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Autore: sihu    21/01/2011    6 recensioni
La loro non era mai stata una vita facile, mai.
Fin da quando erano venuti al mondo avevano dovuto fare i conti con la crudeltà delle persone, sperimentando fin da subito l’isolamento e l’abbandono. Per gli altri non erano altro che rifiuti della società, i figli del demonio.
Trovare un motivo per tirare avanti ogni santo giorno, magari sorridendo, non per niente facile. A volte neppure per un tipo vulcanico come Rufy.
Era lui il vero fulcro del trio. Nei momenti peggiori ai due fratelli più grandi bastava guardarlo ridere, ingenuo come quando era bambino, per trovare il coraggio di continuare a sfidare il mondo. Tutto sommato si era sempre trattato di uno scambio piuttosto equo: i due fratelli più grandi insegnavano al piccolo a vivere, lui li faceva ridere e li metteva di buon umore.
Ora però, ogni cosa è andata persa; il trio è distrutto.
Tre uomini sull’orlo del baratro incontrano tre donne destinate ad influenzare le loro vite, sia nel bene che nel male. Riusciranno i tre fratelli a tenere fede alla promessa?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 3
INCONTRI E PAZZIE

Entrare nella villa sulla collina tutto sommato non era stato particolarmente complicato per Sabo, non più delle altre volte. I suoi movimenti erano stati veloci ed automatici, tanto ci aveva fatto l’abitudine a fare quella vita. Tutti i sistemi di sicurezza istallati avevano finito con il rivelarsi insufficienti. 
Una volta entrato aveva preso a vagare soddisfatto e indisturbato per le grandi e maestose stanze pulite da poco, attento a non fare il minimo rumore che potesse mettere in allarme servitori, guardie o magari gli stessi padroni di casa. Il rivoluzionario procedeva lento, soffermandosi con attenzione su ogni dettaglio, cercando qualcosa che valesse la pena essere rubato o quanto meno distrutto. Vagando da una stanza all’altra finì con il trovare un ritratto di famiglia, all’apparenza uno come tanti. 
La solita nauseante scenetta familiare che gli faceva venire il voltastomaco. 
C’era una bella donna bionda, un uomo dall’aria sicura ed una ragazzina fastidiosamente sorridente. Lo guardavano tutti e tre dalla cornice, felici e realizzati, prendendosi gioco di lui e della sua vita che era andata a rotoli. Ogni secondo che passava a guardare quel dipinto non faceva altro che ricordargli che lui una famiglia ormai non l’aveva più, e che la colpa era principalmente sua. Aveva sempre pensato che i suoi fratelli fossero in gamba, che non avessero di certo bisogno del suo aiuto e che infondo avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per rivederli, abbracciarli e fare di nuovo festa con loro. Si sentiva invincibile, quasi immortale, e pensava che fosse lo stesso per i suoi fratelli. Per questo motivo non si era mai curato troppo di restare aggiornato su quanto accadeva nel mondo. 
Quando si era trovato il giornale tra le mani tutte le sue certezze erano scomparse di fronte a lui, aveva realizzato che era stato un idiota ma che ormai non aveva possibilità di rimediare: il tempo era finito. 
Ace era stato giustiziato, Rufy era morto mentre cercava di salvarlo ed il suo cadavere non era mai stato ritrovato. Arrivato a quel punto Sabo aveva appallottolato il giornale senza leggerlo fino in fondo tanto era disgustato da quei giri di parole. Da allora si era chiuso in se stesso, chiudendo fuori il resto del mondo. Non gli importava più di sapere quel che succedeva intorno a lui perchè nessuna dannatissima guerra gli avrebbe restituito quello che aveva perso. Arrivati a quel punto leggere il giornale era solo una fastidiosa incombenza, una perdita di tempo. 

