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Autore: Miss Demy    21/01/2011    21 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 7: Emozioni (prima parte)


L'eco della porta sbattuta con rabbia, con forza, mi aveva riportato, come una doccia fredda, alla triste realtà da quel mondo ovattato creato dall'eccessivo alcool.
Avevo immediatamente ripreso coscienza di me, del mio corpo, delle mie emozioni e la prima di queste era stata l'incredulità.
Sì, ero rimasto incredulo non appena quegli occhi azzurri, tristi, delusi, sconvolti mi avevano fissato facendomi svegliare e capire cosa in realtà fosse accaduto.
Sidia mi aveva portato nella sua stanza e, con cattiveria, aveva fatto sì che Bunny la vedesse sopra di me, incosciente, per farla soffrire.
Sì, lei sapeva che Bunny avrebbe sofferto così come me.
Lo aveva capito dal suo modo di guardarci durante l'esibizione, da come la sua espressione era mutata radicalmente non appena aveva visto Sidia sulle mie gambe. Ne aveva avuto conferma dal suo modo particolare, più innocente e timido, di ballare ad un passo da me. Lo aveva letto nei suoi occhi che cercavano di trattenere le lacrime per non rivelare le sue emozioni.
E aveva goduto sapendo di ferirla.
E adesso che Bunny era scappata via in lacrime rifugiandosi in quella camera così diversa da lei e dalla sua personalità, io mi sentivo impotente.
Sapevo che qualunque cosa avessi fatto sarebbe stata sbagliata.
Andare da lei o smettere per sempre di farla soffrire?
Dondolandomi su me stesso al centro del letto, con le mani alle tempie, cercavo di riflettere e cercare di essere lucido, sempre se ciò in quella situazione fosse stato possibile.
Io amavo Bunny, dal profondo del cuore e la cosa che esso mi suggeriva era di andare da lei, stringerla a me e dirle che la amavo e che se avevo accettato la compagnia di quella puttana, non prevedendo di trovarmi ubriaco sul suo letto, era stato soltanto per proteggerla.
D'altra parte Lei mi aveva chiaramente detto, e scritto, che se era vero che la amavo avrei dovuto dimenticarla, non cercarla, magari odiandola se necessario.
Adesso avrebbe creduto che ero andato con Sidia per dimenticarla o, peggio ancora, per farle un dispetto perché magari la odiavo.
Ma era stata Lei a dirmi di lasciarla stare, allora perché era scappata via piangendo se tanto non voleva che facessi parte della sua vita?
La verità è che lei in realtà non voleva che io uscissi dalla sua vita.
Da quella vita in cui, in punta di piedi, ero entrato sconvolgendo la sua esistenza.
Le avevo sconvolto la vita e lei lo aveva fatto con la mia. Anzi, lei ne aveva creata una nuova.
Anche se era stata Lei a chiedermelo, non potevo permettere che ora credesse che la avessi dimenticata, che mi fossi arreso rimpiazzandola con la prima ragazza disponibile.
Impossibile. Bunny non sarebbe mai stata dimenticata o sostituita. Mai.
Sì, avevo deciso in quei pochi attimi che per me erano sembrati un'eternità.
Sarei andato da Lei, le avrei spiegato come stavano realmente le cose e poi, se Lei non avesse voluto avermi più tra i piedi, sarei andato via. Ma almeno non mi avrebbe visto per come temevo: un porco per cui, una o un'altra non faceva differenza. Non sarebbe stato questo il suo ultimo ricordo di me.
E così, alzandomi dal letto, cercando di non perdere l'equilibrio - dopotutto non avevo ancora smaltito l'alcool - invocando il suo nome, mi diressi verso la sua stanza.
Sidia mi raggiunse, bloccandomi da dietro per un braccio.
“Se vai da lei racconterò tutto a lady Amy.”
Mi voltai di scatto, furioso, al suono di quella voce minacciosa e divertita al contempo.
Afferrandola per i capelli con tutta la rabbia che avevo, che lei stessa aveva provocato in me, e facendole male:
"Perché lo hai fatto, puttana? Ti giuro che se provi ancora una volta a farle del male mi dimentico che sei una maledetta femmina!"
Il mio respiro era affannato, la avrei uccisa.
“Lasciami, mi fai male... ” implorava lei, e io avvertivo la sua sofferenza provocata dalla mia stretta sui suoi capelli.
Finalmente ero io a tenerla in pugno.
