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Autore: baka_tenshi    29/01/2011    1 recensioni
Un amore puro può superare qualsiasi ostacolo, anche se fra ragazzi giovani ed inesperti della vita, come Makoto ed Hazuki.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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introduzione: Tokyo, giorni nostri. Le vicende trattano di due ragazzi, Hazuki Miouji e Makoto Megumi. Hazuki, vent'enne, ha abbandonato gli studi per andare a lavorare in un'officina, dove si riparano veicoli, per mantenere un piccolo appartamento che condivide con la sua fidanzata, Makoto, sedicenne, che studia in un'istituto superiore a Tokyo. Il capitolo presenterà la versione di Makoto. Dopo la litigata di qualche settimana precedente il rapporto inizia a dileguarsi sempre più ed Hazuki perde la testa quando vede la sua compagna uscire con altri ragazzi senza dirgli niente.

Lo avevo davanti, era fuori di se dalla rabbia, si controllava a mala pena dal colpirmi col suo grande pugno che mi avrebbe fatto decisamente male. Non mi sono accorta dei miei errori questa volta; perchè son sempre io a rimetterci nel rapporto? Perchè devo soccombere alla sua ira ogni volta e stare zitta, annuendo, ad ogni cosa che dice? Devo sempre soffrire, ma son testarda ad accettare questo dolore che mi perfora lo stomaco, cone una spada che mi trafigge con la sua lama lucente ed argentata, dal metallo freddo che sfrega contro il mio interno, delicato e caldo. Ma sto diventando sempre più fredda e, quando non ce la farò più, mi spegnerò diventando di ghiaccio. Allora si che si pentirà di avermi fatto soffrire fino ad adesso, facendo i propri comodi da tiranno e poi chiedendomi scusa con un bacio.
Le lacrime s'erano sciupate, non era rimasto neanche un goccio del fluido che sarebbe sceso dai miei lucenti occhi, scuri, in cui si perdeva ogni volta; si poteva anche vedere in essi, con il suo grande monopolio della situazione. Ero stanca, ma lasciarlo non portava a niente, oltre a più sofferenza ed a gesti di cui non potrebbe controllarne la natura.
 « ... Mi odi, vero? »
 « No che non ti odio, perchè mai dovrei? »
Quella domanda non mi piaceva, saltava fuori spesso ultimamente. Stavo per fargli un discorso premeditato per quest'evenienza, ma mi bloccò, porgendomi un dito sulle labbra.
 « Sh! Zitta. La mia non era una domanda retorica, la risposta è solo sì »
 « Dimmi perchè mai dovrei odiarti. »
 « Se non l'hai capito da te, vuol dire che non lo facevi apposta, quindi io per te non conto nulla. »
Si voltò, facendo qualche passo in avanti e distaccandosi sempre più da me. « Se permetti, me ne vado... » Se ne andava veramente, ma lo presi per il braccio.
 « NO! perchè devi sempre scappare da me? Smettila di fuggire, sono stanca di vederti andare via e doverti riprendere »
 « Perchè non mi vuoi »
 « Non lo capisci? Io voglio solo te, non mi interessa d'altro, né delle condizioni in cui viviamo, né dei soldi, a me interessi solo te »
Lo abbracciai, stringendolo. Iniziai a singhiozzare, come mio solito. Perchè devi sempre piangere Makoto? Sei debole, troppo debole, non riesci a reagire e reprimi nelle lacrime tutta la sofferenza, questa sei te Makoto; tu sei le tue stesse lacrime versate! Mi vergognavo di me stessa, il mio cervello mi diceva di lasciarlo andare, di dimenticarlo, ma non ce la facevo.
 « Non ti credo » Lasciai la presa, iniziando a piangere.
 « Lo so che non mi credi, in fondo, perchè dovresti credere ad una come me?  » Ma lui restava voltato, impassibile a quelle lacrime che mi scendevano rigandomi le guance. Non voleva più saperne di me, ero ormai indifferente a lui. « Ho capito, non hai più bisogno di me ... » Non mi restava che voltarmi e scappare da quell'incubo e così feci. Corri, corri dovevo scappare da lui e dal suo comportamento che mi faceva venire l'angoscia. Dovevo decidermi a rivoltare la situazione, se no non ce l'avrei più fatta a sopravvivere. Che qualcuno mi aiuti, perfavore.