Quando si riscosse da quei tristi ricordi, il rivoluzionario scoprì il suo volto bagnato da quelle che sembravano senza dubbio lacrime. Con un gesto di rabbia fece cadere la cornice, lasciando che si infrangesse a terra con un rumore sordo. Subito dopo averlo fatto realizzò la stupidità del suo gesto che non aveva fatto altro che attirare l’attenzione. Tanto valeva scrivere il suo nome da qualche parte a quel punto. Sabo si mise in posizione di attesa, sicuro che da un momento all’altro sarebbe certamente arrivato qualcuno, attirato da tutto quel baccano. Aspettò a lungo, ma non vide arrivare nessuno. Rimase ancora un po’ a guardare i cocci rotti, sorpreso, poi decise di passare alla stanza successiva.

Quello che vide lo lasciò interdetto, immobile sulla porta. Di fronte a lui c’era la stessa ragazzina del ritratto, solo un po’ più grande e decisamente meno felice. Il suo sorriso aveva lasciato il posto ad un’espressione stanca e assonnata. La ragazza era addormentata sopra un’immensa pigna di volumi polverosi di anatomia, chimica e medicina. Doveva essere crollata mentre studiava, quasi sicuramente per diventare medico ed aiutare la gente. Sul volto della giovane donna non vi era più l’aria spensierata che tanto gli aveva dato ai nervi nella stanza precedente, al contrario. Il suo bel viso era segnato da profonde occhiaie che le davano un’aria decisamente distrutta.

Sabo scartò subito l’idea di farle del male, colpito da qualcosa in lei che non riusciva bene ad individuare. Non poteva colpirla e basta. Per la prima volta dopo mesi di sofferenza che lo avevano reso insensibile a tutto e a tutti, la sua coscienza tornava a farsi sentire.

Sconvolto da quell’incontro inaspettato, decise di uscire prima di fare altri danni e di lasciare al più presto quel villaggio. Una voce dentro di lui gli suggeriva che per il suo bene doveva restare, ma il rivoluzionario era fermamente deciso a non dargli retta. Forse era la stessa voce che lo aveva fermato poco prima, nella stanza. Non poteva mettere la testa a posto, tornare a fare il bravo ragazzo e fare finta che non fosse mai successo nulla. C’erano colpe che non potevano essere lavate così come c’erano posti dai quali non era proprio possibile fare ritorno.

Rifece il percorso dal quale era entrato al contrario, quasi meccanicamente. La sua mente era altrove, persa in un’infinita lotta con se stessa, ma il suo corpo sembrava non averne bisogno per non farsi scoprire. Era già in giardino quando vide l’ombra aggirarsi nei pressi della casa.

Sabo capì subito di cosa doveva trattarsi. Gli ultimi mesi che aveva passato a fare il criminale gli avevano permesso di concludere che probabilmente quel tizio che si stava nascondendo con un pesante ferro in mano stava per fare quello che non era riuscito a lui.
Sarebbe entrato di soppiatto fino al cuore della casa, avrebbe trovato la ragazzina addormentata e non avrebbe esitato nemmeno un momento prima di spaccarle la testa con quell’arnese e scappare con il bottino. Era lo stesso che avrebbe dovuto fare lui, prima del grande ritorno della sua nemmeno tanto compianta coscienza.

Sabo valutò ancora per qualche istante l’idea di andarsene e di lasciare gli abitanti di quella casa al proprio destino ma si scoprì incapace di farlo sul serio. Cambiare idea fu quasi automatico, disturbato dall’idea della ragazza sola con quel disgraziato. Maledisse se stesso ed il mondo che lo aveva reso un ladro, si voltò e prese a correre.
Fermare il ladro fu incredibilmente semplice, molto di più di quello che Sabo pensava. Schivò senza problemi quell’inutile ferro, lanciandolo lontano, assestò un pugno deciso e questi era già a terra, inerme.
La parte difficile venne dopo. Aveva pensato che una volta messo al tappeto il tizio avrebbe potuto andarsene per la sua strada senza problemi e senza alcun rimorso, ma non aveva fatto i conti con alcuni fastidiosi ragazzini del luogo che erano accorsi attirati dalle urla e dal trambusto.

