in guerra è del tutto diverso. Si è soli con il
proprio avversario e l’opzione
è “se stessi o lui”. Non si è
giudici e boia, ma semplici individui che cercano
di sopravvivere in un turbine di spade tra cui la più
affilata e la più veloce
vince, compiendo azioni dettate più dall’istinto
di sopravvivenza che dalla
ragione.
“Forse mi sono
sbagliato”
Miraz parlò. Un brillio
di orgoglio che copriva una
muta rassegnazione negli occhi neri, identici a quelli del nipote.
“Forse hai le
qualità per regnare dopotutto”.
Vidi la schiena di Caspian
irrigidirsi a quel commento
che pronunciato dal re ormai sconfitto risuonava simile a un
complimento o ad
una benedizione, un consenso per prendere la sua corona. Gli occhi del
principe
si fecero umidi, ma la mano che stringeva l’elsa rimase
ferma, resa immobile
dall’indecisione che attanagliava l’animo del
giovane. Vita o morte?
Miraz non si era fatto scrupoli
quando aveva dovuto
uccidere il proprio fratello. Per lui non c’era stata alcuna
differenza tra
l’ammazzare qualcuno in battaglia e l’assassinare
il sangue del proprio sangue
nel suo letto per sete di potere. Perché allora Caspian
avrebbe dovuto aver
timore di agire allo stesso modo? Miraz forse non meritava di essere
ripagato
con la stessa moneta? Essere ucciso dal nipote per la corona e
dimostrate così
di saper fare tutto ciò che necessario per ottenere il regno.
Caspian urlò e
sollevò in alto la spada che brillò
sinistra. Poi con un colpò secco e deciso
l’abbassò colpendo il suo bersaglio.
Il terreno tra le lastre di marmo
sottostanti.
“Non certo le
tue”
Il sussurro di Caspian fu appena
udibile. Le parole
erano uscite a forza tra i denti, parole frustrate e rabbiose come le
lacrime
che aveva ai bordi degli occhi.
Miraz guardava incredulo il
nipote, il respiro ansante per la paura di una condanna che non era
giunta.
“Tieniti pure la tua
vita,
ma io restituisco alla gente di Narnia la sua terra”
decretò Caspian vicino al
viso del vecchio re.
Il moro con un’ultima
occhiata allo zio, si allontanò volgendogli le spalle. Peter
gli si avvicinò e
gli pose una mano sulla spalla. Non si dissero niente. Non
c’era bisogno, tutti
noi sapevamo che Caspian aveva fatto la scelta più giusta.
Miraz forse non meritava di
essere ripagato con la stessa moneta? Si, lo avrebbe meritato. Era un
assassino
e un tiranno, un cancro sia per Telmar che per Narnia.
Caspian avrebbe dovuto aver
timore di agire allo stesso modo di Miraz? Si, perché anche
se il re avesse
meritato la morte, nessuno avrebbe avuto il diritto di dargliela con
un’esecuzione. Il suo assassinio non avrebbe giovato a Narnia
né a nessun
altro, erano ben altre le imprese da compiere per aiutare quella terra.
Compiere quel crimine avrebbe unicamente macchiato l’animo
del giovane e
avrebbe fatto scrivere l’inizio di quella che doveva essere
una nuova era per
Narnia e Telmar sopra altro sangue, un inizio inaccettabile per chi si
dichiarava portatore di pace. L’unica cosa che veramente
contava era aver vinto
il duello.
Abbiamo
vinto.
Quel pensiero mi colpì
con
forza, portando con sé un enorme sollievo. Sorridendo mi
avvicinai a Peter,
Caspian ed Edmund.
Peter era stremato dal
duello e si teneva il braccio slogato, Caspian aveva ancora i
lineamenti tesi
ma tutti e tre sorridevano sollevati, con in mente il mio stesso
pensiero.
“Ora posso guarirti o hai
qualche obiezione?” chiesi sarcastica a Peter.
“Sono tutto
tuo” rispose
porgendomi la parte lesa.
Meno di un minuto, e il
braccio tornò come nuovo. “Posso
sdebitarmi?” il biondo mi si rivolse
malizioso.
Io risi, notando come avessi
bisogno di lasciarmi la tensione precedente alle spalle. “Se
proprio insisti…”
dissi stando al gioco avvicinando il mio viso al suo. Ma prima che le
sue
labbra potessero posarsi sulle mie che le attendevano ansiose, un grido
si
sparse per la raduna.
“Narnia ha violato
l’accordo! All’attacco!”
