Ehm, salve, sono Dì.
Per prima cosa volevo scusarmi:
visto che ero un po’ ristretto coi tempi la sera che ho posato la storia, mi
sono un po’ facilitato la scelta del genere infilandoci a caso un bel
“generale”, pertanto, no, la storia, per chi l’ha detto non è poi così tanto
allegra-carina-e-coccolosa. Insomma, sono le CLAMP e io non sono proprio in
grado di staccare i personaggi dalla sfortuna assoluta alla quale sono legati
per nascita... Pertanto, no, non sarà una commedia, sì, certe volte qualcosa di
divertente ci sarà, anche per smorzare un po’ la tensione, però,
fondamentalmente, dovreste essere abituati ai momenti di angst col quale abbiamo
imparato a convivere leggendo una qualsiasi opera di quelle pazze v___v. Per cui
ora corro a cambiare il genere, se vorrete continuare a leggere fatelo pure,
anche senza recensire, la storia sarà qui, però preparatevi a momenti poco
allegri, in un futuro prossimo.
Mh, poi? Ah, sì... Commenterò le recensioni a
piè di pagina, quindi, senza alcun indugio vi mollo il Capitolo, permettetemi di
augurarvi buona lettura.
BEFORE THE WORST— CAPITOLO2
Art's F Sake
Il vagone bianco con le strisce blu si fermò alla
stazione con uno stridio metallico.
Ovviamente Fay era in perfetto ritardo,
aveva sfidato la sua sorte, che non era mai stata tanto buona, pur sapendo
benissimo che quella strega della sua agente gli avrebbe tagliato la gola, per
essere arrivato tardi a controllare la disposizione delle sue opere nella
galleria. Però, in effetti aveva un buon motivo per quel ritardo di più di
quaranta minuti, soprattutto perché sicuramente Yūko avrebbe avuto a che ridire
in merito, ma si era fermato a fare foto.
Sì, si era fermato a fotografare un
mucchio di sciocchezze. Era una cosa che faceva da qualche anno ormai, portava
sempre con sé la macchina fotografica da quando era stato per la prima volta New
York e non aveva avuto modo di fotografare Saint Patrick Cathedral, che gli
avevano descritto come un cuore di marmo tra i vetri e l’asfalto, ma quella
volta Yūko gli aveva appioppato una specie di bodyguard, che altri non era che
il suo assistente Dōmeki, che non gli aveva permesso di perdere tempo. Quel tipo
l’aveva prelevato dall’Hotel in cui alloggiava, nelle immediate vicinanze di
Rockefeller Center, e l’aveva trascinato fino al Guggenehim dove teneva una
mostra, attraversando tutta Fifth Avenue, senza nemmeno dargli il tempo di
lavarsi i denti appena sveglio, figurarsi se avrebbe avuto tempo di prendere, o
meglio cercare in quel marasma della stanza, la sua macchinetta fotografica usa
e getta. E quindi, quando era tornato in quello Stato per un’altra mostra, s’era
armato di cavalletto, con obiettivo grandangolo e annessi e connessi,
semplicemente per fotografare tutto ciò che gli passava davanti.
E questa
specie di deformazione era rimasta in lui, certo, ora girava con una piccola
macchinetta fotografica digitale che teneva sempre in tasca, e aveva
sperimentato un modo per rendere la cosa anche utile per il suo lavoro, quindi
ingrandiva la fotografia con un proiettore perché avesse le dimensioni della
tela, seguiva solamente i contorni delle figure e poi ci costruiva un
quadro.
Stavolta aveva incontrato una bimba con un cappellone rosa che
abbracciava un pupazzo bianco che ricordava un po’ la forma di un onigiri con le
orecchie lunghe, più grosso di lei, e l’aveva fotografata con la sua mamma, poi
aveva regalato loro due biglietti omaggio per la sua mostra e si era fermato a
chiacchierare con la bimba.
Quando si era accorto che ora fosse, si era
spinto in una corsa a perdifiato per la stazione, ma poi aveva incontrato dei
gattini che giocavano con un gomitolo rosso, in un cortile e si era fermato,
mezzo folgorato da tale vista, a fare qualche scatto.