- Sei un eroe, signore. -
Esclamarono estasiati, fissando increduli il tizio riverso al suoi piedi. 
Nei loro occhi il ragazzo scorgeva una sorta di ammirazione che non vedeva da tanto, troppo tempo. Chiuse gli occhi solo un momento e quando li riaprì si ritrovo su un’altra isola, molto lontana da quella dove si trovava in realtà. I bambini di fronte a lui erano scomparsi ed al loro posto ne era rimasto solo uno, con un grosso sorriso ed un buffo cappello di paglia.

- Eccezionale, fratellone! -
Esclamò quella sorta di fantasma prodotto dalla sua mente che stava di fronte a lui, ostinatamente reale. 
Il rivoluzionario mosse una mano cercando di afferrare Rufy ma questi svanì insieme a quella sorta di visione, lasciandolo solo ed in lacrime in mezzo ad un sacco di gente che lo credeva una sorta di eroe buono.
Sabo imprecò, cercando di dileguarsi, subito bloccato dalla gente era accorsa alle grida dei ragazzini. Tutti sorridevano, gli davano pacche sulle spalle e gli facevano domande. Nessuno di loro aveva capito come stessero realmente le cose. Nessuno metteva in dubbio le sue intenzioni.

- Che succede? -
Chiese Kaja, comparendo sulla porta con un’aria spaventata. 
Sabo si girò lentamente, sorpreso da quella voce tanto sottile e spaventata, per trovarsi di fronte la ragazza che aveva visto poco prima, questa volta sveglia.

- Ti ha appena salvato la vita. -
Spiegò uno dei bambini, correndo incontro alla ragazza che prese a fissare il rivoluzionario con un’espressione decisamente incredula. 
Lo studiò attentamente in modo severo e sospettoso, quasi dubitasse che davvero quello sconosciuto comparso dal nulla potesse davvero avere fatto un gesto tanto nobile, poi sorrise. In pochi istanti fu accanto a lui e si lanciò tra le sue braccia, stringendolo forte.
Sabo non faceva altro che guardarsi intorno, intontito. Era bastava un ora in quel villaggio dimenticato dal mondo ed era passato dallo status di ladro a quello di eroe, senza quasi accorgersene e soprattutto senza che gli altri si accorgessero di quell’imbroglio.
Ora, nonostante le reticenze dell’interessato stavano cercando di convincerlo a partecipare ad una festa in suo onore. Sebbene l’istinto di Sabo continuasse a dirgli di lasciare quel posto, prima che fosse troppo tardi, alla dine decise di lasciarli fare, godendosi quel momento fino in fondo.

Era sempre lo sciacallo, dopo tutto.

***

Nojiko ed il ragazzo sconosciuto vivevano insieme ormai da qualche mese, per quanto gli abitanti del villaggio ritenessero del tutto improbabile quella convivenza. Qualcuno di loro aveva protestato, ma aveva finito per fare i conti con la testa dura della ragazza. 
Come sua madre aveva portato a casa due orfane ed aveva deciso di crescerle come sue figlie, lei aveva deciso che avrebbe aiutato quel ragazzo o quanto meno ci avrebbe provato.
Quello che ripeteva a tutti, furiosa, era che tra loro non c’era assolutamente nulla. Non era di certo innamorata dello sconosciuto, ne credeva seriamente di poter perdere la testa per lui. Nojiko era affascinata da quel ragazzo perché aveva visto qualcosa nei suoi occhi, dietro quello sguardo deluso e spento. Una sorta di spirito battagliero, deciso, in grado di tenerle testa. Insomma, più che un compagno da amare la ragazza lo vedeva come un amico con cui litigare che non tremasse di fronte alla sua rabbia.
Dopo le difficoltà iniziali la convivenza aveva preso ad andare piuttosto bene, tra alti e bassi, litigate e discussioni. In quel lasso di tempo avevano condiviso molte cose, dal tetto al cibo, ma nonostante questo la ragazza non sapeva ancora nulla del suo silenzioso amico. Non sapeva da dove veniva, per quale motivo si fosse ridotto in quel terribile stato e nemmeno il suo nome.