Peter, Caspian, Edmund ed io
ci voltammo di scatto verso il centro dell’arena. Sentii una
sensazione di gelo
invadermi quando vidi il corpo privo di vita di Miraz accasciato a
terra con
una freccia nel fianco, senza dubbio la causa della sua morte. Volsi lo
sguardo
ai bordi delle rovine e con orrore e paura scorsi Lord Glozelle e un
altro Lord
preparare le loro truppe per dar battaglia.
“Ma abbiamo vinto!
Perché ci
attaccano?” balbettai confusa, rifiutando di accettare il
precipitare della
situazione.
Peter mi afferrò per le
spalle e catalizzò tutta la mia attenzione. Il suo sguardo e
la sua espressione
erano tornati ad essere quelli del sovrano, decisi, seri e pronti a
tutto.
“Come pensavamo non
avevano alcuna
intenzione di rispettare l’accordo. Vogliono il regno e non
se ne andranno
finché non lo otterranno.”
“Dobbiamo
combattere?”
chiesi con tono rassegnato.
“Si.” Rispose
secco. “Ecco
perché tu ora correrai a metterti al riparo vicino a Susan,
e attenderai lì il
mio segnale, intesi?” mi impose.
Annuii con il capo, gli
occhi pieni di apprensione. Avrei voluto ripetergli di fare attenzione,
di
tornare vivo, di non esporsi inutilmente al pericolo, ma non
c’era tempo.
Tuttavia, dalla veloce e lieve carezza che mi diede al viso, ebbi la
consapevolezza che sapeva già ciò che volevo
dirgli, non occorreva che aprissi
bocca.
Con un ultimo sospiro, mi
separai da lui e cominciai a correre verso l’edificio,
cercando di non vedere
il mio allontanamento come un abbandono.
Attraversai il salone e
salii a perdifiato le scale che conducevano alle camere superiori. In
breve
sbucai fuori, sul balconcino del secondo piano, dove molte sere
addietro Peter
ed io ci eravamo abbracciati per la prima volta al chiarore della luna.
“Cate!” la
regina, arco e
freccia in mano pronti all’uso, mi chiamò a
sé.
“Hai visto quello che
è
successo?” le domandai. Magari dalla sua postazione era
riuscita a comprendere
meglio il perché di come si erano evoluti gli eventi.
“Si, uno dei Lord si
è avvicinato
a Miraz con la scusa di aiutarlo ad alzarsi e lo ha infilzato con una
freccia a
tradimento. Poi ha dichiarato l’attacco facendo ricadere su
di noi la colpa del
delitto.” Mi mise a parte brevemente.
Scossi la testa con
espressione sprezzante. “Vili. Proprio un’azione da
loro” sputai con rancore.
“Già, ma oltre
che resistere
fino all’arrivo di Lucy non possiamo far altro”
asserì Susan.
“Ci riusciremo”
affermai,
cercando di infondere sicurezza a me per prima. Dovevamo riuscirci.
Cercai con gli occhi la
figura di Peter. Spada sguainata, accanto ad Edmund aspettava che la
carica dei
nemici fosse alla distanza giusta per dirmi di mandare il segnale a
Caspian,
che sotto di noi attendeva impaziente con la sua fanteria, e far
scattare la
nostra trappola.
Il biondo alzò la lama.
Richiamai la magia e una sfera comparve all’istante nel mio
palmo. Quando il
braccio abbassò l’arma, ordinai alla bolla di luce
di materializzarsi davanti a
Caspian, rispondendo all’ordine di Peter.
Pochi secondi, e la terra
cominciò a tremare. Sotto i miei occhi il terreno sopra il
quale la cavalleria
di Telmar stava passando si aprì in mille crepe fino a
cedere totalmente sotto
il peso dei cavalli. Sorrisi soddisfatta. Il piano del principe aveva
funzionato egregiamente, il terrapieno era crollato trascinando con
sé parte
dell’esercito telmarino.
Dalle due aperture
sotterranee Caspian uscì seguito dai narniani che subito
attaccarono i soldati
di Telmar sopravvissuti al crollo e che disperatamente cercavano di
aggrapparsi
al terreno per ilzarsi su di esso.
Il nostro attacco fu ben
organizzato. L’esercito bloccò le vie di fuga
laterali dividendosi in due e
Peter ed Edmund si unirono alla carica celeri, seguiti dalla fanteria.
L’occhio mi cadde sui
soldati telmarini posizionati un paio di centinaia di metri
più distanti.
Avevano cominciato a marciare accompagnati da cinque catapulte, notai
preoccupata. Avevamo praticamente distrutto la loro cavalleria, ma la
fanteria
di Telmar era il triplo della nostra.