Arrivato in stazione,
aveva visto le porte del treno chiudersi davanti al suo naso, allora si era
fermato, s’era seduto su una panchina e aveva aspettato pazientemente il
prossimo treno per Mitaka.
E con un buon ritardo di quaranta minuti era
arrivato nelle vicinanze della galleria.
Inutile dire che avrebbe voluto
trasferirsi lì, gli appartamenti erano più appropriati per un tipo come lui, in
una zona, proprio nelle vicinanze della galleria, c’erano dei palazzi
residenziali, coloratissimi, tanto che s’era fermato a guardarli per dieci
minuti, la prima volta che s’era trovato in quel quartiere, fotografandoli
ovviamente, e notando che i colori su ogni stabile non si ripetevano più
di due volte. Aveva cercato di convincere Yūko a fargli prendere un
appartamento proprio lì, soprattutto perché era un luogo eccentrico quasi quanto
lui, ma lei aveva ringhiato che la casa che gli aveva scelto era perfetta,
soprattutto perché avrebbe potuto tenerci anche dei rinfreschi, delle feste e
anche delle aste, eventualmente. Eppure ogni volta che lui passava lì davanti,
si sentiva come a casa, presto o tardi si sarebbe trasferito lì, anche perché
quel posto dove viveva era davvero troppo grande per una persona sola.
Con
un sospiro, si diresse in fondo alla strada e proseguì fino a ritrovarsi sul
boulevard principale, attraversando la strada, a testa bassa, proprio di fronte
al Kentucky Fried Chicken.
Era troppo impegnato a pensare a quello che Yūko
gli aveva detto di dire, perché si rendesse conto che davanti alla galleria
d’arte c’era una quantità enorme di gente. Quando alzò lo sguardo e vide tutta
quella folla, rabbrividì alla sola idea di dover passare lì in mezzo. Per cui,
decise che era necessario cambiare strada, magari entrare dal retro.
Si
sistemò la sciarpa davanti al naso, perché nessuno si accorgesse di lui, e si
avviò verso un elegante palazzo con dei gradini di marmo, prima ancora che
svoltasse, per entrare dalla porta di servizio, incontrò la fila per quelli che
avevano già il loro biglietto, poco importava che l’avessero acquistato o
ottenuto come invito, erano altre potenziali beghe.
Il sangue, alla sola idea
di dover incontrare quelle persone, gli si gelò nelle vene.
«Oh, sei arrivato
finalmente!» grugnì qualcuno alle sue spalle.
Sperò che non fosse nessuno che
potenzialmente potesse avercela con lui. Così si voltò e vide una donna con le
braccia conserte che batteva la punta del piede sinistro a terra.
«Perdonami
Yūko-sama... È che mi sono messo a pensare a un mucchio di cose, ho fatto tante
foto e...» cercò di addurre una scusa decente, ma con scarso successo
«Hai
perso tempo come al solito!» ringhiò la donna preparandosi a dargli una botta in
testa col suo hiogi.
«Sì, lo so... Ma sicuramente sarà tutto bellissimo anche
senza il mio contributo!» cinguettò.
«Dovresti fare come ti dico io!»
continuò a dire lei.
L‘espressione sul volto del pittore sembrò abbuiarsi per
un istante, ma poi sfoderò un sorrisone a tutto tondo. «Uffa! Te l‘ho detto che
a me non piace stare qui! Detesto questo genere di cose!».
«Sicuramente ci
sarà qui qualcuno che non è venuto di sua spontanea volontà... Tu sei la star,
devi necessariamente essere contento di tutto questo! Quindi su, sorridi ed
entra! Prometto che dopo la conferenza stampa potrai fare quello che vuoi!»
mugugnò la donna continuando a fissarlo altezzosa.
«Tutto tutto?» sfoderò un
tono supplicante. «Anche ingozzarmi di gelato fino ad ingrassare, mentre guardo
film deprimenti francesi?!».
«No, questo no. Però puoi farti un giro per la
galleria e socializzare con qualcuno, ti sei appena trasferito e non hai molti
amici...» mugugnò.
«Ohhh! Ma allora ti preoccupi per me!» pigolò di
nuovo.