“Falle ancora dal male, falla piangere un’altra volta e ti faccio male veramente, te lo giuro!”
In quel momento il mio tono era simile a quello di Al Pacino nel ruolo del Padrino, e fui certo che le misi paura.
“Stalle lontano, stacci lontano!” continuai.
Era incredula, aveva creduto che con le sue minacce mi avrebbe tenuto in pugno e ora che ero io a farle capire come stavano veramente le cose si sentiva sconfitta. Nell'orgoglio femminile e non solo.
Le lasciai i capelli e due secondi dopo ero già alla porta della stanza di Bunny.
 
“Bunny, ti prego, aprimi... ”
Stavolta avevo bussato delicatamente, non potevo pretendere che mi aprisse usando i soliti  toni impositivi, anche se avrei tanto voluto buttare giù la porta pur di entrare.
La sentivo piangere. Ebbi un colpo al cuore.
Poi la porta fu aperta e, inaspettatamente, un uomo uscì abbassando gli occhi non appena mi vide.
Era lo stesso della sera precedente. Lo stesso di cui mi aveva rassicurato dicendo che avevano solo parlato.
Che ci faceva di nuovo lì? Erano trascorsi al massimo dieci minuti da quando Lei era corsa via ed era da escludere che quell'uomo avesse avuto il tempo di toccarla.
Solo per quella mia supposizione non sfogai tutto il mio dolore e la mia rabbia verso di lui ed evitai quindi di domandare.
In fondo non ne avevo nessun diritto dati gli eventi susseguiti quella sera.
Salutò con un “Buonanotte, Miss.” in tono serio e dispiaciuto, e andò via.
Lei, asciugandosi le ultime lacrime con le dita, cercò di richiudere subito la porta in modo da lasciarmi fuori.
No. Non potevo permetterglielo.
Bloccai col palmo della mano la porta, evitando che venisse chiusa.
Ancora sconvolta, con gli occhi persi nel vuoto, increduli, sussultò. Non avrebbe mai pensato che avrei cercato di parlare con lei a tutti i costi.
“Aspetta Bunny, devo parlarti, devo spiegarti.” Con tono rassicurante e spaventato all’idea di perderla per sempre, cercavo di mostrarmi lucido, ma l’alcool tradiva le mie intenzioni.
Con forza cercò di richiudere la porta opponendomi resistenza:
“Non devi spiegarmi niente, và da lei…”
A quelle parole piene di disprezzo e tristezza, al pensiero che per Lei c’era lei, la mia rabbia, la mia irruenza aumentò.
Riuscii ad aprire la porta ed entrai, richiudendola a chiave dall’interno.
Indietreggiò impaurita.
“Vattene!” urlò con voce stridula e infastidita non riuscendo più a trattenere le lacrime.
Indietreggiava ancora di più, quasi spaventata da me.
“No. Stavolta non me ne andrò. Rassegnati!”
Ormai i suoi polpacci toccavano il letto, non poteva più indietreggiare.
Si voltò, pur di non guardarmi. E la udii piangere di nuovo.
“Bunny… non é come credi tu.” La mia voce era rammaricata, piena di sensi di colpa.
Tra un singhiozzo e un altro, che cercava di nascondere, rispose:
“Io non credo nulla e tu non mi devi nessuna spiegazione… lasciami in pace, va’ via.” Le sue parole contraddicevano le sue emozioni e i suoi sentimenti.
Avanzai lentamente verso di lei ancora voltata di spalle.
“Non ti avvicinare, stammi lontano.” Adesso le sue parole erano piene di odio.
Non le diedi retta e avanzai ancora di più.
Io non ero abituato ad essere prepotente, ma quella notte avevo deciso che sarebbe andato tutto come avrei deciso io.
Sì, perché se eravamo finiti in quella situazione in cui dall’amore lei era arrivata a disprezzarmi, la colpa era stata mia che rispettosamente le avevo ubbidito quando mi aveva scritto di lasciarla andare e non cercarla più.
Se solo la avessi chiamata, cercata… ora sarebbe stato tutto diverso. Forse.
Il Mondo, NYC, erano pieni di donne, di belle e intelligenti donne. Ne ero consapevole.
Ma io volevo Lei, lei soltanto e non l’avrei lasciata andare. Mai più.
