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Autore: Evazick    28/01/2011    5 recensioni
(Seguito di Lethal Bloody Venom, dopo "A Dangerous Christmas")
"Non sono così forte come dici, Jennifer," le dissi dentro di me. "Sto in pena per lui, rido ma non smetto un attimo di preoccuparmi, ho paura che non torni mai più. Sai, pensavo di avere un cuore a prova di proiettile, di poter resistere a qualunque cosa come una roccia… ma mi sbagliavo. Non ce l’ho, e non lo avrò mai."
(AU! Killjoys, make some noise!)
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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A Letter

 

C’era una lettera in mezzo al tavolo del salotto, con l’indirizzo bene in vista.

Intorno al tavolo e alla lettera, c’erano quattro sedie.

E sulle sedie c’erano, che fissavano il tavolo (e soprattutto la lettera), quattro ragazzi.

Il primo, coi capelli castani ricci.

Il secondo, pallido con corti capelli rossi spettinati.

Il terzo, con i capelli tinti di biondo platino.

Il quarto, con lunghi capelli neri e occhi verdi.

Fissavano tutti la lettera come se aspettassero qualcosa, qualcuno che rompesse il ghiaccio e dicesse cosa fare.

Era passata poco meno di una settimana da quando erano tornati a casa, ma ancora nessuno dei My Chemical Romance si era deciso a consegnare quella lettera. Ne avevano parlato molte volte, ma tutte le volte il discorso era stato lasciato cadere nel silenzio, come se fosse troppo difficile da affrontare. Ma questa volta erano stati fermi, e avevano deciso che era ora di fare qualcosa: e per questo si erano riuniti tutti a casa di Ray, per decidere cosa fare di quella maledetta lettera.

Inaspettatamente, fu Mikey a parlare per primo. “Chissà cosa ha scritto Eve.”

“Da quando in qua sei diventato così curioso, Mikey?” chiese ironico Ray, contento che l’atmosfera si fosse un po’ rilassata. Frank sorrise a quel commento, e solo Gerard non reagì.

“E se la leggessimo? Così, tanto per sapere cosa ha scritto…”

“In teoria, questa si chiamerebbe violazione della privacy.”

“E allora? Nessuno lo saprà mai che l’abbiamo letta!”

“Io credo che qualcuno sappia già cosa c’è dentro. Vero, Gee?”

Queste ultime parole, dette da Frank, fecero rivolgere l’attenzione verso il cantante, che si risvegliò dai suoi pensieri solo in quel momento. “Eh?” Ci mise un po’ a capire cosa avevano detto, e replicò: “Ehi, cosa ve lo fa pensare?”

“La tenevi tu, a casa tua. Fossi stato io l’avrei già letta da un bel po’,” continuò il chitarrista.

“Già, ma io non mi chiamo Frank Iero,” replicò il rosso un’ultima volta con un sorriso, senza però smentire. Anzi, prese la busta che era sul tavolo, la aprì sicuro, tirò fuori la lettera e iniziò a leggerla ad alta voce.

 

Cara mamma,

come state tu e papà?

So che non è il modo migliore per iniziare una lettera, non dopo essere scomparsa per più di quattro mesi. Sento già la tua voce che urla ‘Come pensi che stiamo? Siamo arrabbiati con te, siamo disperati perchè non ti troviamo più, e vogliamo solo che tu torni a casa!’

Credimi, mi mancate un sacco, ma non posso proprio tornare a casa. Anzi, non voglio.

Prima che tu vada avanti, voglio dirti che ho scelto di mia spontanea volontà di andarmene. Non l’ho fatto per colpa vostra, per la scuola o altri motivi: era destino. Detto così suona strano, ma è la verità, per quanto assurda e illogica possa essere. Ma in questi ultimi mesi ho capito che la logica non è tutto, che ci sono cose che superano le leggi della fisica:io le ho viste, e posso dire che sono meravigliose e anche orribili.

È inutile continuare a cercarmi, mamma. Non riuscirete a trovarmi, per quanto possiate provare. Non immaginerai mai dove sono: è un posto stupendo, ma anche pericoloso, e l’ho scoperto a spese mie e di altri. Ma qui ho conosciuto l’unico ragazzo che io abbia mai amato.

