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Autore: SecretHorrorWorld    25/01/2011    0 recensioni
Era questo il male che mi avrebbe uccisa?
L’ennesima stilettata fece proseguire quel terribile supplizio, facendomi gridare come un’ossessa. Mi artigliai il petto con le mani, graffiandomi la pelle, cercando di strapparla come se quel dolore avesse potuto diminuire l’altro, più interno, che mi distruggeva. Stavo morendo, oh si, lo sentivo…
Mi accorsi a malapena che l’Essere che mi aveva portato a morire in quel modo atroce si era precipitato al mio fianco, avvolgendomi con un lenzuolo e poi con le sue braccia: stava sussurrando qualcosa, ma le mie orecchie erano sorde e sentivano soltanto il rombo del mio cuore che batteva all’impazzata e che, lentamente, diminuiva il suo battito.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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copertina 

Stoffe brillanti, gioielli splendenti, risa sensuali e passi di danza.

L’immenso salone era un putiferio di luci e suoni, un frastuono terribile per chi possedeva un fine udito come il suo. Le scarpe eleganti delle signore e delle fanciulle picchiettavano a tempo sul pavimento in marmo, dando l’impressione di scivolare sulle note di valzer voluttuosi e impudichi. Nulla  a che vedere con le danze rigide e formali dell’aristocrazia inglese, le quali impedivano il minimo contatto fisico. I francesi amavano danzare, e lo esprimevano in balli carichi di passione.

Forse era anche per questo se non aveva ancora avuto il coraggio di abbandonare la sua terra natìa, malgrado gli orrendi ricordi che essa serbava.

Fuori dalle enormi e preziose vetrate istoriate infuriava una tempesta di neve, ma i nobili ospiti non se ne curavano, troppo presi com’erano a festeggiare l’ultimo giorno dell’anno. I due camini posti frontalmente ai lati della sala impedivano agli invitati di avvertire il freddo gelido di quella notte invernale. Erano tutti così scioccamente occupati a divertirsi che nessuno si era accorto dell’improvviso arrivo di un estraneo, avvolto in un cupo mantello nero.

Il suo soprabito sparì con incredibile velocità, rivelando l’alta e muscolosa figura di un giovane mascherato. Il suo nobile volto, come da regolamento, era coperto da una preziosa maschera in stoffa tempestata di pietre preziose, come a voler sottolineare il suo rango. La squisita fattura dell’abbigliamento l’avrebbe escluso da qualsiasi malelingua: un uomo così elegante e di bell’aspetto doveva essere sicuramente ospite dei padroni di casa.

Un valletto, riconoscibile per l’assenza di maschera, gli passò accanto. Il nuovo arrivato si impadronì di un calice  di vino rosso, giocherellando con lo stelo del bicchiere mentre scrutava la folla accaldata e stanca.

L’aria era satura dell’odore del loro sangue…

Se chiudeva gli occhi poteva distinguere il battito del cuore di ciascuno di loro, e ballare al ritmo di quella dolce melodia. Era una sinfonia forse più bella di quella emanata dai violini.

Respirò a pieni polmoni e le sue iridi acquisirono immediatamente la stessa tonalità vermiglia del vino nel suo bicchiere. Le gengive iniziarono a dolere e si sfiorò con la lingua la punta acuminata di un canino, pregustando già il piacere della caccia che sarebbe avvenuta di lì a breve.

Adesso non gli restava che cercare la sua preda.

E, forse, l’aveva già trovata…

 

Nascondendo un ghigno di soddisfazione, si gettò in mezzo agli innocenti mortali che continuavano imperterriti i loro divertimenti, ignari della tragedia che stava per compiersi tra quelle mura.

Poteva già sentire il sapore del sangue sul palato.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

I miei genitori mi avevano insegnato a sorridere sempre, in qualsiasi situazione.

Perciò sorridevo, mentre osservavo la mia amata sorellastra volteggiare con grazia tra le braccia di un qualche gentiluomo sconosciuto, impossibile da riconoscere a causa della maschera che gli celava tutto il viso. Ma quella era una notte di inganni – un ballo in maschera, l’ultimo dell’anno. Per salutare con una vaga nostalgia l’anno che andava concludendosi e aprire le braccia al nuovo secolo che arrivava.

Sarei entrata nel nuovo anno da sola, così come stavo terminando il passato. Mentre Jacqueline l’avrebbe festeggiato con uno dei numerosi cavalieri che avevano fatto a gara per rubarle un ballo, addirittura scrivendo con scherzosa prepotenza il proprio nome sul suo piccolo carnet.