Sei un'idiota pensavo, fra me e me, correndo a testa bassa, via da lui, per quelle strade deserte. Mi fermai, osservando il tramonto che sempre ci aveva affascinati e ci faceva meravigliare della bellezza che c'ha donato questo mondo. Forse dovevo ignorarlo, ma davanti al tramonto che ci faceva innamorare ogni giorno di più, decisi di voltarmi e correre contro a lui. Era ancora li, a pochi passi dal punto in cui lo lasciai poco prima. Mi fermai a qualche passo da lui, a testa bassa, sempre facendomi voltare le spalle.
 « Davvero non t'importa più niente di me? » Speravo in una parola, una sola, ma aspettavo e passava il tempo, ma continuava ad ignorarmi. Gli tirai la camicia, per attirare l'attenzione che non mi dava.
 « Smettila, smettila di ignorarmi » Ma lui continuava quella tortura, non voleva parlarmi, non voleva guardarmi. Volevo morire in quel momento, non riuscivo più a respirare dai singhiozzi. Le lacrime diventavano sempre più grandi, come quel buco logorante che cresceva nel mio petto, disintegrando il mio povero cuore. Mi arrabbiai, dovevo fare qualcosa e lo feci. Gli andai davanti, guardandolo negli occhi e tirandoli il colletto della camicia.
 « Perchè tutta questa cattiveria? »
 « Mollami... »
 « Oh, allora ce l'hai la lingua! »
Gli strinsi ancora di più il colletto, fra le mani piccole e delicate che avevo.
Ma lui era più forte, ovviamente, e mi mise una mano sul petto, spingendomi con un accenno di forza, ma abbastanza forte da farmi cadere all'indietro e farmi sbattere la testa contro il marciapiede. Mi portai la mano alla nuca. Non capivo più niente, il dolore era così forte che nemmeno riuscivo a pensare. Portai la mano davanti agli occhi, che si facevano sempre più pesanti. Era sangue. Perdevo sangue dalla nuca. Lo guardai, da stesa. Era shockato dalla visione e scappò, con la coda fra le gambe, lasciandomi li. Chiusi gli occhi e vidi solo buio, senza sentire niente né vedere, lì, stesa a terra da sola, indifesa.
Bastardo.
Passavano i minuti ma nessuno mi vedeva, nessuno s'accorgeva di me. Dov'ero? Non sentivo più niente, volevo tornare a casa con il ragazzo che amavo, vivere una vita felice. Ma lui non desiderava tutto questo, si vede.
Una luce. Si aprì uno squarcio di luce flebile. Aprii gli occhi, ormai era sera. Mi massaggiai la testa, ero ancora confusa da quello che era successo e non mi ricordavo più niente: solo il momento della caduta. Ero sconvolta. Camminai, verso casa, barcollando qua e la sull'asfalto nero che si confondeva con il cielo ormai stellato della notte. Doveva essere un giorno di cui andarne fieri quello, avevo preso un cento all'esame ed ero passata al quadrimestre sucessivo. Ero fiera, volevo raccontargli tutto ad Hazuki col sorriso sulle labbra, ma tutta la gioia che avevo in corpo s'era spenta inevitabilmente per colpa sua, come è colpa sua, tutta la tristezza che rovina i bei momento, rari da vedere.
Eccomi, ero arrivata a quell'appartamento, piccolo, che avevamo comprato insieme, con tanta fatica, per vivere una vita felice. Chissà, magari un giorno avremo una casa più grande, ma a me va bene così se devo vivere con lui, ne sono felice ed a me conta solo quello. Salii le scale che portavano al secondo piano della facciata dello stabile.  I passi delle scarpette nere facevano un rumore stridulo a contatto con il ferro arruginito delle scale, sicuramente instabili, in cui non bisognava fare movimenti bruschi se no si poteva formare un grande buco; causando anche grossi problemi. Tirai fuori la chiave, dentro c'era gia qualcuno: era sicuramente lui. Cercai di infilarla nella serratura, ma non entrava. Ha cambiato la serratura? Ero sconcertata. Sicuramente quella era la porta che mi permetteva d'entrare nel mio appartamento, non mi sbagliavo, era quella.
 « Stupido, fammi entrare! Che scherzi son questi?! »
 « Non vogliamo niente ! »
 « Apri! »