Yūko sbuffò. «Te l‘ho già detto, sei la mia gallina dalle uova d‘oro,
se non stessi bene psicologicamente sarebbe un problema per me... Anche se
potresti fare come Van Gogh e creare opere ancora più incredibili...» cominciò a
rimuginare. «Mh... Beh, potrebbe essere un‘idea...».
Fay impallidì alla sola
idea, doveva smetterla di parlare con quella donna il prima possibile, ma le
rivolse un sorriso ancora più sfavillante del precedente. «Sì, ma Van Gogh è
arrivato al massimo del suo splendore quando ha conosciuto Gauguin... Forse è
meglio che mi trovi qualche amico...».
«Oh, sì, in effetti non hai tutti i
torti...» annuì lei. «Dai, ora fila dentro, che tra meno di mezz‘ora hai una
conferenza stampa!» fece agitando per aria il suo ventaglio, e prendendo a
spingerlo in direzione della fila.
Fay sbuffò
profondamente mentre quella donna gli faceva superare bellamente tutto quel mucchio di
gente in attesa di entrare, era un comportamento profondamente inappropriato e poco educato, se n’era
reso conto soprattutto perché metà di quella gente aveva ringhiato contro di
loro.
Una volta arrivati nelle vicinanze immediate della sala conferenze della
galleria, si sfilò il soprabito affidandolo a quell’assistente di Yūko, quello
lì con gli occhiali, del quale ora non gli sovveniva proprio il nome.
«Su,
hai qualche minuto, fa‘ un giro per la galleria e guarda se è tutto a posto,
come volevi tu.» gli sussurrò il ragazzo.
«Sicuramente va bene così, anche
perché hanno già aperto le porte, non credo che potremmo spostare qualcosa,
comunque.» gli fece notare Dōmeki mentre Yūko ringhiava qualcosa di
irragionevole ed irripetibile ai danni del pittore. «Che hai fatto stavolta,
Fay?».
«Non ti sei messo lo smoking che ti avevo raccomandato!» ringhiò la
donna agitando per aria l’hiogi prima che sbattesse sulla testa
bionda.
«Evidentemente era sgualcito, no? Vero, Fay-san?» sussurrò
l’occhialuto dandogli una mezza gomitata nel fianco per fargli dire qualcosa.
Watanuki! Ecco come si chiamava quel tizio!
Fay annuì. «Già, e non ho trovato
il ferro da stiro... E poi quel verde era decisamente inappropriato, meglio così,
no?».
«Guarda, sta‘ lontano dalla mia vista e fila a fare quel giro di
ricognizione!» brontolò lei agitando, stavolta davanti al suo naso, il
ventaglio.
Fay, con aria decisamente sommessa, si trascinò nel corridoio, a
testa bassa.
A Kurogane stava cominciando a venire il mal di testa, ed erano appena
dieci minuti che si trovava in quella maledetta galleria d’arte. Mpf! Che razza
di posto! brontolò tra sé mentre schivava l'ennesimo palloncino di quel colore
così inquietante! Rosa.
Quei tre mocciosi giravano intorno a lui indicando
qualsiasi cosa anche quelle che a lui sembravano semplicemente delle macchie,
delle grosse macchie di colore. Come se qualcuno fosse inciampato sulla vernice
e avesse sporcato una tela.
Non che Kurogane avesse mai capito l’arte, per
lui era l’ennesima cretinata perché della gente guadagnasse senza un vero
lavoro, senza uscire di casa. E poi a che serviva?! Se l’era chiesto centinaia
di volte! Secondo lui, era più produttivo un pesce rosso in
un’ampolla.
All'improvviso, mentre borbottava un‘altra mezza imprecazione tra
sé e sé, qualcuno gli venne addosso.
«Mi scusi!» sussurrò un tizio biondo,
innaturalmente magro. Indossava un dolcevita nero e un paio di pantaloni grigi
scuri che facevano risaltare il pallore del viso e le occhiaie marcate, e poi a
colonare il tutto portava una giacca, dello stesso colore dei pantaloni, che gli
cadeva a pennello eh, ma lo facevano sembrare ancora più magro.
«Ma stai
attento, tu!» brontolò lui, coi nervi a fior di pelle che si ritrovava, ci
mancava solo che gli venissero addosso, anche se evidentemente quello che aveva
risentito di più di quella specie di colpo era stato quel tizio. «Ma guarda tu
questo! Non guarda nemmeno dove mette i piedi, che imbecille!» continuava a
brontolare, noncurante delle miriadi di scuse che gli domandava.