- Il mio nome è maledetto. Chi lo conosce è destinato a soffrire. -
Ripeteva lo straniero quando Nojiko tirava fuori l’argomento, di solito durante i pranzi che consumavano insieme alla piantagione oppure a casa.
La ragazza, dal canto suo, era decisa a non darsi per vinta. La testardaggine di Nojiko era pari solamente alla testa dura di Ace. Ogni volta che erano a tavola la giovane donna si dava da fare per riempire quei silenzi raccontando di se al suo ospite.
Lui non faceva mai domande, ascoltava e basta. A volte sembrava annoiato, altre distante e qualcuna persino affascinato dalle parole della ragazza. Nojiko gli aveva raccontato nei minimi dettagli la guerra che si era consumata nel suo villaggio contro gli uomini pesce, di come erano infine riusciti ad uscirne grazie all’aiuto di una ciurma di pirati sgangherati usciti dal nulla e di come sua sorella aveva deciso di partire con loro per realizzare i suoi sogni. L’unico dettaglio che aveva volontariamente trascurato era il nome della ciurma, spaventata che quell’informazione potesse mettere in qualche modo in pericolo Nami. Contrariamente a quanto si aspettava, il ragazzo non reagì. Si limitò a guardarla a lungo prima di brontolare che gli uomini pesce che aveva conosciuto durante la sua vita in fondo non erano poi così male. Questo aveva scatenato la rabbia della ragazza, svanita quasi subito dopo che il ragazzo si fu allontanato.
Ad ogni modo per la maggior parte del tempo Ace restava immobile, fingendo il massimo disinteresse. Per quanto quella ragazza fosse in gamba e cercasse con tutta se stessa di vincere la barriera di indifferenza dietro la quale lui si nascondeva, non poteva aiutarlo. 

Da quando il mondo gli aveva mostrato tutta la sua crudeltà, portandogli via le due cose che amava di più al mondo, Ace aveva deciso di estraniarsene. Da allora non aveva più letto un giornale, ne chiesto a qualcuno cosa stesse combinando la marina o il governo mondiale. Le tragedie del mondo, così come le conquiste dei pirati sognatori, non erano più affari che suscitavano il suo interesse.

- È una bella giornata, vero? -
Chiese Nojiko una mattina, mentre i due si stavano dirigendo verso il campo di mandarini. 
Il sole era sorto da poco, eppure era già caldo e rendeva il piccolo tratto di strada decisamente piacevole.

- Mhm.. -
Mugugnò l’altro in risposta. 
Le belle giornate lo rendevano ancora più triste e di cattivo umore. Ace amava la pioggia, la neve e tutto ciò al quale si accostava meglio tutto il dolore che provava dentro il suo cuore.

- Perfetta per raccogliere i mandarini da spremere.. -
Continuò Nojiko, ignorando il tetro brontolio del suo compagno.

- Mhm.. -
Ripeté Ace, sbuffando. 
Segretamente sperava che la ragazza la finisse con tutte quelle domande e con tutte quelle chiacchere ma ormai la conosceva abbastanza da sapere che era una speranza vana. Nojiko non sarebbe mai stata zitta, in nessun caso, anche a costo di mettersi a parlare con dei granelli di polvere o con dei fili d’erba.

- Sai, è stata mia madre ha insegnarmi tutto. Questo campo.. -
Cominciò Nojiko, indicando la prima fila di mandarini che spuntava dietro lo steccato.

- Era suo, lo so. Non fai che ripeterlo.. -
Sbuffò Ace, indispettito. 
Nojiko si fermò, fissando intensamente il ragazzo. Qualunque donna sarebbe stata profondamente offesa dal modo in cui era stata zittita, eppure lei rideva. Più la guardava, più la scopriva divertita e sorpresa.

- Ne ero sicura! -
Esclamò la ragazza, saltellando felice.

- Di che parli? -
Chiese Ace, disturbato la tutta quella felicità a cui non riusciva a dare una spiegazione logica. 
Lui l’aveva ferità, eppure lei sembrava la ragazza più felice di tutta l’isola.

