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Autore: nefert70    20/01/2011    2 recensioni
Il racconto della vita di Anna d'Este, duchessa di Guisa e di Nemours, che ha ispirato il personaggio della principessa di Cleves di M.me de La Fayette.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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- Questa storia fa parte della serie 'Anna'
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La salute del mio sposo era sempre precaria, sembrava che nessuna cura portasse miglioramento.
La gioia che la nascita della nostra bambina ci aveva dato era ora smorzata dalle preoccupazioni per la sua salute.
Appena mi fui rimessa dal parto partimmo per Saint-Mor, sperando che l’aria di campagna potesse portagli giovamento, purtroppo non ottenemmo miglioramenti.
Nello stesso periodo ero in costante contatto epistolare con mio cognato, il cardinale di Lorena, che mi teneva informata riguardo ai preparativi per il matrimonio di mia figlia Caterina Maria.
Il cardinale all’inizio sperava in un mio valido aiuto soprattutto economico, ma quando si avvide che le preoccupazioni per il mio sposo m’impedivano di partecipare attivamente si rassegnò.
Caterina Maria aveva ormai diciotto anni,  era una bella ragazza, alta come tutti i Guisa ma leggermente claudicante come mia madre.
Era stata promessa sposa al duca di Montpensier appena nata e nonostante la notevole diversità di età, lo sposo aveva cinquantasei anni, sembra felice per quest’unione.
Io era abbastanza preoccupata, anch’io ero stata promessa a un uomo molto più vecchio ma il mio futuro genero aveva diciotto anni più di me.
Comunque le preoccupazioni non finivano qui, i miei figli maschi erano entrambi impegnati sul campo di battaglia nella difesa di Poitiers, io temevo per la loro vita.
Pregavo tutti i giorni perché non accadesse nulla di male, temevo che la felicità che avevo cercato così ostinatamente potesse ritorcersi contro i miei figli.
Come se lo avessi profetizzato ecco accadere la disgrazia, ricevetti una lettera dalla regina che m’informava del ferimento del mio figlio maggiore, Enrico era stato colpito al collo.
Avrei voluto correre immediatamente da lui ma la salute di mio marito era peggiorata, come potevo abbandonarlo proprio adesso?
Ero combattuta, avrei voluto poter avere il dono dell’ubiquità, piangevo per mio figlio e pregavo Dio che lo salvasse e nel frattempo curavo e pregavo Dio che guarisse anche il mio sposo.
La regina nel frattempo mi faceva recapitare giornalmente le notizie sulla salute di Enrico.
Per fortuna mio figlio migliorava, invece Giacomo continuava a peggiorare, ero disperata.
La regina Caterina intuendo il mio stato d’animo inviò il suo medico personale che gli prescrisse una nuova cura.
La cura fu lunga ma per la fine dell’anno la salute di mio marito cominciò a migliorare, anche se era ancora debole sulle gambe e non riusciva a rimanere a cavallo come avrebbe voluto.
Ora che la sua salute era migliorata purtroppo la regina richiedeva la mia presenza a corte.
Io per un po’ feci finta di nulla ma anche il cardinale di Guisa m’incoraggiava a riprendere il mio posto a corte e approfittare dell’amicizia della regina per ottenere qualche appannaggio per il mio figlio minore, Carlo duca di Mayenne.
Alla fine dovetti cedere e organizzare la mia partenza, era pericoloso irritare la regina e questo lo capiva anche mio marito, che di fronte all’interesse dei miei figli Guisa mi accordò il suo consenso.
Promisi a Giacomo che sarei tornata presto, separarmi da lui e dai nostri figli fu doloroso ma necessario.
Mi diressi a Bourgueil, non lontano da Angers, alla residenza di mio cognato il cardinale di Guisa.
Qui ritrovai mia figlia e il suo fidanzato, la loro vicinanza, quella dei miei cognati e il rientro a corte mi fecero tornare il sorriso e per un po’ dimenticai tutte le preoccupazioni.
Mio marito mi scriveva rimproverandomi la mia lunga assenza.
Erano già trascorsi diversi mesi dalla mia partenza ed io mi giustificavo, spiegandogli che ero impossibilita a partire prima della celebrazione del matrimonio di mia figlia e del rientro della regina Caterina, ed entrambe le cose ritardavano.