“Susan,
laggiù” indicai
allarmata.
La ragazza seguì la
direzione segnalatele e impallidì, rendendosi conto della
vicinanza del
pericolo.
“Soldati,
puntare” la regina
incoccò la sua freccia, imitata immediatamente dai suoi
arcieri. “Tirare!”
ordinò.
Una pioggia di freccie cadde
letale sopra ciò che restava della cavalleria, annientandola
del tutto.
Ora
tocca a me.
Pensai puntando con lo sguardo la catapulta più vicina.
Presi un respiro e
riscaldai le dita richiamando il flusso magico. Quando lo sentii
pulsare
potente nelle mie mani, lo lanciai in direzione della macchina da
guerra come
una fune, creando un collegamento tra l’arnese e me. Quando
lo raggiunsi, lo
avvolsi interamente con la mia magia, facendola adattare come un guanto
alla
forma della catapulta. A quel punto serrai forte i pugni, riducendo
bruscamente
di conseguenza l’estensione del campo di magia avvolgente la
macchina. Un forte
fragore accompagnò la visione della catapulta che collassava
su se stessa. Meno
una.
Ma non feci in tempo a
rallegrarmene perché la terra tremò di nuovo.
Impiegai qualche istante a
comprendere che la causa stava nelle pietre scagliate con violenza
dalle altre
quattro catapulte restanti. Avevano attaccato l’edificio e
stavano distruggendo
il balconcino sopra il quale ci trovavamo.
Susan gridò
“Mettetevi al
riparo” e mi apprestai ad ubbidirle, ma
all’improvviso sentii la terra mancarmi
sotto i piedi. Precipitai nel vuoto seguita dalla regina. Gridai dallo
spavento, ma proprio la paura mi fece avvertire la magia scorrere
veloce e
potente nelle vene. Senza rifletterci la liberai ed essa avvolse sia me
che
Susan. Ad un metro dal suolo riuscii miracolosamente a frenare la
nostra
caduta. Adagio, feci atterrare entrambe, sane e, incredibilmente, salve.
Cinque secondi dopo mi
sentii stritolare in un abbraccio.
“Diamine Cathrine, mi hai
fatto perdere dieci anni di vita! Stai bene? Tu Susan?”
“Se riuscissi a respirare
starei bene” risposi cercando di sorridere, nonostante il
cuore battesse ancora
all’impazzata per il rischio appena superato. E pensare che
non ero mai voluta
salire sulle montagne russe proprio per evitare emozioni
simili…
“Anche io tutto
bene”
rispose con voce flebile Susan. Un’occhiata al colorito
pallido delle sue
guancie mi suggerì che lei dovesse pensarla come me sulle
“emozioni forti”.
Caspian le si era
materializzato al fianco proprio come Peter era apparso al mio, mentre
Edmund,
meno impetuoso, si limitava a squadrare sia me che la sorella con
occhio
clinico per accertarsi della nostra salute.
“Possibile che Lucy non
sia
ancora arrivata da Aslan?” esclamò il biondo
frustrato.
“Non è una
missione facile.
Dobbiamo cercare di darle altro tempo” ragionò
Susan.
“è un suicidio
continuare a
combattere. Ci schiacceranno subito, hai visto quanti sono?”
osservo Edmund,
pragramatico quanto nefasto.
“Quindi cosa facciamo? Ci
ritiriamo?” domandò Caspian.
Peter lo fulminò con lo
sguardo. “E dove di grazia? L’apertura della
fortezza è crollata e se andassimo
nella foresta ci inseguirebbero come il gatto con il topo
finchè non ci
avessero ammazzati tutti” gli rispose. “Se devo
morire, personalmente
preferisco farlo affrontando e cercando di battere il nemico.
Finché possiamo
brandire una spada, abbiamo una possibilità di
vittoria.” Dichiarò, fiero e
regale come solo lui poteva essere. Nei suoi zaffiri vidi brillare
quella
sicurezza e quel desiderio di non arrendersi che lo caratterizzava e
che tanto
amavo.
Gli strinsi forte il braccio
e cercai di mostrarmi sicura e pronta almeno un decimo di qaunto lo era
lui.
“Ha ragione. Non
è ancora
finita, Telmar non ha ancora vinto. Combattiamo e prendiamo il tempo
che serve
a Lucy. Riuscirà a portare a termine il suo compito, ne sono
certa” lo
appoggiai senza esitare.
Dopo qualche attimo, vidi la
determinazione lampeggiare negli occhi dei tre ragazzi, scalzando via
le remore
che li avevano colpiti.