Vorrei raccontarti tante cose di lui: il modo in cui mi fa star bene, in cui mi protegge, i suoi occhi grigi e il suo carattere duro eppure fragile… forse ti piacerebbe, ma non vi potrete mai incontrare.

Mamma, tu non sai cosa ho passato in questi ultimi mesi, ancora prima che me ne andassi. Vorrei tanto poterti raccontare tutto come una favola, tutti i pericoli che ho corso e i nemici che ho affrontato… ma sarebbe inutile, non mi crederesti. Oppure non capiresti.

Adesso sto bene, qui. Ho la persona che amo e degli amici fedeli, e tutta l’avventura che ho sempre sognato. Non immagineresti cosa è capace di fare tua figlia, di quanto forte sia diventata! Forse non ho un cuore a prova di proiettile, ma forse è meglio così: altrimenti non proverei più sentimenti, e, dopo che questo è successo a un’altra persona, so che è orribile.

Ti prego, non arrabbiarti con me: mi mancate un sacco, ma ho finalmente trovato un posto in cui stare. Il mio posto nel mondo.

Vi voglio tanto bene, anche se adesso non ci rivedremo mai più. Siete stati dei bravi genitori, anche se con i vostri difetti, e vi sarò grata per tutto quello che avete fatto per me.

Addio.

Eve.

P.S. Per favore, non dire niente di questa lettera alla stampa o alla polizia. Le cose si complicherebbero ancora di più e tu e papà non trovereste più pace.

 

Quando il ragazzo smise di leggere, nella stanza calò il silenzio più totale. Durò pochi minuti, e poi fu rotto da Ray che diceva: “Che facciamo?”

Gerard rimise la lettera dentro la busta. “Penso che dovremmo consegnarla. È sua madre, ha il diritto di sapere come sta sua figlia?”

Mikey annuì. “Gliela spediamo o gliela portiamo noi?”

Il silenzio calò di nuovo: tutti pensavano la stessa cosa, ma nessuno voleva dirla. Fu Frank a decidere per tutti: si alzò dalla sua sedia e afferrò il suo giacchetto di pelle su una poltrona lì accanto.

 

Per fortuna la (vecchia) casa di Eve non era molto lontana, e i ragazzi decisero di andarci a piedi. Per evitare di essere riconosciuti, si erano infilati gli occhiali da sole e si erano imbacuccati nei loro giacchetti. Quando arrivarono al numero 19 si fermarono davanti al campanello per suonare, ma poi una vecchietta li fece entrare insieme a lei nel palazzo. La ringraziarono e presero l’ascensore, diretti al quarto piano. Con un sospiro di sollievo si levarono gli occhiali e si guardarono tra di loro. “Dite che ci riconoscerà?” chiese Ray.

“Nah, è improbabile. Quale madre si interessa veramente agli interessi della figlia e si ricorda qual è la sua band preferita?” rispose Frank tranquillo.

Arrivati al quarto piano, scesero e si fermarono davanti alla porta alla loro sinistra: la scritta Blackshadow sul campanello lampeggiava quasi minacciosa, e Gerard fu costretto a darsi una spintarella per poterlo suonare.

Dei rumori all’interno fecero intuire che qualcuno stava correndo ad aprire la porta. E infatti poco dopo si aprì di uno spiraglio, lasciando intravedere la donna dall’altra parte. I ragazzi rimasero meravigliati di quanto somigliasse a Eve: non aveva i suoi capelli o il suo viso, ma le due avevano gli stessi occhi castani e quella strana espressione coraggiosa in superficie eppure così fragile nel profondo. Lei li squadrò un momento e poi disse: “Sì?”

Loro rimasero un attimo imbarazzati. Gerard aprì la bocca per parlare, ma la donna lo batté sul tempo. “Aspettate, ma voi non siete quel gruppo che piace a Eve? Quelli con cui aveva festeggiato Natale a dicembre? Come vi chiamate… My Chemical Romance?”

Frank, stupito, si sentì addosso lo sguardo di Ray, come se gli stesse dicendo Meno male non ci riconosceva, eh? Gee non se ne accorse nemmeno e disse: “Sì, siamo noi. Vede, il fatto è che… abbiamo una cosa da parte di Eve.”