Caterina Maria si sposo il 4 febbraio 1570.
Durante questo periodo a corte notai diverse cose che m’insospettirono.
Mio figlio Enrico aveva vent’anni, era bello e valoroso. Sapevo che mio cognato gli stava cercando una moglie ma la cosa che m’insospettì e che entrambi non mi sembravano così ansiosi di concludere alcuna trattativa. Mi chiedevo il perché?
Poi una sera durante un ballo notai Enrico e la principessa Margherita ballare. A nessuno poteva sfuggire il fuoco dei loro sguardi. Capii immediatamente che tra i due era in corso un idillio.
Il giorno successivo mi confidai con il cardinale di Lorena, gli raccontai i miei sospetti e attesi la sua risposta.
Il cardinale mi guardò fisso negli occhi e poi disse “Cara Anna, vi dispiacerebbe vedere vostro figlio sposato a una principessa reale?”
Io trattenni il fiato, conoscevo molto bene la regina madre e sapevo perfettamente che non lo avrebbe mai permesso, possibile che il cardinale non se ne rendesse conto?
Dopo avergli esposto i miei dubbi, la sua risposta fu molto semplice “Anch’io temo che non se ne farà nulla, ma i giovani sono irruenti e dovesse accadere l’irreparabile, il re sarebbe obbligato ad accettare le nozze… Altrimenti… La principessa Caterina di Cleves, vedova del principe di Porcian, sarebbe un ottimo partito per Enrico”.
Con la mia presenza a corte stavo rischiando, senza accorgermi, il mio matrimonio.
Erano già trascorsi molti mesi da quando avevo lasciato Annecy, mio marito e i miei figli.
I primi tempi le lettere di Giacomo erano molto frequenti, cariche di preghiere e teneri rimproveri, poi divennero sempre più rare.
Non so se era vero o solo un modo per farmi ingelosire ma mi giunsero voci della ripresa della sua vita galante.
Non persi più tempo, ottenni il permesso dalla regina e tornai a casa.
Il ritrovare Giacomo guarito mi rese ancora più felice, il nostro ritrovarci dopo la piccola crisi mi assorbiva totalmente che rimasi sorda ai nuovi inviti della regina.
Mentre mi trovavo ad Annecy, ricevetti una lettera del cardinale di Guisa che m’informava che Enrico era fuggito da Parigi e lo aveva raggiunto nella sua residenza di Bourgueil.
L’irreparabile tra Margherita ed Enrico era accaduto, ma non come sperava il cardinale, il duca d’Angiò fece spiare la sorella e quando fu sicuro che in camera sua ci fosse mio figlio avvisò il re che a sua volta avvisò la regina madre.
A mia conoscenza fu portato solo che la regina convocò d’urgenza Margherita che però avvisata da una dama di corte  aveva fatto fuggire mio figlio dalla finestra.
Non so cosa accadde esattamente tra madre e figli, ma il cardinale dopo l’accaduto affrettò le trattative nuziali con Caterina di Coeve.
Il 16 aprile 1570 però ricevetti l’ennesima lettera dalla regina Caterina che mi “invitava” a raggiungere Parigi.
Questa volta mio marito ed io raggiungemmo la corte insieme.
Giacomo era stato invitato a partecipare ai negoziati di pace tra cattolici e ugonotti, con il suo tatto riuscì ad addolcire le parti e finalmente il 5 agosto 1570 a Saint Germain fu firmata la tanto desiderata pace che prevedeva anche il matrimonio della principessa Margherita con il re Enrico di Navarra.
Rimanemmo a corte fino alla primavera successiva e potemmo così assistere alle nozze di mio figlio Enrico con Caterina che si svolsero il 4 ottobre 1570. Il giorno delle nozze leggevo nei begli occhi azzurri di mio figlio l’infelicità per la perdita dell’amata. Aveva rischiato e aveva perso.
Il 22 ottobre ci fu un altro matrimonio, re Carlo IX sposò Elisabetta d’Asburgo.
Approfittai del lungo periodo trascorso a corte per occuparmi degli interessi di mia madre, avevo trovato nuovi documenti che provavano che mia madre fosse stata lesa a favore di sua sorella Claudia.
Intentai quindi un processo che per gli anni a venire  mi avrebbe costretto a passare molto tempo a Parigi.