I ragazzi sguainarono le
spade e Susan si preparò ad usare l’arco. Poi
però Peter si volse nella mia
direzione ed ebbe un tentennamento.
“Edmund, tu resta con
Cathrine” decretò.
“Cosa?”
“No!”
Sia io che il giovane re ci
ribellammo.
“Peter, è
ridicolo, Edmund è
uno dei migliori combattenti di Narnia, è mille volte
più utile sul campo che
accanto a me!” obiettai con grinta.
“Mi spiace Peter ma
questa
volta non posso obbedire. Il mio popolo ha bisogno di me quanto di
te” proseguì
Edmund.
“Cosa dovrei fare,
lasciarti
qui priva di difesa?” Dal suo sguardo capii che aveva
compreso le nostre
opposizioni ma che non poteva condividerle. Era tormentato, diviso,
come spesso
capitava quando c’ero io di mezzo, tra il suo dovere e i suoi
desideri.
Accennai un sorriso
sconsolato. “Priva di difesa? Peter sono un strega! Credi che
Jadis avesse
bisogno di guardie del corpo? Sono perfettamente in grado di difendermi
se dovesse
giungere qualcuno, i miei poteri si sono triplicati
dall’assedio al forte”.
Peter mi fissò con una
muta
supplica negli occhi, ma alla fine dovette cedere dinanzi alla
decisione mia e
del fratello. Dopotutto sapeva anche lui quanto la sua richiesta fosse
controproducente e illogica.
“Anche io sono troppo
egoista per permettere a qualcuno di uccidermi” aggiunsi a
suo solo beneficio,
usando le stesse sue parole.
A malincuore, Peter
acconsentì con un cenno della testa.
Il sovrano sguainò la
spada,
che risplendette della luce della speranza, e si rivolse ai suoi
fratelli e a
Caspian.
“Per Narnia!”
urlò e tutti e
quattro corsero a combattere il nemico.
Il mio cuore volò con
loro.
Saperli esposti al pericolo mi angosciava. Avrei voluto seguirli,
esserli
vicino per aiutarli e proteggerli, ma non riuscivo. Per andare con loro
in
prima linea avrei dovuto combattere e uccidere altrimenti sarei stata
unicamente di intralcio, ma questo andava al di là delle mie
possibilità. Non
sarei mai stata capace di togliere la vita, neppure per salvare Narnia.
Ero
molto più utile nelle retrovie, a occuparmi delle catapulte.
Focalizzai la seconda,
richiamai i miei poteri e quando fui pronta lasciai correre la magia da
me ad
essa fino ad avvolgerla interamente. Chiusi le mani a pugno e la
catapulta fece
presto la stessa fine della precedente.
Ripetei l’operazione per
la
terza macchina, la penultima, ma finito l’incantesimo sentii
un sibillo vicino
al fianco sinistro. Mi scansai in tempo per evitare un colpo di spada,
con una
prontezza di riflessi della quale mi stupii io per prima. I miracoli
dell’istinto di sopravvivenza…
Mi voltai per guardare in
faccia il soldato che mi aveva attaccata. Alto poco più di
me ma piazzato, con
un viso aggressivo che non prometteva niente di buono, si
preparò per un
secondo affondo. All’ultimo riuscii a scansarlo, mossa che
fece dipingere un
ghigno sul volto del mio aggressore.
“Sei indefesa e sei una
donna, pensi sul serio di riuscirmi a sfuggire?” mi
provocò.
Assottigliai lo sguardo,
infiammandomi a quella frase. “Hai tralasciato una cosa.
Prima di tutto io sono
una strega”. Caricai il palmo di energia e con rabbia gli
lanciai contro una
sfera in pieno petto. L’impatto fu talmente forte da
mozzargli il respiro.
Bastò solo un’altra sfera per tramortirlo. Il
soldato, privato della sua
sbagliata sicurezza, si accasciò a terra.
Mi permisi di squadrarlo con
disprezzo, senza il minimo rimorso. Misogeno e violento, pessimo
binomio da
trovare in un uomo. Aveva avuto la lezione che si meritava.
Gli voltai le spalle e
iniziai ad occuparmi dell’ultima catapulta. La raggiunsi e
l’avvolsi come le
altre, e infine la annientai, eliminando il pericolo che costituiva.
Sorrisi sollevata di aver
eliminato uno dei maggiori pericoli. Mi ero difesa da sola ed ero stata
utile
all’esercito di Narnia, ero fiera di me stessa.
Facendo scorrere gli occhi
su tutta la raduna, cominciai a cercare i Pevensie e Caspian intenti a
combattere.