Lei non sembrò tradire alcuna emozione, ma si capiva che in realtà era preoccupata e sollevata allo stesso tempo. Aprì la porta e li fece entrare in uno stretto corridoio che sfociava a dritto in una cucina e a sinistra in un salotto. Sopra quello che un tempo doveva essere un camino (ora murato) c’era una mensola piena di foto. Mikey diede loro un’occhiata veloce: un bebè che strillava dentro la sua culla, una treenne su un triciclo rosa e azzurro, una bambina di dieci anni con un buffo cappello in testa e una torta di compleanno davanti, una ragazzina di tredici anni che abbracciava stretta una sua amica, come se non volesse lasciarla andare. L’ultima, all’estrema destra, era la più recente: sembrava essere stata scattata in uno studio fotografico, ma si capiva che in realtà era stata fatta in casa. Una ragazza con una maglietta nera, un paio di jeans strappati e degli anfibi neri stava a sedere su un tappeto steso per terra; aveva la bocca spalancata in una risata allegra e piena di vita, e i suoi corti capelli tinti di rosso andavano a giro di qua e di là in una massa impossibile da domare.

Mikey osservò per un’ultima volta tutte quelle foto della stessa persona.

Della loro Eve.

La madre della ragazza si accomodò su uno dei due divani e i ragazzi si strinsero nell’altro. Senza dire una parola, Gerard tirò fuori dalla sua tasca la busta e la passò alla donna, che la prese e fissò per un attimo l’indirizzo che vi era scritto sopra. Alzò lo sguardo e guardò le persone davanti a sé. “Voi sapete dov’è, non è vero?” chiese in tono stanco. Non ricevendo risposta, continuò: “Sta bene? Perché non può tornare?”

Gee deglutì e indicò la busta. “Credo che farebbe meglio a leggere quella lettera.”

Lei sospirò, aprì la busta e iniziò a leggere. Mano a mano che andava avanti, la sua espressione cambiava: sollievo nel sapere che Eve stava bene, tristezza nel sapere che non sarebbe tornata, felicità malinconica nel sapere che finalmente si sentiva a casa sua. Appoggiò lettera e busta accanto a sè e poi puntò lo sguardo sui ragazzi. “Non mi direte dov’è. Vero?”

Gerard si toccò i capelli, nervoso, e disse con una smorfia: “Bè… è parecchio difficile da spiegare. Penso che quello che le ha detto Eve possa bastare come risposta.”

“Anche perché se le dicessimo dov’è veramente ci prenderebbe per droga…” Frank venne interrotto dal calcio di Mikey sul suo stinco, e il biondo venne fulminato da un’occhiataccia così intensa da incenerirlo. La madre di Eve sorrise e chiese, quasi imbarazzata: “Conoscete anche questo ragazzo di cui parla?”

I ragazzi si scambiarono un’occhiata divertita. “Sì,” disse alla fine Gerard. “Lui e Eve si sono salvati la vita incontrandosi.”

La donna annuì e poi, dopo qualche minuto di silenzio, si alzò in piedi. “Venite, voglio farvi vedere una cosa.”

I quattro la seguirono di nuovo nel corridoio e su per una rampa di scale fino ad arrivare al piano di sopra. Qui si fermarono davanti alla porta del centro, dove c’era un cartello con su scritto KEEP OUT! HIGH LEVELS OF ROCK’N’ROLL! La donna la aprì e poi si fece da parte, facendo entrare i ragazzi dentro quella che un tempo era la camera di Eve.

Cosa provarono loro quando entrarono lì dentro? Bè, è facile spiegarlo: come vi sentireste se entrereste in un posto tappezzato di vostre foto, testi di vostre canzoni e disegni che vi ritraggono? Soddisfatti? Felici? Sbalorditi?

Questo fu quello che provarono i My Chemical Romance quando entrarono nella camera della ragazza dai capelli rossi.