Quel tale
aveva preso a fare dei mezzi inchini in avanti.«Mi scusi, davvero, non
volevo!».
«Mpf!» sbuffò il moro. «Va bene».
«Se vuole, le faccio avere dei
biglietti gratuiti per tornare a vedere la mostra...» continuò a dire.
Che? Dei biglietti gratuiti per uno strazio simile? Ma
nemmeno morto! «E che ti fa pensare che io
voglia tornare qui un'altra volta?» ruggì ancora.
A quel punto il biondo alzò
la testa e gli rivolse un sorriso strano, tanto che gli diede una brutta
sensazione che gli percorse tutta la schiena. «Dovrò trovare un modo per
scusarmi con lei.» continuò a dire quello. «Soprattutto perché non sembra
apprezzare questa roba, quindi debbo scusarmi doppiamente...».
«Ma non mi dare
fastidio, girami alla larga, imbecille!» ringhiò ancora Kurogane,
aggrottando ancora di più le sopracciglia.
Ma prima
ancora che quel tale continuasse ad importunarlo, un altro tizio alto che pareva
anche piuttosto irritante, gli si fece vicino. «È ora, sai?».
«Mh, ma io stavo facendo
amicizia, come ha detto lei!» puntò i piedi il biondo prima di porgere la mano a
Kurogane. «Io sono Fay e tu?».
Con quella manina così ossuta a penzolargli
davanti Kurogane, rabbrividì di colpo. Quel tipo aveva davvero detto che stava
facendo amicizia? E chi voleva essere amico suo? Allungò solo la mano perché,
malgrado tutto, i suoi gli avevano dato un'educazione. «Kurogane».
Quel tale
dalla faccia insopportabile che aveva raggiunto il biondino, grugnì. «Fay io non
voglio vedermi ridotta la paga perché tu hai deciso di non darti una
mossa».
«Io ora devo andare
signore-tutto-nero1... Poi ci vediamo dopo!» disse
quel tale dal nome strano.
Un attimo? Com'è che l'aveva chiamato? La voglia
di sferrare un pugno sulla testa, presumibilmente vuota di quel tizio, si fece
strada in ogni cellula del suo corpo.
«Yoo, stai digrignando i denti, lo
sai?» bisbigliò Tomoyo facendosi vicino a lui.
«Mpf! Avete visto tutto?
Possiamo andarcene?» brontolò.
«Ma no, Yoo! Ho i biglietti anche per la conferenza stampa
e poi ci sono molti altri quadri da vedere, all'interno!»
cinguettò lei.
«All'interno?» fece il moro prendendo a gesticolare. Aveva
appena scoperto, con immenso orrore peraltro, che la situazione era peggio di
quanto pensasse e che quello in cui si trovava ora, evidentemente, non era altro
che un corridoio. «Perché? C'è pure un interno?» bofonchiò con la voce appena
più strozzata in gola.
«Sì, certo, queste sono solo opere della collezione
permanente...» continuò a dire lei, mentre lo spingeva a seguirla verso una
porta di legno col vetro traslucido.
Per non farsi proprio mancare niente,
visto e considerato che per ora era ancora troppo accettabile la situazione, in
quella stramaledetta saletta c'erano almeno duecento persone, più della metà dei
quali brandiva un taccuino, altri invece avevano delle telecamere o delle
macchine fotografiche, e quella mocciosa rompiscatole aveva riservato per loro,
non si sa nemmeno in che modo, quattro posti in prima fila.
Kurogane ora, più
di tutto, stava rimpiangendo di essersi svegliato, soprattutto perché, malgrado
la sedia fosse comoda, i giornalisti alle sue spalle gli stavano intimando di
abbassarsi.
Proprio mentre stava per desistere e decidere di aspettarli
fuori, si spensero le luci in sala, e si accesero quelle in prossimità di un
palco bianco.
Quando Shizuka lo spinse sul palco nella sala delle conferenze, un
inappropriato capogiro di vergogna ed inadeguatezza si arpionò alla sua testa,
provocandogli un leggero senso di nausea e facendogli ribollire il sangue nelle
vene.