Oh, la mia sorellastra splendeva davvero in mezzo a tutte quelle luci. Era una rara bellezza, come negarlo? Si trovava nel suo elemento: i soffici boccoli ramati ondeggiavano ad ogni giravolta, sfuggendo dalla sua complicata acconciatura e donandole un’aria ancora più selvaggia e ribelle che la rendeva molto più attraente e sensuale di quanto io non sarei mai stata. Ed eccola che cambiava un altro cavaliere, scivolando con grazia tra le sue braccia e facendo ondeggiare il lungo abito di seta azzurra fino a scoprire le caviglie. Quale audacia! Se l’avesse vista mio padre l’avrebbe confinata nelle sue stanze fino all’indomani mattina.

Quanto a me… Avevo preferito scegliere qualcosa di meno appariscente, per quanto altrettanto bello ed elegante.

Il semplice abito color panna che indossavo scivolava morbidamente fino alle caviglie, ondeggiando ad ogni mio passo come una tenda al vento. Il vestito copriva le spalle e lasciava le braccia completamente nude, ma avevo sopperito a questa mancanza con dei guanti in organza color crema alti fin sopra il gomito. L’orlo della scollatura, quadrata e piuttosto ampia, era ricamato con piccoli fregi dorati, mentre una cintura color sabbia si stringeva sotto il seno, mettendo sensualmente in risalto le mie forme. Era forse un abbigliamento sin troppo audace, anche se non al pari di quello di Annabelle, ma per quella notte la mia identità era protetta – e avevo intenzione di fuggire nella mia stanza ben prima che lo scoccare della mezzanotte obbligasse tutti gli ospiti a rivelare la propria identità.

Un soffice boccolo dorato scivolò via dall’elegante acconciatura che aveva richiesto tre ore di lavoro incessante alla mia cameriera, andando a posarsi sulla spalla. Lo sfiorai ma senza rimetterlo a posto, poiché nessuno avrebbe potuto rimproverarmelo. Sapevo che i miei lunghi capelli erano stati sapientemente lavorati dalle dita sapienti della mia dama, cosicché ai boccoli si intrecciavano fili di piccole perle e sottili forcine d’oro. L’unico altro ornamento che mi ero permessa era un bracciale di perle agganciato al polso, regalo di mia madre per quello stesso Natale.

La maschera, invece, l’avevo fatta confezionare appositamente per quell’occasione. Interamente di pizzo bianco, salvo per i bordi dorati abbinati al vestito, essa mi copriva il volto dalla fronte alla punta del naso, rendendo impossibile il riconoscimento per chi non mi era mai stato presentato.

Raggiunsi, senza che nessuno mi notasse, la poltroncina vuota accanto alla vetrata e lontano dalla confusione degli ospiti, sentendomi subito molto più a mio agio. Avrei voluto strapparmi quella maschera di dosso ma non potevo, se non volevo che i miei genitori si accorgessero della mia trasgressione alla regola. Sin da quando ero venuta  a conoscenza del ballo avevo temuto proprio di finire a fare da tappezzeria, ed ecco che i miei timori si erano rivelati esatti. Già, mia sorella era molto più espansiva e divertente di me, a dispetto di tutto quello che aveva passato. Come potevo biasimare chi preferiva la sua compagnia alla mia?

Avrei voluto piangere, ma mi sforzai di mantenere un contegno. Non potevo lasciarmi andare in un modo tanto disdicevole, ero pur sempre una fanciulla nelle cui vene scorreva sangue nobile.

 

«Per quale oscura ragione una simile bellezza non è tra le braccia di un cavaliere a danzare un valzer?»

Sussultai, venendo bruscamente strappata ai miei cupi pensieri e ritrovandomi improvvisamente a fissare un giovane uomo che aveva osato rivolgermi la parola con così tanta impertinenza. Ed era stato tanto sfacciato da farmi persino un complimento.

Prima di rispondergli mi concessi di studiare il suo aspetto. Indossava un completo che andava di moda forse trent’anni prima, durante l’epoca gloriosa di Marie Antoniette e la sua corte brillante: una redingote, larga dalla vita al polpaccio, lunga e pesante, di color porpora e dai preziosi ricami dorati; i bottoni, grossi come noci, erano d’oro e dalle maniche, ripiegate fino al gomito, sbucavano come una cascata preziosi pizzi candidi. La giacca era aperta in modo che si vedesse il giustacuore attillato, mentre la cravatta era formata da bande di tessuto fine, ornata con pizzi, attaccate alla camicia e annodate davanti in un fiocco, sul quale egli aveva appuntato una spilla incastonata con un prezioso rubino. I pantaloni, della medesima stoffa della giacca, erano fermati al ginocchio da altri bottoni d’oro; le scarpe erano invece in pelle, sormontate davanti da una fibbia in metallo, e con un modesto tacco.