Giunsi ad un passo da lei e, nonostante avrei tanto voluto toccarla, avere un contatto fisico e pieno di rassicurazione con Lei, capii che la avrei infastidita ancora di più. E io non volevo ciò.
“Se non devi credere nulla, perché sei corsa via piangendo?”
Cercai di essere più dolce possibile.
Si voltò sconvolta, ancora di più.
“È per questo che sei qui? Ti ho fatto pena? Beh, scusami tanto non volevo rovinare il vostro magico momento…”
Era ironica e allo stesso tempo delusa. Era dannatamente gelosa.
Chiusi un attimo gli occhi per concentrarmi e cercare di non fare uscire dalla mia bocca una risata isterica, nervosa e incredula.
“Tu sei gelosa… dici che devo dimenticarti ma poi sei gelosa…”
Rimase in silenzio qualche secondo, giusto il tempo di cercare qualche risposta plausibile, dandomi modo di riflettere sul fatto che ero riuscito – anche se non era quello il modo che avrei voluto usare – a farla ingelosire.
Forse, una volta sbollita la rabbia, avrebbe realizzato che non  voleva seriamente rinunciare a me. A noi.
Adesso sì che mi guardava delusa, amareggiata, scuotendo la testa in segno di rassegnazione.
“Sapevo che era troppo bello per essere vero…”
“Che vuoi dire?” Non capivo.
Cercò di allontanarsi da me e solo quando fu distante, appoggiando la schiena alla parete di fronte, riprese:
“Eri troppo perfetto per essere vero. Eri adorabilmente e amabilmente perfetto.” Un sorriso pieno di nostalgia.
“Mi hai fatto sentire davvero come se fossi l’unica ragazza nel Mondo… ma la realtà è che sei come tutti gli altri. A te non importava nulla di me, ero solo un capriccio… ho fatto bene a non fidarmi di te… lo sapevo che era troppo bello per essere vero.”
Una lacrima le scese sul viso.
Con impeto la raggiunsi alla parete su cui aveva appena appoggiato la testa in senso di conforto per quell’amara realtà.
Lei sussultò non appena presi il suo viso umido fra le mani, mentre la bloccavo tra la parete gelida e il mio corpo caldo.
“No! No! non puoi dire questo! Lo sai che non è vero. Lo sai che per me non sei mai stata un capriccio. Io… io ti ho protetta quando avevi paura, difesa da chi voleva solo usarti… io mi sono ridotto uno schifo per te. Io ho pianto per te. Io ho detto per la prima volta nella mia vita ti amo a te. Non puoi parlarmi così. Tu mi hai lasciato con un biglietto dopo avermi detto che mi amavi. Tu mi hai chiesto di dimenticarti.
Perché allora mi tratti così?”
Ero fuori di me.  
Abbassò lo sguardo, come se sapesse che infondo io avessi ragione.
Lo spostò nuovamente di lato non appena notò la mia camicia ancora sbottonata.
Chiuse gli occhi, triste.
“Bunny, te lo giuro, non c’è stato nulla fra me e quella puttana!”
“Hai ancora il suo odore addosso…” Era sdegnata.
Ed io? Che dovevo fare adesso? Non volevo che sentisse l’odore che Sidia, forzatamente,  mi aveva lasciato. Non potevo permettere che ciò potesse allontanarla ancora di più da me mentre cercavo, a tutti i costi, di ottenere l’effetto opposto.
Sarà stato l’effetto dell’alcool, la paura di perderla per sempre o forse semplicemente la voglia di farla svegliare e farle capire che per me esisteva solo Lei.
La presi in braccio, di forza, e la rimisi giù una volta dentro il box doccia.
Aprii il getto dell’acqua fredda e, in un attimo o poco più, eravamo già bagnati.
Lei, bloccata fra le piastrelle e il mio corpo, cercava di liberarsi.
“Ma sei pazzo? Che fai?!” Mentre tentava di dimenarsi, di uscire dal mio abbraccio.
“Mi tolgo l’odore che non mi appartiene e cerco di farti svegliare!”
“Fallo allora nel suo bagno e io, poi, sono già sveglia. E tu sei pazzo!”
Ci provava a liberarsi ma non ci riusciva. Tutta la mia rabbia, la mia voglia di Lei si era trasformata in forza. Non poteva più andare via da me.
Nel frattempo  l’acqua le aveva bagnato i capelli sciolti che ora sembravano attaccati al suo corpo.
