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Autore: Clodie Swan    26/01/2011    1 recensioni
Storia dedicata ad uno dei personaggi minori di Twilight, ovvero Esme Cullen. Dalla sua adolescenza al momento in cui sposa Carlisle e forma una famiglia con lui ed Edward. La ff ripercorre le tappe fondamentali della sua vita che l'hanno portata a diventare un vampiro ma anche una madre dolce e premurosa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Quello era il momento della giornata che più amavo: quando mi rifugiavo in un angolo del giardino della mia casa a Columbus, sotto la quercia con un libro in mano. Lì, in quel pomeriggio di una dolcissima estate potevo isolarmi dall'atmosfera pesante che respiravo in casa mia.
Le pressioni dei miei genitori, infatti,  stavano diventando sempre più insopportabili.
"Sarebbe ora che ti sposassi, Esme."
"Ho soltanto sedici anni, mamma."
"E' un'ottima età per sposarsi. Io avevo un anno più di te quando ti ho avuto. Non capisco perché ti ostini così tanto. Hai fatto da poco il tuo ingresso in società ed i buoni partiti non mancano."
"Voglio finire di studiare prima."
"Per fare cosa? Guarda che non resterai giovane per sempre e i migliori giovanotti verranno presi. Hai visto che bel matrimonio ha fatto la figlia degli Evenson? Altro che Università! Pare che suo fratello sia ancora scapolo."
Sospirari al pensiero di quei discorsi con cui mia madre mi riempiva la testa. Anche mio padre era dalla sua parte. Non approvava nemmeno che spendessi tutti quei soldi in libri anzichè in vestiti, trucchi e profumi.
"Cosa pensi di fare nella vita, signorina? Non crederai di poter andare all'Università? E chi dovrebbe pagarla? Cosa credi che nuotiamo nell'oro?"
Decisi di rituffarmi nella lettura del mio libro e di godermi quei pochi attimi di tranquillità. Presto mia madre mi avrebbe chiamato per la cena. Fu allora che sentii un debole miagolio sopra la mia testa.
"Missy!" gridai vedendo la mia gattina intrappolata sul ramo più alto della quercia. "Resisti piccola, sto arrivando." Posai il mio romanzo sul prato e mi accinsi ad arrampicarmi sollevandomi la gonna fino alle ginocchia. Sperai che non mi vedesse nessuno dei vicini. Riuscii a raggiungere il ramo su cui si era aggrappata Missy stringendomela al petto e cercai di scendere usando una mano sola. Fu una pessima idea! Un attimo dopo misi un piede in fallo e persi l'equilibrio. Gettai un grido e nella caduta mi rigirai su di un fianco cercando di proteggere Missy. L'ultima cosa che udii prima di perdere i sensi fu il suo miagolio disperato.

"Esme? Esme?" al suono del mio nome cominciai a riprendere conoscenza. Fui colpita dal timbro morbido e caldo della voce che mi chiamava. Non mi ero mai sentita chiamare con tanta dolcezza prima d'ora. Sembrava la voce di un angelo. Quando aprii gli occhi ne ebbi la conferma. Di fronte a me vi era il volto più bello che potessi mai immaginare. Era un uomo biondo dalla carnagione chiarissima quasi bianca e dagli occhi color oro fuso, che pareva splendere di luce propria. Forse ero morta e quell'angelo splendente mi stava portando in paradiso. "Tutto bene, Esme? Senti dolore?" A quelle parole presi coscienza del mio corpo e mi sentii tutta indolenzita. Tornai nel mondo reale e ricordai la caduta.
"No, sto bene...credo. Dove mi trovo?"
"Sei in ospedale, Esme ed io sono il Dottor Cullen" riprese con quella voce argentata. "Ti ho dovuto ingessare la gamba. Hai riportato una frattura cadendo dall'albero ma non è grave. L'osso dovrebbe rimarginarsi in poche settimane."
Un'infermiera mi aiutò a sollevarmi sui cuscini. Non l'avevo nemmeno notata prima tutta presa da quella visione celestiale.
"Avverta i genitori che si sta riprendendo. Erano molto preoccupati." le disse il Dottor Cullen.
"Si, dottore." rispose la giovane donna con uno sguardo adorante. E chi poteva darle torto?
Mentre il Dottor Cullen cominciava a scrivere su una cartella clinica io lo studiai più attentamente. A giudicare dalla pelle levigata e perfetta doveva essere giovanissimo ma la sua espressione era quella di un uomo maturo ed esperto. Possibile che si fosse laureato in medicina così giovane?
"Per caso sa cosa sia successo alla mia gattina?" chiesi ad un tratto per rompere il silenzio. Che domanda stupida! Mi sentii una vera idiota ma desideravo conversare ancora un pò con lui. Lui mi sorrise abbagliandomi completamente come se il sole fosse entrato nella stanza per me.
"I suoi mi hanno raccontato l'accaduto. La gattina sta bene. E' stata molto coraggiosa, Esme."
"Oh molto stupida" obiettai arrossendo.
"Per un pò, comunque niente arrampicate. Le prescrivo un riposo assoluto. Forse sarà un pò noiso ma è necessario."
"Potrò leggere di più, almeno." osservai consolandomi a quell'idea. Lui annuì con uno sguardo di approvazione.
"I libri sono degli amici fidati. Specie nei momenti di solitudine." Quell'affermazione mi soprese molto. Pur condividendola non potevo credere che quell'uomo bello come un divo del cinema fosse solo. Non portava nemmeno la fede.
I miei entrarono nella stanza abbracciandomi e stringendomi forte. Mio padre si profuse in mille ringraziamenti per il dottore.
"E' soltanto il mio lavoro." si schernì lui "Adesso potete portarla a casa."
Mia madre mi mise una vestaglia portata da casa sulle spalle e mi aiutò ad alzarmi. Mio padre mi passò le stampelle che il Dottor Cullen si era fatto portare dall'infermiera. Cominciai a maneggiarle senza troppa difficoltà, prima di uscire però tesi la mano al mio bellissimo medico per salutarlo. "Grazie di tutto, dottor Cullen. E' stato bello conoscerla." gli dissi in un impeto di coraggio.
Dopo un attimo di esitazione lui mi strinse delicatamente la mano. Era freddissima. Chissà perchè? Forse si era appena lavato le mani o qualcosa del genere.
"Arrivederci signorina Platt, le auguro ogni bene." mi disse usando parole formali ma usando un tono affettuoso. Ne fui felice.
Fu l'ultima volta che udii la sua voce. 
Mentre uscivo con i miei genitori gettai un ultimo sguardo verso di lui.
Ebbi come l'impressione di leggere una profonda tristezza in quegli occhi dorati.
  
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