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Autore: Miss Demy    27/01/2011    21 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 8: Emozioni (seconda parte)


Emozioni. Una sola parola per esprimere un turbine di sentimenti complementari ma, talvolta, anche contrastanti fra loro.
Desiderio… di lei.
Speranza… che capisse i miei sentimenti.
Paura… di non poter vivere la mia vita con lei.
Sconforto… dopo le sue parole ingiuste verso di me.
Delusione. Illusione. Rassegnazione.
 
E così, dopo essere passato dalla speranza e dall’illusione di una vita insieme a Bunny, passai definitivamente alla rassegnazione.
Ci avevo provato con tutto me stesso, spingendomi a compiere gesti mai lontanamente immaginati prima di quel 13 Novembre.
Ma adesso anch’io avevo detto “Stop!”
Avrei fatto di tutto per lei, per quella ragazza che solo con un sorriso dolce e triste aveva messo in discussione tutte le mie certezze.
Ma non potevo più struggermi per lei. Forse, in fondo, era così che dovevano andare le cose.
Se avessi continuato a insistere non avrei ottenuto nulla; avrei semplicemente dato la possibilità a Lei di prendere il mio cuore, metterlo in un frullatore e ricavarne un Bloody Bunny*.
Avrei tanto voluto renderla felice ma non me lo permetteva e dopo tutto quello che, di cattivo e ingiusto, mi aveva detto – anche se in contrasto con le sue emozioni – capii che era veramente giunto il momento di rassegnarmi.
 
E così, tutto bagnato, feci ritorno nell’Upper East Side augurandole Buona Fortuna e sperando che, anche senza di me, un giorno avrebbe trovato quella felicità che meritava.
Entrai in bagno, accendendo la radio per avere un po’ di compagnia e cercare di non affogare nella mia solitudine.
Era appena iniziata ‘Stay’ **.
E su quelle note mi spogliai dei vestiti  bagnati e feci un bagno caldo, lottando con me stesso per togliermi dalla mente quei momenti da poco passati, a contatto con lei, sotto la doccia.

… Bunny bloccata alla parete dal mio corpo bramoso di lei. I suoi polsi stretti delicatamente dalle mie mani, mentre un respiro le moriva in bocca sentendomi aderire ancora di più a lei.
Il suo corpo che si irrigidiva a quella nuova sensazione di piacere che cercava di nascondere, inutilmente.
Io che la sentivo inarcarsi, godere il più possibile di quel momento dolce ma pieno di passione.
Chiudeva gli occhi per assaporarlo al meglio senza che il suo sguardo su di me potesse tradirla e spingerla a fare ciò che tanto avrebbe voluto. Essere mia.

E così, non resistendo, la pensai mia, immaginando ciò che entrambi avremmo voluto e che in realtà non era accaduto.
Esausto, avvilito, andai a letto. Sperando che dal giorno dopo quel turbine di emozioni si sarebbe affievolito.
Non la avrei mai dimenticata ma, dall’indomani, avrebbe fatto parte del passato.
 
16 Novembre 2010 – ore 10.30
Il suono del telefono mi svegliò da quel coma profondo in cui le vicende della notte precedente mi avevano condotto.
Lentamente riuscii ad aprire gli occhi e rendermi conto di cosa fosse quel rumore che rimbombava pesantemente nella mia testa.  
Mi alzai dal letto e risposi.
Era Mister Taiki, il mio capo, che anticipava il nostro appuntamento a quella mattina, a causa di un viaggio improvviso che lo avrebbe tenuto lontano dalla City per due settimane.
Fui costretto ad accettare, nonostante l’appuntamento fosse solo tra mezz’ora, e quando mi disse che si trovava a Central Park e di vederci in un locale lì vicino chiamato Jupiter, il mio cuore si fermò.
Avrei tanto voluto dirgli di incontrarci da un’altra parte – senza spiegare che lì temevo di incontrare Bunny –  ma non ne ebbi il tempo che mi salutò velocemente chiudendo la telefonata.
Posai il telefono e portai le mani al viso, strofinandole,  come a volermi svegliare da quello che ormai in ogni modo e in ogni circostanza sembrava un incubo.
Bunny andava sempre lì la mattina, temevo di incontrarla. Dopo  ciò che era successo non volevo vederla, guardare i suoi occhi e sentire la sua voce. Mi avrebbe fatto troppo male. Mi sarei sentito a disagio.
Però non potevo far nulla. Avevo in parte soggezione di Mister Taiki, nonostante fosse un ragazzo sui trentacinque anni ben portati, il suo tono era sempre molto autoritario con gli scrittori non ancora affermati. Non riuscivo ad essere a mio agio con lui, soprattutto ora che il mio libro era fermo al capitolo quattro. Richiamarlo e dirgli di spostare il luogo dell’incontro era fuori discussione.
E così, in fretta e furia, mi vestii e usci di casa con la valigetta del mio Apple in mano .
 