L’unico neo cupo, in quell’intera visione, erano i suoi capelli, più neri della pece stessa e assurdamente lunghi. Li portava legati alla base del collo con un fiocco color porpora, così come esigeva il suo costume, ma non avevo dubbi sul fatto che non si trattasse di una parrucca. Per il resto ogni cosa, in lui, suggeriva una visione dove sangue e oro erano mescolati. Ispirava una certa deferenza.

«Dovreste sapere, monsieur, che è piuttosto indiscreto accostarsi ad una fanciulla sola e che non vi è mai stata presentata.» Lo rimproverai infine piuttosto giocosamente, decidendo di ignorare quella strana sensazione che mi gridava di allontanarmi da lui. Avrei voluto pretendere il suo nome ma, in effetti, durante quel genere di feste non era possibile né necessario conoscere tutti coloro con cui si danzava o si parlava.

Lo sconosciuto mascherato colse lo scherzo, abbozzando un inchino di scusa e un sorriso malizioso. «Non ho cattive intenzioni, mademoiselle, se non quella di danzare con voi fino alla mezzanotte.»

Non potei trattenere un sorriso nell’ascoltare il suo tono morbido e persuasivo. Non mi sarebbe dispiaciuto approfondire la sua conoscenza, in effetti, benché sapessi perfettamente che non avremmo più avuto modo di incontrarci ancora: i miei genitori avevano già provveduto a trovarmi uno sposo, infatti, che purtroppo non si era potuto presentare.

«Se è solo questo il vostro desiderio, allora credo di potervi accontentare.» Mormorai, accettando la mano guantata che mi porgeva e alzandomi dalla poltroncina.

Proprio in quel momento terminarono i balli di gruppo e il centro del salone si svuotò, per dare più spazio ai ballerini di danza in coppia. Il mio partner sconosciuto mi accompagnò al centro della sala, sistemandosi come se già sapesse che l’orchestra avrebbe suonato un valzer. Portò la sua mano destra dietro la mia schiena, sfiorandola e attirandomi più vicina al suo corpo, e sollevò l’altra mano all’altezza del viso. Non potei fare a meno di arrossire per quell’indecente vicinanza, ma non mi lamentai. Per quella notte non avrei dovuto rendere conto delle mie azioni a nessuno.

La musica iniziò, e sulle note dei violini e del clavicembalo iniziammo a volteggiare leggeri come se quasi non sfiorassimo il pavimento, tanta era la grazia e l’abilità che il mio compagno aveva nel danzare. I suoi occhi erano fissi nei miei, e anche se sapevo che avrei dovuto abbassare lo sguardo e arrossire imbarazzata, non riuscivo a distogliere l’attenzione da quelle pozze sanguigne, come se esse mi avessero incatenata. Non avevo mai visto occhi di un tale colore, ma era anche vero che non mi ero neppure mai trovata in una simile situazione di vicinanza con un uomo.

«Insomma… Non volete dirmi il vostro nome?» Domandai, genuinamente incuriosita ma cercando di allontanare la sua attenzione da me. Il suo sguardo penetrante aveva un qualcosa di famelico.

Vidi un guizzo di divertimento attraversare i suoi cupi occhi vermigli e le sue labbra piegarsi in un accenno di sorriso. «Questa notte sarò Giacomo Casanova.» Sussurrò, insinuante.

Oh, questo dunque spiegava il suo travestimento. Si era abbigliato come il famoso seduttore veneziano, i cui scabrosi diari erano stati fatti sparire dalla biblioteca di mio padre quando io avevo iniziato a leggere, e per un attimo quella consapevolezza mi provocò un brivido lungo la schiena. L’unico motivo per cui non abbandonai la danza fu solo perché non avrebbe osato comportarsi da disonesto in una stanza colma di persone e guardie armate.

Sorrisi accondiscendente, sentendomi incredibilmente al sicuro sotto la maschera che indossavo. In una situazione normale non avrei mai osato intavolare una simile conversazione con un estraneo, ma ormai l’anno era finito, e con l’ultimo rintocco della mezzanotte se ne sarebbe andata anche quell’ultima pazzia.