- Tu fingi solo di non ascoltarmi.. -
Concluse Nojiko, correndo avanti a lui. 
Ancora una volta Ace avrebbe voluto dire qualcosa ma si obbligò a stare zitto. Non voleva affezionarsi a lei, tutte le persone che gli volevano bene erano destinate a soffrire. Tutte, a partire da suo fratello per continuare con suo padre, i suoi fratelli e chiunque lo avesse conosciuto. Nessuno era scampato a quella maledizione.

Per tutto il resto della giornata, Nojiko ed Ace non si rivolsero più la parola presi come erano dal lavoro nei campi. Il ragazzo eseguì tutti i compiti che lei gli aveva assegnato. Finito il lavoro Ace tornò verso casa. Era solo, Nojiko gli aveva chiesto di aspettarlo in cucina e così lui aveva fatto. Era così che si era trovato di fronte alla foto ed era iniziato tutto. Nella foto c’era una donna con due bambine. Tutte e tre erano felici, sorridevano. Erano una famiglia, proprio quello che lui non aveva più. Subito la sua mente tornò a Rufy e a Sabo e il suo cuore si strinse.
Quando il dolore divenne troppo, Ace si alzò dalla sedia e corse fuori senza meta fino a che non arrivò ad un burrone a strapiombo sul mare. Alla sua destra c’era una lapide, ma il ragazzo non ci fece caso. Nella sua testa c’era spazio solamente per un pensiero; tutto quello che voleva era smettere di soffrire, chiudere gli occhi e non sentire più niente.

Si passo la lama del coltello che aveva usato quella mattina per cogliere i mandarini sui polsi, poi si lasciò cadere nel vuoto.
Mentre cadeva, prima di scivolare lentamente nell’oblio, si sentì libero. 

Finalmente il suo dolore avrebbe avuto una fine.

 ***

Rufy si era trovato davanti Keira una mattina presto, appena sveglio. Era talmente addormentato che all’inizio non l’aveva quasi notata convinto come era di non essere ancora del tutto uscito dal mondo dei sogni. Rey era partito da circa una settimana, giorno più giorno meno, dicendo che avrebbe preparato la nave per il grande incontro fissato per sei mesi più tardi. Rufy aveva annuito, abbozzando un sorriso. Per quanto fosse diventato forte e avesse ancora tempo per migliorarsi, l’idea di tornare dai suoi compagni non lo rendeva felice come avrebbe dovuto essere. Aveva ancora bene impresso nella mente i loro sguardi spaventati e i loro corpi feriti. Il timore di non essere all’altezza di proteggerli era grande, ma il ragazzo di gomma sapeva bene che si sarebbe dovuto rassegnare a conviverci.

Dopo la battaglia al quartiere generale della marina, nulla sarebbe stato più lo stesso. Il suo modo ingenuo e spensierato di guardare il mondo era andato perso, forse per sempre. Ormai si era abituato a fingere, ma in realtà non riusciva a fidarsi di nessuno. La sola idea di affidarsi ad uno sconosciuto, come più volte avevano fatto nel corso del loro viaggio, gli sembrava una pazzia. 
Rufy ricordava bene quando si era svegliato, qualche settimana dopo gli scontri, ed aveva realizzato di essere ancora vivo. Allora aveva iniziato a piangere, come un bambino. Jimbei, al suo fianco, aveva creduto fossero lacrime di gioia, ma aveva subito dovuto ricredersi. Il ragazzo gomma sapeva bene che avrebbe dovuto morire insieme ad Ace e forse una parte di lui l’aveva fatto. Quello che era rimasto di lui aveva promesso che avrebbe protetto i suoi compagni e continuato il viaggio, anche se parte del suo entusiasmo era andato perduto. Insieme a Rey ed al grosso uomo pesce era tornato nel luogo dove aveva perso il fratello per mandare un messaggio ai suoi compagni, poi era sparito. Credeva che due anni lo avrebbero aiutato a tornare quello di prima ma ora, dopo un anno e mezzo, poteva tranquillamente affermare che non erano serviti a nulla. Era diventato più forte, certo, ma i cambiamenti si fermavano a quello. Non si sentiva lo stesso di prima e tanto meno una persona migliore. L’unica cosa che aveva ben chiaro in mente, il suo pensiero fisso, era la necessità di allenarsi che lo portava a non riposare per più di quattro ore.

a Rufy era servita una seconda occhiata per rendersi conto che la ragazza non era del tutto umana e soprattutto era piuttosto minacciosa. Lo fissava dritto negli occhi con una furia che non aveva apparenti spiegazioni.