Per fortuna quella mattina il sole era alto nel cielo, riscaldando tiepidamente l’aria gelida di Manhattan.
Arrivai all’entrata dello Jupiter, scorgendo dalla vetrata l’interno.
Temevo di incontrarla. Ma non perché non volessi vederla più, anzi.
Semplicemente l’idea di sapere che fosse lì a qualche metro di distanza, senza poterle stare accanto e ricordando cosa pensasse di me e come c’eravamo lasciati la sera prima, mi metteva in imbarazzo.
Per fortuna non la vidi all’interno del locale.
I tavoli erano tutti pieni, alcuni clienti mangiavano i famosi dolci di Morea, altri semplicemente bevevano del caffè. Tra essi, in un divanetto alla fine del locale, intravidi Mister Taiki.
Alzò gli occhi dal New York Times non appena il campanello sopra la porta suonò al mio ingresso.
Infastidito, mi fece cenno con la testa e io mi avvicinai rapidamente, chiedendo scusa per il ritardo.
Mi raccontò del suo viaggio improvviso che lo avrebbe tenuto lontano da NYC per due settimane.
Si trattava di un viaggio d’affari, un incontro con un noto scrittore che Taiki stesso aveva introdotto nel mondo degli autori e che aveva avviato verso il successo. Ed ora che, dopo cinque libri pubblicati, Yaten era diventato molto famoso, era tornato nella capitale, sua città natia, e aveva chiesto a Taiki di raggiungerlo nella sua villa.
Taiki ci sapeva fare con gli autori – affermati -, sapeva sempre accattivarsi la loro simpatia e dare così alla RoseEdition quella fama che la rendeva una delle migliori case editrici dell’intero Stato di New York.
“Adesso veniamo a noi, Chiba. A che punto è il tuo libro?” chiese continuando a fissare l’orologio che indossava al polso sinistro.
Tirai fuori il mio notebook per mostrargli il mio lavoro ma mi bloccò subito:
“No, non ho tempo per leggere adesso, dimmi solo come procede.”
In quel momento avrei tanto voluto rispondergli che andava male; che avevo incontrato una ragazza che mi aveva letteralmente sconvolto la vita e poi abbandonato alle mie sensazioni di delusione e sofferenza, facendomi mettere in secondo piano il mio lavoro.
“Bene, i primi quattro capitoli sono pronti, ora devo solo dedicarmi alle interviste al gentil sesso da usare come fonti per la parte centrale del libro. È tutto sotto controllo, stia tranquillo!” riuscii semplicemente a dire, cercando, col mio sorriso, di essere credibile.
Aggrottò la fronte, come se non ne fosse molto sicuro.
Nel frattempo Morea si avvicinò a noi con il notes per le ordinazioni.
“Buongiorno, avete già scelto?”
Taiki si alzò in piedi e, indossando il cappotto color sabbia che richiamava il castano dei suoi capelli, rispose:
“Oh, grazie ma Albany *** mi attende, devo andare ma tu, Marzio, rimani pure; magari potresti iniziare le tue interviste con la signorina!”
Il suo tono e il suo sguardo eloquente facevano intendere che dovevo sbrigarmi a finire il libro e che aveva capito che in realtà non c’era nulla di cui stare tranquilli.
Rimasi senza dire nulla, guardandolo andare via dopo aver preso da dietro il divanetto il suo trolley e aver detto: “Al mio rientro leggerò il tuo lavoro, Chiba.”
Morea mi fissò per tutto il tempo e, solo quando il campanello suonò all’uscita di Taiki, si sedette a quello che era stato il posto del mio capo.
Sospirò, preoccupata, portando i gomiti al tavolo e facendosi avanti col  busto. In quel momento mi venne in mente, inevitabilmente, Bunny e alla sua stessa posizione della prima e unica volta che eravamo stati assieme in quel locale. La spazzai via.
“Cos’è questa storia dell’intervista?” chiese curiosa, anche se in viso manteneva un’aria distratta.
“Niente, solo una scusa inventata al mio boss per non fargli sapere che in questi giorni il lavoro va a rotoli!”