Sopra il letto, sul muro, c’erano appesi una miriade di poster: 30 Seconds To Mars, Evanescence, Linkin Park, Avenged Sevenfold… ma soprattutto My Chemical Romance. Ray riuscì a intravedere in un angolo i testi di Famous Last Words e Our Lady of Sorrows, e Gerard fece una smorfia guardando il poster della Black Parade: vedersi con i capelli bianchi gli aveva ricordato Slay, il suo ‘gemello cattivo’ che aveva affrontato più di sei mesi prima. Frank diede un’occhiata allo stereo e alla trentina di dischi che erano sopra la scrivania nera e coperta di scritte (Niente male come collezione, pensò soddisfatto) e Mikey si mostrò particolarmente interessato ai libri e ai disegni della ragazza. Su un chiodo attaccato al muro, una mascherina da Party Poison fatta in casa penzolava molle, e uno degli ultimi disegni ritraeva una ragazza con corti capelli rossi e un ragazzo con un fisico femminile con dei capelli blu elettrico.

“Quando io e mio marito stavamo divorziando, Eve si rifugiava sempre qui dentro quando litigavamo,” iniziò la donna, appoggiata con la schiena alla soglia della porta. “Anche se lei non diceva niente, sapevo che si infilava le cuffie o accendeva lo stereo e ascoltava la musica a palla. Penso fosse il suo unico modo per sopravvivere al suo mondo che si sgretolava sotto i suoi occhi.” Fece una pausa. “Ha un atteggiamento da dura, ma in realtà in fondo è fragilissima. Se la giornata le gira male, le basta pochissimo per spezzarsi dentro di sé, ma non lo dice mai a nessuno, è troppo testarda per farlo.” Ridacchiò e poi guardò seria i quattro ragazzi. “La musica l’ha salvata. La vostra musica l’ha salvata.”

 

Gerard e gli altri salutarono la donna, promettendole di avvisarla se avrebbero ricevuto altre notizie da Eve, e poi si avviarono lentamente verso casa di Ray. All’inizio il silenzio regnò sovrano, poi Mikey chiese: “Non pensavo che Eve… bè, fosse una tipa del genere. Voglio dire, non sapevo che avesse bisogno della musica per stare bene.”

“Ci sono un sacco di cose che non ci ha detto,” continuò Frank. “Forse non voleva sembrare una debole. Oppure voleva ricominciare da zero, scordarsi cosa era successo prima e cos’era stata. E penso che ci stia riuscendo anche piuttosto bene,” concluse con un sorriso.

“Pensate che si rifarà viva?” chiese Ray.

“No, non credo,” rispose Gerard. “Non ne ha motivo, e forse farebbe stare ancora più male sua madre. Penso che adesso anche lei sia più contenta per Eve, ora che sa che sta bene e che è felice.”

Il resto del tragitto venne percorso in totale silenzio, senza pronunciare nemmeno una parola. Il cantante osservò un momento un vicolo cieco alla sua destra: era forse quello da dove Eve era poi finita in California? Mentre fissava la stradina minuscola e lasciava che gli altri lo superassero di qualche metro, sentì una voce familiare dentro la sua testa. Grazie.

Gerard sorrise tra sé e sé: la vedeva pure troppo bene, in mezzo al deserto con la sua pistola a raggi arancione bene in vista, il foulard amaranto tirato su per nasconderle il viso e i capelli tinti di rosso che le vagavano da una parte all’altra della testa. E di cosa, honey? le chiese dentro di sé.

Di tutto.

 

The End.

*
E questo era l'ultimo capitolo, Sunshines. Non sono ancora sicura quando pubblicherò l'ultima (e vi giuro, sarà l'ultima) storia di questa serie, perchè ho altre storie da portare avanti (FrerardFrerardFrerard), ma vi giuro che arriverà. Sul serio.
Ringrazio tutte le persone che hanno letto questa storia e l'hanno messa tra le preferite e le segiute. Ringrazio soprattutto BBBlondie, Dawn_, Kumiko_Chan_,Lady Numb, _Music_6277 e Angel_made_from_neon che hanno avuto il coraggio di recensire i capitoli. Grazie mille, Sunshines. Alla prossima! :D
Per BBBlondie: quella Eva Killjoy che hai aggiunto su Facebook sono io :D
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine!
-38 al The Best Day Ever
  
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