- Che razza di mostro sei? -
Aveva chiesto il ragazzo di gomma, grattandosi la testa perplesso. 
Keira lo studiò, attenta. Il ragazzo non sembrava spaventato, solo curioso. Forse era convinto che fosse solamente un sogno bizzarro, oppure era davvero coraggioso a parlarle in quel modo senza curarsi di quelle che potevano essere le conseguenze.

- Non sono un mostro, idiota. -
Aveva sibilato lei, in risposta. 
A quelle parole Rufy aveva sospirato, visibilmente sollevato, aveva alzato le spalle e le aveva offerto un grosso frutto succoso. Keira, spiazzata, era rimasta immobile. Mai prima d’ora aveva incontrato un umano così. Persino quel Roger a confronto sembrava essere più sano di mente di lui.

- Sei un tipo strano. -
Dichiarò lo spirito, con una espressione tremendamente seria.
Benchè non fosse la prima volta che qualcuno gli diceva una cosa del genere, Rufy si sorprese. Le parole dello spirito avevano una solennità ed una complessità che affascinava ed allo stesso tempo spaventava il ragazzo.

- Cosa sei? -
Chiese Rufy, serio. 
Ad un’occhiata superficiale quella che si trovava di fronte a lui poteva sembrava una ragazzina di appena qualche anno più grande di lui dall’aspetto bizzarro, ma qualcosa gli diceva che c’era di più. La solennità con cui aveva parlato, la profondità dei suoi sguardi e la sicurezza dei suoi movimenti sembravano portare con se una saggezza secolare.

- Sono uno spirito di questa foresta, proteggo questa isola... -
Spiegò Keira, afferrando il frutto dalle mani del ragazzo e mordendolo avidamente. 
Normalmente non si cibava di vivande umane per rispetto dell’isola, eppure trovò quel frutto estremamente buono.

- Accidenti, allora devi essere vecchia! –
Esclamò il ragazzo di gomma, ingenuo, tornando a grattarsi la testa.

- Insolente, non sono un essere umano! –
Ringhiò Keira, furiosa, meditando vendetta; come poteva un idiota del genere parlargli a quel modo? 
Prima che lo spirito potesse fare qualsiasi mossa, Rufy divenne improvvisamente serio. Keira si sorprese di quella trasformazione, impensabile pochi istanti prima.

- Quindi per te io sarei una specie di minaccia per la tua isola, giusto? -
Chiese il ragazzo, senza ombra di ironia nella voce, guardando affascinato la strana creatura che aveva appena smesso di mangiare e che ora lo fissava senza staccare lo sguardo.

- All’inizio lo pensavo, lo ammetto. -
Dichiarò Keira, stranamente sincera. 
Non era da lei dire la verità, soprattutto di fronte ad un umano, ma per qualche ragione sentiva che doveva fare un’eccezione.

- Cosa ti ha fatto cambiare idea? -
Chiese Rufy, curioso ed affascinato da quella donna che racchiudeva uno spirito ed un’esperienza di secoli nel corpo di una ragazzina.

- Gli spiriti come me hanno segreti che non rivelano. Tuttavia, posso leggerti nel cuore -
Rispose lei, stizzita. 
Avrebbe davvero voluto leggere cosa passava per la testa di quel ragazzo, così come avrebbe voluto essere in grado di prevederne il futuro.

- Non mi va, devo allenarmi.. -
Mormorò Rufy, alzandosi. 
Alle parole di Keira il suo volto si era fatto scuro, quasi temesse che lei potesse arrivare ad indovinare i suoi punti deboli, i suoi demoni e le sue paure.