Impiegai del tempo, ma alla
fine riuscii a visualizzarli tra la folla di soldati che combattevano.
Susan
era sulla destra, intenta a scagliare freccie a raffica con precisione
o a
difendesi usando l’arco come un bastone se necessario.
Caspian poco distante dava
prova che la sua abilità con la spada era degna di un
principe, ma Edmund,
dall’altra parte del campo, non era da meno. Riusciva ad
affrontare i nemici
due alla volta senza il minimo sforzo, sferzando l’aria con
la lama della sua
spada in ampi giri donatori di morte per i telmarini.
Infine trovai Peter, poco
più avanti rispetto al fratello, che mulinava la spada in
una danza aggraziata
quanto letale. Per abbattere l’avversario di turno gli
bastava un colpo e
subito passava ad un altro, senza esitazione, senza riposarsi. Era
abile come
nessun altro e pareva imbattibile, proprio come un re deve sembrare
agli occhi
del suo popolo e dei nemici. Eppure non potevo impedirmi di provare
apprensione
per lui e per gli altri.
Lucy,
ti supplico, fai presto.
L’intervento di Susan non
era servito. Non del tutto almeno. Sua sorella aveva eliminato i cinque
soldati
che le stavano inseguendo ma purtroppo non erano gli unici telmarini a
stare di
guardia nel bosco. Lucy se ne era presto accorta dopo qualche metro,
quando un
rumore di zoccoli aveva rivelato la presenza di un sesto uomo dietro di
lei.
La piccola aveva dato un
colpo di redini per distanziarlo, ma il soldato era veloce e molto
più bravo di
lei a cavalcare evitando gli alberi.
Il cuore di Lucy batteva
come le ali di un colibrì dall’agitazione. Se
l’avesse presa sarebbe stata
perduta, dato che non aveva armi con sé, e con lei
l’intera Narnia. Non poteva
permettersi di essere catturata. Aveva una missione importante da
portare a
termine, una missione che i suoi fratelli le avevano affidato, non
poteva
tradire la loro fiducia e le loro aspettative non dimostrandosi
all’altezza dei
suoi doveri. Ma soprattutto non poteva deludere il suo popolo.
“Fermati!”
gridò il soldato.
Lucy aumentò il ritmo
della
corsa, ma dentro di lei si faceva inesorabilmente strada la
consapevolezza che
la sua fuga sarebbe durata ancora poco. Dannazione, cosa poteva fare?
Un movimento sospetto verso
destra. Volse lo sguardo, temendo l’arrivo di un secondo
soldato. Una figura
correva tra gli alberi. Faticava ad identificarla a causa della fitta
vegetazione, ma non sembrava un abitante di Telmar a cavallo. Sembrava
più…
La misteriosa figura si
avvicinò e un ruggito potente squarciò
l’aria. Destriero si alzò su due zampe
terrorizzato, facendo cadere Lucy dal suo dorso. Ma la piccola regina
non provò
alcun male, troppo impegnata a fissare incredula un grande e maestoso
felino
fare un balzo, superandola, addosso al soldato che la stava inseguendo,
sbranandolo.
Lucy si alzò e si
voltò
verso il leone. Un sorriso radioso le si dipinse in viso quando
riconobbe nel
felino, che regale si ergeva sopra un promontorio, colui che stava
cercando. Il
re Supremo di Narnia, Aslan.
L’agitazione scomparve,
come
ogni altra preoccupazione. Non si curò nemmeno di chiedersi
da dove e come
fosse apparso per salvarla. Era riusciva a trovarlo, Aslan era tornato.
Narnia
era salva.
Senza ulteriore indugio gli
corse incontro, le lacrime agli occhi per la felicità.
“Aslan!”
gridò. Lo abbracciò
di slancio, affondando il viso nella sua folta criniera, facendo cadere
entrambi per terra.
“Ho sempre saputo che non
ci
avevi abbandonati, che saresti tornato!” esclamò
gioiosa. “Ma perché non ti sei
rivelato? Perché questa volta non sei venuto ruggendo a
salvarci?” chiese poi,
fissandolo smarrita non comprendendo il suo comportamento, tanto
diverso da
quello che aveva addottato la prima volta che erano giunti a Narnia.
“Le cose non avvengono
mai
due volte allo stesso modo” si giustificò il Re,
guardando la bimba con
indulgenza e dolcezza.
Lucy abbozzò un sorriso
a
quella filosofica spiegazione. “Ma adesso ci aiuterai vero?
Telmar ci ha
attaccati ma il nostro esercito non è abbastanza numeroso
per fronteggiarlo.