Scrock, la porta s'aprì, ma non del tutto: aveva tenuto la catenella e si limitò a guardare dal piccolo spazio aperto. Richiuse la porta, tirò via la protezione ed aprì. Era maledettamente bello. Con quei capelli lunghi, biondi, che continuavano fin dopo le spalle e scendevano sulle clavicole in due ciocche; gli occhi azzurri, comunque a mandorla, il fisico scolpito coperto solo da quella canottiera bianca e dal paio di jeans, scuri. Mi ero innamorata anche di quello, però lui era convinto che si trattasse solo dell'aspetto fisico il motivo del mio amore. Fumava, come al solito quando era stressato. Odiavo la puzza di quelle sigarette, non mi piaceva il tabacco, ma sopportavo per lui, tanto una cosa in più od in meno non faceva differenza, avevo ben altro di più importante da sopportare!
 « Vattene »
 « Come scusa? Vattene? »
 « Hai capito bene, fila stronza, non farti più rivedere qui »
 « S-str... Stronza? Ma che ti è preso?! Sei un mostro! »
Indietreggiai, mancava poco che cadessi dagli scalini.
Quella volta non piansi, non mi scendevano più le lacrime. Un po' perchè erano finite, un po' perchè non avevo più voglia di farmi venire un mal di testa enorme per uno stato che, speriamo, era solo momentaneo. Mi limitai a voltarmi ed a scappare. Non era una bella sensazione, quella parola mi penetrò nella mente. Stronza ...
Quando devo riflettere l'unico posto che mi aiuta è la stazione; ed andai proprio li, anche se di sera non era affidabile. Mi sedetti, guardando il pavimento dove i miei piedi, ancora dentro le scarpette della divisa scolastica, toccavano con la suola nera. Mi misi le mani fra i capelli, per la disperazione. La stazione era deserta, c'ero solo io: neanche i barboni non avevano voglia di venire in un posto dove, se si sbilanciavano un po' da ubriachi, potevano finire sotto un treno. Guardai malinconicamente i binari, illuminati dai pali della luce ricurvi su se stessi. La voglia di partire e mollare tutto non c'era, percui rimasi li, ad osservare ciò che accadeva. Molto probabilmente avrei dormito li quella notte, ma non mi importava, non poteva andare peggio di così. Mi coricai sulla panchina, poggiando la testa sulle mani, come un cuscino. Ed eccolo lì, lui che mi aveva spinto li mi era venuto anche a cercare. Si avvicinò, osservandomi, ma restai indifferente, senza neanche dargli un'occhiata, imbronciata.
 « Tsk, vieni a pensare qui? » Mi rimisi composta, osservandolo di sfuggita.
 « Cos'hai oggi? »
 « Niente, sto solo pensando a come ucciderti »
 « CHE?! »
Gridai, quella frase mi fece raggelare il sangue.
Mi prese i polsi, me li strinse e li portò contro il muro, immobilizzandomi. Puzzava d'alcool, aveva sicuramente bevuto.
 « Ehi, hai bevuto! Lasciami, dai, mi fai male! » Mi leccò il collo, senza che potessi fare niente.
 « Se no che fai? »
 «
Ti prego, lasciami! » Ero spaventata, tremavo.
Ma l'occasione arrivò, mi lasciò un polso per strapparmi la camicetta e gli mollai un ceffone, forte e secco, che rimbombò per tutta la stazione deserta. Ma lui era forte, fuori di se. Mi prese per il collo e mi alzò. Ero terrorizzata, da dove nasceva tutta questa violenza? Mi mancavano le forze, il respiro. Piangevo come un agnellino che stava per essere sgozzato vivo, la morte mi era vicina, la sentivo, la potevo toccare. Sicuramente avrebbe fatto un'azione irreparabile. Tirò fuori la pistola, gelida e nera, impugnandola salda con la mano sinistra e puntandomela alla pancia. Mi aggrappai al braccio che mi stava stritolando, cercando di levarlo con tutta la forza che potevo usare, ma era inutile combattere contro di lui, la presa non avrebbe allentato.
 « Come hai osato, puttanella?! »
 « T-ti prego... lasciami ... non respiro ... »

Chiuse gli occhi, nervoso e furioso. Sentii un grido di rabbia, che risuonò come eco nelle mie orecchie. Chiusi gli occhi, così sarebbe finita la tua vita Makoto. Ci siamo divertite insieme, ma adesso termina tutto. Addio mondo. Sentii lo sparo, non avevo il coraggio di vedere, ma non provai dolore. Aprii gli occhi, subito osservando la mia pancia, ma era completamente sana. Subito dopo capii: si era sparato alla pancia. Era immobile, nella sua stessa pozzanghera di sangue a sguazzare inerme, con un buco sull'addome. Ero senza forze, ma mi avvicinai a lui. « E' così che mi vuoi lasciare? »
Cercai aiuto, gridai, ed arrivò il treno, con mille luci che ci passavano davanti.
Hazuki, non mi lasciare.


 

Makoto


(grazie ad Asuka Soryu Langley per aver interpretato il ruolo di Makoto)
  
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