Nel frattempo guardavo la porta d’ingresso per paura che Lei entrasse. Sapevo che a quell’ora sicuramente stava provando, ma il rischio di ritrovarmela lì, con la sua dolce e triste espressione c’era sempre.
E così conservai nella valigetta il notebook, che avevo tirato fuori inutilmente, cercando di andare via da lì il prima possibile.
“Oggi non è venuta, se ti stai chiedendo questo.”
Rimasi stupito. Non avrei mai immaginato che potesse capirlo.
“No, non mi stavo chiedendo questo. Non sono affari miei.”
Cercai di nascondere le mie emozioni, che inevitabilmente fuoriuscivano quando pensavo a Lei, continuando a guardare la valigetta.
“Marzio, puoi sederti un attimo, per favore, e guardarmi in faccia?”
Era seria e al contrario della volta precedente capii che non voleva flirtare con me.
Annuii e mi sedetti, appoggiando la valigetta sul divanetto di pelle color noce accanto a me. 
La guardai negli occhi verdi e dispiaciuti.
Sospirò e poi disse:
“So che non sono affari tuoi, ma conosco Bunny da molto e so com’è fatta. Ha sofferto tanto e cerca di proteggersi per difendersi dal Mondo crudele e da certa gente che vuole solo farle del male.”
La interruppi subito:
“Scusami ma non mi va di parlare di Bunny.”
Non le importò:
“Bunny non è venuta stamattina e, sapendo che viene sempre, le ho telefonato.”
“Morea, forse non hai capito, non ho nessuna intenzione di parlare di Bunny.” Cercai di essere più chiaro, usando un tono più duro ma allo stesso tempo garbato.
“Marzio, Usa è grave, rischia di non arrivare a domani. Bunny è in ospedale in sala d’attesa da stanotte. I medici non la fanno entrare nelle ore non stabilite ma lei è voluta andarci lo stesso. Io sarei voluta andare ma non posso lasciare il locale.”
“Perché mi dici questo?” cercavo di non far trasparire le emozioni che in quel momento mi attanagliavano l’anima.
Paura. Dispiacere. Sofferenza.
“Perché lei si confida con me e so per certo che ci tiene molto a te. Mi ha parlato molto di te, dopo che siete venuti qui assieme. Marzio, so che è sbagliato, ma ti prego, se tieni a Bunny per come mi racconta lei, stalle accanto anche se cerca di allontanarti. Ha bisogno d’amore e conforto quella ragazza. È così fragile. Non reggerà ancora per molto se continua a incassare i colpi che la vita le dà, restando sola. Tu le vuoi bene e lei ha bisogno di te, anche se non te lo dimostra.”
Mi guardava con dispiacere per le sorti dell’amica e con la speranza che io potessi aiutarla.
“Bunny non ha bisogno di me, mi considera solo una fonte di sofferenza.” Non sapevo cos’altro dirle, quella rivelazione mi aveva spiazzato. Io credevo che Bunny mi considerasse davvero una fonte di dolore e che mi avesse allontanato per questo, nonostante mi desiderasse.
Ma ora? Adesso che avevo appena saputo che lei aveva parlato di me a Morea dicendole che teneva a me, ora che la mia tesi, in cui affermavo che Lei aveva bisogno d’amore, era stata avvalorata, che dovevo fare?
Lei non disse nulla, sospirò credendo di non essere riuscita a farmi capire come stessero le cose veramente.
“È al Memorial Sloan Kettering Center, giusto?” La mia voce era tesa mentre lo domandai istintivamente.
Morea, assorta nei pensieri pieni di preoccupazione per Lei, mi guardò annuendo.
E così, ancora una volta la stessa emozione, che mi aveva accompagnato in quei giorni, albergò nel mio cuore: speranza. In contrapposizione ad altre.
 Paura: che Lei soffrisse, che Usa soffrisse.
Impotenza: non potendo fare nulla per impedire ciò.
Chiedendomi se stessi facendo la cosa giusta, presi un taxi e mi diressi verso l’ospedale. Speravo di poterle stare accanto e confortarla senza che Lei me lo impedisse, per il resto, la avrei amata in silenzio da quel momento in poi.
 