Stiamo per perdere, abbiamo bisogno di te” lo
supplicò, portando subito alla
luce il motivo del suo arrivo lì.
“Ma certo”
confermò
immediatamente. “Sconfiggeremo Telmar e Narnia
riavrà la sua meritata pace”
promise solenne. “Sai Lucy, credo che i tuoi amici alberi
abbiano dormito a
sufficienza” e detto questo, emise un forte ruggito che
scosse l’intero bosco,
dalle radici più profonde degli alberi alle loro cime
più alte. Un ruggito che
si disperse presto per tutta Narnia con il chiaro messaggio che il suo
sovrano
aveva finalmente fatto ritorno.
Mi mordicchiai il labbro,
presa dall’irrequietezza. Dovevo fare qualcosa, non potevo
starmene con le mani
in mano o sarei stata divorata dall’angoscia. Ma come potevo
rendermi utile?
Poi, come un lampo, mi venne in mente. Non volevo uccidere e non lo
avrei mai
fatto, però avrei potuto tramortire i soldati avversari con
semplicità
lanciando sfere di energia come avevo fatto con il militare di prima.
Una mossa
simile avrebbe assottigliato le loro file.
Alzai al cielo i palmi delle
mani, coagulai la mia magia al loro interno e feci apparire una decina
di sfere
di energia.
Colpite
solo i telmarini. Ordinai, dopodiché
abbassai le mani con forza,
portandole all’altezza delle spalle. Le sfere sfrecciarono
nell’aria come proiettili.
Il tempo di raggiungere il campo di battaglia che dieci soldati caddero
a terra
tramortiti.
Uno di essi era vicino a
Peter, il quale lo vidi volgersi sbigottito nella mia direzione. Gli
sorrisi
vittoriosa. Il biondo incurvò le labbra
all’insù al metà tra il sorpreso e il
soddisfatto, prima di riprendere a combattere.
Rialzai le mani in cielo ed
evocai altre dieci sfere. Prima però che potessi lanciarle,
una voce
inaspettata mi colse di sorpresa, facendomi dissolvere le bolle di luce.
Giovane
Cathrine, ho bisogno del tuo aiuto.
Conoscevo bene quella voce e
sapevo da dove proveniva. L’avevo sentita diverse volte nella
mia testa. Era la
voce di Aslan.
La sorpresa scemò in
felicità. Se Aslan mi aveva contattata sapeva che Narnia era
in guerra, forse
era lì vicino, ed ero pronta a scommettere che il merito era
da attribuirsi
interamente a Lucy. Ci era riuscita.
Devo
chiederti di unire i tuoi poteri ai miei ancora
una volta.
“Come nel
boschetto?” lo
assecondai avendo fiducia che qualsiasi cosa mi avesse chiesto sarebbe
stata
utile al paese.
Si.
Solo che questa volta risveglieremo Narnia intera.
Il mio cuore fece un balzo.
Davvero avremmo risvegliato tutta Narnia? Era realmente possibile
un’azione
tanto meravigliosa quanto desiderata?
“Non credo di essere
sufficientemente forte” obiettai considerando quanta energia
aveva richiesto
ridar vita solo ad una piccola zona.
Fidati
di me Cathrine. Sei molto più potente di quanto
immagini.
Mi morsi il labbro,
indecisa. Impegnarmi in un incantesimo tanto potente era pericoloso.
Lanciai
uno sguardo a Peter immerso nella battaglia. Vedere la sua Narnia
risplendere
come un tempo era ciò che bramava di più.
Così come i suoi fratelli e il suo
popolo. Potevo io essere di ostacolo alla realizzazione di questo
desiderio per
scrupolo?
“D’accordo”
accettai,
cercando di mettere a tacere i miei timori.
Presi un respiro e chiusi
gli occhi. Feci scorrere la mia magia lungo le braccia fino alle mani.
Richiamai alla memoria le immagini che avevo del boschetto una volta
tornato in
vita. Mi focalizzai su di esse prima di liberare la magia con una
semplice
parola celante un importante significato,
“risvegliala”.
Ma non avvertii il flusso
magico raggiungere subito il terreno, meta alla quale lo avevo
destinato, bensì
lo sentii andare a confluire con un altro potere, uno molto
più potente del
mio. Quello di Aslan, un flusso di magia caldo e denso, a differenza
del mio,
più leggero, che scorreva lento ma inarrestabile.
Sentiii la magia scorrere
via dal mio corpo come un fiume in piena per diversi minuti, ma non
provai
nessun cenno di indebolimento, constatai sorpresa. Possibile che avesse
ragione
Aslan, che fossi davvero più potente di quanto pensavo?