Si schiarì la voce e ripensò a quello che gli avevano detto tanti e
tanti oratori coi quali aveva parlato prima di alcune conferenze stampa alle
quali era stato costretto, in America o in Europa, doveva immaginarsi tutta
quella gente con delle grosse galline in testa.
Non appena in testa di tutti
quei giornalisti si palesò una grossa gallina grassoccia, sfoderò un sorrisone a
settantadue denti, degno di uno squalo.
Sistemò due cartoncini bianchi con
poche righe scritte a penna sul lèggio e inspirò profondamente, avvicinandosi al
microfono.
A quella vista, Kurogane rabbrividì di botto, più di quanto non avesse fatto
negli ultimi minuti. C’era quel tizio su quel palco, proprio quel tizio biondo
col quale aveva avuto quella specie di incontro-scontro poco
prima.
«Buonasera a tutti.» cominciò a dire quello passandosi nervosamente la
mano tra i capelli. «Sono molto lieto di vedere tutta questa partecipazione dei
mass media... Mh... La parte più difficile è ricordarmi quello che vi dovevo
dire, in fondo avrei tante tante cose da dire e... non mi ricordo niente,
scusatemi l‘emozione è troppo forte».
A Kurogane, ogni parola che usciva
dalla bocca di quel tizio sembrava una menzogna, anche il modo in cui si poneva
davanti ai riflettori, i gesti. A forza di fare quel lavoro, a forza di vendere
assicurazioni, sapeva come interpretare un tono o un altro, anche senza
necessariamente avere un contatto visivo con la persona in questione. Il modo in
cui quello era chinato in avanti, come si aggrappava al leggio di vetro nero e
opaco, come ridacchiava e le pause che faceva, sembrava un discorso costruito,
uno strazio di un attore anche abbastanza competente.
Il tizio biondo, il
pittore, afferrò il mucchio di foglietti e li accartocciò buttandoli alle sue
spalle.
«Per me è un po‘ complicato, perdonatemi... Non sono ancora abituato
a tutta questa inspiegabile notorietà... Io dipingo per passione, ho cominciato
da quando ero piccolo e...» la sua espressione si fece per un momento cupa, ma
la maggior parte dei presenti probabilmente non se ne accorse. «Beh, in sintesi
sono tornato qui e conto di restare nel mio paese... Essendo la prima
esposizione che faccio qui, sono davvero molto emozionato, non pensavo di
riscuotere tutto questo successo!».
Quel tipo è un giapponese? Ma a chi voleva darla a
bere?! I veri giapponesi mica sono biondi! mentre ringhiava
questo, Kurogane non si rese nemmeno conto che qualcuno faceva una
domanda.
«Io ho sempre preso l‘ispirazione dalle piccole cose quotidiane ad
esempio dai colori che ho visto durante la mia infanzia, la casa nella quale
abitavo allora dava sul monte Fuji e all‘alba e al tramonto la sua cima brillava
di tonalità incredibili, per non parlare delle varietà di vegetazione che si
possono trovare qui... Avendo viaggiato molto, posso dirlo con certezza, questo
Paese è sicuramente al primo posto in tale ambito... Non ho visto colori simili
a quello dei ciliegi o dei mandorli in fiore in altra Nazione...» stiracchiò un
sorriso strano, che quasi percorreva tutto il volto. «Quindi, per rispondere
alla sua domanda, sì. Sono rimasto molto legato alla mia infanzia. Prossima
domanda?» incitò qualcun altro a rispondere.
Qualcuno alzò la mano più in
alto degli altri e si aggiudicò la possibilità di fare una domanda. «Ci parli
del ciclo di cinque tele invernali...».
A Kurogane parve che l‘espressione del
biondo diventasse cupa, malgrado il sorriso stampato in faccia che arrivava
fino a dietro le orecchie.
«Non è ancora concluso. Sto lavorando
sull‘ultimo... Quando sarà pronto anche quello ne riparleremo. Mi dispiace non
poter dare ulteriori informazioni, ma sarà il primo che contatterò in futuro,
una volta completata la serie.» il modo magistrale in cui liquidò quella domanda
evidentemente scomoda, lasciò la platea completamente basita. «Abbiamo tempo per
un‘ultima domanda... Intanto vi informo che alcuni potranno chiedere delle
interviste esclusive alla mia agente, la signora Yūko Ichihara, con la quale
potrete prendere accordi anche adesso...» sorrise indicando qualcuno che aveva
la mano alzata.