Avrei dovuto fare più attenzione a ciò che stava facendo. Non avrei dovuto lasciare che il suo sguardo mi ammaliasse al punto da farmi perdere ogni cognizione della realtà, lasciandomi in sua completa balia. Ma la sua mano sulla mia schiena era troppo decisa, il suo corpo troppo vicino, la sua tecnica troppo affinata perché un’ingenua fanciulla quale ero io potesse anche solo pensare di sfuggirgli.

Continuando a danzare, mi aveva condotta fino all’angolo più nascosto della sala, laddove si aprivano le porte delle cucine e quelle che conducevano al piano superiore, verso i nostri appartamenti. Senza staccare i suoi occhi dai miei cessò di muoversi, aprendo con un gesto di cui non mi accorsi proprio una di quelle porte. E, senza che nessuno se ne accorgesse, sparimmo dietro di essa.

Al buio, e quindi privata del suo sguardo, mi riscossi e tornai in me.

«Cosa…» Balbettai, incerta. «Che cosa state facendo?»

Non potevo vederlo, ma avvertivo acutamente la sua presa sul mio braccio, ed era una sensazione all’improvviso terribilmente angosciante. Mi attirò se possibile ancora di più verso di sé, facendomi sentire il calore del suo corpo sul mio e premendomi contro la dura parete. Provai a gridare, ma la sua bocca calò voracemente sulla mia, impedendomelo.

«Non vi sentirà nessuno, mademoiselle.» Sussurrò sulle mie labbra, facendomi tremare dal terrore. Mi sforzai di rimanere immobile – temendo che potesse farmi anche più male – e subito sentii il suo alito caldo sul collo, e la punta della sua lingua percorrerlo con lentezza esasperante.

Un gemito di disgusto sfuggì alle mie labbra, ed egli se ne accorse.

«Presto tutto ciò vi sembrerà eccitante, credetemi.»

Furono le ultime parole che gli sentii mormorare prima che i suoi affilati canini affondassero nella mia carne, strappandomi un grido che non riuscì a soffocare.

 

 

Quando riaprii gli occhi, mi accorsi di trovarmi nella mia stanza.

Oh, si: ero proprio sdraiata sul mio letto, al sicuro, avvolta dalle morbide lenzuola di seta che non abbandonavo nemmeno durante la stagione più fredda. Sentivo un forte mal di testa, ma forse poteva essere imputato al troppo champagne. Dopotutto ero stata ad una festa la notte precedente, vero?

Ma una rapida occhiata alla finestra mi fece comprendere che la notte non era ancora trascorsa. Il mio corpo venne percorso dall’ennesimo brivido di paura e mi raddrizzai, mettendomi repentinamente a sedere sul mio giaciglio. Tremante, portai una mano a sfiorarmi il collo che mi doleva in un modo incredibile, e quando sollevai le dita davanti agli occhi vidi che erano macchiate di sangue.

Il mio.

«È una fortuna che vi siate ripresa così presto. Sapete, iniziavo ad annoiarmi.»

Sussultai, voltandomi verso il punto dal quale avevo sentito provenire quella profonda voce maschile. Dal buio della stanza emerse una figura, un uomo in realtà, lo stesso con il quale avevo danzato per quasi tutta la sera, lo stesso che aveva osato… Aveva osato… Oh Dio, mi mancavano le parole…

Aveva osato mordermi.

«Voi!» Esclamai, la voce ridotta ad un flebile sussurro. «Voi… Cosa…?»

Una debole risata provenne dalla creatura, mentre si portava finalmente alla luce – quel delicato raggio di luna che aveva sfidato lo spessore delle tende per introdursi nella mia camera. Si erse in tutta la sua tremenda imponenza, e mi maledii mentalmente per non aver avvertito prima quella cupa aura oscura e soffocante che sembrava circondarlo.

«Cosa sono, volete sapere?» Le sue labbra si piegarono in un ghigno divertito. «Credo che voi siate molto più intelligente di così… Avanti, in fondo sapete chi vi trovate davanti.»

Strinsi gli occhi, trattenendo le lacrime, e scivolai con lentezza dall’altra parte del letto, cercando di frapporre tra me e lui più ostacoli possibili. «Siete un mostro.» Sussurrai, portandomi subito dopo le mani a coprire la bocca – non potevo credere di averlo detto davvero. Volevo forse anticipare la mia fine?