- Posso leggere il tuo futuro, se vuoi. -
Propose ancora Keira, aspettando attenta la risposta del ragazzo. 
Gli era bastata un’occhiata attenta per capire che quel ragazzo faceva parte di un ristretto gruppo di umani destinati a grandi cose. Ne aveva incontrati molti, ma oltre a lui solamente quel Roger era riuscito a sopravvivere così a lungo sulla sua isola.
Qualunque umano sarebbe stato più che felice di una proposta del genere. Gli spiriti, si sa, non mentono mai. Le loro predizioni sono rare almeno quanto sono preziose.
Imbattersi in uno di loro e vedersi fare una predizione non è un’esperienza che molti possono vantare, nemmeno nella seconda parte della rotta maggiore.

- No, grazie. Se sapessi già tutto per cosa varrebbe una pena continuare questo viaggio? -
Chiese Rufy, sorprendendo lo spirito con la sua ingenua risposta. 
Nessuno prima d’ora aveva risposto in quel modo. Persino Roger l’aveva lasciata fare prima di correre dietro al suo sogno.

- Sei testardo, moccioso. -
Sibilò lei, osservando il ragazzo allontanarsi a grandi passi verso il profondo della foresta.

Avrebbero parlato ancora, ne era certa.

ANGOLO DELL'AUTRICE
per prima cosa, grazie a tutti quelli che hanno letto la mia storia; sia a quelli che commentano che ai lettori silenziosi!
spero che con l'avanzare della storia spariscano anche tutti i vostri dubbi. mi rendo perfettamente conto che la trama di questa storia è complicata. vi assicuro che nella mia testa è ben chiara, forse meno sulla carta!

Akemichan: grazie mille!
questa volta ti ho fatto aspettare un po' di più, mi spiace. per quanto riguarda Sabo, dato che di lui sappiamo veramente poco, mi sono presa la briga di metterci del mio. per come la vedo io è si un rivoluzionario, ma anche piuttosto distratto. lui credeva che non sarebbe mai potuto succedere nulla ai suoi fratelli quindi non si è mai preoccupato di sapere dove fossero. quando ha letto della loro morte è andato in crisi, si è chiuso in se stesso e quindi non è venuto a sapere che il realtà Rufy stava bene.
per quanto riguarda le coppie, invece, posso dire che per il momento non ho in programma di fare nascere storie d'amore. si tratta principalmente di compagni di viaggio che aiuteranno i tre fratelli a capire alcune cose ed andare avanti.
per quanto riguarda gli errori, grazie, lo scorso capitolo ho litigato abbastanza con il mio pc!

Brando: grazie mille!
Ace e Sabo hanno letto il giornale, uscito subito dopo la guerra, nel quale Rufy veniva dato per morto. nessuno dei due si è preso la briga di leggerne altri quindi non sanno della gita con Rey e Jimbei ne tanto meno che il loro fratellino è vivo!

Tre 88: grazie mille!
questa storia si basa sul fatto che ognuno dei tre fratelli crede gli altri due morti quando il realtà sono tutti vivi. spero di averti chiarito le idee e non avertele confuse ancora di più!
riguardo Ace non dico nulla, nel prossimo capitolo la parte dedicata a lui sarà principalmente introspettiva e risponderà a tutte le tue domande!
Keira è uno spirito, non ha età. ha il corpo di una ragazzina ma ha svariate centinaia di anni.

Chibi_Hunter: grazie mille!
spero che questo capitolo non ti abbia deluso e che abbia risposto almeno a qualcune delle tue domande!

Raffa_Chan: grazie mille!
mi spiace, niente anticipazioni su Ace tranne che sono quasi certa che non si metteranno insieme.
:D non ti resta che aspettare!

Koruccha: grazie mille!
ho fatto tesoro dei tuoi consigli e delle tue note!

Micyu_chan: grazie mille!
bah onestamente io un Rufy innamorato non riesco ad immaginarmelo bene. lo vedo più come il compagno di avventure sempre sorridente. ad ogni modo, mai dire mai!

GRAZIE MILLE, AL PROSSIMO CAPITOLO!

  
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