Sapevo di aver fatto
notevoli progressi dopo la Cerimonia, ma non pensavo fino a questo
punto.
L’incantesimo che il felino mi aveva chiesto non era solo
complesso, ma
richiedeva una quantità spropositata di energie se ad Aslan
per primo occorreva
il mio aiuto.
Era passata un’altra
manciata di minuti quando avvertii la terra tremare per la terza volta
in
quella giornata. Questa volta però il terremoto mi
procurò gioia invece di
apprensione perché sapevo quale significato aveva.
L’incantesimo stava
funzionando, il terreno e le sue piante a poco a poco si stavano
risvegliando,
rinvigorite dall’energia che io e il loro re gli stavamo
mandando.
Ma dopo altri cinque minuti
la stanchezza cominciò a farsi sentire. Ero migliorata
certo, ma restavo pur
sempre una strega in erba, non ero inesauribile né
invincibile, e l’incantesimo
consumava diverse energie per molto tempo. Le braccia iniziarono a
tremare,
seguite presto dalle gambe. Strinsi i denti e cercai di farmi forza,
stendendo
i muscoli degli arti. Il mio respiro aumentò il ritmo e
delle goccie di sudore
colarono giù dalla fronte. Il tremore aumetò e in
breve caddi sulle ginocchia,
incapace di sostenermi in piedi. Ciò nonostante
però non interruppi il flusso
di energia. La vibrazione salì lungo le spalle fino a
raggiungere l’intera
schiena che prese ad oscillare. Sentivo l’energia scorrere
via da me con
rapidità, lasciandomi spossata come solo una volta mi era
successo, quando
avevo curato Peter per la prima volta.
Resisti
giovane Cathrine, manca poco.
La voce di Aslan mi infuse
la determinazione necessaria per tenere duro. Dovevo riuscirci e ci
sarei
riuscita, per Peter e per Narnia.
La terra venne scossa con
violenza e il rumore del terreno che si apriva accompagnò la
fine
dell’incantesimo.
È
fatta.
Sentii il leone affermare soddisfatto.
Il flusso di energia si
interruppe. Le mie braccia smisero di tremare e caddero lungo il busto
lasciandosi andare come il resto del mio corpo. Mi accasciai sulla
schiena,
sfinita ma con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che
potevo per quella
terra che mi aveva dato tanto. Un sorriso beato mi si dipinse in volto
mentre
cercavo di regolarizzare il respiro. Adesso potevo stare tranquilla.
Narnia si
era risvegliata e Aslan era tornato, la guerra era senza ombra di
dubbio ormai
vinta.
Un braccio mi sollevò la
nuca mentre una mano mi accarezzò la guancia.
“Cathrine! Cathy apri gli
occhi! Cosa è successo?”
Il mio unico desiderio in
quel momento era quello di poter dormire, anche lì sul prato
mentre la
battaglia si concludeva, ma l’apprensione che avvertivo in
quella voce mi
indusse a sforzarmi di aprire gli occhi e di non abbandonarmi al sonno
ristoratore. Sapevo che se non lo avessi fatto, probabilmente il povero
Peter
sarebbe morto d’ansia prima di constatare che il mio cuore
batteva ancora.
Con lentezza riuscii a
sbattere le palpebre, focalizzando due occhi azzurri splendidi anche se
agitati.
“Sto bene”
borbottai
abbozzando un sorriso.
I lineamenti contratti del
re si rilassarono. Mi sollevò il busto per abbracciarmi e mi
sussurrò
all’orecchio con tono di rimprovero: “Accidenti
Cathy, mi sono girato verso di
te e ti ho vista cadere a terra, per oggi puoi smettere di farmi
prendere dei
colpi?”.
Risi a quell’affermazione
esasperata.
“Invece di ridere
guardati
attorno” mi rimbrottò fintamente offeso.
Allungai uno sguardo oltre la
sua spalla ubbidendo e quello che vidi mi fermò il respiro.
Gli alberi si
stavano allontanando dalla foresta, stavano raggiungendo il campo di
battaglia
per allontanare gli invasori! Le loro possenti radici entravano dentro
il
terreno e uscivano diversi metri distanti sbaragliando decine di
soldati con un
solo colpo. Era strabiliante! Lanciai un’occhiata alla
postazione del nemico e
non potei evitare di accennare un ghigno quando li scorsi correre via
come topi
impauriti.
“Narnia si è
svegliata per
ricacciare i telmarini da dove sono venuti, non è
fantastico?” esclamò Peter.