Nella primavera del 1571, mio marito mi propose di raggiungere Annecy invece di seguire la corte a Blois, io accettai, ma pochi giorni prima della partenza mi ammalai e dovemmo rinunciare al nostro viaggio.
Rimanemmo a Parigi e li fummo sorpresi da una piacevole visita, mio fratello Luigi cardinale D’Este ci venne a trovare accompagnato dal poeta Torquato Tasso che da sei anni viveva alla corte di Ferrara.
Quei giorni trascorsero nella gioia della conversazione e delle feste ma questo purtroppo causò a mio marito  il sopraggiungere dell’ennesima crisi di gotta.
Avevamo progettato di raggiungere la corte a Blois facendoci accompagnare dal famoso poeta e invece partimmo per Annecy, sperando che il cambiamento d’aria fosse di giovamento.
Annecy non portò alcun miglioramento e su consiglio dei medici raggiungemmo Bourbonne-les-Bains.
I bagni sembrarono operare un certo miglioramento anche se solo momentaneo.
Giacomo non desiderava rientrare a Parigi e quindi decidemmo di trasferirci a Verneuil dove aveva deciso di costruire un nuovo castello.
Qui la vita scorreva serena tra cacce al cervo e feste da ballo, solo io mi accorgevo dei dolori che lo colpivano, per tutti gli altri era il sempre sorridente e gentile duca di Nemours.
Giacomo fu sempre un padre molto tenero e attento, sicuramente un genitore migliore di me.
Amava occuparsi dei bambini e giocare con loro, il piccolo Carlo Emanuele che aveva ora cinque anni cominciò la sua istruzione sotto l’occhio vigile e premuroso del padre.
La piccola Margherita invece ci dava qualche preoccupazione, la bambina era sempre pallida, il viso sottile ma a quasi tre anni era intelligentissima, anche se le sue riflessioni erano troppo serie per una bimba così piccola.
Io trascorrevo il mio tempo tra Verneuil e Parigi e ai primi di febbraio del 1572 mi accorsi di essere nuovamente incinta.
Giacomo non voleva rientrare a corte ed io lo capivo, la situazione che si era creata attorno al re lo preoccupava.
Io che trascorrevo invece molto tempo a corte non ero solo preoccupata ma anche infastidita dall’eccessiva presenza protestante.
Coligny, l’assassino del mio primo marito, governava incontrastato il re, la principessa Margherita avrebbe tra poco sposato il re di Navarra, protestante.
Nelle mie lettere confidavo  tutte queste angosce al mio sposo e lui rispondeva comprendendo e condividendo le mie preoccupazioni. Oltre a preoccuparci però cosa avremmo potuto fare?
Nel frattempo le preoccupazioni arrivavano anche dall’interno della nostra famiglia, la piccola Margherita diventava ogni giorno più magra così decidemmo di trasferirci ad Annecy sperando che la buona aria della Savoia portasse un miglioramento.
Fu l’ultima volta che la vidi. Quante volte poi mi accusai di averla abbandonata, ma come potevo immaginare cosa sarebbe accaduto? Speravo di non dover mai più ricevere un dolore simile.
Durante il viaggio dovetti divedermi da loro a causa di un malore, poi la regina Caterina mi convocò al suo capezzale perché malata, io la raggiunsi e la curai amorevolmente.
Mentre rientravo verso Annecy, mi fermai a Montargis da mia madre e nello scendere dalla carrozza caddi, rischiando anche di perdere il bambino.
Nel frattempo ad Annecy la mia bambina peggiorava, ma io ero tenuta all’oscuro di tutto per non aumentare le mie angosce.
Infatti, da poco avevamo avuto la notizia che la regina Giovanna di Navarra, madre di Enrico futuro sposo della principessa Margherita, era morta il 3 giugno a seguito di una febbre intensa e sconosciuta, tanto da far vociferare un avvelenamento da parte della regina Caterina.
Giovanna di Navarra era due anni maggiore di me e c’eravamo sposate nello stesso anno, la sua morte mi addolorò molto.
La mia bambina morirà il 24 giugno 1572 ma io lo saprò a metà luglio solo quando mio marito mi scrisse la notizia nonostante le proibizioni fattegli da mia madre.
Affrettai il rientro, e corsi a consolare e farmi consolare, dal mio sposo.
  
 

  
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