Ancora la sua risata, mentre si avvicinava a me con passo felino, seguendo i miei movimenti come una falena attratta dalla luce. «Oh, si. Immagino di esserlo.» I suoi occhi cremisi splendevano nell’oscurità, senza permettermi di sfuggirgli. Eppure, dovevo tentare.

Ero quasi vicina alla porta – conoscevo la mia stanza ad occhi chiusi, e il buio non mi intralciava – così scattai all’improvviso e corsi verso di essa, aggrappandomi alla maniglia d’ottone come se ne dipendesse la mia stessa vita. E, in fondo, era proprio così.

Ma non avevo fatto i conti con la sua astuzia – la porta era stata preventivamente chiusa a chiave, forse intuendo un mio simile gesto – e con la sua inconcepibile velocità: quando sollevai lo sguardo, cercando di capire cosa bloccasse il passaggio, vidi la sua mano posata sul legno bianco – la teneva chiusa con la semplice pressione delle lunghe dita affusolate. Feci in tempo a vedere un anello sormontato da un rubino brillante, prima che il suo respiro bollente tornasse a tormentare la pelle del mio collo.

Era già alle mie spalle, e non lo avevo sentito muoversi.

«Ah, ah, ah, Christine.» Mormorò, con lo stesso tono che usava mio padre per riprendermi dopo una marachella particolarmente birichina. «Che cosa stai facendo? Non è buona educazione andarsene mentre si sta parlando.»

Mi resi conto solo dopo che mi aveva chiamato per la prima volta con il mio nome – come faceva a conoscermi, se dalle mie labbra non era mai fuoriuscita una simile informazione? Mi accorsi di aver ripreso a tremare, e nello stesso tempo sentii l’altra sua mano scorrermi lungo la schiena, in una carezza tanto impudica quanto minacciosa. Potevo solo intuire ciò che aveva intenzione di fare…

Non trovai la forza di emettere alcun suono mentre le sue dita iniziavano lentamente a sciogliere i lacci posteriori del mio vestito, accarezzando nello stesso tempo la pelle che veniva scoperta sapientemente da lui. Mi ritrovai ad ansimare, ma non si trattava di piacere: avevo paura, ero terrorizzata, mi sentivo come una bambola di porcellana incapace di intendere e di volere, costretta a sottostare ai voleri del suo padrone. Perché rammentavo ciò che era accaduto prima, nel corridoio, seppur in modo piuttosto confuso: egli mi aveva morso e si era nutrito del mio sangue, i segni sul mio collo lo dimostravano!

Anche solo pensare di opporsi era fuori discussione…

Lacrime di puro orrore misto a rassegnazione iniziarono a scivolare sulle mie guance, e ringraziai di essere voltata perché avrei preferito morire piuttosto che mostrargli il mio dolore.

La mano che teneva premuta la porta scivolò sulla mia spalla, e così pure fece l’altra: egli mi fece scorrere le maniche del vestito lungo le braccia, che solo ora realizzai essere prive di guanti, fino a quando non cadde ai miei piedi lasciandomi con una misera sottoveste, indossata più per guarnizione all’abito da sera che per reale protezione. La superficie della mia pelle era ricoperta di brividi, brividi che aumentarono non appena le sue labbra si posarono alla base del mio collo, nel punto più sensibile che generalmente era protetto dai miei lunghi capelli sciolti.

La sua lingua proseguì il percorso tracciato precedentemente dalle sue labbra, assaggiandomi con una voluttà che non avrei mai ritenuto possibile. Gemetti e mi morsi il labbro inferiore, cercando di trattenere il ribrezzo e la ripugnanza che il suo tocco mi provocava, ma era quasi impossibile: avrei voluto crollare in ginocchio e rigettare tutta la mia anima sul tappeto, ma temevo che in quel modo si sarebbe infuriato e avrebbe abbandonato ogni traccia di quelle buone maniere che stava ostentando.

Posai i palmi delle mani sulla superficie levigata della porta, serrando gli occhi e sforzandomi di ignorare le sue carezze oscene e immorali. Se non mi avesse uccisa, dopo quella notte nessuno avrebbe mai voluto toccare il mio corpo impuro – nemmeno lo sposo che la mia famiglia mi aveva scelto…

Sentii sulle labbra le mie stesse lacrime salate e sussultai, spaventata: lui non doveva accorgersene…

Improvvisamente la stoffa leggera della mia sottoveste si lacerò sotto i miei occhi, e l’unica cosa che rimase a coprirmi furono le calze di seta che avvolgevano ogni centimetro delle mie gambe, arrivando – grazie a Dio – ad avvolgere la mia intimità. Mi sembrò di sentirlo sbuffare, leggermente infastidito; e non potei impedirmi di emettere un gridolino spaventato quando, con un gesto rapido e deciso, strappò anche quel poco che restava del mio abbigliamento.