Secondo Kurogane, l’espressione di quel tipo strano era
decisamente fastidiosa, così tanto falsa da far saltare i nervi, quei pochi
rimasti al loro posto; tanto che non si curò nemmeno di ascoltare la domanda
posta da qualcuno alle sue spalle, piuttosto guardò con attenzione la reazione
di quel biondo.
«Sì, mi sono appena trasferito qui dopo molti anni di
lontananza... Ho avuto modo di visitare moltissimi musei nel Vecchio Continente,
e ho anche conosciuto molti artisti eclettici in America... Ma sono tornato qui
per restare, non c‘è niente di meglio che sentirsi a casa per migliorare la
propria produttività...» continuò a dire.
Perché?
Dipingere è produttivo? Da quando?! grugnì Kurogane redarguendo l’unico neurone interessato alla pittura
che evidentemente era sfuggito alle rappresaglie dei neuroni più
seri.
Intanto quel tizio concludeva la sua risposta chilometrica. «Viaggiando
molto, ho avuto modo di conoscere molte sfaccettature della popolazione mondiale
ma, senza che nessuno me ne voglia, questa è casa mia, sono cresciuto qui ed è
qui che voglio continuare a dipingere.» mugugnò confusamente. «Beh, a quanto
pare non posso rubarvi altro tempo, spero vi piaccia ciò che vedrete oltre
quella porta,» farfugliò indicando una porta di legno laccato alla sua sinistra.
«vi saranno offerte delle ottime tartine e delle bibite... Parlate bene di me,
eh, mi raccomando!» ridacchiò prima di scendere dal palco e dirigersi
spaventosamente proprio verso la prima fila di sedie.
Il sangue si congelò
nelle vene del moro, quel tipo gli era parso un pericolo dal primo istante che
l’aveva visto, e ora si stava avvicinando troppo, davvero troppo.
Era stato più difficile di quanto pensasse.
Malgrado le galline si fossero
materializzate sulle teste di tutte quelle persone, non era stato più facile per
lui, affatto.
Il senso di nausea si era riproposto all’improvviso proprio
quando aveva cominciato a guardare quei cartoncini, aveva sentito la gola
raschiargli, riarsa e poi la testa aveva cominciato inspiegabilmente a girare,
la vista gli si era appannata non permettendogli di mettere a fuoco nemmeno una
parola, per non parlare del sudore freddo.
Ma tanto ormai era finita, era
sceso da quel palco bianco, abbacinato ad ogni passo dai flash e rintontito da
degli applausi decisamente inspiegabili, tanto che si trovò un po‘ disorientato
all‘inizio. Perché la gente continuava ad acclamarlo a quel modo? Mica era una
rockstar!
Yūko gli si fece accanto, gli ringhiò qualcosa che aveva l’aria
di essere un complimento e poi lo spinse dietro quella specie di sipario scuro,
prima che potesse raggiungere la sala per mangiare qualcosa di almeno vagamente
commestibile.
«Sei stato formidabile! L‘idea di accantonare il discorso che
ti avevo scritto è stata geniale! È parso come se parlassi con loro in tutta
sincerità... Bravissimo!» ammiccò quella donna, sembrava che avesse il simbolo
dello yen al posto degli occhi, probabilmente aveva visto la situazione come una
trovata pubblicitaria più che come un malore.
«Sono libero adesso?» mugugnò
allungandosi a cercare una bottiglietta d’acqua.
Lei annuì. «Sì, fa‘ un giro
per la galleria, chiacchiera con qualcuno, fa‘ vedere che ti piace stare qui in
mezzo ai tuoi fan...».
«Non mi sembra che io sia tanto libero quindi...»
mugugnò.
«Dai che da domani potrai stare a casa quanto ti pare a vedere i
tuoi maledetti film melensi!» ringhiò la donna.
«No, in realtà se tu
prendessi accordi per un‘eventuale intervista... Dovrei prepararmi...» sbuffò
fiaccamente.