Contemplai il suo viso. Se
gli alberi che lottavano erano strabilianti, lui era semplicemente
meraviglioso. I suoi zaffiri irradiavano gioia pura mentre il suo
sorriso, così
aperto e sincero, illuminava più del sole. Se quello era il
risultato, avrei
ripetuto l’incantesimo altre mille volte se fosse stato
necessario.
“Lo so, chi credi che sia
stato a riportarli invita?” insinuai tranquilla.
Peter mi scostò per
fissarmi
in viso stupito e ammirato. “Sei stata tu?”.
Annuii, divertita dalla sua
sorpresa. “Insieme ad Aslan. È riuscito a
contattarmi, probabilmente dopo che
Lucy lo ha trovato, e mi ha chiesto di unire la mia magia alla sua per
ridare
energia a Narnia” spiegai.
Il giovane mi abbracciò
di
nuovo, con più forza. “Oh Cathy, non ci sono
parole per descriverti quanto ti
sia grato e quanto questa terra ti debba.”.
Mi allontanai di poco e gli
poggiai due dita sulle labbra per zittirlo. “È
anche la mia terra, non
dimenticarlo. Una terra che mi ha dato delle origini, degli amici, un
luogo da
chiamare casa e te. Quello che ho fatto è il
minimo” ribattei, fissandolo
seria.
Peter mi baciò le mie
due
dita prima di prendere la mia mano nella sua.
“Allora andiamo a
completare
il lavoro. Facciamo capire a Telmar una volta per tutte a chi
appartiene
Narnia”.
Annuii sorridendo decisa. Mi
aiutò ad alzarmi e, poiché seppur debole riuscivo
a stare in piedi, constatai
felice quanto anche la mia capacità di ripresa fosse
notevolmente migliorata.
Veloci, corremmo contro i
telmarini che cercavano invano di scappare nella foresta, inseguiti da
Narnia
intera, alberi compresi.
La
ritirata si fermò quando giunsero al fiume. I
soldati rimasti avanzarono di qualche passo lungo il ponte, capitanati
dall’uomo che riconobbi come l’assassino di Miraz.
Anche noi ci bloccammo poco
distanti dalla riva, raggiungendo il resto dei soldati con Susan,
Edmund e
Caspian.
Guardai confusa Peter, non
comprendendo il perché della resa dei telmarini. Ma Peter
stava guardando oltre
il ponte alibito. Seguii la traiettoria dei suoi occhi e focalizzai la
fonte
del suo stupore. Un sorriso di sollievo e felicità
curvò le mie labbra. La
piccola Lucy era in piedi dall’altra parte
dell’impalcatura in legno, incolume
fortunatamente, e vicino a lei, dritto e regale, c’era Aslan.
Il mio cuore batté
forte.
Dopo averne tanto sentito parlare, dopo aver ascoltato la sua voce
guidarmi,
dopo aver sperato che riapparisse per salvarci, Aslan era
lì, dinanzi a noi.
Non era un miraggio, né una breve comparsa. Era veramente
lì per noi, per aiutarci.
Alla fine, il miracolo dentro il quale riponevamo tutte le nostre
speranze, si
era avverato. Narnia aveva ritrovato il suo Re Supremo.
Con la folta criniera preda
del vento, fissava con sguardo severo i soldati di Telmar, attoniti e
spaventati. A rompere la situazione di stallo fu il comandante dei
telmarini.
Puntò la sua spada in alto e gridò
“All’attacco!” spronando il suo cavallo,
non
sospettando minimamente contro chi stava avendo la presunzione di
scontrarsi.
Ma quando attraversarono
metà del fiume, Aslan spalancò le fauci,
mostrando i denti affilati come lame,
per emettere un assordante ruggito. I soldati si bloccarono,
terrorizzati dalla
potenza e dal senso di pericolo che il felino trasmetteva. Ma non
fecero in
tempo a battere in ritirata che l’acqua cominciò a
scorrere più velocemente,
finché un’enorme onda giunse da destra.
L’acqua si fermò davanti al ponte e
l’onda divenne più grande, cominciando a prendere
le sembianze di un gigante
busto umano. Con gli occhi pieni di stupore, osservai lo spirito
dell’acqua
risvegliarsi dal suo sonno secolare e sollevare il ponte con sopra i
soldati.
Gli bastò un solo movimento, una minima dimostrazione di
forza, per spazzare
via le travi di legno che avevano osato tentare di contrallare e domare
il suo
corso d’acqua e punire i suoi costruttori.
La maggior parte dei telmarini fu sommersa dall’acqua. Quando riemersero avevano perso sia le armi che la forza per combattere. L’unica possibilità che gli restava era la resa.