Ero nuda, nuda!, sotto gli occhi di un essere demoniaco che odiavo!

Mi portai le mani a coprirmi il viso, morendo dall’imbarazzo e cercando in questo modo di trattenere i singhiozzi che premevano per traboccare dalle labbra serrate con forza. Fu forse la prima volta che proruppi in un pianto così disperato e nel contempo assolutamente silenzioso.

Le sue mani si posarono stavolta sui miei fianchi, facendomi voltare verso di lui con gentilezza ma ferma determinazione. Non avrei mai scoperto il mio viso infiammato dalla vergogna, se non fosse stato lui a costringermi a farlo.

«Mi dispiace, ma non ti permetterò di nasconderti quando entrerò in te.» Decise con voce cupa, mentre nel suo sguardo si leggeva soltanto una cieca e cupida lussuria.

«No, no… Vi prego… No…» Mormorai, supplicandolo con bisbigli indistinti e tremanti.

Sentii le sue dita raggiungere ciò che restava della mia complicata acconciatura e scioglierla, facendo cadere e rimbalzare sul pavimento le perle che la mia cameriera aveva sistemato con cura tra i miei capelli. La mia chioma mi scivolò sulle spalle in morbidi boccoli dorati, coprendomi come un prezioso mantello ma senza fungere allo scopo di sottrarmi allo sguardo bramoso di quel demone.

Tra le lacrime lo vidi passarsi la lingua sulle labbra, come se già stesse assaporando come sarebbe stato possedermi – mio Dio, ma per quale motivo nessuno si accorgeva della mia assenza  e veniva  a cercarmi? Erano davvero tutti così incantati da Annabelle da non rammentare neppure la mia esistenza?

Chiusi gli occhi, cercando di non guardarlo mentre mi trascinava lentamente verso il mio letto e mi faceva distendere sulle morbide lenzuola, che per la prima volta mi sembrarono sporche e sudice del desiderio di quella creatura. Chiusi gli occhi, mentre sentivo il materasso abbassarsi sotto il suo peso e la sua figura accostarsi a me. Chiusi gli occhi, sforzandomi di ignorare la mano estranea che iniziava ad appropriarsi del mio corpo accarezzandolo con consumata maestria.

Eppure le lacrime continuarono a colare copiose dai miei occhi rigidamente serrati, a dispetto di tutto quello che mi ero ripromessa. Purtroppo non sarei mai stata abbastanza forte da impedirmi di piangere davanti al mio carnefice.

«Guardami…» La sua voce spezzò il silenzio teso che si era creato, strappandomi dai miei pensieri.

No! No, non poteva essere così crudele da chiedermi persino quello! Non poteva umiliarmi in tal modo, non poteva obbligarmi a guardarlo negli occhi mentre abusava di me e mi prendeva tutto ciò che più mi era caro… No, non glielo avrei permesso, non avrei obbedito!

La sua mano arrivò fino al mio collo, privandolo della protezione dei capelli e scoprendo la gola alla sua brama più sfrenata. «Guardami, Christine.» Mi ingiunse, con tono autoritario; prima aveva chiesto, adesso aveva preteso. Era finito il tempo della gentilezza, se mai vi era stato.

Dischiusi le palpebre, rassegnata, ritrovandomi a fissare il suo volto a pochi centimetri dal mio. Solo ora mi accorgevo che era privo di maschera, e vedere la sua disumana bellezza peggiorò la situazione – come poteva un essere così bello celare un’indole così malvagia?

Non riuscii a sostenere la pesantezza del suo sguardo così distolsi il mio, puntandolo sulle sue labbra socchiuse dalle quali si intravedevano un paio di zanne acuminate. Rabbrividii all’idea che, probabilmente, le avrebbe affondate ancora nel mio collo, e un singhiozzo dispettoso sfuggì al mio controllo.

«Ti prego…» Balbettai, un’ultima volta.

Ma conoscevo la sua risposta già prima che la sua bocca ebbe articolato le parole. «Ormai il tuo destino è segnato, Christine. Non puoi fare nulla per sfuggirgli.» Sussurrò, avvicinandosi al mio viso e affondando il suo nell’incavo della mia spalla. Lo sentii aspirare profondamente il mio profumo, e la sua lingua riprese ad assaporare la mia pelle nello stesso momento in cui le sue dita scivolarono tra le mie cosce, fino a sfiorare la mia intimità e appropriarsene senza alcuna remora.