Un corpo che sembrava, perfettamente e sublimamente, un tutt’uno con la vestaglia bianca di raso, ormai quasi trasparente, che non lasciava più nulla all’immaginazione.
“Sono pazzo di te! Io voglio solo te. Desidero solo te. Amo soltanto te, amore mio.” Il mio respiro era affannato, combattevo con me stesso tra il dover tenerla stretta  e il non farle notare quanto la desiderassi.
“Però vai a letto con Sidia!”
Oddio quant’era bella quando era gelosa e bagnata. Il suo viso, le sue labbra, il suo corpo.
Non mi lasciò altra scelta. Dovevo farle capire che non era come pensava lei.
Premetti ancora di più il mio corpo contro il suo, aderendo perfettamente tanto da divenire un tutt’uno.
Si irrigidì, sussultando e spalancando gli occhi.
“Bunny, solo tu mi provochi questo… solo tu riesci a farmi sentire uomo.”
Il contatto dei nostri corpi le piaceva, lo sentivo.
Era meno tesa, aveva istintivamente inarcato la schiena per sentirmi più vicino.
Chiuse gli occhi, per un attimo, per assaporare meglio quella sensazione inebriante data dall’unione dei nostri corpi.
“Non c’è stato nulla con quella. Ero stordito, non mi ricordavo neanche di essere finito nella sua stanza.” Le mie parole dolci erano un sussurro che fuoriusciva dalle mie labbra che quasi sfioravano le sue.
Rimase in silenzio, con la testa poggiata alle piastrelle e gli occhi chiusi per paura che, se mi avesse guardato negli occhi, si sarebbe lasciata andare a quello che entrambi desideravamo.
“Ti prego credimi. Io voglio solo te, Bunny.”
“Ma io non voglio te.” Una lacrima dal suo viso. Un’altra.
Mentre la bloccavo con il mio corpo tenendo il suo viso fra le mani, cercò di liberarsi spingendomi, con le braccia, indietro.
Non glielo permisi. Le afferrai i polsi e li portai alla parete piastrellata bloccandoli delicatamente ma allo stesso fermamente. Adesso la sentivo meglio. Il mio torace ancora scoperto riusciva a percepire le sue forme come se anche lei non avesse avuto nulla addosso.
“Guardami Bunny, dimmelo guardandomi negli occhi.”
Ma lei non osava aprirli e le sue lacrime si confondevano con l’acqua che ci aveva ormai resi bagnati fradici.
“Perché scappi da me? Perché mi fai del male? Stamattina mi sono svegliato credendo di essere l’uomo più felice della Terra e poi mi è crollato il Mondo addosso. Non puoi farmi del male. Neanche io lo merito.”
Aprì gli occhi tristi e confusi. Voleva parlare ma non sapeva cosa dire, come comportarsi.
“Lasciami i polsi, mi fai male. Sento freddo, voglio uscire.”
Tremava.
Le lasciai i polsi e richiusi l’acqua.
Appena fuori dal box doccia c’erano degli asciugamani. Ne presi uno e lo avvolsi attorno a Bunny.
“Scusami, non volevo… ” dissi, con dolcezza e senso di colpa, stringendola forte a me, avvertendo che continuava a tremare per colpa dell’acqua fredda. La tenerezza che provai per Lei in quel momento era indescrivibile.
E lei, avvolta da quel panno di spugna e dalle mie braccia, non disse nulla.
Rimanemmo così  alcuni minuti, poi la lasciai libera. Ero stato troppo irruento. Avevo esagerato. E lei sembrava piccola e indifesa in quel momento.
Mi passò davanti e, tenendosi con una mano i lembi dell’asciugamano per non farlo scivolare a terra, ne prese un altro.
Tornò indietro da me e, con delicatezza lo passò sul mio viso, asciugandolo. Come una carezza.
“Asciugati o ti prenderai un raffreddore.” Era dolce e i suoi occhi sembravano brillare.
“Ti prego, asciugami tu…” lo sussurrai, prendendo fra le mani i lembi della tovaglia, ormai bagnata, che aveva addosso.
E così, mi asciugò delicatamente i capelli, il collo e poi il torace.
Arrossì e abbassò lo sguardo. In quel momento la sentivo. Percepivo le sue emozioni, le sue paure, i suoi desideri. E lei sentiva me.
Ci appartenevamo, dal primo momento, e ci saremmo appartenuti per sempre. Lo percepivo. E anche lei.