Il Memorial Sloan Kettering Center non distava molto dal mio appartamento, soltanto un paio di isolati, ed era perfettamente raggiungibile a piedi.
È uno dei migliori centri oncologici di New York, pronto ad ospitare ricercatori e professori internazionali.
Dopo aver attraversato in lungo Manhattan, tra il caos delle strade sempre super affollate, arrivai all’entrata dell’ospedale.
Sospirai. Tra poco la avrei rivista dopo aver creduto che ciò non sarebbe più accaduto.
Le porte scorrevoli si aprirono non appena mi avvicinai all’ingresso.
Alla mia destra notai il bancone delle informazioni con un’infermiera impegnata al telefono.
Io non sapevo cosa domandare, non conoscevo il cognome di Usa e sapevo che non mi avrebbero fatto passare dato che le visite erano previste soltanto dalle 17.00 alle 19.30.
Voltai lo sguardo alla mia sinistra e il mio cuore si fermò per un attimo. Chiusi gli occhi, cercando di mantenermi lucido e forte per poter affrontare meglio quella straziante situazione.
Seduta su una sedia della sala d’aspetto, dondolandosi come un automa avanti e indietro, con le mani giunte sotto il mento e lo sguardo perso nel vuoto più totale, c’era Bunny.
Avanzai verso di lei, ma era troppo assorta nelle sue preoccupazioni per notarmi.
Quando le fui di fronte, le posai le mani sulle spalle, come a volerla fermare da quel dondolio nervoso e pieno di sconforto.
Il mio tocco sulle sue spalle coperte da una felpa bianco-panna la riportò alla realtà.
Alzò lo sguardo, sorpresa, e la sua incredulità aumentò non appena notò il mio viso sul quale mantenevo un dolce sorriso pieno di rassicurazioni.
Non parlò ma i suoi occhi si accesero di una luce nuova, piena d’amore.
“So che ti avevo promesso che ti avrei lasciata in pace ma…”
Non mi diede il tempo di finire che si alzò e si strinse forte a me, cingendomi  con tutta la forza che possedeva il busto e appoggiando la sua testa vicino al mio cuore, potendolo sentire battere all’impazzata.
La strinsi forte anche io, cercando di farle capire che io ci sarei stato sempre per lei, anche quando avrebbe cercato di allontanarmi.
Magari  avrei dovuto amarla in silenzio. Ma di certo avrei continuato ad amarla.
Iniziò a piangere così forte da rischiare di soffocare tra i singhiozzi.
E io non potevo dire nulla, quella situazione era disperata e le mie parole sarebbero risultate inutili e banali.
“Sfogati Bunny, sfogati piccola mia, ci sono io qui con te.”
Lo sussurrai all’orecchio e le diedi un bacio pieno d’amore sulla testa.
Strinse la mia giacca ancora di più. E pianse.
Impotenza. La sensazione più brutta che una persona, davanti a tanta sofferenza, possa provare.
“Marzio, io…” cercava di dire, tra un singhiozzo e un altro, a contatto con il mio cuore.
“Shh… non dire nulla, sta’ tranquilla. Ci sono io qui con te, non sei sola.”
Annuì, sfregando la guancia sul mio petto.
Le accarezzai i capelli legati in due codini, notando che erano ancora umidi. E mi sentii in colpa. Sicuramente era dovuta correre in ospedale e non aveva avuto il tempo di asciugarli dopo che io l’avevo bagnata contro la sua volontà.
Alzò lo sguardo per incontrare i miei occhi e li trovò pieni d’amore e di tenerezza solo per lei.
“Mi dispiace Bunny, sono stato troppo impulsivo in questi giorni, non dovevo” dissi mentre le asciugavo le lacrime dal viso.
Le rubai un sorriso. Solo per un attimo. Poi:
“Usa sta morendo…” e pianse di nuovo.
Presi la sua testa e la appoggiai di nuovo sul mio cuore, stringendola forte fra le mie braccia.
“Oh Bunny…” non sapevo cosa dire per dimostrarle il mio dispiacere.
Rimanemmo in quella posizione per alcuni minuti, poi si allontanò dal mio abbraccio.
Stava per dire qualcosa quando qualcuno attirò la sua attenzione:
“Professore!” disse correndo incontro all’uomo.
E in quel momento, divenne tutto chiaro, semplice.
Era lo stesso uomo che per due notti consecutive avevo visto uscire dalla sua stanza.
Era un medico.
Rimase a parlare con l’uomo per qualche minuto, con le mani giunte al cuore e la speranza nell’anima.
Io mi sedetti sulla sedia accanto a quella dove prima avevo trovato Lei.
Quando il medico rientrò da dove era uscito, tornò da me, un po’ più sollevata ma sempre con la tristezza in viso, e mi sedette accanto.
“Cosa ti ha detto?” domandai.
“Finalmente ha riaperto gli occhi. Stanotte aveva perso conoscenza.”
Un sospiro, poi riprese:
“Quello è il Professor Tomoe, un grande medico nell’ambito oncologico. È per questo che ho portato qui Usa, per avere il meglio. Per cercare di avere tutte le possibilità esistenti per salvarla. Quando ha scoperto che lavoro al Moonlight per poter pagare le cure di Usa, credo ne sia rimasto colpito. Così, anche se di solito non usa farlo, l’altro ieri è venuto direttamente nella mia stanza dopo lo spettacolo perché voleva avvisarmi il prima possibile di ciò che aveva saputo.”
Fece una pausa. Poi, abbassando lo sguardo:
“Non sono compatibile per il trapianto di midollo. Era l’unica speranza che avevo per salvarla…”
Portai i gomiti alle ginocchia e sostenni con le mani la fronte.
“Maledizione!” Ero stato un idiota. Avevo pensato tutt’altro e mi ero fiondato nella sua stanza dicendole di stare con me mentre lei aveva appena ricevuto una notizia così devastante.
“Ieri è passato soltanto per avvisarmi che Usa aveva perso conoscenza, come di solito avviene negli stadi finali. Volevo correre qui, anche se sapevo che non me l’avrebbero fatta vedere, ma qualcuno me lo ha impedito” disse guardandomi e io capii che era a me che si riferiva.
“Mi dispiace Bunny, perché non me lo hai detto?”
Scosse la testa: “Non volevo farti passare dai momenti magici di Sidia ai momenti tragici di Bunny.” Era ironica e il suo tono rivelava leggermente il suo odio per Sidia.
Avrei tanto voluto dirle che con Sidia non c’era stato nessun momento magico e che era Lei la mia unica magia, ma non lo feci.
Avevo incassato troppi colpi al cuore in quei giorni, non le avrei più rivelato i miei sentimenti.
“Sai che per qualunque cosa potrai contare su di me” mi limitai a dire.
Sorrise lievemente e annuì:
“Marzio, ti ringrazio per essere venuto qui dopo il modo in cui mi sono comportata con te.”
Sorrisi e lei capì.
“Allora non ce l’hai con me?” disse guardandomi negli occhi.
Scossi la testa e con tono rassicurante: “No, Bunny, non ce l’ho mai avuta con te.”
Abbassò lo sguardo, immergendosi di nuovo in mille pensieri.
“Adesso che Usa ha ripreso conoscenza pensi ti faranno entrare per vederla?”
Si voltò di nuovo verso di me e, confusa, rispose:
“Sì, il professor Tomoe ha detto che non appena finiranno di visitarla mi farà entrare.”
“Sei contenta?” cercai  – anche se inutilmente – di farle notare l’aspetto positivo di quella tragica situazione.
Annuì: “Povera Usa, chissà quanta paura avrà avuto… era sola prima di perdere conoscenza.”
Portò i gomiti alle gambe, tenendosi la fronte con i palmi delle mani, mentre le lacrime ricominciarono a scenderle dagli occhi ormai spenti.
Le accarezzai la testa, anche se in realtà morivo dalla voglia di abbracciarla.
“Bunny, ti prego, non piangere, devi farti forza.”
“Lo so, è solo che non ci riesco… Quando entro nella stanza di Usa devo cercare di farmi vedere serena, non posso farle notare la mia paura di perderla; è soltanto una bambina spaventata che avrebbe bisogno dei genitori. E invece loro non ci sono.
Quando sono al Moonlight, durante le prove e le esibizioni, devo far finta di essere allegra e di non avere problemi. E così devo sempre cercare di fingere, di nascondere tutte le mie emozioni. Non posso mai essere me stessa. E poi, all’improvviso, mi ritrovo a piangere senza riuscire a smettere. Come a voler far uscire tutto il mio sconforto. È più forte di me.”
Continuai ad accarezzare i suoi lunghi capelli, che le coprivano i lati delle spalle, sfiorandole così la schiena.
“Lo so. Sappi che con me potrai sempre essere te stessa. Amo quando sei te stessa.”
Mi guardò arrossendo e portandosi dritta sulla schiena, i suoi occhi tristi emanavano una luce piena di fiducia. Sapeva di poter contare su di me. Sapeva che la amavo.
Pochi istanti in cui i nostri occhi rimasero attratti fra loro, poi distolse lo sguardo non appena la porta alla fine della sala d’aspetto si aprì e il professor Tomoe uscì.
Bunny corse da lui e, dopo averla vista annuire, tornò a passo svelto da me:
“Mi fanno entrare, vado da Usa.” Il suo tono era pieno di sollievo e di speranza.
“Bene, sono contento Bunny” risposi con un lieve sorriso non appena vidi i suoi occhi illuminarsi.
“Marzio, non è che ti andrebbe di… insomma… ti va di conoscere Usa?”
Rimasi spiazzato, senza parole, incredulo.
Non avrei mai immaginato che potesse chiedermi una cosa del genere.
Credevo non mi volesse fra i piedi, che volesse tenere la sua sorellina lontano da tutti coloro che lei allontanava; e invece, in quel momento, quelle parole piene di dolcezza e titubanza furono la più bella dichiarazione che lei potesse farmi per dimostrarmi la sua fiducia.
Sorrisi, ancora meravigliato, e annuendo con voce tremante:
“Ne sarei onorato.”
Sorrise anche lei e insieme, indossando sul viso la maschera della serenità, ci avviammo così verso la stanza di Usa.
 