Non appena mi accorsi di quelle carezze serrai le gambe, posandogli i palmi delle mani sul petto e cercando di allontanarlo, inutilmente, dal mio corpo tremante. «No, no! Vattene!» Gridai, opponendomi davvero per la prima volta. Non potevo tollerare che mi facesse cose così impudiche e volgari.

A quel punto le mie orecchie udirono un basso e feroce ringhio, e ci volle poco per comprendere che proveniva proprio da lui. «Mi stai facendo arrabbiare!» Sibilò, afferrandomi entrambi i polsi con una sola mano e premendoseli contro il petto. «Ero disposto a trattarti con tutte le premure possibili, ma il tuo atteggiamento mi ha fatto perdere la pazienza!»

Si disfò velocemente dei suoi indumenti, costringendomi poi ad allargare le gambe con una sola mano e posizionandosi in mezzo ad esse per impedirmi di richiuderle. Questa volta fermare le lacrime era impensabile – sentivo il cuore battere talmente tanto veloce da temere che volesse uscirmi dal petto – e mi morsi le labbra fino a farne uscire gocce di sangue quando, con una rapida e violenta spinta, entrò nel mio corpo senza incontrare che un misero ostacolo che lacerò con la sua forza. Gridai, incapace di ignorare il dolore e certa che sarei morta a causa di quella sofferenza.

Le sue labbra tornarono sulla mia gola, leccandola e dispensando piccoli morsi leggeri come se davvero mi avesse voluta mangiare. Non avevo idea di quanto fossi andata vicina alla verità…

All’improvviso, la sua bocca trovò un punto preciso a lato del collo e vi si chiuse con decisione, leccando ancora la pelle già abbastanza tormentata prima di affondare le sue zanne animali nella mia carne. Urlai ancora, cercando di dibattermi sotto di lui, ma il suo peso mi teneva pressata sul materasso impedendomi ogni genere di movimento. Affondò ancora di più nella mia intimità e contemporaneamente sentii il rumore del mio sangue che scorreva e della sua gola che lo inghiottiva, vorace.

Arricciai il naso e mi morsi ancora di più le labbra, cercando di reprimere la nausea devastante che mi aveva assalito con intollerabili ondate. Mi sentivo lentamente prosciugare, come se la mia intera linfa vitale stesse scorrendo, attraverso quella profonda ferita, dal mio corpo al suo: presto diventai così debole da rinunciare a divincolarmi e mi immobilizzai, socchiudendo gli occhi e sentendo sulla mia lingua il sapore salato e ferroso del sangue misto alle mie lacrime.

Ormai avevo compreso che non sarei sopravvissuta: sentivo le membra diventare sempre più pesanti  e persino respirare era doloroso, così chiusi gli occhi, rassegnata. Mi trovai a biascicare a bassa voce una debole preghiera per far sì che almeno la mia anima restasse pura e indenne da tutto quel male. Non pensavo che egli potesse sentirmi anche attraverso la sua furia.

«Pregare non ti salverà da una morte certa, Christine.» Mormorò, allontanandosi dal mio collo quel tanto che bastava per potermi parlare guardandomi in viso. Aveva delle gocce di sangue sul mento, il mio sangue.

Come se il mio disgusto non lo sfiorasse minimamente, proseguì. «Tuttavia, io posso impedire che la vita abbandoni del tutto il tuo corpo. Mi senti, Christine?» Lo sentivo, ma perché la sua voce era diventata improvvisamente dolce? Forse ero già morta? Non aprii gli occhi – non ne avevo la forza.

«Devi bere il mio sangue, ma petite.» Sussurrò ancora.

Come potevo essere in fin di vita e allo stesso tempo pensare così lucidamente? Ricordo, come immagini di un sogno confuso, il suo polso squarciato dalle stesse zanne che aveva immerso nella mia carne: lo avvicinò alle mie labbra, e probabilmente io volsi il capo per non toccare quella sostanza infernale, perché il suo ringhio spazientito mi giunse persino attraverso la pesante tenebra che mi avvolgeva.

«Bevi!» Mi intimò, nuovamente irato.