La presi in braccio lasciando cadere  l’asciugamano a terra. Adesso non ne aveva più bisogno.
La sdraiai sul letto.
Era calma, rilassata, non me lo aspettavo.
Rimase sdraiata,  guardandomi, aspettando la mia prossima mossa.
Mi sdraiai sopra di lei, facendo leva sui gomiti per non farle male.
Adesso il nostro cuore batteva all’unisono, i nostri respiri erano agitati, i nostri occhi parlavano fra loro rivelandosi tutte le emozioni che quel momento magico ci stava regalando.
Dolcezza. Passione. Speranza. Paura. Desiderio. Amore.
“Ho bisogno di te, Bunny, e tu hai bisogno di me. I tuoi occhi mi parlano, mi rivelano le tue emozioni. Ti amo, Bunny. Non ho mai amato nessuna prima di incontrarti. Voglio te, soltanto te, per sempre te.”
Due lacrime uscirono lateralmente dai suoi occhi a quelle parole d’amore finendo sul cuscino.
Le accarezzai il viso, scostando i ciuffi bagnati dalla sua fronte e asciugando le lacrime.
“Ho paura. Paura di soffrire. Ho sofferto tanto e non voglio più farlo. Eppure so che accadrà ancora. Così cerco di soffrire il meno possibile fuggendo dalle situazioni che porterebbero soltanto sofferenza.”
“Perché pensi che io ti farei soffrire?”
“Perché non sai cosa significhi soffrire, sei stato abituato ad avere tutto dalla vita, tutte le donne che volevi. Ti stancherai di me, della mia situazione di perenne tristezza e mi abbandonerai. Sei il classico ragazzo viziato abituato alle feste nei locali in di Manhattan e ai night club. Non sono la ragazza giusta per te, credimi. Non hai mai amato, non sai cos’è l’amore.”
A quelle amare parole il mio cuore sussultò.
Non mi credeva. Non credeva nel mio amore per Lei, mi considerava soltanto un viziato che si sarebbe stancato di lei e dei suoi problemi. Ancora una volta non si fidava di me. Non mi credeva. Tutti i miei sforzi e le mie parole piene d’amore non erano serviti a niente.
Mi sentii ferito. Deluso e ferito. La amavo ma mi ero stancato di essere visto come quello che la avrebbe fatta soffrire. Più che altro, non ce la facevo più a sentirmi parlare in quel modo, come se i mie sentimenti non contassero niente, come se le mie emozioni fossero irrilevanti. E tutto ciò perchè poi? Perchè ero stato abituato ai quartieri alti della City? Perchè avevo sempre avuto tutto ciò che desideravo? Anche i ricchi piangono e anche io soffrivo. Per lei.
Mi alzai dal letto e, abbottonandomi la camicia bagnata, dissi con tono serio e amareggiato:
“Se è questo quello che pensi di me allora è meglio che mi rassegni. Speravo che avresti capito come fossi in realtà, che ti saresti ricreduta su di me, che ti saresti fidata di me, ma non è stato così. Non so più cos'altro fare per fartelo capire che sono pazzo di te. Mi arrendo. Ti lascio in pace per sempre.”
Chiuse gli occhi, lasciando che altre due lacrime le rigassero il viso, trattenendo i singhiozzi. Immobile.
Aprii lentamente la porta, facendomi coraggio e auto-convincendomi che stessi facendo la cosa giusta e, prima di uscire dalla stanza, mi voltai per l'ultima volta verso di lei; come a voler memorizzare per sempre quella ragazza che aveva cambiato, senza volerlo, persino uno come me:
“Finora sei stata sempre tu quella che mi ha fatto soffrire. Addio Bunny.” La mia voce aveva tremato, nonostante io avessi cercato di celare il mio dolore.
E così, a malincuore, uscii dalla camera, richiudendomi la porta alle spalle e ritrovandomi definitivamente fuori dalla sua stanza. E dalla sua vita.
 
Il punto dell'autrice

Eccomi di nuovo qui!
So per certo che molti di voi aspettavano con impazienza questo settimo capitolo e, sebbene inizialmente avessi pensato di non dividerlo, dopo questa prima parte ho ritenuto più opportuno separarlo dalla seconda parte per non renderlo troppo pesante.
Spero sarà di vostro gradimento e che non abbia deluso le vostre aspettative.
Fatemi sapere, ve ne sarei grata!
Un bacio e al prossimo capitolo!
Demy


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