Watanuki, che non poteva fare a meno di interferire quando quel
pittore da strapazzo puntava i piedi, gli diede una pacca sulla spalla. «Ma se
sei stato bravissimo così! Improvvisando si ottengono i risultati
migliori!».
Fay stiracchiò un sorriso, cercando di renderlo il meno falso
possibile. «Sì, hai ragione... Cerca di controllarla tu, fa‘ in modo che non mi
metta tre interviste al giorno, sennò mi ucciderà e io non dipingerò mai...»
bisbigliò prima di sparire dietro alla pesante tenda di velluto nero.
Ovviamente, Tomoyo aveva trascinato Kurogane nella sala
delle esposizioni, dove c’erano troppi, decisamente troppi, quadri. Certo, erano
un po’ meglio di quelle chiazze di colore che aveva visto nel corridoio prima di
quella specie di intervista, ma continuava comunque a pensare che non fossero
tanto meglio anche quelli. Per non parlare del fatto che c’erano ancora i
palloncini in giro o dei camerieri che sventolavano sotto i nasi altrui delle
strane tartine imburrate con delle uova di pesce. I tre marmocchi si fermavano
ad ogni teca, ad ogni quadro, a leggere addirittura le didascalie e lui
ringhiava qualche imprecazione non ben definita.
Ma tanto, presto, molto
molto presto sarebbe scappato di lì, in fondo, lo aspettavano due giorni a base
inscatolamento dei propri effetti personali e di ricerca di una casa quantomeno
decente nella quale trasferirsi.
1. [cfr TRC chapt. 3 pg. 14]
Salve gente v__v
Prima di abbandonarvi ai commenti alle vostre recensioni,
mi sento di dire che questo capitolo è quanto di più squallido ed inutile io
abbia mai scritto fino ad ora, ma tanto non c'è limite al peggio, per cui
vedremo come andrà avanti la storia!
Ringrazio tutti per essere arrivati fin
qui.
-
Herit,
Sono molto felice che ti sia imbattuta in questa storia, e anche di aver incontrato i tuoi gusti. Inoltre spero di rendere la coppia Touya-Yukito più presente in questa storia, non hanno tanto spazio *scuote la testa affranto* beh, visto che era il primo capitolo ti ringrazio per i complimenti e per aver recensito, e ora ti liquido brevemente grazie ancora! *ride malefico* -
Rebychan,
Nuuu *O* esponimi le tue teorie signorina *O* sarei proprio contento di sapere che ne pensi, magari mi dai qualche idea v__v boh secondo me questa è solo la prima di una delle tante pessime giornate che si troveranno a vivere, soprattutto Kuro-pon v__v Ti ringrazio di aver letto e recensito. -
yua,
Salve cara v__v e anche se mi divertissi a torturarli tu continueresti a leggere, non è molto sano lo sai? Comunque sono molto contento che la situazione ti piaccia, e poi sì sfruttare Kendappa per torturare Kuro-ron e Yuko per tenere al guinzaglio Fay-pittore... beh è utile insomma, potrebbe servirmi anche in futuro questa cosa xD mh no, come ho detto ho una voglia incredibile di tenere Touya e Yukito e farli riapparire ogni tanto, no? Bah dai visto che anche per te è una recensione al primo capitolo direi che ti liquido brevemente così v__v Grazie mille perché continui a seguirmi. -
Shatzy,
Lietissimo che ti sia trovata per caso tra le mani questa storia, purtroppo non è una bella commedia come credi... su, insomma ci abbiamo tutti fatto il callo: le CLAMP ci hanno abituato a momenti ben poco felici, pertanto è semplice farli trovare in situazioni nelle quali sanno già muoversi bene, non vorrei mai perdessero l'abitudine di trovarsi in momenti truci/tristi/turpi/grotteschi, è molto meglio così v__v *Dio Buono, che ho scritto?!* bah, comunque ti ringrazio molto! -
MaleficaGgggì,
*O* grazie, non pensavo davvero avresti mai commentato, sono proprio lieto che ti sia fermata a "perdere tempo" in questo modo T^T grazie mille per tutto.
Mi sa che ho detto tutto, scusate se vi liquido così.
Arrivederci
D.