Non so dove trovai la forza per guidare le mie azioni, poi; tuttavia riuscii ad aggrapparmi al suo polso, tremando senza tregua, e ad avvicinarlo alle mie labbra che dischiusi con non poco sforzo. Sapevo che ciò che stavo per fare era peccato, ma allo stesso tempo qualcosa mi spingeva ancora a desiderare di non morire, e nel mio inconscio ero quasi sicura del fatto che, se mi fossi nutrita della sua essenza – del suo sangue, dunque – la mia vita non sarebbe cessata. E io non volevo, non volevo morire…

Posai la bocca sulla sua ferita, e da quel momento in poi seguii solo il mio istinto di sopravvivenza – unito alla sua voce suadente che, sottovoce, continuava a ripetere «Bevi!» e «Ma petite chèrie». Chiusi gli occhi non appena sentii le lacrime pungere le palpebre e morsi più a fondo la sua carne, gioendo nel sentirlo gemere, sorpreso. Se potevo provocargli anche una minima parte del dolore che aveva fatto provare a me, allora ne ero più che lieta.

Improvvisamente, il sapore del suo sangue iniziò a sembrarmi dolce – seppur leggermente salato. Più la mia gola ne ingeriva, più ne desiderava, e fu più per un riflesso incondizionato che serrai con più vigore la presa sul suo polso e succhiai con maggior foga. Che cosa mi stava accadendo? So solo che cessai di pensare e mi dedicai solo ad abbeverarmi di lui, convogliando ogni fibra del mio essere in quell’oscena azione del bere il suo sangue.

Certo è che non si aspettava un simile cambiamento da parte mia; infatti, non passò molto tempo prima che la sua mano sana si posò sui miei capelli, in una delicata carezza, e la sua voce sussurrò che ormai era tempo di smettere – per lui, avevo bevuto abbastanza.

Ma il mio corpo non la pensava allo stesso modo. Continuai a succhiare, sentendo le unghie conficcarsi nella sua carne – come potevo essere diventata così forte e brutale nel giro di un battito di ciglia? – e un ennesimo ringhio nascere dalle profondità del suo petto.

«Basta, Christine, smettila.» Sussurrò, cercando di dosare la rabbia. «Mi fai male. Basta.»

Forse fu solo la stretta improvvisa della sua mano attorno ai miei polsi che mi fecero desistere dal disobbedirgli ancora, o forse fu semplicemente la sensazione di sazietà che mi colse all’improvviso. Avevo l’impressione di essermi riappropriata di tutta la linfa vitale che egli stesso aveva avuto l’ardire di sottrarmi, e la soddisfazione che provai in seguito fu a dir poco impagabile. Mi portai due dita alle labbra – avevo anche smesso di tremare – e ve le passai sopra, portando via così i residui di sangue che vi erano rimasti. Avrei voluto leccare anche quelli, ma lui fu più veloce – mi prese la mano e se la portò alla bocca, asciugando con la lingua le dita sporche del proprio sangue.

Ecco, la sensazione di ribrezzo nei suoi confronti tornò con la forza di un uragano.

Mi sottrassi alla sua stretta, rintanandomi contro la testata del letto e fissandolo di sottecchi, come se temessi che potesse nuovamente abusare del mio corpo, ancora nudo. Volevo che se ne andasse! Possibile che non lo capisse? Volevo soltanto rimanere sola!

Una fitta di dolore improvviso mi costrinse a piegarmi su me stessa, strappandomi un gemito confuso ad un debole grido. Che cosa stava succedendo? Era forse la punizione per aver accettato il sangue di quel demonio? Un altro spasimo mi percorse da capo a piedi, lasciandomi tremante e senza fiato: spalancai la bocca, cercando di respirare ma senza riuscirci. Per l’amor di Dio, cosa mi stava capitando?

Era questo il male che mi avrebbe uccisa?

L’ennesima stilettata fece proseguire quel terribile supplizio, facendomi gridare come un’ossessa. Mi artigliai il petto con le mani, graffiandomi la pelle, cercando di strapparla come se quel dolore avesse potuto diminuire l’altro, più interno, che mi distruggeva. Stavo morendo, oh si, lo sentivo…

Mi accorsi a malapena che l’Essere che mi aveva portato a morire in quel modo atroce si era precipitato al mio fianco, avvolgendomi con un lenzuolo e poi con le sue braccia: stava sussurrando qualcosa, ma le mie orecchie erano sorde e sentivano soltanto il rombo del mio cuore che batteva all’impazzata e che, lentamente, diminuiva il suo battito.

Tum tum. Tum tum. Tum tum.

Tum. Tum. Tum.

Tum.

Tum.

 

 

E fu il buio, e fui morta.




















Giulyredrose

 

   
 
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