Emozioni. Un turbine di sentimenti ricompresi in un’unica parola.
Paura. Sconforto. Speranza. Fiducia…
Amore.
 

Note:
*: Bloody Bunny è un modo ironico per riferirsi al cocktail Bloody Mary. (trad. Bunny la sanguinaria, in questo caso).
**:  ‘Stay’ di Sasch feat. La trec. (la trovate tra i link del Moonlight fan club su facebook)
***: anche se molti vengono tratti in inganno, è Albany la capitale dello Stato New York.

 
Il punto dell'autrice

Finalmente questo capitolo tanto atteso (e sofferto) è terminato.
Inizialmente volevo continuare qui stesso la parte relativa alla visita ad Usa, ma sarebbe stato troppo lungo e, a mio avviso, pesante.
Spero che vi sia piaciuto e che non abbia deluso tutti coloro che lo attendevano con ansia.
Spero di aggiornare presto, nel frattempo mi farebbe piacere ricevere i vostri pareri che - anche se negativi - sono sempre molto graditi!
 
E adesso passiamo ai ringraziamenti (doverosi):

Ringrazio con tutto il cuore le amministratrici del Moonlight fan club su Facebook:
Emi, Silvia, Alessia.
Inoltre grazie mille alle mie Moonlight dancers (le iscritte al Moonlight fan club (fondato da Emi) sul forum di Sailor Moon).
Grazie davvero ragazze per il vostro sostegno e per l’affetto che giorno dopo giorno mi  dimostrate.
Vi voglio davvero bene.
Grazie mille a Desirèe Raddusa per aver realizzato degli splendidi video su Moonlight.
Guardateli fra i link del Moonlight fan club su facebook, sono davvero splendidi. 

 
Grazie di cuore a:
1-amy_m88
2 - azaz
3 - nicolettaambrosino
4 - Noemi88
5 - pianistadellaluna
6 - sailorm
7 - SailorMercury84
8 - serenity82
9 - SerenityEndimion
Per avermi fatto sentire onorata aggiungendomi fra gli autori preferiti!
 
Grazie mille a:
1 - alemagica88
2 - Angelica82
3 - buba16
4 - china91
5 - Cri cri
6 - cri88
7 - Ily94
8 - key17
9 - luna88
10 - nicolettaambrosino
11 - pianistadellaluna
12 - SailorMercury84
13 - SERENATA
14 - serenitas
15 - serenity82
16 - SerenityEndimion
17 - sun86m
Per aver inserito Moonlight fra le preferite!
 
Grazie a:
1 - alemagica88
2 - buba16
3 - Bulm88
4 - china91
5 - Cri cri
6 - EllieMarsRose
7 - frogvale91
8 - hoshi90
9 - ladybug88
10 - Lisanechan
11 - micina82
12 - mustardgirl
13 - pathisas
14 - SailorMercury84
15 - Serenity 4ever
16 - Shining Aurora
17 - star86
18 - Thaila
19 - vanny 3
20 - wingedangel
21 - _Principessa di Cristallo_
22 - _Sofia_
per aver inserito Moonlight fra le seguite.

 
Un bacione e a presto!
Demy


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